In Salento il simbolico CADUCEO di HERMES e il simbolo del serpente più in generale
IN SALENTO IL SIMBOLICO CADUCEO DI HERMES
e il simbolo del serpente più in generale
Una bella rappresentazione del caduceo si può vedere nel Salento anche scolpita in bassorilievo su un balcone nel centro storico della città di Soleto in Salento.
Il bastone sacro e scettro lineare intorno al quale si annodano due serpenti sinusoidalmente (se visti nel piano, o elicoidalmente meglio dire in 3D) ed in maniera intrecciata e simmetrica tra loro per poi affrontarsi faccia a faccia nella parte alta del bastone, che ricordano la molecola del DNA vista di lato.
Ringrazio Alfredo Melissano di Soleto e della locale Associazione culturale Nuova Messapia per la bella segnalazione di questa interessante scultura in calcare locale che adorna la parte inferiore a vista della mensola centrale di un balcone di un edificio storico nel cuore di Soleto, paese della Grecia salentina nel basso Salento. Il caduceo attributo del dio greco Hermes, che oltre ai due serpenti aveva anche le due alette in sommità come qui ben si vede, in antichità era raffigurato in tante rappresentazioni del Dio, il tutto attestato anche in numerose testimonianze artistiche rinvenute in Puglia.
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Stesse forme si mostrano nel mosaico medioevale della Cattedrale di Otranto tramite lo spiraleggio assieme delle code di due cavalli che paiono serpentiformi:
Il Caduceo era lo scettro del dio greco Hermes (Mercurio per i latini), e divenuto già in antichità scettro degli araldi, e simbolo del commercio, il cui dio tutelare era proprio Hermes; simbolo propiziatore dunque delle buone relazioni tra gli uomini. I due serpenti intrecciati tra loro rappresentavano l’accordo tra le due parti, tra due o più maschi in una transazione, in una vertenza politica o commerciale. Il serpente per la sua forma fallica è simbolo del maschile da sempre, e politica e commercio erano affar di maschi solitamente in epoca greco-romana. Infatti il mito così ne descrive l’ origine: un giorno Mercurio sul monte Citerone, avendo visto due serpi che si azzuffavano, gettò loro la verga, intorno a cui si attorcigliarono, rappacificati, i due serpenti. Così il caduceo, o verga alata, con i due rettili attorcigliati e in atto quasi di baciarsi, restò simbolo di pace.
Il termine latino latino caduceus, riprende il greco antico karykaion, aggettivo di karix o kerix, traducibile come araldo.
Famoso è il caduceo bronzeo del V secolo a.C. rinvenuto a Brindisi durante la costruzione del piazzale, adiacente la stazione cittadina. Testimoniava l’alleanza fra la messapica Brindisi e la colonia greca italiota della città di Thurii, probabilmente per contrastare la colonia magno greca dorica di Taranto in terra apulo-lucana. I nomi delle due città Brindisi e Thurii sono incisi sul caduceo come segno dell’alleanza stipulata.
Simboli oltre che oggetti simbolici, che comparivano su monete e vasi antichi già in epoca antica e poi usati e giunti sino alla nostra contemporaneità quasi con immutato valore semantico.
Alcuni caducei bronzi antichi conservati nel museo provinciale di Lecce:
Caduceo con iscrizione trovato nei pressi di Taranto con serpenti cornuti a corna di montone e iscrizione, dal testo qui linkato di Theodor Mommsen, ultima pagina:
Particolare: scena di accoppiamento-lotta tra due serpenti neri.
La scena tipica nella campagna salentina della lotta di due serpenti biacchi, i neri “scurzuni” chiamati in Salento:
Fenomeno naturalistico questo, insieme all’accoppiamento allorquando i due serpenti anche si avvinghiano in spire ma con maggiore tranquillitò e riserbo rispetto alle contese di lotta, che è alla base della nascita del simbolo del caduceo.
Due serpenti neri in posizione da caduceo pro-accoppiamento in un affresco tardocinquecentesco nel Capo di Leuca:
Per approfondire sfogliate l’album di foto con commenti e dati a partire da questa foto su Facebook.
La Coppa di Igea era una coppa per la somministrazione orale di bevande dal valore curativo, oggi simbolo della scienza farmaceutica. Igea è la figlia di Asclepio, dio greco della medicina, (dai romani chiamato Esculapio); Igea nella sua iconografia antica tiene in mano una coppa cui si avvolge un serpentello che beve da essa. Igea è il corrispettivo femminile come divinità di Asclepio che ha come suo attributo il bastone cui si avvolge ad elica risalendolo un grosso serpente, oggi divenuto simbolo della scienza medica; da non confondere con il bastone scettro araldico di Hermes/Mercurio, simbolo appunto di ambasceria, di diplomazia, ma anche di accordi commerciali e per cui del commercio, chiamato caduceo (caduceus in latino, kerykèion in greco) in cui i serpenti sono due. Osserviamo ancora come nella coppa Graal si trova anche il valore archetipico che ritroviamo nella Coppa di Igea, dato che esso secondo la tradizione romanzesca medioevale poteva portare la guarigione al Re Pescatore ferito e dunque ammalato.
Vediamo sempre come il simbolo maschile è la verga fallica, e simbolo femminile il vaso.
Esculapio.
Il bellissimo attributo della dea della salute Igea, la cosiddetta “coppa di Igea”, adottata come simbolo oggi da numerose farmacie nel Salento, ad esempio a Maglie e a Scorrano. Il centauro con la coppa di Igea in mano potrebbe essere un’ iconografia per il centauro Chirone esperto nelle arti, nelle scienze ed in medicina e che ebbe per allievi numerosi eroi: Aiace, Achille, Aristeo, Atteone, Ceneo, Enea, Eracle, Fenice, Giasone, Oileo, Palamede, Peleo, Telamone, Teseo; addirittura lo stesso Asclepio, e, secondo alcune leggende, anche Dioniso. Chirone si distingueva per la grande bontà d’animo, per la saggezza, per la conoscenza delle scienze, in particolare quella medica. Fu pertanto considerato il capostipite di quella scienza in quanto maestro di colui che la mitologia greca considerava il dio della medicina Asclepio.
Il vaso da cui emerge una pianta è un simbolo che archetipicamente si collega sempre alle medesime valenze del calice eucaristico fonte di vita. Quello qui mostrato è uno dei numerosissimi simboli che venivano disegnati in calce bianca e in grande sul cono dei trulli della Valle d’Itria e della Murgia dei Trulli nel nord del Salento; ogni trullo era così caratterizzato da uno di questi simboli tra i quali vi era la croce, la croce latina e quella greca (a bracci tutti uguali), la croce sul triangolo calvario, la svastica, il tridente, l’ascia bipenne, il cerchio crociato, il sole raggiante, la colomba raggiante dello spirito santo, lo stilizzato albero della vita, ecc. ecc., simboli magici arcaici e cristiani, astronomici e alchemici; una assoluta meraviglia della cultura pugliese censita per fortuna nel ‘900 in alcuni libri. Simboli in calce che venivano ripresi dagli abitanti del trullo periodicamente e ravvivati, durante la “lattatura” la rivernici azione in calce bianca dei muri perimetrali e degli interni del caratteristico trullo, struttura a tholos che con varie tipologie connota tutta la Puglia centrale e meridionale. In questo simbolo c’è un riferimento al tre della Trinità. (Vedi: di Notarnicola “I Trulli di Alberobello”, di M. Letizia Troccoli Verardi “I misteriosi simboli dei trulli”).
La somiglianza del bastone di Esculapio con il caduceo ha portato taluni ad adottare come simbolo della medicina il caduceo sbagliando.
Per approfondire anche questo link.
La Coppa di Igea la ritroviamo nel Cristianesimo in un perfetto sincretismo nella iconografia del cosiddetto “Calice di San Giovanni Evangelista”, San Giovanni che stringe in mano un calice dal quale esce un serpente, o un drago. Questo simbolo deriva dalla Legenda Aurea dove si racconta questo episodio:
“Allora Aristodemo, il pontefice degli idoli, eccitò gli animi del popolo così che una parte della popolazione si preparava a combattere contro l’altra.
Disse San Giovanni: «Che cosa vuoi che faccia per placarti?»
Rispose Aristodemo: «Se vuoi che io creda bevi il veleno che ti darò: se non ti darà alcun male crederò nel tuo Dio.»
«Farò come hai detto», disse l’apostolo.
E Aristodemo: «Voglio che tu veda prima altri morire per l’effetto di questo veleno onde tu ne abbia un più grande timore.»
Fece venire due condannati a morte e dette loro il veleno da bere: non appena lo ebbero bevuto morirono. Anche l’apostolo prese il bicchiere, si fece il segno della croce e bevve tutto il veleno ma non gli successe alcunché di male.”
Il santo completò l’opera resuscitando i due disgraziati morti prima di lui. San Giovanni Evangelista rientra nel novero dei santi immuni al veleno.
Immune al veleno dei serpenti è per il Cristianesimo anche San Paolo, che da “serparo” santo protegge dai morsi e punture di animali velenosi, da qui il suo legame con il fenomeno del “tarantismo”.
Nella sua iconografia egli ha la spada, in quella più specifica di “serparo” che troviamo a Vereto intorno a lui stanno animali velenosi, e serpenti si attorcigliano e spiraleggiano attorno alla spada che imbraccia. Lo vediamo nel citato affresco del Santo nella chiesetta di Vereto qui mostrato per intero:
Sulla spada del Santo sono avvolti due serpenti che ricordano la festa del famoso San Domenico protettore dei serpari di Cocullo nel centro Italia, che viene riempito di serpenti veri per la sua processione annuale, soprattutto delle specie cervone e colubro di Esculapio. San Paolo invocato nel Salento nelle credenze del tarantismo e contro i morsi e punture di animali ritenuti velenosi, in quanto negli Atti degli Apostoli si racconta che Paolo morso da un aspide a Malta non ne ebbe alcun danno o spavento. “Mentre Paolo raccoglieva un fascio di sarmenti e lo gettava sul fuoco, una vipera, risvegliata dal calore, lo morse a una mano. Al vedere la serpe pendergli dalla mano” tra lo stupore delle persone indigene presenti “egli scosse la serpe nel fuoco e non ne patì alcun male. Quella gente si aspettava di vederlo gonfiare e cadere morto sul colpo, ma, dopo avere molto atteso senza vedere succedergli nulla di straordinario, cambiò parere e diceva che era un dio.” (Atti 28). Da lui si diceva derivassero i “serpari“, sorta di maghi incantatori dei temuti serpenti con potere su quelle bestie, molto ricercati e stimati in ambienti rurale, una figura simile per certi aspetti a quella del “masciaro” (il mago-stregone).
Se San Paolo è divenuto il santo “serparo” del Nuovo Testamento, funzione verso i serpenti assunta anche dal San Domenico di Cocullo, già vi era prima della nascita di Cristo un profeta con valenze simili per gli ebrei legati al Vecchio Testamento, Mosè. Se già è famoso l’episodio biblico del consiglio di Mosè al fratello Aronne di cercare di intimorire il faraone d’Egitto gettando a terra il proprio bastone che sarebbe miracolosamente divenuto un vivo strisciante serpente come avvenne davanti al sovrano d’Egitto, vi è un altro episodio collegato a Mosè che vede non solo identificarsi ma anche intrecciarsi il simbolo del serpente ad un’asta, come parallelamente in Grecia per il bastone di Esculapio.
Riporto questi passi biblici in merito dal “Libro dei Numeri” 21: “In quei giorni, gli Israeliti si mossero dal monte Or per la via del Mar Rosso, (…) Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti velenosi i quali mordevano la gente e un gran numero d’Israeliti morì. Allora il popolo venne a Mosè e disse: «Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; prega il Signore che allontani da noi questi serpenti.»” e ancora “Il Signore disse a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita». Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, restava in vita“. Il nome di tale serpente di Mosè in ebraico è Necustan, Nehustan o Nehushtan (ebraico: נחושתן o נחש הנחושת). Come nota mi piace far osservare come il nome Or del monte sopra citato ricordi il nome greco generico del monte, che è “oros”, coincidenze o frutto di lingue imparentate?
Cristo, nel Vangelo di Giovanni, si paragona al serpente di Mosè: “Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.”
Ciò ha permesso che nell’iconografia di Mosè il serpente di metallo sia disegnato non solo avvolto su una semplice asta, ma su una croce latina o a tau.
Vediamo questo simbolo nel paesaggio di una gravina probabilmente della Basilicata in questo suggestivo recentissimo video della bellissima artista cantautrice anglo-materana Nahaze (al 50esimo secondo dall’inizio):
Vediamo alcune opere d’arte cristiane che raffigurano l’episodio biblico di Mosè e il serpente di rame dalle valenze salvifiche positive:
Ho approfondito questa iconografia anche perché anni fa in visita alla Cattedrale di Otranto per osservare il mosaico medioevale pavimentale, al culmine della navata sinistra, sulla colonna di destra del settecentesco frontone di accesso all’abside laterale di sinistra scovai una suggestiva scultura in altorilievo, stranamente passata inosservata agli autori dei testi di narrazione della meraviglie di quella chiesa, evidentemente concentrati più sul mosaico, sulla opposta cappella dei Martiri di Otranto e sulla cripta dalle numerose colonne differenti con different capitelli.
Nella decodifica iconografica di quella statuina giunsi così a Mosé e il serpente Necustan. Quando notai la statuina non avevo con con me la fotocamera. Scrissi di essa su Facebook e gentilmente tempo dopo mi fece e inviò a commento una sua foto Lucia Salnitro che ringrazio:
Oltre che per gli elementi iconografici specifici, mi è stato possibile ancor di più identificare il soggetto ritratto con Mosè in quanto ho esteso l’analisi anche alla simmetrica statuina sulla colonna opposta a sinistra:
A sinistra troviamo un’allegoria con capo a corona-aureola raggiata come quella dell’iconografia romana del Sol Invictus o quella del dio greco Elios, dio del Sole, che era in antichità raffigurato nel celeberrimo Colosso di Rodi, una delle sette meraviglie dell’antichità.
Ritrovare queste similitudini non deve stupire dato il forte sincretismo de facto del cristianesimo con il precedente paganesimo.
E’ lo stesso influsso iconografico che ha ispirato la successiva Statua della Libertà colosso newyorkese della seconda metà dell’ ‘800. Fu realizzata dal francese Frédéric Auguste Bartholdi, con la collaborazione di Gustave Eiffel, che ne progettò gli interni.
La statuina di Otranto è l’allegoria della Legge Nuova, contrapposta alla Legge Vecchia del Vecchio Testamento, la legge mosaica. Questo complesso, l’allegoria della Legge Nuova e quella della Legge Vecchia, compone un unico motivo iconografico cristiano detto allegoria della Salvezza dell’Umanità.
Essa compare anche in forma scultorea con sculture a tutto tondo ottocentesche sulla facciata del Duomo di Milano.
Ai lati di un finestrone laterale, a sinistra l’allegoria della Legge Nuova (statua in marmo del 1810 di Camillo Pacetti), con capo raggiato (allo stesso modo di Otranto), croce nella sua mano sinistra (mentre a Otranto nella mano sinistra vi è il crocifisso), e torcia invece del libro-codice che vediamo a Otranto nell’altra mano.
A destra invece la Legge Vecchia è raffigurata dalle Tavole della legge mosaica aperte, mentre a Otranto sono chiuse, e rette da Aronne, mentre a Otranto sono tenute da Mosè. Che a Milano vi sia Aronne lo dimostra l’abito della statua con il tipico pettorale proprio del sacerdote Aronne, mentre che a Otranto vi sia Mosè lo dimostra il serpente sulla croce. Aronne era fratello di Mosè e sovente son raffigurati entrambi nell’iconografia cristiana accanto alle Tavole della legge.
È ancora più chiaro in questa ipotesi interpretativa il perché questo personaggio che rappresenta la Vecchia Legge è raffigurato come profondamente anziano, mentre in contrapposizione è rappresentato con un viso giovanile il soggetto allegoria della Legge Nuova.
Forse le allegorie cristiane della Nuova Legge furono scelte come migliore allegoria per il Nuovo Mondo, ergo la Statua della Libertà per New York.
Osserviamo poi come la statuina settecentesca di Mosè con il serpente Necustan si trova proprio dove termina la fascia musiva nella navata sinistra dedicata alla raffigurazione dell’Inferno assai ricca di serpenti-draghi che tormentano le anime dei dannati e fungono da trono per Satana. La scelta di una tale iconografia per Mosè lì forse poté essere ispirata da quel contesto con valore apotropaico contro il tormento dei serpenti proprio nel valore del serpente di rame Necustan.
Difficile accettare altre proposte per quell’iconografia del serpente sulla croce; Santa Marina ad esempio il serpente-drago lo schiaccia e addomestica, come San Giorgio che domina il drago sottoposto a lui, nel loro caso il serpente metterlo sulla Croce e innalzarlo potrebbe essere cosa assai blasfema se non supportata da forte base nelle scritture, e la forte base ci sarebbe per il serpente di rame Necustan.
Per ulteriori dati vedi il mio post facebook, foto e commenti ad esso del 16 febbraio 2021.
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Testi tratti a partire da un mio post facebook, ai cui miei commenti e non solo miei rimando per approfondimenti, del 30 luglio 2016.
Oreste Caroppo
Complimenti per le preziose informazioni
Tantissime Grazie!