Cosa è il “MOSTRO DI SQUINZANO”?!

Cosa è il “MOSTRO DI SQUINZANO”

che emerge da un profondo passato?!

 

Il ”Mostro di Squinzano”. Da un cratere apulo a figure rosse, trovato in una tomba messapica a Squinzano; ca. 350 a.C. – ca. 326 a.C. Foto gentilmente vettorizzata da Giovanni Enriquez che ringrazio. Copertina articolo.

 

E’ un enigma che pare sia emerso da un’antica tomba messapica o complesso di tombe scoperto a Squinzano in provincia di Lecce. Un essere mostruoso, chimerico, per certi tratti grottesco, raffigurato su vaso di ceramica apula a figure rosse del IV secolo a.C. che faceva parte di un corredo funerario. La scoperta è stata notificata l’11 Novembre 1934; il reperto dopo il suo rinvenimento fu acquistato dal Convento delle Suore Oblate Benedettine di Ostuni (Brindisi). Oggi è gelosamente conservato e protetto a Milano nelle Civiche Raccolte Archeologiche e Numismatiche – Musei Archeologici.

Eppur nessuno ha ancora dato un nome alla creatura mostruosa emersa in tutta la sue effigie da quel profondo passato salentino. E’ un unicum al momento.

 

Cratere apulo a figure rosse, trovato in una tomba messapica a Squinzano; ca. 350 a.C. – ca. 326 a.C.; con forse un basilisco effigiato.

 

Il reperto ceramico è un cratere a campana con labbro estroflesso, realizzato in argilla depurata e lavorata a tornio, quindi decorato a vernice, che misura: 34 x Ø 37 cm; è stato attribuito al cosiddetto Pittore di Digione (Guzzo) artista del primo stile apulo (proto-apulo) che operò con tutta probabilità in Puglia; cronologia del reperto: ca. 350 a.C. – ca. 326 a.C. da analisi stilistica.

Sotto il labbro del vaso è raffigurato un ramo di alloro che va verso sinistra, sul corpo vi è una decorazione figurata.

Per le indicazioni sul soggetto raffigurato, riportiamo dalle schede ufficiali di archivio del reperto quanto segue:


Lato A: scena di ispirazione dionisiaca, vi è un giovane incoronato, nudo, con himation sulle spalle, tirso nella sinistro e flauto nella destra, insegue una menade panneggiata; questa fugge verso sinistra, girando la testa in direzione del satiro; nella sinistra regge un tirso simile anche lei. I tirsi sono ornati di edera sacra a Dioniso. Sul lato destro della scena è dipinta una stele parallelepipeda. Al centro tra i due personaggi è un piccolo essere mostruoso bipede, con corpo di rettile, lunga coda, volto deforme e orecchie ferine; il mostricciattolo è senza confronto nella documentazione iconografica.
Lato B: due giovani ammantati, l’uno con verga, l’altro con strigile, entrambi con tenia in bianco.

Vediamo la comparsa anche delle caratteristiche steli squadrate tipiche della religiosità messapica, come è documentato bene nel Museo di Vaste, e significative in una terra quale quella salentina caratterizzata da una cultura della stele che va dal passato megalitico, attraverso i menhir a pilastro squadrato poi cristianizzati fino in sincretismo religioso alle colonne cristiane “osanna” (“sannà” anche dette localmente) con Santi, Madonne, Cristo o croci in sommità.

Non si sa cosa sia quell’essere, qui pertanto soltanto alcune ipotesi, ma il campo è aperto a chiunque abbia suggerimenti in merito, ipotesi o che possa fornire altri graditi spunti.

Innanzitutto possiamo dire che quell’essere è un ibrido tra rettile/serpente (per la coda), gallo/uccello (per le ali pennute e zampe), asino forse anche (per le orecchie, sempre che non siano corna) e uomo-orco o nano (per il viso).

Per alcune sue caratteristiche io qui propongo di valutare l’animale fantastico chiamato “basilisco”. Ma si tratterebbe di una sorta di proto-basilisco in tal caso e vedremo perché.

In merito qui una scheda su questa creatura mostruosa chiamata “basilisco”.

Il basilisco è anche simbolo ancora oggi del paese di Sternatia sempre nel Salento, è infatti nel suo stemma comunale:

 

Stemma del Comune di Sternatia nel Salento – Basilisco.

 

Da Sternatia, in questo post facebook dell’associazione locale “Chora-ma” (che in griko vuol dire “Paese nostro”), vediamo questo bassorilievo con il basilisco stemma del paese:

 

Effige del Basilisco in bassorilievo a Sternatia. Qui una foto di migliore risoluzione.

 

Questo basilisco di Sternatia ha come due orecchie grandi sul capo (sempre che non siano corna).

Quali sono gli elementi che il Mostro di Squinzano condivide con basilisco?

Le zampe, il corpo a terminazione di serpente, le ali di uccello (gallo nel basilisco). Considerando poi la locale caratteristica versione di Sternatia del Basilisco, ci sarebbe anche la condivisione di un paiono di lunghe orecchie con il Mostro di Squinzano.

Per il resto le differenza sono nel viso. Il basilisco nell’iconografia nota medioevale ha una sorta di becco di gallo che non è dato vedere nel Mostro di Squinzano; quest’ultimo sembra avere un viso da orco quasi, e orecchie di asino. In realtà all’inizio quando vidi per la prima volta lo strano essere, mentre stavo approfondendo l’argomento delle raffigurazioni sui vasi apuli a figure rosse, mi sembrarono quelle orecchie un becco anatriforme quasi, poi invece riconobbi dei lineamenti antropomorfi da orco o grottesco nano in quella che inizialmente mi era parsa la sommità di un capo di una papera con coda di serpente.

La questione della iconografia del basilisco è una faccenda piuttosto complessa ed intricata. La semi-natura di gallo in particolare non sembra apparire nelle prime fonti letterarie. La più antica descrizione e accenno al basilisco si trova nel testo greco dei Theriaca di Nicandro di Colofone, databile al II secolo a.C., vi vine presentato come una sorta di serpente di dimensioni ridotte, dalla testa aguzza e dal colore rosseggiante.

In contrasto con il suo aspetto fisico piuttosto inoffensivo, tuttavia, il basilisco viene definito Rex serpentium, epiteto connesso alla stessa origine del termine Basilisco dal greco basileus (re). Per questi dati rimando al testo “Rex serpentium: il basilisco in arte tra storia naturale, mito e fede” consigliatomi dallo studioso Gianfranco Mele che ringrazio.

Successivamente nelle fonti letterarie pervenuteci si afferma la doppia natura di serpente-gallo: «Basiliscus habet caudam ut coluber, residuum vero corporis ut gallus», con queste parole Vincent de Beauvais descrive, nel XIII secolo l’aspetto ibrido del basilisco, che, a partire dal Medioevo, diviene costante nella maggior parte delle fonti iconografiche e testuali.

Illustrazione del basilisco:

 

Mustela nivalis lutando contra um basilisco, em forma de galo com cauda de réptil, gravura de Wenceslaus Hollar, século XVII”. Secondo la leggenda il basilisco nasceva da un uovo deposto da un gallo anziano (per la precisione secondo alcune versioni di età superiore a 7 anni), deposto sul letame e che in seguito veniva covato da un rospo. Ne nasceva dopo alcuni giorni il basilisco, una creatura con la testa e ali di gallo e coda di serpente. Il suo sguardo seccava le piante, contaminava le acque; il suo alito uccideva, seccava l’erba e i rami ed era velenoso. Il basilisco poteva però autoincenerirsi, se, per sua sfortuna, si guarda in uno specchio. Aveva due nemici mortali: le donnole (Mustela nivalis ) e i galli, il cui canto gli era letale.

 

Ulteriore raffigurazione dal web del basilisco, qui con quattro zampe come il camaleonte:

 

Basiliskenzeichnung aus der Chronik des Aachener Bürgermeistereidieners Johann Janssen.

 

Questo animale dei bestiari, il Basilisco, pare derivi dal camaleonte comune mediterraneo presente anche in Salento, che ne sia una sua teratomorfizzazione, ovvero trasformazione in animale mostruoso.

Alcune sue raffigurazioni ben ricordano proprio il camaleonte, come questa:

 

Melchior Lorck: Basilischus (basilisco), Radierung, 1548

 

Nel Salento del ‘600 già si effigiavano camaleonti comuni mediterranei sulle facciate dei palazzi con grande conoscenza naturalistica dell’animale che oggi comunque vive in Salento spontaneo.

 

Proprio a Lecce una rappresentazione scultorea in pietra leccese assai naturalistica del comune Camaleonte mediterraneo sullo stemma di Palazzo Lanzilao, XVII sec. Più precisamente possiamo dire che è un basilisco-camaleonte, in quanto scultura assai naturalistica nella rappresentazione del camaleonte ma con due evidenti orecchie fantasiose rispetto al camaleonte e bargigli da gallo più propri del mitico basilisco.

 

Analizzando il “camaleonte barocco” di Lecce faccio osservare come esso ha strane orecchie messe in evidenza, (come orecchie messe in evidenza nel basilisco nello stemma di Sternatia), e dei bargigli da gallo, benché per il resto sia in tutto e per tutto un camaleonte naturalisticamente parlando. Ergo ancora l’idea del basilisco fantasioso ibrido influenza comunque questa rappresentazione del camaleonte. Le zampe poi son in tutto da camaleonte, non da gallo, e ci ricordano le zampe del Mostro di Squinzano anche esse assolutamente a zampa di camaleonte!

Per approfondire sul camaleonte nel Salento: “Il CAMALEONTE SALENTINO, il mitico fiabesco “FASCIULISCU” della tradizione magliese, da tutelare con i suoi habitat e ridiffondere in natura massimamente! Contro ogni meschino tentativo di demonizzazione da razzismo verde di questa specie comunque iper-mediterranea!“.

 

Il Camaleonte mediterraneo (Chamaeleo chamaeleon).

 

Ma non solo in Salento si ritrovano camaleonti … intorno ai quali c’è un grande dibattito se introdotti dall’uomo in tempi recenti dall’Est o Sud del Mediterraneo, o se qui giunti in tempi più antichi con i ponti di terra che in epoche antiche collegavano maggiormente l’Italia ai Balcani o la Calabria alla Sicilia e all’Africa (si pensi che nell’ultima Grande Glaciazione Quaternaria terminata circa 10000 anni fa, il mare era più basso di oggi di circa 120 m) o se sono stati diffusi più o meno involontariamente nei traffici umani (in carichi di legna accidentalmente, come curiosità meravigliose, ecc.) già antichi in Mediterraneo. La risposta potrebbe essere nel mezzo, ovvero sia naturale la loro diffusione, sia mediata dall’uomo in tempi antichi e recenti. Fatto sta che dei camaleonti fossili (stesso genere, taxa di Chamaeleo) vivevano in Europa centrale già nel Miocene, e che comunque è una specie a diffusione mediterranea quella di cui stiamo discutendo: il Camaleonte comune mediterraneo (Chamaeleo chamaeleon). Le analisi genetiche hanno poi mostrato che la popolazione salentina di Camaleonte comune è geneticamente più vicina alle popolazioni della medesima specie del Mediterraneo orientale, mentre la popolazione calabrese di Camaleonte comune è geneticamente più vicina ai camaleonti del nord Africa e del Mediterraneo occidentale, rapporti di vicinanza che rispecchiano anche similitudini di parentele per tanta biodiversità salentina e calabro-siciliana, rapporti tanto compatibili con gli spostamenti naturali in passato tramite ponti di terra o comunque naturali, tanto con i traffici umani tra terre vicine.

Dicevo non solo il camaleonte esiste in natura in Salento per quanto elusivo ai nostri giorni, non solo lo ritroviamo nelle sculture barocche a Lecce, ma in Salento troviamo non letteraria ma popolare tramandata oralmente proprio la leggend del basilisco, con i suoi connotati tipici che si ritrovano nei bestiari medioevali ed altri testi, ma sotto il nome nel vernacolo locale di “fasciuliscu“.

Il mostruoso mitico “fasciuliscu“, della tradizione basso salentina, ed in particolare del magliese. Si diceva, raccontavano le nonne di Maglie (città nel cuore del basso Salento), fosse un piccolo mostro che, diceva la gente, nasceva dall’uovo deposto eccezionalmente da un gallo, che notoriamente in quanto maschio non depone le uova come la sua femmina, la gallina. Tale essere mostruoso e dalle piccole dimensioni con il suo sguardo terribile era in grado di uccidere gli animali, solo puntando i suoi occhi negli occhi delle sue vittime, si riteneva, motivo per cui se si osservavamo strane, difficilmente spiegabili altrimenti, morti di animali domestici, anche di grandi dimensioni, si immaginava fosse nato un “fasciuliscu” e si doveva andare alla ricerca del mostruoso piccolo essere per ucciderlo e fermare così la moria. A volte, in alcune varianti, si racconta che ipnotizzasse le vittime, le “fatasse”, con lo sguardo. Si riteneva fosse solito nascondersi sotto “le pile”, le grandi vasche scavate in blocchi unici di pietra diffuse nella civiltà contadina salentina e talvolta sollevate da terra su dei sostegni, poste in cortili e masserie. A volte viene descritto come avente un solo occhio, e come somigliante grosso modo ad un mostruoso “purginu“, il pulcino appena nato dall’uovo.
E’ infatti “fasciuliscu” una corruzione locale salentina del nome dell’antico temibile “basilisco” dei bestiari antichi.

Molto ricca di storie sul basilisco è poi anche in Salento la zona di Nardò, dove più in particolare era chiamato “vasiliscu“, che non sarà forse un caso ma è anche l’area dove maggiore è la presenza di camaleonti oggi liberi in natura: in questo articolo dal titolo “Le uova dei Galli e il Basilisco” su www.fondazioneterradotranto.it si racconta una storia popolare secondo cui una masseria nell’agro di Nardò , che si chiamava Tagghiutisu, venne letteralmente abbandonata perché vi era nato un basilisco a causa della incauta massara che si era dimenticata di uccidere un gallo prima che superasse il settimo anno di età, età oltre la quale i galli potevano deporre uova da cui potevano nascere i basilischi. La creatura causo una moria inarrestabile degli animali e uomini che incappavano davanti ad essa; con il suo sguardo il basilisco poteva paralizzare o uccidere istantaneamente le sue vittime; il suo fiato era letale: “è muertu ca l’ae sfiatatu ‘nu vasiliscu!“.

Il nome Basilisco viene interpretato come derivato dal greco basileus, il monarca, basiliscos vorrebbe dire letteralmente in greco “piccolo re” sottointeso dei serpenti. Tale era ritenuto, il “re dei serpenti”, da cui da un lato il suo nome greco, e in latino il corrispondente nome “regulus” (regolo) avente lo stesso significato. Del mito del basilisco abbiamo già attestazioni di epoca romana, ed è meraviglioso osservare come, con continuità culturale ininterrotta, il mito popolare sopravvissuto nella città di Maglie del “fasciuliscu” conservi elementi delle leggende sul basilisco riportate per iscritto già in età romana e poi nel medioevo.

L’identificazione con il Camaleonte, pur nelle aggiunte mitico-fiabesche, è più che certa!
La conformazione della testa dell’animale, il Camaleonte è un rettile, a mo’ di corona, o meglio di mitra, da cui l’appellativo di re dei serpenti, dei rettili. Anche il suo nome camaleónte viene dal latino chamaeleonontis, che viene dal greco χαμαιλέων -οντος, comp. di χαμαί «in basso, a terra» e λέων «leone» propr. «leone (che striscia) sulla terra», o «leone nano», vi è forse sempre anche nell’etimologia di “camaleonte”, se teniamo conto che il leone viene ritenuto il re degli animali, un sottointeso senso di re dei serpenti striscianti per terra?

La cresta del camaleonte da cui l’associazione con la cresta del gallo. La presenza nel mito del basilisco dell’elemento dell’uovo, e il Camaleonte depone le uova, come in genere ogni rettile. La commistione con uccelli, il gallo, e anfibi, il rospo in particolare, che talvolta coverebbe secondo i bestiari medioevali l’uovo deposto da un anziano gallo, da cui nascerebbe il basilisco; la raffigurazione mitologica del basilisco che innesta elementi morfologici del gallo per la testa e del Camaleonte, (ad esempio la coda e il busto del basilisco son quelli del Camaleonte), e che affonda anche le sue ragioni nelle vicinanze ben visibili, e filogenetiche tra anfibi, rettili e uccelli, osservabili nel Camaleonte; e poi il discorso nei bestiari dello sguardo e del fiato mortale del basilisco, ben traducono a mio avviso la caratteristica del Camaleonte di fulminare le sue prede con lo sparo della lunghissima lingua retrattile ed appiccicosa con cui cattura e porta fulmineamente alla bocca le sue prede, solitamente insetti.

Siamo, nella genesi dei miti, anche spesso di fronte a forme di tentativi proto-scientifici di spiegazione dell’osservazione naturalistica.

Un video con la specie di camaleonte del Salento anche per vedere l’eiezione della sua lunga lingua retrattile:

 

Anche la rappresentazione del Basilisco in alcune raffigurazioni, leggo, con una freccia che esce dalla bocca è assai interessante nel paragone con il camaleonte connotato dalla lunga lingua che può estroflettere.
Così il camaleonte depone anche le uova che nell’immaginario arcaico erano viste più come proprie degli uccelli.
Focalizziamo l’attenzione su un animale reale o fantastico ritratto nello spazio tra i tondi del presbiterio nel mosaico pavimentale medioevale del XII secolo d.C. della Cattedrale di Otranto, se non un gallo potrebbe allora essere il basilisco dei bestiari, come già è stato proposto da altri studiosi, animale fantastico a metà strada tra gallo e rettile, ispirato dal reale camaleonte, animale questo presente in Salento, come presente nel Salento il fiabesco “fasciuliscu” (in vernacolo locale corrispondente a “basilisco”):
Gallo o Basilisco, presbiterio, mosaico pavimentale del XII sec. d.C., Cattedrale di Otranto. Se ciò che gli esce dalla bocca non è un pezzo di vegetale, un frutto che sta mangiando, ma la lingua sua medesima, tendo conto del legame esistente tra basilisco e camaleonte noto per la sua lunga lingua retrattile allora ancor più di più si può ipotizzare che si sia voluto rappresentare il basilisco più che il gallo. Se si confronta anche con un facilmente riconoscibile gallo che appare sempre nel mosaico del medesimo presbiterio l’ipotesi del basilisco per questa raffigurazione diventa ancor più forte.

 

A Basilea, il cui toponimo fa riferimento al mostro, il 4 agosto del 1474, un gallo di undici anni venne condannato a morte. Venne decapitato e messo al rogo. Che cosa aveva mai fatto? Era in sospetto di essere un probabile basilisco. Era andato contro natura: aveva deposto un uovo… naturalmente anche l’uovo venne dato alle fiamme.

Ma l’ulteriore indagine ci porta a scoprire che nelle varianti iconografiche del basilisco troviamo proprio anche le orecchie di asino! Vediamo a tal proposito questa opera pittorica:

 

“San Trifone ammansisce il basilisco”, dipinto a tempera su tavola (141×300 cm) di Vittore Carpaccio, datato 1507, conservato nella Scuola di San Giorgio degli Schiavoni a Venezia. Particolare.

 

di Vittore Carpaccio intitolata “San Trifone ammansisce il basilisco” presente presso la Scuola di San Giorgio degli Schiavoni a Venezia, si tratta di un pittore rinascimentale veneziano dallo stile descrittivo e minuzioso, affine ad Antonello da Messina e ai fiamminghi. La tela di Carpaccio, mostra San Trifone, durante il suo miracolo più famoso, legato alla guarigione di Gordiana, figlia dell’imperatore romano Gordiano III. San Trifone, martire a diciott’anni per non aver abiurato la sua fede cristiana, era un giovane pastore di oche, dedito alle letture sacre e capace di operare esorcismi. Gordiana era ossessionata da un basilisco, un mostro fantastico con il corpo da leone, la coda di un rettile, la testa di un asino e le ali, nonostante la giovane età, appena dodicenne, San Trifone opera l’esorcismo, si avvicina a Gordiana, il basilisco fugge e la ragazza è libera dal tormento. Altre fonti sostengono che il basilisco avesse corpo di un gallo, coda di serpente o di lucertola, ali di drago, becco d’aquila oppure che avesse portamento eretto e sembianze umane. La particolarità più strana è la credenza che il basilisco nasca dall’uovo deposto da un gallo, abbia come padre un gallo e come madre un rospo, e che il suo sangue abbia virtù terapeutiche.

Sempre a Otranto nel mosaico medioevale pavimentale della Cattedrale:

Creatura mostruosa ubicata nella cornice superiore del mosaico del presbiterio, secolo XII d.C., Cattedrale di Otranto. Sorta di draghetto alato dalla lunga coda serpentiforme ma con singolari orecchie di orsetto o topo. Forse un basilisco talvolta raffigurato con due evidenti orecchie ad esempio nello stemma civico di Sternatia?

 

Il basilisco è una creatura mitica molto radicata nella cultura del Salento pertanto. E’ ritenuto un elemento quasi tipico del sud Italia nella storia dell’arte se è vero quanto qui possiamo osservare nello studio in merito ad un olifante noto come “Olifante Basilewsky” che da analisi stilistica viene ricondotto agli olifanti decorati che si ritengono prodotti in Italia meridionale-Sicilia intorno all’ XI secolo e.v.

 

“Olifante Basilewsky“.

 

E’ caratterizzato da animali (anche animali fantastici come il basilisco che pur troviamo nel mosaico medioevale di Otranto) dentro intrecci vegetali con grappoli d’uva a formare tondi come per gli animali del mosaico di Otranto nel presbiterio o quelli tra i rami degli alberi sempre a Otranto nel suo mosaico, come anche per gli animali dentro quinconce con anche motivi vegetali nei mosaici paleocristiani di Casaranello a Casarano e come anche per i tralci abitati del portale romanico scolpito della Chiesa di San Giovanni in Sepolcro di Brindisi. 

Direi di considerare anche in tutto il discorso della descrizione del “basilisco” rispetto all’animale da cui si crede discenda, il camaleonte, la difficoltà di vedere l’animale camaleonte, cosa che notiamo anche nello stesso Salento benché i camaleonti siano ben presenti, perlomeno nella zona di Nardò, e ogni loro avvistamento diventa argomento meraviglioso che suscita grande interesse sui social network e nei vari media. Ma nel tempo passato non c’era la possibilità di documentarlo fotograficamente ogni volta, e di bocca in bocca la descrizione della curiosa creatura reale assumeva connotati sempre più fantastici.

La descrizione di Nicandro di Colofone del Basilisco mi sembra avere qualcosa che può coincidere con il Camaleonte come genesi, ad esempio il fatto di avere la testa aguzza e piccole dimensioni di serpente. E il colore rosso della descrizione di Nicandro? Tenendo conto del potere di mutare i colori della sua pelle da parte del camaleonte esso potrebbe anche virare verso il rosso per mimetizzarsi su opportuni substrati, inoltre altre specie di camaleonti oltre alla mediterranea potevano circolare in antichità con i traffici del tempo.

E poi l’incedere lento del Camaleonte senza fuggire via, (sperando di passare inosservato, mimetizzato, ad eventuali suoi possibili predatori), come quasi di chi non ha alcun timore, come un re coraggioso; lo sguardo del Camaleonte quasi unico tra gli animali superiori, e dalle suggestioni misteriose, con i suoi bulbi oculari che possono ruotare indipendentemente l’uno dall’altro, un aspetto che pare quasi conferire all’animale il magico potere di destabilizzare ed ipnotizzare la sua vittima; elemento della intensità dello sguardo che spiega anche la variante fiabesca magliese del “fasciulisco” con un solo fatale occhio.

La peculiarità dello sguardo del camaleonte e la sua lingua mi sembrano poter fornire diversi elementi di genesi del mito.

 

Il ”Mostro di Squinzano”. Da un cratere apulo a figure rosse, trovato in una tomba messapica a Squinzano; ca. 350 a.C. – ca. 326 a.C. Foto gentilmente vettorizzata da Giovanni Enriquez che ringrazio.

 

A questo punto in questo excursus non possiamo non tornare all’enigmatico cratere di Squinzano e osservare come proprio lo sguardo del mostriciattolo sia elemento messo in risalto, gli occhi del mostro guardano negli occhi della menade-baccante che a sua volta lo fissa, e le menadi di Dioniso altro non perseguivano nei loro balli sfrenati che l’estasi, (e qui vi è una scena dinamica ritratta). C’è forse un significato di potere ipnotizzante nello sguardo della creatura mostruosa di Squinzano? Ed è estatico lo sguardo della menade?

Il mostriciattolo non appare come una figura temuta in quel contesto, il ragazzo nella scena dionisiaca non sta per uccidere il mostriciattolo, sembra ignorarlo mentre è più concentrato verso la menade, menade il cui sguardo è però rapito dall’essere mostruoso che solleva la sua mostruosa testa proprio per  fissare la menade.

Il basilisco sempre, in epoca antica, medioevale e successiva è stato caratterizzato, come elemento costante nella sua narrazione, dalla capacità di “fascinazione” verso le sue vittime, capacità di una magica e irresistibile attrazione ipnotizzante anche dagli effetti mortali, e questo potere tramite il suo sguardo. Una capacità sovente attribuita ai serpenti, ma nel basilisco, loro re ritenuto, essa era al grado più elevato. Tanto che mi chiedo se il termine vernacolare per il basilisco a Maglie “fasciuliscu” non sia frutto di una commistione tra i termini dialettali salentini “vasiliscu” e “fascinu“. Discutendone di questa ipotesi etimologica che lanciavo su un mio post facebook incentrato sul camaleonte in Salento, lo studioso Gianfranco Mele ha fornito in questo suo commento qui di seguito virgolettato interessanti spunti di riflessione: “pare che ricorra una radice comune. Difatti il latino fascinum in greco è baskanon, e molti han sottolineato una comune radice di questo termine con basiliskos“; in tal caso, osservo, sarebbe poi un’etimologia assai più consona ad un nome per indicare il camaleonte per i suo suggestivi occhi, poi nome confuso con il greco basileus, il sovrano, e quindi il significato sottointeso di sovrano dei serpenti.

 

Fascinazione estatica di una menade ad opera di un basilisco tramite il suo sguardo ipnotizzante?
Con doppia freccia gialla si evidenzia il rapporto visivo occhi negli occhi tra il possibile basilisco, che abbiamo qui battezzato in questo lavoro come “Mostro di Squinzano”, e una menade-baccante.
Cratere apulo a figure rosse trovato in una tomba messapica a Squinzano; ca. 350 a.C. – ca. 326 a.C.

 

E’ anche quello di Squinzano un fasciuliscu salentino, un basilisco?

In tal caso sarebbe la più antica raffigurazione del basilisco nella sua ibridazione con l’uccello. Quel viso a Squinzano non ha il becco perché era ancora forte l’identificazione con il camaleonte?

Effettivamente trovo interessante il gioco di occhi tra menade e mostro!

E interessante a questo punto riportare i dati sul basilisco che traggo da questo testo ottocentesco “L’Album, giornale Letterario e di Belle Arti – ROMA” numero XVII nell’approfondimento sul basilisco, e che riporto con alcune osservazioni in parentesi:

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L’autore dice che il basilisco era raro ma comunque creduto presente, al suo tempo e credo stia parlando proprio della Penisola italiana.
 
Racconta che si diceva che tali animali nascessero dalle uova di galli sommamente vecchi, e un tale uovo era chiamato “ova centanina”, che venissero poi covate sotto un rospo o serpenti.
 
Lo descrive come corto, della grossezza quasi di un polso umano (aspetto questo assai compatibile con il camaleonte comune).
 
Dice che si credeva popolarmente al suo tempo nel mondo contadino che lo sguardo di questo animale sebbene non fosse mortale per l’uomo che lo fissava poteva esercitare un certo “fascino”, provocare vertigine e malessere nella persona. Alcuni popoli e individui d’Italia credono al fascino ossia iettatura, una specie di facoltà di alcune persone di recare malaugurio o infortunio ad altri con lo sguardo anche involontariamente. E contro tutto ciò si utilizzavano la pianta di ruta, e le corna vere o imitate, o il sale.
 
Si riteneva invece assai pericoloso per i sintomi provocati e addirittura potenzialmente mortale il toccare l’animale.
 
Raccontava che molti contadini e cacciatori che asseriscono di aver visto il basilisco, anche chiamato regolo, sostengono che esso “ha una testa voluminosa ed orecchiuta” (questa descrizione ci ricorda le orecchie del Basilisco di Sternatia nello stemma comunale, nonché il capo con le grandi orecchie del Mostro di Squinzano).
 
Racconta di un giovane contadino legnaiuolo, che lui conosceva, che disse di aver accidentalmente visto e toccato un regolo, e la cosa gli provocò, a lui che conosceva la terribile fama dell’animale, uno svenimento, cadde, e restò senza coscienza per tutta la notte, che sopraggiunse nel bosco, fino al giorno dopo, tanto che non fece ritorno a casa quella sera. Raccontò tutto ciò il giorno dopo assai spossato; da allora fu in cattivo stato di salute ed ebbe diverse crisi di epilessia finché qualche mese dopo morì.
 
Ci dice che secondo alcuni autori antichi, come la testa della mitica medusa o come l’occhio malefico di uno stregone, il basilisco cagionava con lo sguardo un orrore subitaneo che era poi seguito dalla morte della sfortunata sua vittima.
 
Racconta che l’autore romano Plinio il Vecchio diceva che il basilisco uccide con lo sguardo e che nel camminare non va innanzi con sinuosità flessuose come i serpi ma avanza alto è dritto, “celsus et erectus in medio“, (questo è assai compatibile con il modo di camminare del camaleonte).
 
Scrittori romani ritenevano che la sua patria era la calda Libia ed effettivamente anche in Libia vive il camaleonte comune, (questo aveva favorito immagino un’associazione con il deserto e la desertificazione nelle dicerie in merito ai poteri dell’animale).
 
Nemico del basilisco che lo può vincere in battaglia è “la donnola, o la faina puzzolente, la quale mangiando le foglie di ruta – Ruta graveolens Lin.- poteva combattere con esso senza esserne avvelenata, anzi ucciderlo” (una pianta presente anche nella flora salentina nella specie Ruta chelepensis, comunemente detta ruta d’Aleppo, dal potere abortivo).
Anche Leonardo da Vinci incluse un basilisco nel suo Bestiario, in cui si nota la pesante influenza classica. Curiosa è il modo con cui la donnola lo uccide: «questa bestia trovando la tana del basilisco la uccide con l’odore della sua urina, e questo odore, infatti, uccide spesso la donnola stessa».
Si credeva poi che il basilisco tremasse fino a morire se ascoltava il canto del gallo. Eliano (Preneste, 165/170 d.C. circa – 235 d.C.) scrittore romano in lingua greca diceva pertanto che gli africani portavano con loro nei viaggi uno scheletro dell’ “uccello dell’alba” ossia il gallo contro le influenze del basilisco.
 
Altro modo per uccidere il basilisco era farlo specchiare in uno specchio.
 
Ci dice che lo scheletro del basilisco veniva appeso nei templi e nelle case private come rimedio contro le tele dei ragni e le rondini.
Racconta che il filosofo greco Aristotele (Stagira, 384 a.C. o 383 a.C. – Calcide, 322 a.C.) invece non fece menzione del basilisco (pertanto ho pensato: se è vero che il basilisco/regolo era il camaleonte come immagino, allora Aristotele parlò del camaleonte? Ed effettivamente ho scoperto che nell’antichità greco-romana, Aristotele in Histan., II, 11, 37, fu il primo a ricordare il camaleonte, del quale fece un’ampia descrizione anatomica. Ne parlerà poi anche successivamente Plinio del camaleonte, che pure tratta del basilisco senza mettere in relazione i due esseri basilisco e camaleonte).

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Non sappiamo se fu commissionato ad hoc quel motivo su quel vaso alla bottega dell’artista pugliese o greco-pugliese, il soprannominato archeologicamente Pittore di Digione (Guzzo), da committenti di Squinzano o se fosse un motivo tipico della produzione artistica pugliese del tempo, ispirato da commedie o da riti misterici dionisiaci poco noti oggi nei loro aspetti più peculiari locali. Forse accompagnava proprio nel suo corredo la salma di qualcuno che si credeva fosse morto a causa di un basilisco?

Ad oggi esso è un unicum!

Date le evidenti difficoltà di inquadrare la “Creatura di Squinzano” sul vaso apulo a figure rosse per la sua unicità, proviamo ad analizzarla anche secondo altre piste.
Come ibrido io vi vedo serpente-uccello-uomo-asino.
Ricordiamo per confronti figure mitiche di personaggi ateniesi con corpi in parte di serpente.
Tra questi Erittonio antico re di Atene di origini divine nato con due serpenti al posto delle gambe.
Nell’arte vascolare antica appare come un fanciullo in una cesta dalla quale spuntano due serpenti, le sue gambe mostrate arcuate a forma di lira:
Eracle, Erittonio, Atena, una Cecropide: hydria attica a figure rosse, Gruppo dei Tardi Manieristi, 440 a.C. ca., Paris, Musée du Louvre CA1853 = ARV2 1121.18; Beazley Addenda2 331; CVA Paris, Musée du Louvre 9, III.I.D.40-41, tavv. 52.4-6, 53.2; LIMC s.v. Immagine dall’articolo al link.
Una composizione che ricorda molto quella della sirena bicaudata nell’arte medioevale (ad esempio nel mosaico di Otranto) e successiva nelle chiese del Salento (anche in bassorilievi):
Sirena bicaudata, bassorilievo, che ho scovato nella Chiesa Maria SS. delle Grazie, nel portale d’ingresso – Corigliano d’Otranto. Foto del 16 febbraio 2021, di Oreste Caroppo.

 

Non è un caso che data anche la similitudine visiva tra scaglie e squame nella simbologia della sirena bicaudata si passi facilmente da pesce a rettile e viceversa e le estremità da pinnate diventano serpentiformi talvolta. A Corigliano d’Otranto nel caso fotografato di sirena bicaudata addirittura le sue estremità baroccheggianti culminando in boccioli di rosa, o fiori-frutti di melagrana, com’era all’ingresso del tempio di Re Salomone, con decori di melagrana effigiate. Una sirena che diventa un ibrido uomo-vegetale.

Qui di seguito il mito del piccolo Erittonio in una stampa del ‘600:

Italy, published 1606 Alternate Title: Erichtonius cistella laxata cernitur Series: The Metamorphoses of Ovid, pl. 14 Edition: Second edition Prints; etchings Etching Los Angeles County Fund (65.37.98).

 

In ogni caso non siamo nella medesima iconografia del Mostro di Squinzano.

Altra possibile pista da seguire quella biologica della teratologia. Potrebbe essere interessante consultare la letteratura teratologica, una enciclopedia con le varie possibili mostruosità nell’ambito della nostra specie.
Ricordo che mia nonna paterna di Sanarica mi raccontava che nel suo paese giravano voci secondo cui quando nascevano bambini deformi venivano subito uccisi dalle stesse “mammane”, le ostetriche del tempo. Comunque assai nascosti alla vista al di fuori del cerchio famigliare. Ciò mi ricorda nel mito di Erittonio il volere tenere il fanciullo mostruoso da parte di Atena comunque nascosto dentro una cesta.
Se non sbaglio poi mia nonna mi raccontava di un bambino nato con le corna nel suo paese (secondo la vox populi) e che uccisero o non vollero far uscire di casa, dicevano in paese che era nato “nu tiaulu“. Un diavolo.
Altre voci su persone nate con parti di arti con squame come i rettili al posto della normale pelle umana, sempre nei racconti della mia nonna paterna.
E poi vi era il nanismo, la possibilità di feti con più arti, o di meno, con più peni,  ermafroditi, ecc. Tutto questo anche in sud Italia come in ogni parte del mondo. Ricordo ad esempio in anni recenti il racconto di un caso di ermafroditismo nell’entroterra di Castro di Minerva.
Ma nei confronti della mostruosità c’era un’ambivalenza di sentimenti, a volte desiderio di distruzione dell’anomalia, vedi il mito spartano dell’uccisione dei nati deformi gettandoli dal monte Taigeto, altre volte la venerazioni come prodigi divini, che ancora vediamo nella cultura indiana al nostro tempo. Mostruosità nell’uomo e tra le altre specie che possono aver contribuito alla genesi di tanti miti. Del resto l’etimologia di “mostro” è dal latino monstrum “segno divino, prodigio”.
Si potrebbero poi cercare raffronti nell’iconografia dei Genii, dei numi tutelari dei luoghi, famiglie, persone, a volte raffigurati come uomini di bell’aspetto con ali:
Genio alato, affresco proveniente da una villa romana di Boscoreale.
Altre volte i Genii protettori della domus e della sua famiglia erano raffigurati come serpenti della casa, forse concetto legato a quello del serpente salentino (solitamente cervoni in quanto alla specie) chiamato in vernacolo “sacara“, (metatesi di “casara” pare), serpenti allevati in casa che come i gatti tenevano basso il numero di topi e ratti a difesa delle vitali dispense di derrate alimentari:
Il Genio raffigurato come un serpente, nel larario della casa dei Vetti, a Pompei.
Ma anche qui non ci siamo come iconografia con il mostriciattolo analizzato emerso dalle nebbie del tempo a Squinzano.
Possiamo anche pensare alla tradizione popolare salentina nel laurieddhu (scazzamurieddhi o sciacuddhi), ma a parte le piccole dimensioni non vi sono elementi ulteriori di paragone.
Per ora il confronto con il basilisco mi sembra il più proficuo, e in tal caso avremmo nel Salento una rappresentazione a genesi locale iconograficamente parlando, molto antica e con connotati nel viso più vicini al camaleonte che al gallo; con l’elemento delle orecchie che avrebbe potuto ispirare l’iconografia locale del basilisco di Sternatia, che risentì a sua volte poi anche delle contaminazioni da parte della figura, caratteristica nei bestiari medioevali e non solo, del drago.
Come nota di curiosità ulteriore alcuni esemplari ritrovati alcuni anni or sono, mi hanno raccontato, pare siano stati definiti da cittadini locali, di cultura “grika“, cioè greco-salentina, “dracuddhi“, draghetti, traducendo dal dialetto grecanico salentino. Un termine greco, “drago”, frequente e di lato impiego nel regno dei rettili. Non solo, secondo una interpretazione etimologica, il termine greco “dragon“, deriverebbe da una radice significante proprio vista, occhio, guardare, e nel Camaleonte proprio la vista e le particolarità del suo sguardo sono elementi che affascinano e colpiscono molto l’ osservatore attento.
E’ anche per tutto questo substrato sul basilisco-camaleonte in Salento, oltre per le dette similitudini iconografiche pur nelle differenze presenti, che mi sono chiesto se non fosse il “Mostro di Squinzano” un basilisco (o un proto-basilisco rispetto all’iconografia di quell’essere che ci è giunta dal medioevo in poi).
Teniamo conto anche che all’epoca, nella produzione proto-apula dei vasi a figure rosse, non mancano in Puglia raffigurazioni fliaciche, che corrispondono ad uno stile che introdusse il disegno comico e caricaturale.
Qui un esempio di vaso apulo con quello stile figurativo grottesco:
OINOCHOE PROTO-APULA con soggetto fliacico. Da una tomba a Taranto, contrada Carmine. Particolare.
Il viso del Mostro di Squinzano qui indagato sembra proprio risentire dello stile fliacico, benché anche nei vasi propriamente fliacici non si rinviene nulla di interamente simile a quel mostro. Talvolta alcuni vasi apuli a figure rosse di stile consueto presentano soggetti fliacici tra altri non grotteschi. Il mostro può dunque essere un basilisco ibrido serpente-gallo (ante-litteram) affetto nella raffigurazione da un tocco fliacico antropomorfizzante?
Il viso grottesco del Mostro di Squinzano viene da lì secondo me. Ma hanno reso grottesco un essere già noto?
Dentro l’enigma della rappresentazione di Squinzano ci potrebbe però essere la commedia fliacica di cui purtroppo non conosciamo i temi. Questo personaggio mostruoso ad esempio potrebbe rappresentare un attore nano che in quelle commedie simulava il basilisco?
Il vaso vaso proto-apulo di Squinzano probabilmente non è stato annoverato tra i vasi proto-apuli a tema fliacico, ma perché si è data poca importanza al mostriciattolo indecodificato. Ma poiché il viso del mostro è quello tipico delle figure grottesche sui vasi proto-apuli a tema fliacico penso che non sia una pista da scartare.
Sarebbe interessante sapere se nella commedia antica, e i vasi fliacici apuli e più in generale meridionali erano ispirati dalla cosiddetta farsa fliacica, fosse entrato il basilisco. La farsa fliacica fu un genere drammatico comico sviluppatosi nelle colonie doriche della Magna Grecia, (Taranto), in età ellenistica, tra il IV e il III secolo a.C. Si trattava di una tipologia teatrale del tutto particolare, che ebbe forse origine nella stessa Italia meridionale, seppure grazie alle influenze provenienti dall’Ellade, e influenzò la nascita del teatro latino.
Trovo però che il basilisco fu un tema basilare nella drammaturgia degli attori italiani e francesi dei secoli XVII e XVIII d.C. Esiste una commedia intitolata “Capitan Basilisco” una pièce italiana di Bernagasso appartenente alla Commedia dell’Arte. Mi chiedo se non fossero reminiscenze di una più antica comparsa del basilisco nelle commedie magnogreche fliaciche?
Una problematica dell’ipotesi del basilisco per il Mostro di Squinzano è che le fonti antiche greco-romane che ci sono giunte con descrizioni del basilisco puntavano più sulla sua natura di rettile, in parentela con i serpenti, senza le ali, e altre sembianze galliformi etc. che si ritrovano nella rappresentazioni medievale della creatura. Ali che ritroviamo nel Mostriciattolo di Squinzano.
Io però non punterei tanto all’evoluzione letteraria del mito del basilisco, nel senso che ne scrive uno e poi da lì altri aggiungono, deformano, tramandano, ecc. Questo approccio va bene per animali davvero fantastici, o di cui inizialmente è giunta menzione da terre molto lontane tramite viaggiatori una o poche volte sole. Viceversa, a mio avviso, il basilisco di base è un animale reale, mediterraneo, ma assai elusivo e mimetico: il camaleonte! Per cui c’era da un lato la vox populi su quell’essere, e la fantasia animata in chi non lo aveva mai visto; la deformazione fantasiosa però veniva spesso corretta dal confronto con il reale che ogni tanto faceva qualche scrittore o artista che aveva la fortuna di vedere l’animale, (tanto più in zone dove i camaleonti vivevano – e penso che fosse tale il caso dell’Italia meridionale!). Riguardando sopra alcune rappresentazioni del basilisco che ho riportato vedrete questo continuo ritorno al camaleonte e la continua fuga verso l’animale ibrido galliforme. Altrimenti non mi spiegherei tale altalenanza iconografica.
Solo ipotesi!
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APPENDICE
La ricerca, la bassezza e fattezze antropomorfe del mostro, il mito di Erittonio e della cesta in cui era celato alla vista dei più per la sua mostruosità (che mi hanno ricordato le cesta mistica dei misteri eleusini e quella dei misteri dionisiaci contente un fallo, e il serpente è simbolo fallico), mi hanno suscitato questo ricordo di infanzia che riporto come nota antropologica.
Si raccontò, anni fa, nella mia città salentina nell’entroterra di Otranto, Maglie, di un ragazzo che dopo una strana seduta esoterica cui era stato fatto partecipare, e dove vi erano adulti, forse spiritica, forse iniziatica, non saprei, a cui aveva partecipato andò a bussare con insistenza di notte alle porte della Chiesa Madre del paese, che era chiusa, chiedendo di aprire e accoglierlo per dargli la protezione spirituale che cercava, finché poi non riuscirono a calmarlo e riportarlo a casa …
Non ne seppi più nulla.
Mi dissero che diceva che durante quell’evento, (a lume di candela nella mia fantasia), si era materializzato o era presente e vivo un essere mostruoso basso, piccolino, mi pare di capire tozzo, che egli poté vedere.
Ricordo uno strano nome corto per quell’essere mostruoso, forse demoniaco, forse il nome era “Baba”, o “Bafometto”, o Baal, o qualcosa del genere ma non ne sono sicuro,
Però di sicuro il suono della “b” c’era nel nome. Erano anche anni in cui era famoso in Italia il santone indiano Sai Baba.
Lo studioso Gianfranco Mele di Sava mi dice che il diavolo Bael è sovente evocato dagli esoteristi e spiritisti, popolarissimo in quegli ambienti. Nel vedere alcune sue putride rappresentazione in alcune illustrazioni penso che potesse trattarsi proprio di questa entità.
Scosso dall’accaduto il ragazzo scappò da quel consesso e si precipitò nottetempo verso la chiesa.
Forse droghe? Visioni ad occhi aperti? Non saprei.
Era sul finire del ‘900.
Per capire se è questa una circolante leggenda metropolitana chiedo, semmai essa si racconta altrove con altri protagonisti e luoghi, e magari per ricordare il nome di quell’essere demoniaco, che parlava come una creatura umana, e apparso a lui in quel cerchio esoterico di iniziati …
  Oreste Caroppo

 

2 commenti su “Cosa è il “MOSTRO DI SQUINZANO”?!

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