In Salento il simbolico CADUCEO di HERMES e il simbolo del serpente più in generale

IN SALENTO IL SIMBOLICO CADUCEO DI HERMES

e il simbolo del serpente più in generale

 

Il Caduceo scolpito nel centro storico di Soleto. Foto di Oreste Caroppo del pomeriggio del 29 luglio 2016.

 

Una bella rappresentazione del caduceo si può vedere nel Salento anche scolpita in bassorilievo su un balcone nel centro storico della città di Soleto in Salento.

Il bastone sacro e scettro lineare intorno al quale si annodano due serpenti sinusoidalmente (se visti nel piano, o elicoidalmente meglio dire in 3D) ed in maniera intrecciata e simmetrica tra loro per poi affrontarsi faccia a faccia nella parte alta del bastone, che ricordano la molecola del DNA vista di lato.

Ringrazio Alfredo Melissano di Soleto e della locale Associazione culturale Nuova Messapia per la bella segnalazione di questa interessante scultura in calcare locale che adorna la parte inferiore a vista della mensola centrale di un balcone di un edificio storico nel cuore di Soleto, paese della Grecia salentina nel basso Salento. Il caduceo attributo del dio greco Hermes, che oltre ai due serpenti aveva anche le due alette in sommità come qui ben si vede, in antichità era raffigurato in tante rappresentazioni del Dio, il tutto attestato anche in numerose testimonianze artistiche rinvenute in Puglia.

 

Il Caduceo scolpito nelle mensole di un balcone nel centro storico di Soleto. Foto di Oreste Caroppo del pomeriggio del 29 luglio 2016.
Vista da una stradina del centro storico di Soleto, ricco di sculture e simboli, del balcone a primo piano nella cui mensola centrale è effigiato il simbolico Caduceo.
P.S.: nella foto si inquadra un filo con bandierine appese, in questo caso bianche. Sono una forma di decoro in occasione di feste e processioni religiose nel Salento (e anche fiere e sagre solitamente collegate), fili stesi da un lato all’ altro della strada o in altra disposizione perché le bandierine, di vario colore, ondeggino al vento. Il vento che muove una bandiera dando un senso di vitalità, di presenza così mostrata quasi di un divino solitamente impalpabile, lo ritroviamo già nei templi egizi antichi, come segno della presenza della divinità in quel luogo; da questo medesimo archetipo è facile far derivare l’ uso militare e da parte del potere civile della bandiera sui palazzi istituzionali, vedi ad esempio sul Palazzo del Quirinale a Roma nello Stato Italiano quando il Presidente della Repubblica è in sede. Valori che si fondono con quello identitario per il gruppo che la bandiera assume. Un altro interessante paragone lo si deve fare con le bandierine su cui son scritte preghiere, a volte anche proprio appese in sequenza su dei fili, che ondeggiano al vento fino a consumarsi del tutto e che decorano i luoghi sacri tibetani. I medesimi archetipi universali umani alla base di questi usi rintracciabili attraverso il tempo e lo spazio!

Stesse forme si mostrano nel mosaico medioevale della Cattedrale di Otranto tramite lo spiraleggio assieme delle code di due cavalli che paiono serpentiformi:

 

Coppia uomo e donna dei suonatori di chiarine, inizio navata centrale, pavimento musivo del XII sec. d.C. Cattedrale di Otranto. Mero decoro, un segno di unione pacifica a formare magari una coppia maschio-femmina tra i due equini, e parimenti tra l’uomo e la donna che compaiono nella stessa scena? O un riferimento già alla leggenda diffusa nella tradizione popolare salentina degli scherzi di folletti (“scazzamurieddhi“) che realizzavano trecce e nodi, si diceva, con le code degli animali nelle stalle?

 

Il Caduceo era lo scettro del dio greco Hermes (Mercurio per i latini), e divenuto già in antichità scettro degli araldi, e simbolo del commercio, il cui dio tutelare era proprio Hermes; simbolo propiziatore dunque delle buone relazioni tra gli uomini. I due serpenti intrecciati tra loro rappresentavano l’accordo tra le due parti, tra due o più maschi in una transazione, in una vertenza politica o commerciale. Il serpente per la sua forma fallica è simbolo del maschile da sempre, e politica e commercio erano affar di maschi solitamente in epoca greco-romana. Infatti il mito così ne descrive l’ origine: un giorno Mercurio sul monte Citerone, avendo visto due serpi che si azzuffavano, gettò loro la verga, intorno a cui si attorcigliarono, rappacificati, i due serpenti. Così il caduceo, o verga alata, con i due rettili attorcigliati e in atto quasi di baciarsi, restò simbolo di pace.
Il termine latino latino caduceus, riprende il greco antico karykaion, aggettivo di karix o kerix, traducibile come araldo.

Famoso è il caduceo bronzeo del V secolo a.C. rinvenuto a Brindisi durante la costruzione del piazzale, adiacente la stazione cittadina. Testimoniava l’alleanza fra la messapica Brindisi e la colonia greca italiota della città di Thurii, probabilmente per contrastare la colonia magno greca dorica di Taranto in terra apulo-lucana. I nomi delle due città Brindisi e Thurii sono incisi sul caduceo come segno dell’alleanza stipulata.
Simboli oltre che oggetti simbolici, che comparivano su monete e vasi antichi già in epoca antica e poi usati e giunti sino alla nostra contemporaneità quasi con immutato valore semantico.

Alcuni caducei bronzi antichi conservati nel museo provinciale di Lecce:

Alcuni caducei bronzi antichi conservati nel museo provinciale di Lecce. Dal testo di Delli Ponti Giovanna intitolato “I bronzi del Museo provinciale di Lecce”, edito a Lecce nel 1973. I primi due caducei presentano i serpenti annodati con nodo piano:

Caduceo con iscrizione trovato nei pressi di Taranto con serpenti cornuti a corna di montone e iscrizione, dal testo qui linkato di Theodor Mommsen, ultima pagina:

 

Caduceo con iscrizione trovato nei pressi di Taranto con serpenti cornuti a corna di montone e iscrizione, da un testo di Theodor Mommsen.

 

 

Particolare: scena di accoppiamento-lotta tra due serpenti neri.

La scena tipica nella campagna salentina della lotta di due serpenti biacchi, i neri “scurzuni” chiamati in Salento:

 

Fenomeno naturalistico questo, insieme all’accoppiamento allorquando i due serpenti anche si avvinghiano in spire ma con maggiore tranquillitò e riserbo rispetto alle contese di lotta, che è alla base della nascita del simbolo del caduceo.

Due serpenti neri in posizione da caduceo pro-accoppiamento in un affresco tardocinquecentesco nel Capo di Leuca:

 

Affresco tardocinquecentesco di San Paolo – particolare. Chiesetta di Santa Maria di Vereto nell’agro di Patù – Foto del 10 marzo 2019 di Oreste Caroppo. Intorno al Santo protettore dai morsi e punture di animali velenosi è raffigurato un piccolo bestiario de venenis (di animali ritenuti in qualche modo portatori di veleni): un serpente attorcigliato, uno scorpione, un rospo, una zecca (forse ragno-taranta?), un serpente allungato e due serpenti intrecciati a caduceo (quelli qui in foto). Inoltre sulla spada del Santo sono avvolti due serpenti. Per approfondimenti vedi questo mio album su Facebook con foto, testi e interessanti commenti alle foto.

 

Per approfondire sfogliate l’album di foto con commenti e dati a partire da questa foto su Facebook.

<<Serpenti nel mito greco del “mitico” indovino Tiresia (“Teiresías”, che vuol dire “colui che sa interpretare”, i “téirea”, i “segni celesti”). Il mito racconta che, passeggiando su un monte (il monte Cillene o secondo un’altra versione il monte Citerone), vide due serpenti che copulavano, ne uccise la femmina, con un bastone, perché quella scena lo infastidì. Nello stesso momento Tiresia fu tramutato da uomo che era, in donna. Visse in questa condizione per sette anni provando tutti i piaceri che una donna potesse provare. Passato questo periodo venne a trovarsi di fronte alla stessa scena dei serpenti. Questa volta uccise il serpente maschio con un bastone e nello stesso istante ritornò uomo.
O forse trattasi di lotta nel video.
Due serpenti che si accoppiano (o che lottano spiraleggiando avvinghiati insieme) sono una scena dalle forti suggestioni omosessuali, per la associativa, in termini di idee, forma fallica dei due ofidi, sebbene si tratti di due esemplari maschio e femmina in normale naturale accoppiamento riproduttivo. Questo forse anche psicologicamente il senso di quel fastidio che provò Tiresia di fronte alla scena. Inoltre, quando due serpenti si accoppiano, si sfregano tra loro, e intrecciano a doppia elica stretta i loro corpi anche per meglio scorrere l’ uno sull’altro per far incontrare i rispettivi organi sessuali per la copula, ed in quella scena agreste si concretizza naturalisticamente proprio quanto nel caduceo raffigurato artisticamente.
Un giorno, raccontano i miti greci, Zeus e sua moglie Era si trovarono divisi da una controversia, nata dai continui tradimenti di Zeus, la questione che li vedeva contendere era su chi potesse provare in amore più piacere, se l’uomo o la donna. Non riuscendo a giungere a una conclusione, poiché Zeus sosteneva che fosse la donna, mentre Era sosteneva che fosse l’uomo, decisero di chiamare in causa Tiresia, considerato l’unico che avrebbe potuto risolvere la disputa essendo stato sia uomo sia donna. Interpellato dagli dei, rispose che il piacere sessuale si compone di dieci parti: l’uomo ne prova solo una e la donna nove, quindi una donna prova un piacere nove volte più grande di quello di un uomo. La dea Era, infuriata perché l’indovino aveva svelato un tale segreto, lo fece diventare cieco, ma Zeus, per ricompensarlo del danno subito, gli diede la facoltà di prevedere il futuro e il dono di vivere per sette generazioni; gli dei greci, infatti, non possono cancellare ciò che han fatto o deciso altri dei.
In altre versioni del mito fu la stessa madre, la ninfa Cariclo, piangente, a chiedere il dono della profezia, dopo che la dea Atena lo aveva accecato per punirlo di averla spiata e vista nuda mentre si faceva il bagno. La dea ordinò ad Erittonio, essere come Cecrope “nato dalla terra”, e per metà uomo e per metà serpente, di lavare con la sua lingua, certamente una lingua da serpente, le orecchie di Tiresia, perché intendesse il linguaggio degli uccelli, compensando così con la virtù profetica acquisita, l’assenza della vista!
Tanti episodi mitologici legati a profezie vedono coinvolti serpenti e l’interpretazione dell’osservazione di scene naturalistiche che li coinvolgono.>> (Testo tratto dal mio scritto intitolato: “IL SALENTO, LA TERRA DEI DRAGHI i mostruosi giganteschi serpenti dal capo adorno di corna“, che si può leggere anche a questo link).
Altri simboli antichi ancora in uso nella modernità coinvolgenti serpenti e con valenze differenti rispetto al “caduceo di Hermes” sono la “coppa di Igea” e il “bastone di Esculapio” qui confrontati sinotticamente:
Simboli con il serpente dall’antichità greco-romana.

 

La Coppa di Igea era una coppa per la somministrazione orale di bevande dal valore curativo, oggi simbolo della scienza farmaceutica. Igea è la figlia di Asclepio, dio greco della medicina, (dai romani chiamato Esculapio); Igea nella sua iconografia antica tiene in mano una coppa cui si avvolge un serpentello che beve da essa. Igea è il corrispettivo femminile come divinità di Asclepio che ha come suo attributo il bastone cui si avvolge ad elica risalendolo un grosso serpente, oggi divenuto simbolo della scienza medica; da non confondere con il bastone scettro araldico di Hermes/Mercurio, simbolo appunto di ambasceria, di diplomazia, ma anche di accordi commerciali e per cui del commercio, chiamato caduceo (caduceus in latino, kerykèion in greco) in cui i serpenti sono due.  Osserviamo ancora come nella coppa Graal si trova anche il valore archetipico che ritroviamo nella Coppa di Igea, dato che esso secondo la tradizione romanzesca medioevale poteva portare la guarigione al Re Pescatore ferito e dunque ammalato.

Vediamo sempre come il simbolo maschile è la verga fallica, e simbolo femminile il vaso.

 

Esculapio.

 

Il bellissimo attributo della dea della salute Igea, la cosiddetta “coppa di Igea”, adottata come simbolo oggi da numerose farmacie nel Salento, ad esempio a Maglie e a Scorrano. Il centauro con la coppa di Igea in mano potrebbe essere un’ iconografia per il centauro Chirone esperto nelle arti, nelle scienze ed in medicina e che ebbe per allievi numerosi eroi: Aiace, Achille, Aristeo, Atteone, Ceneo, Enea, Eracle, Fenice, Giasone, Oileo, Palamede, Peleo, Telamone, Teseo; addirittura lo stesso Asclepio,  e, secondo alcune leggende, anche Dioniso. Chirone si distingueva per la grande bontà d’animo, per la saggezza, per la conoscenza delle scienze, in particolare quella medica. Fu pertanto considerato il capostipite di quella scienza in quanto maestro di colui che la mitologia greca considerava il dio della medicina Asclepio.

Simbolo del vaso con pianta effigiato con pennellate di calce bianca sul cono di alcuni trulli di Alberobello – Valle d’Itria.

Il vaso da cui emerge una pianta è un simbolo che archetipicamente si collega sempre alle medesime valenze del calice eucaristico fonte di vita. Quello qui mostrato è uno dei numerosissimi simboli che venivano disegnati in calce bianca e in grande sul cono dei trulli della Valle d’Itria e della Murgia dei Trulli nel nord del Salento; ogni trullo era così caratterizzato da uno di questi simboli tra i quali vi era la croce, la croce latina e quella greca (a bracci tutti uguali), la croce sul triangolo calvario, la svastica, il tridente, l’ascia bipenne, il cerchio crociato, il sole raggiante, la colomba raggiante dello spirito santo, lo stilizzato albero della vita, ecc. ecc., simboli magici arcaici e cristiani, astronomici e alchemici; una assoluta meraviglia della cultura pugliese censita per fortuna nel ‘900 in alcuni libri. Simboli in calce che venivano ripresi dagli abitanti del trullo periodicamente e ravvivati, durante la “lattatura” la rivernici azione in calce bianca dei muri perimetrali e degli interni del caratteristico trullo, struttura a tholos che con varie tipologie connota tutta la Puglia centrale e meridionale. In questo simbolo c’è un riferimento al tre della Trinità. (Vedi: di Notarnicola “I Trulli di Alberobello”, di M. Letizia Troccoli Verardi “I misteriosi simboli dei trulli”).

La somiglianza del bastone di Esculapio con il caduceo ha portato taluni ad adottare come simbolo della medicina il caduceo sbagliando.

Per approfondire anche questo link.

La Coppa di Igea la ritroviamo nel Cristianesimo in un perfetto sincretismo nella iconografia del cosiddetto “Calice di San Giovanni Evangelista”, San Giovanni che stringe in mano un calice dal quale esce un serpente, o un drago. Questo simbolo deriva dalla Legenda Aurea dove si racconta questo episodio:
Allora Aristodemo, il pontefice degli idoli, eccitò gli animi del popolo così che una parte della popolazione si preparava a combattere contro l’altra.
Disse San Giovanni: «Che cosa vuoi che faccia per placarti?»
Rispose Aristodemo: «Se vuoi che io creda bevi il veleno che ti darò: se non ti darà alcun male crederò nel tuo Dio.»
«Farò come hai detto», disse l’apostolo.
E Aristodemo: «Voglio che tu veda prima altri morire per l’effetto di questo veleno onde tu ne abbia un più grande timore.»
Fece venire due condannati a morte e dette loro il veleno da bere: non appena lo ebbero bevuto morirono. Anche l’apostolo prese il bicchiere, si fece il segno della croce e bevve tutto il veleno ma non gli successe alcunché di male.
Il santo completò l’opera resuscitando i due disgraziati morti prima di lui. San Giovanni Evangelista rientra nel novero dei santi immuni al veleno.

 

San Giovanni Evangelista e il calice col serpente, opera di Cosimo di Pietro (1461-1521), olio su tavola, 1504-06, Honolulu Academy of Art (dono della Fondazione Samuel H. Kress, 1961, Inv. 2989.1). San Giovanni Evangelista ha nell’iconografia connotati da giovane quando non addirittura da efebo come in questo caso.

 

Immune al veleno dei serpenti è per il Cristianesimo anche San Paolo, che da “serparo” santo protegge dai morsi e punture di animali velenosi, da qui il suo legame con il fenomeno del “tarantismo”.

Nella sua iconografia egli ha la spada, in quella più specifica di “serparo” che troviamo a Vereto intorno a lui stanno animali velenosi, e serpenti si attorcigliano e spiraleggiano attorno alla spada che imbraccia. Lo vediamo nel citato affresco del Santo nella chiesetta di Vereto qui mostrato per intero:

 

Affresco di “San Paolo de li serpenti” accanto ad una immagine del ”Cristo sposo”. Chiesetta di Santa Maria di Vereto nell’agro di Patù – Foto del 10 marzo 2019 di Oreste Caroppo.

 

Sulla spada del Santo sono avvolti due serpenti che ricordano la festa del famoso San Domenico protettore dei serpari di Cocullo nel centro Italia, che viene riempito di serpenti veri per la sua processione annuale, soprattutto delle specie cervone e colubro di Esculapio. San Paolo invocato nel Salento nelle credenze del tarantismo e contro i morsi e punture di animali ritenuti velenosi, in quanto negli Atti degli Apostoli si racconta che Paolo morso da un aspide a Malta non ne ebbe alcun danno o spavento. “Mentre Paolo raccoglieva un fascio di sarmenti e lo gettava sul fuoco, una vipera, risvegliata dal calore, lo morse a una mano. Al vedere la serpe pendergli dalla mano” tra lo stupore delle persone indigene presenti “egli scosse la serpe nel fuoco e non ne patì alcun male. Quella gente si aspettava di vederlo gonfiare e cadere morto sul colpo, ma, dopo avere molto atteso senza vedere succedergli nulla di straordinario, cambiò parere e diceva che era un dio.” (Atti 28). Da lui si diceva derivassero i “serpari“, sorta di maghi incantatori dei temuti serpenti con potere su quelle bestie, molto ricercati e stimati in ambienti rurale, una figura simile per certi aspetti a quella del “masciaro” (il mago-stregone).

Se San Paolo è divenuto il santo “serparo” del Nuovo Testamento, funzione verso i serpenti assunta anche dal San Domenico di Cocullo, già vi era prima della nascita di Cristo un profeta con valenze simili per gli ebrei legati al Vecchio Testamento, Mosè. Se già è famoso l’episodio biblico del consiglio di Mosè al fratello Aronne di cercare di intimorire il faraone d’Egitto gettando a terra il proprio bastone che sarebbe miracolosamente divenuto un vivo strisciante serpente come avvenne davanti al sovrano d’Egitto, vi è un altro episodio collegato a Mosè che vede non solo identificarsi ma anche intrecciarsi il simbolo del serpente ad un’asta, come parallelamente in Grecia per il bastone di Esculapio.

Riporto questi passi biblici in merito dal “Libro dei Numeri” 21: “In quei giorni, gli Israeliti si mossero dal monte Or per la via del Mar Rosso, (…) Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti velenosi i quali mordevano la gente e un gran numero d’Israeliti morì. Allora il popolo venne a Mosè e disse: «Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; prega il Signore che allontani da noi questi serpenti.»” e ancora “Il Signore disse a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita». Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, restava in vita“. Il nome di tale serpente di Mosè in ebraico è Necustan, Nehustan o Nehushtan (ebraico: נחושתן o נחש הנחושת). Come nota mi piace far osservare come il nome Or del monte sopra citato ricordi il nome greco generico del monte, che è “oros”, coincidenze o frutto di lingue imparentate?

Cristo, nel Vangelo di Giovanni, si paragona al serpente di Mosè: “Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

Ciò ha permesso che nell’iconografia di Mosè il serpente di metallo sia disegnato non solo avvolto su una semplice asta, ma su una croce latina o a tau.

Vediamo questo simbolo nel paesaggio di una gravina probabilmente della Basilicata in questo suggestivo recentissimo video della bellissima artista cantautrice anglo-materana Nahaze (al 50esimo secondo dall’inizio):

Croce con simbolo del serpente di rame di Mosè – paesaggio della Basilicata. Screenshot da video musicale.

 

Vediamo alcune opere d’arte cristiane che raffigurano l’episodio biblico di Mosè e il serpente di rame dalle valenze salvifiche positive:

 

Esempio in merito all’iconografia cristiana di Mosè e il serpente Necustan.

 

Ho approfondito questa iconografia anche perché anni fa in visita alla Cattedrale di Otranto per osservare il mosaico medioevale pavimentale, al culmine della navata sinistra, sulla colonna di destra del settecentesco frontone di accesso all’abside laterale di sinistra scovai una suggestiva scultura in altorilievo, stranamente passata inosservata agli autori dei testi di narrazione della meraviglie di quella chiesa, evidentemente concentrati più sul mosaico, sulla opposta cappella dei Martiri di Otranto e sulla cripta dalle numerose colonne differenti con different capitelli.

Nella decodifica iconografica di quella statuina giunsi così a Mosé e il serpente Necustan. Quando notai la statuina non avevo con con me la fotocamera. Scrissi di essa su Facebook e gentilmente tempo dopo mi fece e inviò a commento una sua foto Lucia Salnitro che ringrazio:

 

Navata a sinistra all’interno della Cattedrale di Otranto, altare settecentesco. Foto gentilmente scattatami da Lucia Salnitro, agosto 2015. Secondo una mia ipotesi è Mosè con il serpente di rame (secondo il testo biblico) a rappresentare la Vecchia Legge necessaria insieme alla Nuova per la Salvezza dell’uomo. 

 

Oltre che per gli elementi iconografici specifici, mi è stato possibile ancor di più identificare il soggetto ritratto con Mosè in quanto ho esteso l’analisi anche alla simmetrica statuina sulla colonna opposta a sinistra:

 

Fu il vescovo Michele Orsi (1722- 1752) che fece realizzare i due frontoni delle absidi delle due navate laterali della Cattedrale di Otranto. Qui abside di sinistra. Foto di Rita Paiano cultrice dei beni culturali di Otranto che ringrazio per avermi inviato questa foto.

 

A sinistra troviamo un’allegoria con capo a corona-aureola raggiata come quella dell’iconografia romana del Sol Invictus o quella del dio greco Elios, dio del Sole, che era in antichità raffigurato nel celeberrimo Colosso di Rodi, una delle sette meraviglie dell’antichità.

Ritrovare queste similitudini non deve stupire dato il forte sincretismo de facto del cristianesimo con il precedente paganesimo.

 

A Otranto la Statua della Libertà è giunta diverso tempo prima!
Secondo la mia ipotesi questa statua settecentesca è l’allegoria della Nuova Legge che insieme alla Vecchia Legge è importante per la Salvezza dell’uomo.
Siamo all’interno della Cattedrale di Otranto, arco di ingresso all’altare della navata di sinistra, porzione di sinistra. Sera del 23 febbraio 2021, foto di Oreste Caroppo.
Si ritiene che la Statua della Libertà sia stata ispirata da una statua ottocentesca sempre della Nuova Legge, e quindi comunque successiva a questa statuina settecentesca di Otranto, che si trova sulla facciata del Duomo di Milano.
In ogni caso qui vediamo l’aureola raggiata tipica dell’iconografia romana del Sol Invictus che si festeggiava proprio a Natale nel mondo romano precristiano e del dio greco Elios, Dio del Sole che pare fosse anche evidente sul capo del Colosso di Rodi all’ingresso del porto di quell’isola greca e che era una delle sette meraviglie dell’antichità.
In termini di archetipo il capo raggiato dovrebbe essere ispirato dallo stesso archetipo universale che molto tempo prima portò a effigiare il capo del cosiddetto stregone di Porto Badisco all’interno di Grotta dei Cervi stesso archetipo che portava i capi tribù precolombiani nordamericani ad adornare il capo con penne di uccello durante le cerimonie.
Per non parlare poi dell’iconografia di certe corone in ambiente occidentale.

 

E’ lo stesso influsso iconografico che ha ispirato la successiva Statua della Libertà colosso newyorkese della seconda metà dell’ ‘800. Fu realizzata dal francese Frédéric Auguste Bartholdi, con la collaborazione di Gustave Eiffel, che ne progettò gli interni.

La statuina di Otranto è l’allegoria della Legge Nuova, contrapposta alla Legge Vecchia del Vecchio Testamento, la legge mosaica. Questo complesso, l’allegoria della Legge Nuova e quella della Legge Vecchia, compone un unico motivo iconografico cristiano detto allegoria della Salvezza dell’Umanità.

Essa compare anche in forma scultorea con sculture a tutto tondo ottocentesche sulla facciata del Duomo di Milano.

Ai lati di un finestrone laterale, a sinistra l’allegoria della Legge Nuova (statua in marmo del 1810 di Camillo Pacetti), con capo raggiato (allo stesso modo di Otranto), croce nella sua mano sinistra (mentre a Otranto nella mano sinistra vi è il crocifisso), e torcia invece del libro-codice che vediamo a Otranto nell’altra mano.

A destra invece la Legge Vecchia è raffigurata dalle Tavole della legge mosaica aperte, mentre a Otranto sono chiuse, e rette da Aronne, mentre a Otranto sono tenute da Mosè. Che a Milano vi sia Aronne lo dimostra l’abito della statua con il tipico pettorale proprio del sacerdote Aronne, mentre che a Otranto vi sia Mosè lo dimostra il serpente sulla croce. Aronne era fratello di Mosè e sovente son raffigurati entrambi nell’iconografia cristiana accanto alle Tavole della legge.

È ancora più chiaro in questa ipotesi interpretativa il perché questo personaggio che rappresenta la Vecchia Legge è raffigurato come profondamente anziano, mentre in contrapposizione è rappresentato con un viso giovanile il soggetto allegoria della Legge Nuova.

Forse le allegorie cristiane della Nuova Legge furono scelte come migliore allegoria per il Nuovo Mondo, ergo la Statua della Libertà per New York.

Osserviamo poi come la statuina settecentesca di Mosè con il serpente Necustan si trova proprio dove termina la fascia musiva nella navata sinistra dedicata alla raffigurazione dell’Inferno assai ricca di serpenti-draghi che tormentano le anime dei dannati e fungono da trono per Satana. La scelta di una tale iconografia per Mosè lì forse poté essere ispirata da quel contesto con valore apotropaico contro il tormento dei serpenti proprio nel valore del serpente di rame Necustan.

Difficile accettare altre proposte per quell’iconografia del serpente sulla croce; Santa Marina ad esempio il serpente-drago lo schiaccia e addomestica, come San Giorgio che domina il drago sottoposto a lui, nel loro caso il serpente metterlo sulla Croce e innalzarlo potrebbe essere cosa assai blasfema se non supportata da forte base nelle scritture, e la forte base ci sarebbe per il serpente di rame Necustan.

Per ulteriori dati vedi il mio post facebook, foto e commenti ad esso del 16 febbraio 2021.

Anche nella simbologia funebre nei cimiteri monumentali salentini vediamo
-) l’ispirazione al caduceo; qui di seguito un esempio dal celebre “Sepolcro dell’Astronomo” nel cimitero di Matino:
Formella con bassorilievo in una pregevole cappella di famiglia nel cimitero di Matino in provincia di Lecce. Il simbolo del caduceo di Mercurio con il bastone che diventa qui una fiaccola capovolta. Foto del 16 giugno 2020, di Oreste Caroppo.
-) l’ispirazione alla coppa di Igea; nel cimitero di Maglie all’ingresso un lampadario in ferro battuto ispirato al motivo della coppa di Igea:
Lampadario con serpente in ferro battuto, cimitero di Maglie, portale di ingresso. Foto mattina del 28 novembre 2017 di Oreste Caroppo.

 

-) l’ispirazione all’uroburo; sempre nel cimitero di Maglie il motivo del serpente in cerchio che si mangia la coda (simbolo detto uroburo) è in bassorilievo sul timpano della facciata a tempietto di una cappella di famiglia:
Il simbolo dell’uroburo (il serpente che si mangia la coda, in questo caso nella variante del serpente che si morde la coda) e quello del disco solare alato, due tipici simboli nei cimiteri salentini monumentali del XIX e XX secolo, fusi insieme in questo bassorilievo al centro di un timpano di una cappella di famiglia nel cimitero monumentale di Maglie. Foto del febbraio 2021 di Oreste Caroppo.
Troviamo il caduceo anche nell’araldica di alcune famiglie del Salento, come ad esempio la famiglia Papaleo, che aveva principale sede a Bagnolo del Salento. In un loro palazzo si ammira oggi questo simbolo, il loro stemma che è, come ci spiega lo studioso magliese Vincenzo D’Aurelio, che ringrazio, uno stemma parlante “Papa+leo = tiara papale+leone”, e nel caduceo di Hermes una ferula pastorale sostituisce il bastone centrale:
Stemma della famiglia Papaleo. Otranto centro storico. Scatto del 23 febbraio 2021, foto di Oreste Caroppo.
Si ispira al tema del caduceo lo stemma della città di Corsano in Salento:
Stemma di Corsano,
Mentre condivide il tema del motivo del bastone di Esculapio lo stemma della città di Casarano, dove al posto del bastone compare un Pino d’Italia (è il Pino domestico ad ombrello da pinoli, qui un approfondimento sulla sua antica presenza in Salento):
Stemma di Casarano.

 

Questi due stemmi ci introducono al mistero cripto-erpetologico dei serpenti verdi in Salento che ho affrontato e stiamo dibattendo in questo post facebook.
Stesso tema lo troviamo nello stemma di Otranto con al posto del bastone la costiera locale Torre del Serpe (Turris draconis) detta, dove si narra che un serpente drago usciva dal mare, si avvolgeva su di essa  in spira e raggiunta la lucerna che faceva da faro per i naviganti del Canale d’Otranto ne beveva l’olio causando così naufragi sugli scogli delle imbarcazioni nottetempo:
Motivo che troviamo in Otranto anche nel mosaico pavimentale medioevale della Cattedrale nel caso della tentazione di Eva da parte del Serpente:
Adamo ed Eva e il Serpente, mosaico pavimentale del XII sec. d.C. zona presbiterio Cattedrale di Otranto.

Testi tratti a partire da un mio post facebook, ai cui miei commenti e non solo miei rimando per approfondimenti, del 30 luglio 2016.

 

Oreste Caroppo

 

2 commenti su “In Salento il simbolico CADUCEO di HERMES e il simbolo del serpente più in generale

    • Gennaio 13, 2023 alle 1:36 am
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      Tantissime Grazie!

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