Delatore della Natura: NO! Alfiere di Rinaturalizzazione: SÌ!

DELATORE DELLA NATURA: NO! 

ALFIERE DI RINATURALIZZAZIONE: SÌ!

A sinistra Sciurus vulgaris la specie autoctona in Europa nella quale vengono individuate numerose sottospecie (come quelle del centro e sud Italia dal mantello più melanico anziché rossiccio); a destra invece Sciurus carolinensis la specie naturalizzatasi in Europa dall’ ‘800 e proveniente dal NordAmerica, oggetto di massima demonizzazione. La chiamano adesso “sterilizzazione dolce” degli Scoiattoli grigi in Europa, usano vaccini contraccettivi che mettono nelle esche di dolce Nutella … Siamo sicuri che non le mangiano anche gli Scoiattoli autoctoni ed altre specie animali? Cosa succede quando gli Scoiattoli vengono mangiati da un predatore dopo che hanno assunto quelle sostanze chimiche sterilizzanti? Sicuri che le due specie non riescano a convivere in Italia senza estinzioni di una o l’altra e che anche la specie autoctona non favorisca come preda il ritorno/ridiffusione di predatori in Italia?
FERMIAMO QUESTI RAZZISTI VERDI DELLA FALSA ECOLOGIA!

RIFLESSIONI IMPORTANTI

Datene una lettura

Grazie

 
Sul discorso “Attenzione sulla introduzione di alloctone” credo sia un falso problema ingigantito da certa pseudo ecologia contemporanea.
 
E spiego perché.
 
Non sono molto d’accordo a fare un dramma su questo aspetto. Anzi l’esatto contrario. E infatti è l’attacco alle alloctone uno dei cavalli di battaglia del mainstream falso-green, lo stesso per intenderci dei dogmi di Greta (che nasconde come il cambiamento climatico ciclico sia un fenomeno naturale) e che mira oggi a distruggerci il Canale d’Otranto con il mega eolico, della fantomatica Xylella con cui eradicare i vecchi Ulivi, anziché favorire la ricrescita dei loro verdi polloni, e sostituirli con varietà brevettate detta resistenti, e del Covid (su questo stendo un velo pietoso).
 
È praticamente dal paleolitico (con semi attaccati alle pelli degli uomini che si spostavano in cerca di cacciagione) e tanto più dal neolitico con la diffusione dell’agricoltura e allevamento che l’uomo sposta esseri viventi.
 
Tutto l’attuale ecosistema del Mediterraneo è un grande equilibrio dinamico tra specie autoctone, a loro volta influenzate dai grandi cambiamenti climatici naturali ad esempio le grandi glaciazioni, e specie inizialmente non autoctone introdotte continuamente dall’uomo.
Nonché specie che si spostano con altri vettori naturali diversi da quello umano, sempre ricordando che anche l’uomo è comunque parte della natura.
 
Questo a ben guardare non ha ridotto catastroficamente la biodiversità autoctona ma ha grandemente incrementato la complessiva biodiversità.
 
Anche perché bisogna ricordare che l’attuale biodiversità autoctona europea è stata fortemente compromessa dal fenomeno naturale delle grandi glaciazioni del Quaternario, Ie quali portarono alla scomparsa di tantissimi generi e specie presenti in Europa nel precedente Terziario ad esempio, che per fortuna trovarono rifugio in aree asiatiche e in altri continenti che presentavano aree dove i ghiacci non potevano imperversare. Qualcosa trovò rifugio anche nel nostro sud Europa, e ciò ci fa capire il perché abbiamo una biodiversità autoctona in parte maggiore di quella del nord Europa.
 
E il ghiaccio è per la biodiversità un grande caterpillar distruttore, fatta eccezione per pochissime specie come ad esempio dei batteri estremofili. Pensate ad esempio alla biodiversità oggi in Antartide, è quasi nulla rispetto a quella fossile che quel continente mostra nelle sue rocce e che prosperava quando esso si trovava posizionato per la deriva dei continenti in un’area non prettamente polare come oggi.
 
In questo momento geologico in cui il clima è tornato più mite in Italia, l’uomo ha contribuito addirittura al ritorno persino di generi che erano scomparsi ma già attestati fossili nella nostra paleoflora. Quindi è sempre davvero solo introduzione di alloctone o reintroduzione talvolta?! Beh guardando con gli occhi della geologia e dell’evoluzionismo potremmo proprio parlare di ritorni! Punti di vista naturalistici.
 
Se si guarda tutta l’agricoltura che si pratica nelle nostre regioni italiane essa è praticamente, fatta qualche eccezione, tutta fondata su specie piante o loro cultivar esotiche alloctone.
 
Se si guarda un vivaio con la lente del razzismo verde contro le piante alloctone
allora altro che meraviglia, si dovrebbe restare atterriti, e considerarlo inquinamento da cancellare con bombe atomiche.
Idem tutti i nostri giardini gentilizi.
Idem contro tutte le corti con i vasi da piante della nonna.
Idem contro tutti gli allevamenti anche più bucolici. Idem contri gli zoo-bioparchi e orti botanici che hanno invece grandissima importanza conservazionista.
Questo approccio ovviamente non mi piace.
Lo rigetto alla radice!
 
Ecco anche perché affermo l’importanza invece di un approccio ecologista inclusivo, sottolineo INCLUSIVO!!!
Invece coloro che oggi politicamente si riempiono la bocca di questa parola, “inclusività” in campo umanitario nel politically-correct mainstream, sono invece i principali professionisti del biocidio del razzismo verde falso ecologista.
 
Per questo ho risposto culturalmente a queste derive che chiamo di “razzismo/purismo verde” con alcuni articoli provocatori, e non, che ho scritto qualche anno fa.
Ve li condivido.
Miriadi di specie alloctone sono già presenti intorno a noi, fin entro le nostre dimore con le cosiddette piante di appartamento.
 
Alcune anche se guadagnano la libertà non ce la fanno a diffondersi.
Altre invece riescono, sono i “conquistatori della natura”, un po’ assomigliano alla nostra specie, in certi ambienti adatti possono mostrare delle crescite esplosive, apparentemente distruttive di ciò che è già presente lì, ma dopo un po’ la loro popolazione cala ed esse entrano in equilibrio con il resto.
Si scopre poi che alcune di queste specie sono anche ben eduli e possono essere consumate dall’uomo che quindi può contribuire ancora di più all’equilibrio in maniera ecosostenibile senza estinguere nulla.
Penso al Gambero rosso della Louisiana, penso alla Nutria, penso al Granchio blu che troviamo oggi agli Alimini.
Alcune di queste specie che ce la fanno, come per esempio in Italia il Kudzu, l’Ailanto, il Fior di loto d’acqua sacro, scopriamo che hanno dei parenti prossimi fossili che vivevano in Europa nel Terziario, prima delle grandi glaciazioni del Quaternario, quando il clima era più caldo e un po’ quel paleoclima lo richiama il clima attuale del nostro interglaciale nel quale viviamo, più mite non per l’inquinamento come dice Greta ma proprio per il momento quaternario (olocenico antropocenico) nel quale ci troviamo.
Fior di Loto sacro d’acqua asiatico (Nelumbo nucifera).
 
Siamo nell’antropocene come è stato chiamato questo periodo geologico tanto connotato dalla presenza dell’uomo, e questa è la nostra biodiversità mista da apprezzare nel complesso, tanto più perché siamo in Europa, nel continente euroasiatico, e non certo in Australia, un’isola, dove invece il grosso fenomeno di introduzione di specie alloctone da parte degli occidentali è iniziato da pochi secoli, anche se già gli aborigeni non giunsero lì portando nulla. Vedi ad esempio il Dingo, Cane inselvatichito oggi in Australia.
Rispettiamo per fortuna il Dingo in Australia, lo si considera ormai autoctono, ma approcci fondamentalisti di razzismo verde potrebbero persino giungere a chiedere la sua eliminazione in nome della salvaguardia di una sempre più eterea purezza della biodiversità iperautoctona australiana. Sono derive pericolose. Ideologia e scientismo, non naturalismo e scienza!
 
Ad esempio il Muflone presente oggi in Europa e nella stessa nostra Italia parrebbe frutto di un antico rinselvatichimento della Pecora domestica e sue successive introduzioni favorite dall’uomo anche a scopo venatorio.
Il Muflone ergo ci racconta una storia neolitica e della possibilità di passaggio delle specie non solo dallo stato selvatico a quello domestico ma anche viceversa, ciò che fa la principale differenza tra le due e la loro nicchia ecologica selvatica o più strettamente sinantropica.
Il muflone (Ovis musimon).
Muflone da valorizzare e proteggere, pertanto nella sua presenza e fertilità.
Così dovrebbe essere anche per i nostri Gatti e Cani domestici che vivono in sinantropia intorno ai nostri borghi, con la loro accumulata grande variabilità genetica nel corso del tempo, ma si sta diffondendo anche contro di essi un mal celato odio biofobo che si declina con la loro sterilizzazione a tappeto estinguente persino con folli scuse mediche e falso caritatevoli. Ad esempio nel pericolosissimo atroce psicopatologico motto del falso animalismo da stregoneria nera: “se più non nasceranno animali, essi non soffriranno più, ergo vanno estinti con la sterilizzazione a tappeto in forme cruelty-free!”.
E così invece il razzismo verde della falsa ecologia vuole cancellare/sterilizzare a tappeto il Muflone dall’Italia, dalle sue isole, eccetto al momento solo la Sardegna.
Vai invece in Corsica e scopri il grande rispetto che li ancora si ha per il Muflone.
Ideologie striscianti pertanto di falsa ecologia che vengono inoculate nelle nazioni dopo aver preso le accademie e i centri del potere
Ovviamente mi oppongo.
Questa falsa ecologia oggi Italia al potere vuole cancellare persino il Daino che invece è già fossile nel nostro Salento dove viveva nel pleistocene. Vedi i fossili trovati a San Sidero nell’hinterland di Maglie. La scusa? Ti dicono: “Ok era autoctono nel pleistocene, poi però si è estinto, (forse a causa della caccia da parte dell’uomo), e solo dopo è stato reintrodotto dall’uomo, quindi oggi è da considerare alloctono”! Capite che sono discorsi folli solo per sterminare ciò che di poco e relitto abbiamo?!
Questa falsa ecologia arriva oggi a denigrare persino le Capre selvatiche inselvatichite dell’Arcipelago toscano per la protezione delle quali invece era stato istituito negli anni passati di ben altra cultura naturalistica proprio il Parco naturale dell’Arcipelago toscano.
Una falsa ecologia che attua la derattizzazione con prodotti chimici, che oltre ad avvelenare i predatori elimina anche i roditori importantissimi per la catena alimentare.
Quella stessa falsa ecologia che oggi vuole estinguere le zanzare importantissime anch’esse di per sé è nella catena alimentare, pensiamo ad esempio al cibo per le rondini.
Ora con scuse sanitarie (Anofele portatrice della malaria), ora con scuse di razzismo verde (alloctona Zanzara tigre).
In febbraio la demonizzazione delle autoctone Processionarie del Pino per speculare nel loro biocidio in quanto diventano evidenti i loro setosi “nidi” sui rami, esagerando oltre ogni misura con tanto terrorismo mediatico la pericolosità dei loro peli urticanti e sottraendo così ad uccelli insettivori come le Upupe i succulenti bruchi di cui si nutrono, per poi passare alla demonizzazione degli stessi poveri Pini con ogni scusa anche persino definendo maldestramente alloctoni i Pini mediterranei nel Mediterraneo, danneggiatori di strade, a rischio caduta, invasivi perché capaci di creare da soli intere Pineta, “ergo da eradicare e non ripiantare mai più!”, ma come invece di gioire per questa loro generosità ed esuberanza verde … La riforestazione a costo quasi zero non porta speculazione! E ci ritroviamo con lo stesso bosco definito come “invasivo” da combattere da parte degli stessi falsi ecologisti che tanto gridano alla demonizzazione della CO2, e sono voraci di legna (biomassa) da bruciare per produrre energia che chiamano verde!
Pini che in un primo momento si potrebbe pensare volevano difendere dai loro parassiti, dalle povere Processionarie del pino che sebbene parassiti con i Pini del Mediterraneo convivono senza estinzioni da millenni e millenni in un buon rapporto predatore (parassita)/preda.
Vogliono fare la lotta all’arrivo del coleottero Punteruolo rosso delle palme, gettando tanti pesticidi, e intanto demonizzano le Palme ad esempio le Palme delle Canarie in quanto alloctone, in quanto sottrarrebbero spazio alle autoctone. Anche il Punteruolo rosso è esotico, perché non vedere la ricreazione di un equilibrio nel suo arrivo? E perché non osservare che i suoi bruchi sono commestibili e vengono mangiati nei paesi di origine e possono pertanto essere una leccornia alimentare anche da noi?!
E ancora da parte dei professionisti del biocidio della Falsa ecologia l’attacco all’esotico Giacinto d’acqua amato in Europa dagli appassionati di laghetti e giardinaggio,
l’attacco all’Ibis sacro, suggestivo uccello legato alla religione egizia, e oggi piacevolmente in diffusione in Italia, attacco al Procione e al Cane Procione, persino il tentativo di attacco a mammiferi autoctoni europei come la Genetta e lo Sciacallo dorato felicemente in diffusione anche spontanea verso e in Italia negli ultimi anni. Attacco alle esotiche Agavi e Fico d’India che tanto ormai connotano il paesaggio mediterraneo. Oltre 3000 specie da tutti i regni del vivente messe follemente all’indice in Europa come specie aliene, o varietà dette impure, o comunque specie/sottospecie dette dannose da cancellare nei progetti biocido-speculativi dei professionisti del biocidio desertificatori artificiali sceriffi verdi del nulla.
 
Falsa ecologia che vuole eliminare nei parchi naturali l’allevamento ad esempio delle nostre caratteristiche Mucche podoliche pugliesi, le considera inquinamento nella sua pazzia ignorante, senza rendersi conto che in esse sopravvive ancora geneticamente l’antico Uro pleistocenico (oggi fossile in Salento) grazie alla civiltà contadina bucolica. Senza rendersi conto dell’ecosistema entomologico legato alle deiezioni di questi bovini.
Mucche della bella e pregiatissima razza Podalica Pugliese, allevata nei secoli passati, con numerose mandrie, nel cuore del Salento, e diretta discendente dall’Uro. Una sua eco vivente.
Numerose ossa fossili trovate nel feudo di Maglie testimoniano la presenza dell’Uro nelle aree del Bosco Belvedere già in epoca paleolitica. Un graffito rupestre paleolitico sulle pareti di Grotta Romanelli a Castro raffigura, parrebbe, proprio un Uro.
Idem se pensiamo al Cavallo murgese e all’Asino di Martina Franca, e pensiamo che nel pleistocene vivevano in Salento Cavalli selvaggi e Asini selvaggi.
Cavallo Murgese, orgoglio di Puglia.
Quindi capite quanta miopia c’è nei professionisti del biocidio della falsa ecologia che vogliono cancellare l’allevamento plurimillenario dai parchi naturali!?
Sono quelli che cercano di presentare come inquinamento la deiezione di un Cane domestico in un parco naturale, o un Pastore maremmano abruzzese che se ne va in giro vagando intorno alla sua masseria integro fertile e che “rischierebbe” secondo loro di inquinare i Lupi incrociandosi con una Lupa. La specie è la stessa, quando anche avvenisse questo incrocio, (parlano di “ibridi” che essi vogliono subito sterilizzare per purismo verde), la selezione naturale riporterà nel tempo verso le caratteristiche del Lupo cancellando quelle del Cane che invece compaiono nella nicchia ecologica della domesticazione-allevamento. Ma ormai persino Darwin non viene più studiato con saggezza!
Pastore maremmano-abruzzese con ”vreccale” al collo anti-morsi del Lupo.
E così questi propongono di sterilizzare i Cani pastore, estinguerli praticamente, anziché favorire i Cani pastore per un miglior equilibrio tra contadini e Lupi. E poi voglio vedere un Cane pastore sterilizzato trasformato così in uno spento devitalizzato castrato cappone di cane obeso, (perché la sterilizzazione porta all’obesità generalmente, ci insegna ciò la zootecnia antica), come difende davvero un gregge dai Lupi …
Un fondamentalismo distruttivo che non ha più nulla di naturalistico!
Che domina gli enti parco che da luoghi di protezione della natura divengono così delle iatture per la complessiva nostra biodiversità naturale-culturale antropocentrica!
Vogliono eliminare persino i Pavoni in Italia in quei borghi nei quali essi a partire dagli allevamenti si sono naturalizzati!
Che volgari atrocità biocide!
 
Dovremmo invece impegnarci a diffondere di più i Mufloni in Italia e i Daini anche nel nostro Salento, sfruttandoli ecosostenibilmente prelevando gli esemplari in soprannumero senza mai estinguerli. Anzi. Dando più prede potenziali ai Lupi in tal modo perché possano stare più distanti dagli animali domestici.
Idem per Cervi e Caprioli.
Pensateci quando percorrete le aree dei Paduli nel cuore del basso Salento guardando tutti quei terreni che producono tanta vegetazione che più nessun animale bruca … Neppure di allevamenti a pascolo brado, che spreco!
Cinghiali (Sus scrofa).
Scrofa con cucciolata.
Ma oggi addirittura si presentano come se fossero animali alieni i Cinghiali finalmente tornati grazie ai cacciatori sembra e ai loro lanci di ripopolamento clandestino; vogliono estinguerli perché dicono che non sono puri, sono incrociati con i Maiali che alla fine altro non sono che Cinghiali domestici; invece quando non presentano caratteristiche di incrocio con il Maiale, caratteristiche che comunque sotto la pressione selettiva del Lupo potrebbero scomparire anche presto, ti dicono che sono incrociati con Cinghiali della stessa specie ma provenienti da altre zone d’Europa. Capite a che livelli arriva il razzismo/purismo verde!?
E non li sentirete mai dire, per ora almeno, “togliamo alcuni esemplari dei Cinghiali oggi presenti e mettiamo esemplari presi da quei gruppi di Cinghiali che magari giudichiamo più autoctoni”, per un miglioramento del “sangue”, eh no, loro sono solo capaci di estinguere. Il biocidio è la loro vera misura!
Il ripopolamento e la reintroduzione che devono essere i cardini di un approccio ecologista naturalista sono invece avulsi alla loro ideologia claudicante illogica snaturata e pericolosa! Da desertificazione artificiale! E cosa stanno proponendo ora?
La sterilizzazione chimica per i Cinghiali! Persino con scuse sanitarie con cui si cerca di demonizzare i Cinghiali e altre specie!
Conosciamo ormai le loro scuse sanitarie …
E i vaccini sterilizzanti potrebbero finire nella catena alimentare e danneggiare i Lupi, e anche sulle nostre tavole!
Non si rendono conto che quando esultano per il ritorno del Lupo in Salento in questi ultimi anni, ed io esulto con loro, ciò si deve al ritorno del Cinghiale la sua preda d’elezione, sia esso cinghiale maialato o meno.
Non puoi dire no al Cinghiale e sì al Lupo, funziona così la natura! Devi gradire preda e predatore se davvero non vuoi squilibri e un ritorno di una natura più ricca e più selvaggia!
 
Dobbiamo preoccuparci soprattutto invece secondo me di chiedere politiche di introduzione e reintroduzione di specie autoctone italiane che è un’anomalia siano oggi assenti in Salento e questo non certamente a causa dell’Orzo giunto dall’Anatolia nel neolitico, o del Mais e delle Patate giunte dopo la scoperta dell’America del 1492, ma a causa della gestione del territorio e delle specie autoctone da parte dell’uomo animato da foghe distruttive disboscanti cementificanti o di caccia senza misura di ecosostenibilità nel prelievo.
 
Nella prossima escursione che farete nei Paduli nelle aree dell’antica Foresta Belvedere nel cuore del basso Salento ricordatevi che lì nell’Ottocento viveva ancora il Carpino bianco,
l’Elleboro fetido,
il Corniolo, la Marruca spina di Cristo (che oggi ancora vegeta nelle gravine murgiane e in Lucania), il Sambuco nero, la Dragontea, ecc.,
negli ambienti umidi salentini la Ninfea bianca, la Castagna d’acqua, la Lontra; il Luppolo selvatico lungo gli argini dei canali in Terra d’Otranto:

Il botanico Marinosci segnalava anche in Terra d’Otranto la Frangola “Rhamnus frangula o Putine [suo nome comune] (…) nei siti umidi presso Otranto”,

la grande Felce florida Osmunda regalis, sempre dal testo ottocentesco “Flora Salentina” del botanico e medico Martino Marinosci: “Osmunda regalis”: (…) ne’ siti acquosi, presso Otranto e altrove.”

ecc.

Cresceva anche nel Salento la Colutea arborea (che oggi vediamo vegetare in Lucania) e la Fusaggine Euonymus europaeus (annoverata tra la flora salentina dal Marinosci e che ancora ritroviamo sulle Murge). Nota: vedi questo articolo per approfondimenti.

Tutto ciò oggi scomparso, ma troverete invece qualche Bambù dorato.
 
Mica è stato il Bambù dorato esotico naturalizzatosi lungo i rivi a far sparire il Carpino bianco, o la Dragontea o la Castagna d’acqua?!
No, è stato invece il disboscamento intenso da parte dell’uomo!
Volto a far carbone (“craune” in vernacolo salentino) per ferrovie e industrie di quella che era per capirci la primigenia potremmo dire Foresta Umbra del Salento, poiché assai simile all’attuale Foresta Umbra del Gargano! La “Silva”, la selva, toponimo lì oggi ancora in parte diffuso.
 
Quindi quale è la priorità oggi?
Distruggere il povero Bambù dorato o qualche Eucalipto australiano che danno un po’ di dignità verde al luogo, come vorrebbe facessimo la Falsa ecologia finanziando persino il disseccante glifosato ai professionisti del biocidio e la benzina agricola per i mezzi meccanici di eradicazione (è successo ciò vergognosamente tempo fa nel Parco dell’Alta Murgia contro il povero Ailanto in Puglia) o impegnarsi per reintrodurre dalle aree più vicine dove ancora vivono quelle piante oggi appenniniche e oggi scomparse nel cuore del basso Salento?
 
Inoltre quelle piante ci indicano che tipo di complessivo ecosistema vi era nel cuore del basso Salento, facendo un confronto con aree appenniniche, e per cui la ricostruzione deve spingersi ancora oltre, reintroducendo magari altre specie che vivono in altre zone più integre del sud Italia insieme al Carpino bianco e al Castagno che nel cuore del basso Salento per fortuna ancora sopravvive con rari esemplari da ripropagare sempre più.
Ricordiamo ad esempio che i botanici dell’Ottocento ci hanno documentato ciò che ancora viveva nel Bosco Belvedere, ma chiaramente si trattava di una foresta che l’uomo ha aggredito nel corso dei secoli e la cui biodiversità è pertanto diminuita secolo dopo secolo.
Quindi gli indizi e i confronti con altri ecosistemi più integri e prossimi appenninici, murgiani e garganici indicano tutto ciò che si può introdurre per una ricostruzione differenziale a seconda delle caratteristiche idrogeologiche, pedologiche e orografiche zona per zona del nostro Salento, senza nulla togliere di ciò che è già presente ma aggiungendo!
Oggi invece questo razzismo e purismo verde fossilizzante e desertificante depauperante definirebbe opera inquinante queste introduzione/reintroduzioni!
Ci vogliono anche dipingere un Salento monotono, invece le escursioni facciamo il territorio salentino ci mostrano come basta un piccolo avvallamento, una cava, un ruscelletto per ospitare tanta diversa biodiversità.
E questo indica le grandi potenzialità complessive del territorio.
Ci mancano poi oggi nel Salento gli alleati del rimboschimento: pensiamo alle Ghiandaie che vivono già nel barese, pensiamo agli Scoiattoli italici che vivono già nel Molise.
Sono animali che nascondono i semi per fare provviste nella terra, e tanti di questi semi germogliano e riforestano.
Un’associazione propose anni fa di introdurre gli Scoiattoli italici in un bosco di Ruffano, l’ “”Oscu degli Occhiazzi” sulla Serra, la collina del paese, e anziché sentirsi consigliare la specie e la varietà da introdurre, la specie/varietà che in Calabria, in Campania, in Molise e Abruzzo vive persino nelle pinete costiere identiche alle nostre pinete costiere salentine, (la varietà melanica, cioè a mantello scuro, del sud e centro Italia dello Sciurus vulgaris, o magari quella varietà rossiccia del nord Italia della medesima specie), si è vista aggredire da un categorico No da parte delle istituzioni preposte alla fauna!
E così quando poi dovessero giungere specie invece alloctone di Scoiattolo, (come lo Scoiattolo grigio nordamericano in diffusione in Europa a partire dall’ 800), che scappano da qualche allevamento, esse troveranno nessun altra specie di Scoiattolo già presente …
E quelle stesse istituzioni che hanno detto no alla introduzione degli Scoiattoli italici vedrete che si mobiliteranno allora per la cattura/biocidio speculativo/sterilizzazione degli Scoiattoli alloctoni, i quali però diffondendosi dimostreranno che l’habitat era adatto agli Scoiattoli, dimostreranno che c’era una nicchia ecologica vuota per loro!
Dobbiamo reintrodurre nei prati rocciosi del Salento poi la Gallina prataiola e la Grande otarda, dobbiamo reintrodurre il Coniglio selvatico che come preda permetterà il ritorno delle Linci (il “Lupo-cerviero” come chiamata nelle fonti letterarie dei secoli passati per il Salento oltre che Linci attestate in loco dalla paleontologia per il pleistocene e olocene, paleontologia che attesta la presenza del Coniglio selvatico anche tra le faune pleistoceniche del Salento), ecc … leggete negli articoli linkati per ulteriori dati.
 
RIFLESSIONI PER RIFLESSIONI
Vogliono trasformarci in attori di distruzione, in delatori di specie alloctone o dette dannose da cancellare, demonizzate con ogni scusa; io non ci sto e non faccio il delatore della Natura.
Semmai voglio essere alfiere di rinaturalizzazione!
Anche solo con questi contributi di riflessione culturale naturalistica.
 
Domanda: come combattere una pianta detta infestante?
Risposta: piantandole accanto un’altra pianta infestante!
Morale: essere “infestante” per un essere vivente è condizione essenziale contro la sua estinzione.
È lo scontro tra esigenze di infestazione da parte delle specie viventi che crea la festosità di una natura variegata!
Per cui mi piace chiamarle specie festose anziché infestanti come invece tentano di farcele chiamare i professionisti del biocidio speculatori!
Viene chiamata specie infestante, pensate un po’, la soave Anemone coronaria e l’affascinante Tulipano rosso selvatico nei nostri campi arati del basso Salento, Tulipani poi resi sempre più rari dai pesticidi tanto cari nelle prescrizioni degli agronomi agronemici!
Ultimamente vi sono guide ambientali escursioniste (parlo in generale poi ovviamente ci sono gli operatori saggi) stanno divenendo veicolo dei dogmi della falsa ecologia purtroppo.
Vanno veicolando ad esempio la teoria del Global warming antropico di Greta assorbita acriticamente.
E addirittura fanno opera di demonizzazione delle specie esotiche naturalizzate nel nostro territorio anche ormai da secoli. Razzismo verde.
Non tutti naturalmente si spera.

Quando incontrate alcune di queste lagnose guide di mainstream fatevi restituire il biglietto spiegando perché, perché voi amate la Natura in tutte le sue forme, e andate via!

Vediamo qui di seguito la locandina per un evento svoltosi nel 2022 che voleva portare il turista alla scoperta delle specie dette “aliene” cioè alloctone esotiche in un parco naturale italiano, non è importante dare ulteriori dati, ma lo prendiamo ad exemplum per eventi simili.
Guide ”ambientali” a ”caccia” di specie ”aliene”, locandina evento.

 

Di per sé sarebbe una bella cosa un evento simile se ispirato dalla curiosità naturalistica di conoscere le varie specie e la loro storia, origine, capacità di adattamento, inserimento nell’ecosistema magari con occupazione di una nicchia ecologica in parte vuota, conflitti preda/predatore, opportunità conseguenti per alcune specie o meno, anche per l’uomo magari se se ne può nutrire, ecc., ma di questi tempi abbiamo il timore che siano eventi animati più dall’ideologia speculativa del razzismo verde. Specie che allietano comunque il nostro paesaggio con la loro presenza e sono ricchezza di biodiversità e per tutta la catena alimentare, come il Gambero rosso della Louisiana anche commestibile per l’uomo qui nella foto da loro scelta, vengono presentate come “aliene” da “cacciare” via, sterminare, eradicare?! Passeggiata all’aria aperta quella della locandina exemplum con vincolo di Green pass obbligatorio che la dice lunga sull’approccio scientista di fondo assai poco scientifico-naturalisto e saggio dell’evento … stendiamoci un velo pietoso.

APPENDICE

IL CASO DELL’ASFODELO GIALLO:
premettendo che oggi vive a Nord del Salento, nell’area barese già si ritrova, è giusto o no introdurlo anche nel basso Salento?
La discussione parte dopo che alcuni amici hanno pubblicizzato sui social con una foto della sua fioritura l’ottima riuscita della piantumazione di un esemplare di Asfodelo giallo regalato loro da una amica della provincia di Bari e messo a dimora in un loro ricchissimo giardino botanico tra la Valle della Cupa e Arneo in Salento.
Questi i miei commenti in apologia e festeggiamento dell’evento e del loro intento di diffiondere i semi ad altri amici salentini per una maggiore propagazione di questa pianta anche assai edule, e con una tradizione gastronomica mediterranea assodata, anche nel basso Salento dove oggi la specie è assente, a differenza invece di altre specie di asfodelo:
Ma si piantano da noi gli Eucalipti che vengono dall’Australia e poi non invece un Asfodelo giallo che viene da Bari, e si vorrebbe dire no a questa sua antropicamente veicolata diffusione?!
Inoltre pare sia questa una specie di asfodelo assai commestibile, e viene oggi da Bari, la Patata commestibile piantata nei nostri orti viene invece dall’America. Non solo, com’era anche ipotizzabile dato che oggi la specie vive nel barese, (mi pare di aver capito per la provenienza del primo esemplare di Asfodelo giallo piantato tra Valle delle Cupa ed Arneo), il botanico ottocentesco Martino Marinosci annovera l’Asfodelo giallo (latino “luteus“) nella sua opera sulla “Flora salentina”, possiamo dire più estesamente la Flora di Terra d’Otranto! Il Marinosci lo chiama anche “scettro di re” e ci conferma che se ne mangiano le cime dell’Asfodelo giallo. Lo vedeva nei boschi, così scrisse.
E se oggi abbiamo perso tanti boschi per il disboscamento … Io sinceramente apprezzo la sua diffusione, la apprezzo assai.
Allo stesso modo il botanico inglese Henry Groves nella sua “Flora della costa meridionale della Terra d’Otranto” (edita nel 1887), qui splendidamente consultabile, descrive osservato da lui spontaneo a Gallipoli proprio l’Asfodelo giallo (Asphodeline lutea o sinonimo Asphodelus luteus).
Ergo quella di cui qui discutiamo si deve considerare persino nulla più che una reintroduzione nel basso Salento della specie a distanza di poco più di un secolo o forse meno dalla sua scomparsa, (sempre che non se ne ritrovino persino popolazioni relitte sfuggite all’occhio attento dei contemporanei), ad opera oggi di virtuosi cittadini gratuitamente a compensare le lacune istituzionali verso grandi opere di attenta rinaturalizzazione arricchente la biodiversità!
Bravi! Trattasi di una virtuosa reintroduzione!
La studiosa locale Lina Monte osserva “In qualche post leggevo dell’uso edùle che se ne fa in Basilicata, in Sicilia … Forse questo ne ha causato la scomparsa nel basso Salentio?”.
RINATURALIZZAZIONE  
Non possiamo diventare paradossali difensori dell’attuale povertà di biodiversità semplicemente per conservare senza ampliarli gli attuali confini corografici dei “bunker” areali nei quali le specie hanno trovato rifugio, un po’ qua un po’ là, di fronte all’avanzata devastante dell’uomo.
Ben vengano gli studi corologici degli areali attuali naturali di diffusione delle specie naturali o naturalizzate che siano, ma ciò non deve portarci a fossilizzare il tutto contro la rinaturalizzazione di un ambiente, quale è il nostro, tanto antropizzato, anzi; tali studi devono servire da un lato per la salvaguardiua in situ, al più affinché l’eventuale sfruttamento sia fatto in forme e con acorgimenti ecosostenibili, cioè mai estinguenti, dall’altro per fornire indicazioni su dove andare a recuperare specie altrove mancanti o rarefatte, con prelievi minimali di semi, talee, e altro materiale utile alla ripropagazione.
Per fortuna abbiamo poi anche la guida di importanti botanici del passato e anche la paleobotanica che ci portano verso una visione più saggia e inclusiva rispetto a una fossilizzate che guarda solo alla biopovertà di autoctone oggi e non ci fai estendere il respiro verso quella che era la grande ricchezza di autoctone di ieri!
Siamo stati noi capaci di danneggiare le autoctone nel corso dei secoli, dobbiamo essere noi e le nostre istituzioni a favorirne il ritorno, (senza assolutamente eliminare le alloctone che sono state introdotte! No al razzismo verde!), nei vari microambienti potenziali forniti dalle caratteristiche differenziali idrografiche e geologiche nonché orografiche del territorio naturale ma anche antropizzato, pensiamo ad esempio alle cave, ai margini stradali, aree cementificate, ecc. tutti potenziali habitat per opportune specie!
L’Asfodelo giallo, qui preso ad exemplum per questi discorsi, è una specie autoctona pugliese persino, presente in tutte le regioni del sud Italia!!!
La sua totale mancanza sino ad oggi nel Salento della provincia di Lecce era una anomalia conseguenza della antropizzazione ergo! Così idem come per tante specie cancellate nel Salento dal disboscamento selvaggio penso per esempio al Carpino bianco che nell’Ottocento il botanico Martino Marinosci vedeva crescere nel cuore del basso Salento nella Foresta Belvedere!
MA ANCHE LE AUTOCTONE SONO INVASIVE
Stupendi rivi dei Paduli!
Cuore del basso Salento.
Che meraviglia!
Pensate era magnifico così anche il fiume Idro a Otranto.
La cementificazione dei canali è un obbrobrio da stigmatizzare chiedendo decementificazioni.
La cementificazione di un canale,
e pensate cosa singolare alcune contrade di rivi nei Paduli nel cuore del basso Salento sono chiamate “Paradisi”, canali spesso chiamati “rio”, forse da rivo o forse dal verbo greco scorrere,
fa diventare i luoghi all’aspetto da paradisi a fogne.
Ma si può ovviamente invertire tale decadenza!
È un intrico di piante “invasive”, Pioppi neri, Canne domestriche (Arundo donax), Edera (Hedera helix), ecc.!
Dove sta il problema delle piante invasive tanto caro ai falsi ecologisti?!
Sono piante autoctone ma se tra quelle ci fossero state piante alloctone dove sarebbe stato il problema?
Nessun problema!
La pianta acquatica che invade il ruscello qui è autoctona e si chiama Callitriche brutia,
ma se fosse stata per esempio in estate la pianta esotica del Giacinto d’acqua tanto bello e amato dai pollice verde quanto odiato dai razzisti verdi dove sarebbe stato il problema?!
Non ci sarebbe stato nessun problema!
Ma questi falsi esagerati “problemi” vengono creati mediaticamente per speculare demonizzando mistificando strumentalizzando e facendo ecoterrorismo con i biocidi eradicanti specie e varietà.
Precisazione: qui sto facendo un confronto tra la pianta autoctona che vedete tappezzare la superficie del rivo in foto e la pianta invece di cui parlo nel mio post linkato alla voce Giacinto d’acqua che è invece un’altra pianta sempre acquatica sempre tappezzante il pelo dell’acqua potenzialmente.
La pianta esotica di cui parlo è il Giacinto d’acqua ci cui per ora in Salento ho visto solo una foto di esemplari naturalizzati scattata al fiumiciattolo Idro di Otranto.
Viceversa la pianta che vedete fotografata nei Paduli nel cuore del basso Salento e autoctona appartiene al genere Callitriche.

LA VISIONE DELLA RINASCITA
del Bosco Belvedere:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *