CRISTO RISORTO è raffigurato sul mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto?!

Cristo Risorto è raffigurato sul mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto?!

 

Sepolcro di epoca romana nei pressi del Monte Carmelo in Terra Santa con sportello a pietra circolare a rotolamento. Mi piace far notare quanto ricordi la grotticella del Menhir San Paolo in Giurdignano.

 

Dagli studi sul mosaico di Otranto di

Oreste Caroppo

 

Misteriosa scena che abbiamo chiamato suggestivamente “scena dell’eremita”, nel mosaico pavimentale del XII sec. d.C. nell’abside della Cattedrale di Otranto, ma che potrebbe essere una rappresentazione della Anastasis (Risurrezione) di Cristo.

Nel famoso mosaico pavimentale del XII sec. d.C. della Cattedrale di Otranto nella rappresentazione del ciclo del profeta Giona che occupa una porzione del catino absidale vi erano alcune scene ostiche alla interpretazione, (per lo meno stando allo stato dell’arte degli studi compiuti fino agli anni ’80 del secolo scorso, con la pubblicazione del famoso buon testo compendio “L’Enigma di Otranto“); non si riusciva a ricondurle alla vicenda narrata di Giona del Vecchio Testamento, né a trovarne altra valida chiave di di lettura iconografica.

Per approfondire inizialmente sulla figura di Giona e la sua storia potete vedere e ascoltare questo breve video:

 

Il ciclo di Giona occupa la porzione di destra e quella centrale dell’abside qui sotto mostrata in foto con vista dall’alto; va esclusa la scena della caccia ai cinghiali che occupa la porzione superiore della parte centrale dell’abside.

 

Cattedrale medioevale di Otranto, pavimento musivo nell’abside.

 

Molto proficuo per tale studio di tale ciclo in Otranto mi è stato il confronto con la rappresentazione del ciclo di Giona nel mosaico pavimentale nella Basilica di Aquileia risalente al IV sec. d.C.

 

Porzione del ciclo Giona risalente al IV sec. d.C. nel grande mosaico nell’Aula Teodoriana sud nella Basilica di Aquileia. Immagine qui linkata non copiata dall’articolo al link.

 

Come ad Aquileia anche a Otranto vediamo pescatori con canna dallo scoglio, pesci nel mare, e Giona che viene gettato in mare dalla nave secondo il racconto biblico.

Già attraverso questo confronto abbiamo osservato come simile sia la pianta cresciuta a fare ombra a Giona, e che sovente viene definita il ricino ma che abbiamo visto corrisponde di più tassonomicamente parlando nella rappresentazione ad un rampicante di zucca bottiglia.

Per gli approfondimenti in merito alla pianta che fa ombra a Giona vedi: “Il “Bestiario” del mosaico medioevale di Otranto: approfondimenti su alcune creature raffigurate (mostri, animali, piante, ecc.)

Sulle possibili similitudini o meno che potrebbero esserci anche per il tipo di mostro marino che ingoia Giona rappresentato nei due mosaici ne abbiamo discusso anche qui: “Il “Bestiario” del mosaico medioevale di Otranto: approfondimenti su alcune creature raffigurate (mostri, animali, piante, ecc.)“.

Dal confronto sempre con Aquileia capiamo come non sia anomala la rappresentazione di due uomini che paiono come in barca e che vediamo ad Otranto nel ciclo di Giona

 

Mosaico di Otranto. Vedi anche questo articolo ricco di immagini sul ciclo di Giona a Otranto.

 

Essi darebbero indicazioni a Giona che è sulla riva, dove è stato sputato dal grande pesce che lo aveva ingoiato, su quale strada prendere per giungere a Ninive dove dovrà per conto del Signore lanciare la sua profezia.

Poiché quella che diciamo una possibile barca è simile ad altre porte che vediamo nel mosaico idruntino rappresentate, al limite potrebbe essere quella scena una rappresentazione del fatto che arrivato alla grade immensa città di Ninive Giona chiede dove sia il palazzo reale per parlare con il re. Invero dobbiamo osservare che le varie porte raffigurate sul mosaico  mostrano una cornice intorno al bordo delle due ante che qui non è dato riscontrare.

Vediamo poi sempre qui in questa foto sopra il Re di Ninive che dopo aver udito la profezia di Giona si spoglia dei suoi abiti regali e lascia lo scettro per fare penitenza come richiesto dal Dio di Giona, pena la distruzione della sua città da tale dio ritenuta empia. E nel racconto biblico si dice che il re si spogliò del manto reale alle parole di Giona per indossare il sacco del penitente e digiunare.

Poco distante è poi rappresentata la visione della città di Ninive con la prostituta sul mosaico di Otranto; per approfondire su questa scena vedi il mio articolo: “La prostituzione sacra di Ninive nel mosaico medioevale di Otranto?

Abside della Cattedrale di Otranto, mosaico medioevale pavimentale, XII sec. d.C.

A questo punto giungiamo alla scena più enigmatica:

 

Misteriosa scena che abbiamo chiamato suggestivamente “scena dell’eremita”, nel mosaico pavimentale del XII sec. d.C. nell’abside della Cattedrale di Otranto.

 

Su questa scena tante sono state le suggestioni sviluppate dagli studiosi e appassionati del mosaico, ed effettivamente cosa sembra?

Ci sono degli sportellini davanti ai personaggi, e tenendo conto dell’iconografia della porta nel mosaico che si è ben vista e compresa nella scena di San Disma con la porta del Paradiso terrestre raffigurato nella navata centrale qui essi possono indicare che i personaggi son dentro o fuori di qualche grotta con sportello o edificio.

Allora immaginiamo una persone più anziana, data la barba lunghetta, che nuda regge una croce a tau e si rivolge ad un personaggio più giovane (poiché senza barba) posto più in basso, forse inginocchiato.

Da qui la fantasticheria di un eremita che evangelizza o benedice un ragazzo, una scena di iniziazione religiosa, qualcuno ha pensato magari anche una iniziazione cavalleresca, un investitura ad un’ordine di cavalieri data l’epoca del mosaico. Tutte suggestioni archetipicamente valide che trasmette la scena. Ma quale la fonte originaria di ispirazione nel committente e/o esecutore dell’opera per quella scena precisa?

Ho cercato pertanto di approfondire nella storia dell’arte in merito alle rappresentazioni del ciclo di Giona per cercare una possibile chiave di decodifica della scena otrantina enigmatica e suggestiva.

Nella ricerca mi ha molto colpito questa immagine che riporto qui di seguito:

 

Stemma del teologo e riformatore tedesco protestante Justus Jonas (1493-1555) con Giona e Cristo risorto.

 

Questo riformatore tedesco tanto si identificava con il profeta Giona da adottarne persino il nome Justs Jonas. E’ vissuto tra XV e XVI secolo ma il suo stemma è qui illuminante.

Vediamo Giona in grande rigettato dal grosso pesce, (come in grande appare Giona che profetizza con un suo lungo cartiglio ai niniviti nel mosaico di Otranto), e sopra una scena più piccola con Cristo risorto praticamente nudo secondo la sua iconografia solita nella Resurrezione, con bastone croce in mano e un orante inginocchiato davanti a lui, c’è il sepolcro in una grotta vuoto, da lì è appena risorto il Cristo raffigurato, si vede sul sarcofago vuoto il velo sindonico (drappo di lino col quale gli ebrei usavano avvolgere i cadaveri prima della sepoltura).

 

Abside della Cattedrale di Otranto, mosaico medioevale pavimentale, XII sec. d.C.

 

Le similitudini con la scena misteriosa dell’eremita a Otranto sono tante. C’è la croce che tiene un uomo nudo con barba e un altro inginocchiato davanti.

Justus Jonas, 1543.

Nel caso dello stemma del teologo protestante l’orante credo sia lui medesimo, si comprende anche guardando alcuni suoi ritratti e il suo abbigliamento

A questo punto serve un approfondimento ancora ulteriormente sulla storia di Giona e suoi legami con la predicazione di Cristo nel Nuovo Testamento per meglio capire come mai questo legame con la Resurrezione della storia di Giona, rimando a tal fine a questa intervista: “Il Segno di Giona“.

Ma anche a tal fine leggiamo cosa scrivono in una pagina facebook di teologia luterana divulgando quello stemma di Justus Jonas: “Oggi il 22 settembre il calendario luterano ricorda il profeta Giona. Nel luteranesimo, il nome di questo profeta è associato al teologo e riformatore tedesco Justus Jonas (1493-1555). Lo stemma del riformatore presenta la scena dell’Antico Testamento del profeta Giona che esce dalla bocca del grosso pesce (Jn 2) e anche la scena tipologica del Nuovo Testamento legata alla risurrezione di Cristo, e che lo stesso Gesù aveva predetto ricordando proprio Giona: “proprio come Giona fu tre notti nel ventre del grande pesce, così il Figlio dell’uomo starà tre giorni e tre notti nel cuore della terra ”(Mt 12,40). La lettura devozionale di questo giorno viene dal teologo e innologo Efrem di Siria (306-373 d.C.): “Dopo tutti i segni che Nostro Signore aveva dato, questi ciechi gli dissero:” Vogliamo vedere un segno da te “. Nostro Signore mise da parte re e profeti, i Suoi testimoni e fece appello ai niniviti. […] Giona aveva annunciato la distruzione ai Niniviti, ispirando paura e seminando loro stupore; e gli hanno presentato la messe della contrizione dell’anima e i frutti della penitenza. Le nazioni furono quindi elette e gli incirconcisi si avvicinarono di più a Dio. I pagani ricevettero la vita ei peccatori si convertirono. […] “Rivendicano un segno dal cielo”, ad esempio il tuono, come nel caso di Samuele (cfr 1Sam 7.10). […] Avevano sentito una predicazione dall’alto e non ci avevano creduto; allora la predicazione sarebbe sorta dalle profondità. […] “Il Figlio dell’uomo sarà nel cuore della terra come Giona era dentro la balena.” […] Giona emerse dal mare e predicò ai Niniviti, che fecero penitenza e furono salvati; così anche Nostro Signore, dopo aver risuscitato il suo corpo dallo Sceol, mandò i suoi apostoli tra le nazioni, che si convertirono e ricevettero la pienezza della vita “. (Il segno di Giona – Diatessarum, XI, 1-3)

Capiamo allora che la vicenda di Giona che trascorre tre giorni nel ventre del grosso pesce, al buio, prima di essere rigettato fuori, è allegoria per i cristiani della profezia di Cristo della sua Resurrezione dopo tre giorni dalla sua morte passati nel sepolcro, nello sceol o ades come si legge nella Bibbia.

Nota sarei curioso di sapere se vi è una parentela etimologica tra l’ebraico “sceol” che designa l’oltretomba e il termine greco “sklērós” che vuol dire arido duro e legato all’italiano “scheletro“.

Arte musiva bizantina nel Regno normanno, Cristo Pantocratore, XII sec. d.C., Duomo di Cefalù in Sicilia.

Profezia della resurrezione di Cristo che i Vangeli annunciano essere poi avvenuta veramente!

Allora forse tale abbinamento iconografico scelto dal teologo protestante era ben noto in ambiente cristiano europeo, e non una sua invenzione.

Allo stesso modo capiamo quanto ci potesse tenere il vescovo committente e mecenate del mosaico, l’arcivescovo Gionata di Otranto, che non a caso volle il ciclo di Giona (data la sua quasi omonimia) nella sua opera musiva, ad aver anche un’immagine nei pressi del ciclo di Giona ricordante la Resurrezione di Cristo!

Pertanto dunque il creduto eremita sarebbe Cristo a Otranto nell’abside, e non meraviglierebbe la scelta ubicativa se consideriamo che nel Regno Normanno di cui Otranto faceva parte grande enfasi si dava alla rappresentazione del Cristo nel catino absidale, sulla cupola però solitamente, e anche con opera musiva ricca di oro in quel caso.

In questo caso allora lo sportello dal quale si erge il Cristo con la croce tau è rappresentazione dello sportello del sepolcro in cui fu tumulato secondo il famoso passo biblico del Vangelo di Marco, il Vangelo che fu composto per primo ritengono oggi molti studiosi, (Marco vuole la tradizione fosse discepolo di Pietro), e poi fu una delle fonti per gli altri due vangeli sinottici, il Vangelo secondo Luca e il Vangelo secondo Matteo (teoria della priorità marciana). E ricordo che alcuni indizi farebbero pensare a una grande devozione per San Marco da parte del committente e/o progettista del mosaico, vedi questo mio articolo di approfondimento.

“[…] vennero al sepolcro al levar del sole. Esse dicevano tra loro: «Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?». Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande. […] Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui.” (Vangelo secondo Marco).

 

Foto artistica di un sepolcro sul tema la “tomba vuota” legato ai Vangeli. Già alla fine del 4° sec. la Peregrinatio Aetheriae (o Eucheriae o Egeriae) chiama il luogo del sepolcro di Cristo, la “santa grotta” inclusa nella basilica di Gerusalemme; il nome poi designò la basilica stessa e in seguito molte altre chiese sia in Oriente sia in Occidente

 

Dobbiamo allora considerare l’iconografia cristiana, in particolare bizantina che era quella di principale riferimento di ispirazione per i mosaicisti di Otranto al tempo, relativa al Cristo e il sepolcro e/o sarcofago.

Abbiamo innanzitutto l’iconografia detta del “Nymphios” o “Cristo sposo” o anche “imago pietatis” o “Cristo in pietà“:

 

Icona bizantina del Nymphios.

 

Questa iconografia l’ho osservata anche sul portale di ingresso della Basilica di Santa Caterina d’Alesandria in Galatina:

 

Basilica Santa Caterina d’Alessandria in Galatina – particolare della facciata, scultura del Cristo nymphios.

 

Mi aveva particolarmente colpito per la posizione delle braccia che si ritrova spesso anche nell’iconografia del Cristo legata alla passione detta “Ecce homo“, una posizione degli arti che ricorda molto l’iconografia istituzionale dei faraoni egizi nella statuaria pubblica e anche funeraria, (non saprei se il tutto è casuale o vi è stata in origine una volontà sincretica).

Nell’ipotesi che quello barbuto fosse invece il profeta Giona e il fanciullo il Re di Ninive penitente un elemento iconografico dissonante sarebbe rappresentato dalla croce che non è un simbolo del Vecchio Testamento a cui appartiene Giona.

Vi sono iconografie di Cristo risorto e con un angelo vicino inginocchiato, sempre iconografie di Resurrezione:

 

 

Iconografia della Resurrezione con Cristo e un angelo vicino inginocchiato. Dal link.

 

 

E vi sono icone della Maddalena che incontra Cristo risorto e si inginocchia, con visione del sepolcro vuoto:

 

 

Altre con prossimi a Cristo risorto nei pressi del sepolcro uno o più soldati romani addormentati:

 

 

Nel caso della immagine musiva otrantina discussa, che richiamiamo,

 

Misteriosa scena che abbiamo chiamato suggestivamente “scena dell’eremita”, nel mosaico pavimentale del XII sec. d.C. nell’abside della Cattedrale di Otranto.

 

lì vi è anche uno sportellino associato al “fanciullo” (l’uomo sbarbato). Quindi se nel contesto iconografico lo sportellino è segno di sepolcro, pietra macigno circolare del sepolcro o lastra tombale, allora anche il “fanciullo” sta uscendo da una tomba.

Questo ci richiama ad un ultima iconografia bizantina della Resurrezione, quella detta della anastasis di Cristo che risorto discende agli inferi per prendere le anime

Icona dell’anastasis.

Anastasis è il nome greco della Resurrezione di Cristo e di quella finale dei morti.

La rappresentazione dell’anastasi è propria dell’iconografia bizantina. Sin dagli esempi più antichi (7° sec.) è associata alla discesa agli inferi: Cristo irrompe nel limbo atterrando con l’asta crucigera la mostruosa personificazione dell’Ade e con la destra afferra per un braccio il progenitore Abramo.

Altre icone dell’anastasi.

 

Anastasis nella Basilica di Santa Maria Assunta, a Torcello (Venezia): Cristo che calpesta il demonio e le porte degli Inferi; ai suoi fianchi, il corteo dei salvati dal Limbo, Adamo ed Eva, Davide e Salomone, quindi il resto del corteo, scortato da due angeli. Immagine dall’articolo al link.

 

I mosaici nella Basilica di Santa Maria Assunta, a Torcello (Venezia), soprattutto quelli della facciata interna, cioè i sei settori orizzontali in cui sono rappresentati la Crocifissione, l’Anastasis e il Giudizio Universale, sono databili tra la fine dell’XI e gli inizi del XII secolo d.C. Qui per la scena della Anastasi (che in greco vuol dire “resurrezione”) compare anche un’epigrafe che indica proprio in alfabeto greco il termine “Anastasis” (ανάστασις). Ci chiediamo allora se l’epigrafe che forse appare ormai danneggiata pure sempre a sinistra della testa dell’ipotizzato Cristo a Otranto nell’abside non indicasse sempre abbreviata il termine Anastasi come a Torcello, parrebbe di leggervi delle alfa maiuscole (A). Per approfondire poi sulle grandi similitudini di motivi tra i mosaici parietali della Basilica di Santa Maria Assunta a Torcello (Venezia) e quelli del mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto dedicata a Santa Maria Annunziata rimando a questo mio articolo sulla pista veneziana per l’ermeneutica del mosaico di Otranto.

 

Questa icona è in Spagna. Anastasi. Immagine dal link.

 

“Gesù e la discesa agli inferi per salvare le anime prigioniere” di Duccio di Buoninsegna (Siena, 1255 circa – 1318 o 1319).

 

In questa ultima opera di Duccio di Buoninsegna dell’anastasi/discesa agli Inferi vediamo anche della porte sportelli arcuati che ricordano l’iconografia stilizzata semplificata del mosaico idruntino.

Il confronto iconografico è abbastanza convincente sul fatto che a Otranto gli autori e committenti abbiano voluto rappresentare nella scena qui in analisi la Resurrezione di Cristo. E ipotizzo non solo di Cristo ma anche dei defunti.

Quindi il “fanciullo” chi è?

Tanti personaggi nel mosaico idruntino son effigiati come fanciulli, una rappresentazione umana piuttosto neutra.

Può essere simbolo dell’uomo in generale, di Adamo, di Abramo, di Giona il profeta, o dello stesso Gionata arcivescovo mecenate del mosaico, questo non possiamo dirlo!

Tanti i significati che può assumere, e tanti i personaggi che possono essere visti in quel fanciullo, ma l’aspetto più interessante del lavoro di ricerca, confronti ed ipotesi qui sviluppato è l’identificazione iconografica di Cristo con il personaggio nudo con Croce tau e barba nell’abside idruntina.

L’osservazione delle foto del mosaico mostra dei segni che fanno pensare a qualche segno epigrafico danneggiato sulla sinistra in altro rispetto all’uomo barbuto ipotizzato Cristo, si vedono anche nelle foto qui. Importante un’analisi in loco più attenta.

Questa interpretazione del parallelismo Cristo-Giona effigiato sul mosaico idruntino fa anche capire il perché a partire dal nucleo del ciclo di Giona, caro all’arcivescovo Gionata committente del mosaico per la sua quasi quasi omonimia col profeta, nel presbiterio poco distante fa raffigurare proprio la Regina di Saba con epigrafe “REGINA AUSTRI” come è chiamata nel Vangelo e Re Salomone, leggiamo il seguente passo dal Vangelo di Matteo:

 

Cattedrale medioevale Otranto, presbiterio, pavimento con mosaico del XII sec. d.C.

 

E nell’epigrafe di inaugurazione del mosaico l’arcivescovo Gionata fa mettere il suo nome proprio nella cornice di Re Salomone a identificazione implicita con il saggio Re del Vecchio Testamento! Un peccato di vanità di un vescovo noto presso la curia romana e la corta normanna, che si presenta come “umile servo Gionata” nelle epigrafi sul mosaico ma dalla grande mal celata megalomania, che qui non critico certo, ma che è un dato di fatto che emerge da questa immensa opera suggestiva e forse non voluta rebus, ma che rebus è stata, e che ci ha lasciato!

Si dirà ma è impossibile “nel mosaico idruntino non vi è nulla di figurativo immediatamente riconducibile al Nuovo Testamento, se non per mezzo di allegorie!”, ma questa affermazione è sbagliata, già ottimamente nel testo “L’Enigma di Otranto” si è mostrata la presenza di San Disma nella navata centrale, (nei miei studi ho ipotizzato poi la presenza di San Marco nella navata destra, il riferimento al Vangelo di Luca nella navata sinistra, e in calce ad una mia lunga disanima in progress anche la possibilità nell’abside della rappresentazione dei Re Magi).

Inoltre si può obiettare che la rappresentazione di Cristo, una figura così importante, “è troppo striminzita nel contesto musivo in cui la stiamo ipotizzando”.

In realtà è il confronto iconografico, anche proprio in relazione al ciclo del Profeta Giona, che invita a vedervi Cristo lì non una ipotesi preconcetta. Si deve tener conto comunque che l’abside non è uno spazio inadatto per la rappresentazione del Cristo, abbiamo già citato i grandi mosaici coevi del Cristo Pantocratore aurei nelle chiese normanne siciliane. Aggiungerei la considerazione che il mosaico idruntino non era l’unico luogo a cui si limitavano le rappresentazioni figurative sacre, ma vi erano le pareti della chiesa affrescate e affrescabili, statue e l’iconostasi poi distrutta nel tempo.

Si può obiettare poi che sarebbe anomalo un Cristo senza aureola, ma questa è l’anomalia che connota tutto il mosaico, nessun personaggio per quanto notoriamente nell’iconografia ha sempre o sovente l’aureola a Otranto nel mosaico è assente, assente in nel profeta Giona, assente in San Disma, assente in Abramo e Isacco, assente nell’angelo che scaccia Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, (assente nell’ipotizzato San Marco), assente nel profeta Samuele, e assente in San Disma. E su questo di dovrebbe riflettere, quali i motivi, teologici critici o da superficialità inconografica naïf?

Vediamo ora il caso di San Disma importante anche per puntualizzare sull’iconografia della porta/sportello. Per il personaggio con la croce a tau qui di seguito sposo in pieno l’interpretazione che se ne dà nel libro “L’Enigma di Otranto”, ovvero come rappresentazione di San Disma il cosiddetto anche “Buon ladrone”:
Scena della cacciata dal Paradiso do Adamo ed Eva ad opera di un angelo sopra, sotto San Disma con croce a tau e perizoma con a destra della figura del Santo la porta del Paradiso, mosaico pavimentale del XII sec. d.C., navata centrale della Cattedrale di Otranto. Che sia la porta del Paradiso che è elemento ricorrente nell’iconografia di San Disma lo mostra anche la correlazione con la scena superiore della cacciata dal Paradiso secondo il racconto vetero testamentale della “Genesi”, mentre San Disma è figura legata al Nuovo Testamento!

 

Per confronti mostriamo di seguito questo mosaico in stile bizantino che è su una parete interna della Basilica di Santa Maria Assunta, sull’isola di Torcello, nella laguna di Venezia, (basilica i cui mosaici furono realizzati tra la seconda metà dell’XI secolo e la seconda metà del XII sec. d.C.); vi vediamo la porta del Paradiso con gli angeli che la custodiscono e San Pietro con le chiavi della porta. San Disma appare in tutto e per tutto simile all’iconografia seguita a Otranto anche per capigliatura, postura, gestualità, per la mano con cui tiene la croce e dove anche accanto a lui sullo stesso lato si rappresenta la porta del Paradiso; non solo in ambo i casi San Disma è raffigurato senza aureola sul capo. L’iconografia bizantina di San Disma con la porta del Paradiso prossima a lui è legata a passi dei Vangeli come questo qui commentato “Costui pregava che il Signore si ricordasse di lui, quando fosse giunto nel suo Regno, ma il Signore gli rispose: In verità, in verità ti dico, oggi sarai con me nel Paradiso. La vita è stare con Cristo, perché dove c’è Cristo là c’è il Regno” (Sant’Ambrogio, Esposizione del Vangelo secondo Luca, 10,121). 
Mosaico con San Disma nella Basilica di Santa Maria Assunta, sull’isola di Torcello, nella laguna di Venezia. I mosaici furono lì realizzati tra la seconda metà dell’XI secolo e la seconda metà del XII sec. d.C. Dei soggetti raffigurati solo San Disma non ha aureola. Immagine tratta dal link.

 

E’ questa veneziana un’icona musiva molto interessante per l’esegesi del mosaico di Otranto in quanto vi compare anche Abramo che accoglie a sé le anime dei giusti, il concetto del cosiddetto “seno di Abramo“, che troviamo ben rappresentato anche nel mosaico di Otranto nella navata sinistra. Inoltre ad Otranto oltre ad Abramo vi compaiono anche Isacco e Giacobbe, (ad Otranto tutti senza aureola), e ciò ricorda quanto scritto su di una tomba cristiana ad Alessandria (19 marzo 410) e cioè “l’augurio del riposo nel seno di Abramo, Isacco e Giacobbe”.

 

In ultimo torniamo ad alcune considerazioni in merito all’immagine che precede sulla destra l’immagine della Resurrezione nell’abside del mosaico idruntino qui discussa, e cioè l’immagine dei due personaggi sulla barca o emergenti da dietro una porta che danno delle indicazioni ad un uomo. Le due scene sono divise dalla epigrafe “REX NINIVE” riferita ad altra figura lì nei pressi, e da un segno come di archi o onde. Abbiamo per questo letto tale scena in seno al ciclo di Ninive. Ora però siccome uno dei personaggi dietro la porta o sulla barca sembra dare indicazioni con il braccio teso e il dito indice al terzo uomo che potrebbero indirizzare proprio verso la scena della Resurrezione più che verso la Città di Ninive o il Re di Niniva, nell’ipotesi di una composizione assai sgangherata, possiamo avanzare una ulteriore ipotesi interpretativa solo a fini di maggiore completezza. Poiché abbiamo letto ora la scena della Croce Tau come scena di Resurrezione, allora ipotizziamo che la adiacente scena comunemente interpretata come dei barcaioli possa essere invece una rappresentazione assai naïf dell’icona nota come la “Tomba Vuota” ispirata dai Vangeli e correlata proprio alla Resurrezione.

Nel Vangelo secondo Luca tre donne – Maria di Màgdala, Giovanna e Maria di Giacomo (le mirofore dette) – all’alba della domenica si recano al sepolcro, dove trovano il masso già rotolato via, entrano nel sepolcro e lo trovano vuoto, poi compaiono due uomini che annunciano loro la risurrezione di Gesù, citandone le parole riguardo alla crocifissione e risurrezione; le donne vanno a riferire l’episodio agli apostoli, che non credono loro; solo Pietro va a controllare la tomba e torna indietro stupito per aver trovato solo le bende (Luca 24.1-12):

«1 Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino, si recarono alla tomba, portando con sé gli aromi che avevano preparato. 2 Trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro; 3 ma, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. 4 Mentre erano ancora incerte, ecco due uomini apparire vicino a loro in vesti sfolgoranti. 5 Essendosi le donne impaurite e avendo chinato il volto a terra, essi dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? 6 Non è qui, è risuscitato. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea, 7 dicendo che bisognava che il Figlio dell’uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno». 8 Ed esse si ricordarono delle sue parole. 9 E, tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. 10 Erano Maria di Màgdala, Giovanna e Maria di Giacomo. Anche le altre che erano insieme lo raccontarono agli apostoli. 11 Quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e non credettero ad esse. 12 Pietro tuttavia corse al sepolcro e chinatosi vide solo le bende. E tornò a casa pieno di stupore per l’accaduto.»

 

Icona usata per la festa della domenica delle mirofore. Le tre Marie sono al centro con due angeli, mentre in primo piano si vede il Santo Sepolcro con la sindone ed un fazzoletto per il volto.

 

Mirofore alla tomba di Cristo, c. 1235 AD, monastero di Mileševa in Serbia.

 

APPENDICE

Scendendo con la scala interna dalla chiesa superiore della Cattedrale di Otranto alla cripta si incontra sulla sinistra una nicchia con un sepolcro vuoto con croci in rosso. E’ una antica tomba che ha lì oggi la suggestione del “sepolcro vuoto” elemento iconico nelle celebrazioni della Pasqua cristiana.

 

 

In questa foto, che linko dal bel sito di SalentoAColory, vedo anche un macigno circolare, sebbene possa rievocare in piccolo lo sportello della “Santa Grotta” sepolcro del Cristo a Gerusalemme, la studiosa Sabrina Centonze mi fa notare che potrebbe essere una acquasantiera.

Su questa enigmatica tomba riporto quanto mi ha scritto Rita Paiano cultrice dei beni culturali di Otranto: “si ritiene che la tomba sia arcivescovile, svuotata del suo contenuto durante i lavori eseguiti dalla Soprintendenza! L’arcosolio è dipinto, l’Estradosso dell’arco ha decorazioni a rombo e nell’interno della tomba tufacea sono visibili tre croci di colore rosso. (Note tratte da mons. Paolo Ricciardi “Guida della Città di Otranto e dei suoi Dintorni”, Editrice Salentina). La studiosa Marina Castelfranchi “ritiene la tomba un segno del passaggio dei Longobardi ad Otranto, considerandola per tipologia e stilemi decorativi appartenente ad una tradizione occidentale beneventana” ( M. Falla Castelfranchi “L’inedita tomba ad arcosolio presso la Cripta della Cattedrale di Otranto”, in Vetera Christianorum, 21 1984 pp.373-380)”. Ulteriori foto qui.

In uno studio dal titolo “La tomba dipinta con arcosolio nella Cattedrale di Otranto” pubblicato nel 2014 dall’ispettrice della Soprintendenza la dottoressa Serena Strafella si corrobora l’ipotesi di uno stretto legame tra questa tomba e quelle degli Altavilla a Venosa, da qui l’ulteriore ipotesi che la tomba possa essere stata destinata al vescovo Guglielmo legato alla consacrazione in periodo normanno della stessa Cattedrale di Otranto. Aggiunge però oggi l’autrice che da ulteriori successivi approfondimenti potrebbe essere anche di poco successiva al tempo del vescovo Guglielmo. Inoltre Serena Strafella aggiunge che “la tomba fu (invece) rinvenuta svuotata nel secondo dopoguerra, così ricordava don Grazio Gianfreda (della Cattedrale), ormai mancato diversi anni fa”. A memoria di Rita Paiano: “Mons. Paolo Ricciardi (sempre della Cattedrale) afferma che venne svuotata durante i lavori relativi alle scalinate attuali degli anni 50 ad opera della Soprintendenza”.

Queste tombe ad arcosolio sono anche tipiche delle catacombe di Napoli, Roma, Siracusa ma anche Otranto. L’arco dell’arcosolio è decorato da un affresco a rombi colorati, la studiosa architetto Sabrina Centonze così commenta in merito “direi che è un simil chevron romanico a tratti di gusto bizantineggiante. E’ una tomba ad arcosolio scavata in rupe. Tomba a fossa con lastra litica di copertura (rimossa). Non ho molti elementi per datarla, potrebbe essere medievale o anche tardo medievale. Croci rosse all’interno di questo tipo ne ho viste anche in casse quattrocentesche”.

Per approfondire invece sul fregio dell’arco di ingresso alla cripta dalla chiesa superiore rimando a questo mio post facebook e ai commenti ad esso.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *