Il “Bestiario” del mosaico medioevale di Otranto: approfondimenti su alcune creature raffigurate (mostri, animali, piante, ecc.)

Il “Bestiario” del mosaico medioevale di Otranto:

approfondimenti su alcune creature raffigurate (mostri, animali, piante, ecc.)

dagli studi di

Oreste Caroppo

Il Dragone.

Seguono le schede sulle varie creature qui analizzate, ma molte altre ne annovera l’enorme mosaico:

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Indice

L’Orice?

Il Gufo reale? 

Il Basilisco (il Camaleonte teratomorfizzato)?

La Foca monaca?

La Capra selvatica egagro?

La Leucrota?

L’antilope Saiga delle steppe?

Il Daino o il Capriolo?

I Dragoni (e serpenti)

Il Coniglio e la Lepre

La Cicogna bianca, i Serpenti e i Ricci

La “Cilona de terra” la testuggine di terra

L’Orso?

L’Elefante e il Topo/Ratto? O uno Scoiattolo?

Il Toro dendroforo

Dromedari e forse anche Cammelli

Il Corvo, la Colomba e l’Ulivo

L’accoppiamento e il parto cruento delle “Vipere” secondo i bestiari

“Il Granchio e il Serpente” e “il Gallo e la Volpe” dalle fiabe di Esopo, i Pavoni e l’Ippocampo 

La “Cucuzza” (zucca bottiglia anche lunga)? 

La Vite coltivata ad alberello leccese?

La Palma da dattero?

Il Fico (Ficus carica) e il suo frutto proibito nell’ Eden?

La Manticora nei bestiari (o sfinge egizia)

La Sfinge greca

La Pistrice/Ketos o il Pesce mostruoso?

Il Cinghiale

I Felidi 

L’Unicorno

Il Grifone mitologico

Lo Struzzo

La Cavalletta/Locusta mostruosa gigante?

 

APPENDICI

L’Aquila nel mosaico della Cattedrale di Brindisi

Il Pollo sultano nei mosaici di Casaranello a Casarano

I Funghi rappresentati nella tela di Sant’Antonio Abate a Zollino e forse anche nel mosaico della Chiesa di Casaranello a Casarano

Il Bottone di mare nei mosaici di Aquileia nel nord Adriatico?

La Tartaruga di mare in un dipinto a Gallipoli

La razza del Cane Cirneco nel mosaico della Cattedrale di Brindisi?

L’Asino nel mosaico della Cattedrale di Brindisi?

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Cattedrale di Otranto, immagine tratta dal link.
Come immagine guida del mosaico pavimentale medioevale (realizzato fra il 1163 e il 1165) della Cattedrale di Otranto guardate anche qui:

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L’Orice?

Nel corso del tempo alcune epigrafi pur conservando tutte le lettere hanno subito delle storpiature tra danneggiamenti e restauri poco oculati che ne hanno alterato la lettura, vediamo il caso di questo tondo con effige di un animale:
Orice raffigurato in un tondo nel mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto, zona del presbiterio, con stella a sei punte. L’Orice che nel tempo divenne “Gris”?
Si trova dal mosaico del pavimento del presbiterio. Appena si vede l’animale ad un esperto naturalista non sfuggirà l’ipotesi che si possa trattare di un’antilope orice. Il nome del genere in latino corrisponde esattamente al nome in greco: Oryx. Dal testo “L’Enigma di Otranto” leggiamo che questo animale è descritto con il nome Oryx già nell’opera “Cynegetica” (trattato sulla caccia) dell’autore greco Oppiano di Apamea (II-III sec.d.C.). L’ “Oryx” ricordato da Oppiano dovrebbe identificarsi secondo alcuni studiosi con l’Oryxleucoryx, figurato su monumenti egizi (“Grazie a una riproduzione dei colori fedelmente completata da esploratore francese Frédéric Cailliaud nei primi anni del XIX ° secolo, siamo in grado di visualizzare un tebano risalente pittura manca dal regno di Amenofi II (sotto il Nuovo Impero). Raffigura una scena di caccia nel deserto e un orice la cui morfologia e, soprattutto, la cui colorazione del mantello coincide ovviamente con quelle dell’orice arabo. Di conseguenza, avanziamo l’ipotesi della possibile presenza dell’orice arabo nel deserto orientale dell’Egitto in epoca faraonica.“).
ORYX che diventa forse ORIS nella originaria epigrafe sul mosaico, ma poi storpiato ad oggi in un indecodificabile GRIS.
Pantaleone dei collari a volte solo decorativi li fa comparire sugli animali raffigurati nel mosaico idruntino, e il caso dell’antilope in oggetto. Qui in questo articolo, forse per un progetto di reintroduzione, vediamo degli Orici d’Arabia con radiocollari invece odierni.
Stando ai caratteri naturalistici l’animale in oggetto del mosaico ha le due lunghe corna drittissime e questo è assai caratteristico proprio dell’Orice del Medio Oriente (Orice d’Arabia).
Nel mosaico non è infrequente che animali anche assai facilmente riconoscibili come cervi e leoni siano indicati da precisa epigrafe tassonomica, (precisa per l’epoca, siamo ben prima di Linneo), troviamo così CERVUS (nella navata sinistra) e LEONE (nella navata destra). Per questo non stupisce che anche per qualche altro animale dove troviamo un solo termine epigrafico associato la pista tassonomica sia da battere. In tal caso ORIS, da oryx, l’orice esattamente rappresentato nel presbiterio lo trovo plausibile. Inoltre rispetto al cervo e al leone l’orice era meno noto ai locali, motivo per cui indicarne il nome poteva essere sentito come una esigenza, tanto più che anche le epigrafi partecipano a colmare gli spazi secondo le esigente artistiche dell’ “horror vacui“. Se si guarda lì con attenzione si noterà proprio il segno di margine del tratto che si era staccato o fortemente danneggiato col tempo e che fu poi restaurato alla meno peggio (si nota anche il cambio della pezzatura delle tessere musive utilizzate); un danneggiamento che colpì la parte superiore delle lettere e una parte sempre superiore della prima lettera, spezzando la continuità della qui presunta O che divenne una sorta di G nei restauri qui ipotizziamo. Stiamo seguendo qui una pista tassonomica per la lettura dell’epigrafe nel tondo. Altre versioni tassonomiche dell’esegesi di quell’epigrafe da parte di altri studiosi hanno proposto di ricondurla ad ONAGRIS, cioè l’onagro (l’asino selvatico); ma questa ipotesi non mi ha mai convinto sia perché quello non è un asino selvatico, sia perché mancano un po’ di lettere per arrivare ad ONAGRIS e non sembra che delle intere lettere sono state cancellate nel corso del tempo tenendo conto del chiaro segno della parte distaccatasi e ricostruita. Mentre l’ipotesi dell’orice mi sembra la più naturale, sempre con la guida del metodo del rasoio di Occam.
Mi interessano molto le vostra idee in merito alle ipotesi qui esposte, anche per la buona applicazione di un principio di falsificazione.
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Il Gufo reale? 

Mosaico pavimentale del XII sec. d.C., Cattedrale di Otranto particolare del Gufo reale, navata centrale. Bellissimo nella sua semplicità! Grande sensibilità naturalistica degli autori!
Confronto con ritaglio di foto a destra in alto di un Gufo reale (Bubo bubo), specie presente comunque in Italia.

L’uccello strigiforme ritratto può essere o della specie Gufo reale o al limite della specie Gufo comune (Asio otus), ma per le caratteristiche dei ciuffetti per come ritratti maggiori le somiglianze con il Gufo reale che li ha disposti orizzontalmente e relativamente grandi, mentre son verticali nel Gufo comune. Son di minori dimensioni poi nel Gufo di palude (Asio flammeus) pur presente in Salento, e presenti sempre verticali anche nell’Assiolo (Otus scops), comune in Salento, ma che ha comunque corporatura assai minuta.

Vedi il video: “perché i gufi hanno i ciuffetti“:

 

GLAUX APULA A FIGURE ROSSE E PISSIDE ATTICA fine V-metà IV sec. a.C. con alloro sacro ad Apollo e la civetta sacra ad Atena.

 

Sebbene un gufo reale così ben raffigurato nel mosaico idruntino lasci perplessi, tanto da chiedersi se non sia una aggiunta successiva al medioevo da parte di qualche restauratore più prossimo al nostro tempo, mi piace ricordare invece come già nel Paleolitico europeo abbiamo rappresentazione del Gufo, animale dalle ancestrali suggestioni magiche. Nella Grotta Chauvet nella regione francese dell’Ardeche troviamo raffigurato quello che molti autori ritengono essere un Gufo reale (Bubo bubo) colto in un momento di allarme con i “cornetti” sollevati e con il capo ruotato. L’opera è stata realizzata incidendo con le dita l’argilla che, consolidatasi, ha conservato l’immagine sino ad oggi. Il Gufo reale della grotta Chauvet rappresenta un unicum in tutta l’arte paleolitica e con i suoi 30 mila anni circa d’età è anche la raffigurazione di uccello più antica attualmente conosciuta:

 

Gufo, raffigurazione paleolitica, Grotta Chauvet ella Grotta Chauvet nella regione francese dell’Ardeche.

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Il Basilisco (il Camaleonte teratomorfizzato)?

Focalizziamo l’attenzione su un animale reale o fantastico ritratto nello spazio tra i tondi del presbiterio nel mosaico di Otranto, se non un gallo potrebbe allora essere il basilisco dei bestiari, animale fantastico a metà strada tra gallo e rettile, ispirato dal reale camaleonte, animale questo presente in Salento, come presente nel Salento il fiabesco “fasciuliscu” (in vernacolo locale corrispondente a “basilisco”):
Gallo o Basilisco, presbiterio, mosaico pavimentale del XII sec. d.C., Cattedrale di Otranto. Se ciò che gli esce dalla bocca non è un pezzo di vegetale, un frutto che sta mangiando, ma la lingua sua medesima, tendo conto del legame esistente tra basilisco e camaleonte noto per la sua lunga lingua retrattile allora ancor di più si può ipotizzare che si sia voluto rappresentare il basilisco più che il gallo. Se si confronta anche con un facilmente riconoscibile gallo che appare sempre nel mosaico del medesimo presbiterio l’ipotesi del basilisco per questa raffigurazione diventa ancor più forte.

 

Si tratta di una creatura mitica molto radicata nella cultura del Salento.

E’ nello stemma del paese di Sternatia:

 

Stemma del Comune di Sternatia nel Salento – Basilisco.

 

Sempre a Otranto:

Creatura mostruosa ubicata nella cornice superiore del mosaico del presbiterio, secolo XII d.C., Cattedrale di Otranto. Sorta di draghetto alato dalla lunga coda serpentiforme ma con singolari orecchie di orsetto o topo. Forse un basilisco talvolta raffigurato con due evidenti orecchie ad esempio nello stemma civico di Sternatia?

 

Illustrazione del basilisco:

 

Mustela nivalis lutando contra um basilisco, em forma de galo com cauda de réptil, gravura de Wenceslaus Hollar, século XVII”.

 

Troviamo il Basilisco galliforme anche scolpito nella “pietra leccese” tra i ricchi decoritra i ricchi decori della facciata della Basilica barocca di Santa Croce a Lecce realizzata tra i secoli XVI e XVII d.C.:

 

Il basilisco galliforme nella pietra leccese a Lecce! Facciata della basilica barocca di Santa Croce a Lecce. Immagine dal Web.

 

Un basilisco nella pietra leccese a Lecce! Facciata della basilica barocca di Santa Croce a Lecce. Sulla sinistra vediamo invece un uccello che rappresenta il pellicano che si squarcia il petto per nutrire i suoi pulli, simbolo per cui rimando a questo articolo. Immagine tratta dal Web.

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Forse un basilisco appare già in Salento nei vasi apuli a figure rosse, ecco il rarissimo caso su un cratere che viene dal corredo funebre di una tomba messapica scoperta a Squinzano. Vedi per approfondire il mio articolo: “Cosa è il “MOSTRO DI SQUINZANO” che emerge da un profondo passato?!”.

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Ulteriore raffigurazione dal web del basilisco, qui con quattro zampe come il camaleonte:

 

Basiliskenzeichnung aus der Chronik des Aachener Bürgermeistereidieners Johann Janssen.

 

Questo animale dei bestiari pare derivi dal camaleonte comune mediterraneo presente anche in Salento, che ne sia una sua teratomorfizzazione, ovvero trasformazione in animale mostruoso.

Alcune sue raffigurazioni ben ricordano proprio il camaleonte, come questa:

 

Melchior Lorck: Basilischus (basilisco), Radierung, 1548

 

Nel Salento del ‘600 già si effigiavano camaleonti comuni mediterranei sulle facciate dei palazzi con grande conoscenza naturalistica dell’animale che oggi comunque vive in Salento spontaneo.

 

Proprio a Lecce una rappresentazione scultorea in pietra leccese assai naturalistica del comune Camaleonte mediterraneo sullo stemma di Palazzo Lanzilao, XVII sec. Più precisamente possiamo dire che è un basilisco-camaleonte, in quanto scultura assai naturalistica nella rappresentazione del camaleonte ma con due evidenti orecchie fantasiose rispetto al camaleonte e bargigli da gallo più propri del mitico basilisco.

 

Per approfondire sul camaleonte nel Salento: “Il CAMALEONTE SALENTINO, il mitico fiabesco “FASCIULISCU” della tradizione magliese, da tutelare con i suoi habitat e ridiffondere in natura massimamente! Contro ogni meschino tentativo di demonizzazione da razzismo verde di questa specie comunque iper-mediterranea!“.

 

Il Camaleonte mediterraneo (Chamaeleo chamaeleon).

 

Un video con la specie di camaleonte del Salento anche per vedere l’eiezione della sua lunga lingua retrattile:

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La Foca monaca?

 

Fanciulli nudi a cavallo di pesci o cetacei e forse un essere dal corpo di foca monaca. Mosaico pavimentale medioevale della Cattedrale di Otranto, navata centrale.

 

La foca monaca nel mosaico di Otranto?

Mi sembrava alquanto strano che il grande mosaicista Pantaleone, uomo dotto e curioso, come semplice e diretto nello stile espressivo, non fosse stato colpito dalle foche monache di cui era ricca la costa otrantina nel tempo in cui visse. Il mosaico pavimentale della Cattedrale lo realizzò tra il 1163-1165. Pertanto tornato a visionarlo, proprio in una scena di animali marini, tra vari pesci, ecco che noto questo strano essere, qui nella foto in basso a destra! Cosa può essere? Un mostro zoo-antro-morfo, come altri esseri chimerici prossimi, ma poiché compaiono anche animali non mostruosi che popolano i mari, potrebbe essere proprio una foca dal corpo idrodinamico ed estremità pinnipedizzate?! O un mostro antropo-foca.

E’ un tripudio della fantasia e conoscenza medioevale, ma anche un grande libro della Natura, ed anche in parte di quella proprio salentina del medioevo, il grande mosaico idruntino! L’immagine della possibile foca è nella navata centrale quasi al centro di questa, nella porzione destra per chi entra nella Cattedrale Otrantina. E’ la prima volta, a quanto mi risulta, che si propone di vedere una foca monaca (vitello di mare anche chiamata) nel corpo di quel grosso essere marino del mosaico dall’estremità bicaudata, come bicaudata appare la foca nella realtà, per la forma a pinna di ciascuno dei suoi due piedi posteriori. (Immagine e didascalia da un mio post facebook del 3 maggio 2014

 

 

Per approfondire sul ritorno della foca monaca in Salento e sul passato di questa specie nel Mediterraneo e i Salento clicca qui, un mio post facebook dedicato all’argomento, con tanti dati anche nei miei commenti ad esso.

Per ulteriori approfondimenti sulla scena complessiva cui appartiene la creatura qui analizzata dal mosaico idruntino rimando anche a questo articolo “La scoperta dell’ “Apocalisse” nel mosaico medioevale di Otranto?“.

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La Capra selvatica egagro?

Caprone nel mosaico pavimentale del XII sec. d.C. nella Cattedrale di Otranto.

 

Nota naturalistica: un reperto osseo riconducibile ad un Egagro (Capra aegagrus), la Capra selvatica progenitrice delle capre domestiche italiane è stato ritrovato nel sito di Favella della Corte (Cosenza) e risale al Neolitico antico I dell’Italia meridionale, datato intorno a 7000 BP.
Un oggetto di origine venatoria importato in quel contesto insediativo neolitico dal Mediterraneo orientale o segno della presenza della Capra selvatica a quel tempo nel meridione d’Italia o delle prime Capre domestiche ancora in una fase di transizione con spiccati caratteri selvatici in Italia! Pensate dunque che attentato culturale e naturalistico la demonizzazione della presenza di capre sulle isole italiane, dove vi vivono da secoli ormai, introdotte dai marinai per averne degli allevamenti-dispesa venatoria a cielo aperto, da cui persino derivano i nomi di tante nostre isole. Isole che come l’allevamento sul continente sono arche di Noè. Pensate dunque, se ve ne fosse bisogno di ulteriori dati, che attentato la denigrazione delle Capre selvatiche e inselvatichite dell’Isola di Montecristo che hanno spiccate caratteristiche proprio dell’Egagro ancestrale!
Becco dalla popolazione di capre selvatiche/inselvatichite dell’Isola di Montecristo.
Opportuni progetti di rinaturalizzazione, dobbiamo chiedere la creazione di popolamenti di Capre selvatiche-inselvatichite nel Sud Italia nei parchi naturali di Terra d’Otranto, attingendo alle Capre di Montecristo e partendo da quelle domestiche pugliesi (joniche e garganiche) da fare inselvatichire!
Mi piace anche ricordare un’altra razza di capra presente nel nostro Mediterraneo centrale, la Capra girgentana detta, allevata in Sicilia, caratterizzata dalle corna spiraleggianti verticali e che oggi si sta allevando anche in Salento:

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La Leucrota?

Di che specie si tratta?
C’era anche una tassonomia nei bestiari medioevali con comunque alcuni caratteri iconografici ed etologici delle bestie pseudo-reali.

Forse la leucrota dei bestiari antichi nel mosaico di Otranto del XII sec. d.C. Inizio navata centrale, pavimento sulla sinistra.

 

E’ sulla sinistra immediatamente dopo l’ingresso principale della navata centrale della Cattedrale di Otranto, mosaico pavimentale del XII sec. d.C. accanto alla scena dei due guerrieri-cavalieri duellanti con scudi tondi e bastoni clavati.
Per tanti era solo un cavallo imbizzarrito, ma di cavalli nel mosaico ce ne sono e tutti hanno il normale zoccolo di cavallo. Ergo questa semi-creatura, ritengo, protrebbe essere qualcosa altro.
Che cosa?
Provate a sfogliare i bestiari e proponete!

Forse la leucrota (o leucrotta o leocrota, o leucrocota) che si diceva avesse la forma e taglia di un asino selvaggio, la parte posteriore di cervo, il collo, il petto di leone, lo zoccolo diviso in due parti, testa di cavallo e una larghissima bocca (sovente mostrata aperta nell’iconografia), folta criniera di cavallo, al posto dei denti un osso continuo, dicono che questo animale sia capace di imitare la voce umana. Come fa capire anche il nome si tratta di un animale di fantasia ma costruito intorno agli animali della famiglia delle Hyaenidae, le iene (famiglia tassonomica presso la quale compare il genere chiamato proprio Crocuta – ricordiamo, nota naturalistica, che nel Pleistocene la iena ridens, specie Crocuta crocuta, così detta perché emette un verso che può ricordare il riso di un essere umano, faceva parte della fauna documentata dalla paleontologia per il Salento). Per i confronti con la bestia raffigurata a Otranto meglio considerare alcune miniature nei manoscritti e altri disegni che rappresentarono in passato questo animale semi-fantasioso.
Dal Bestiario di Aberdeen, un manoscritto miniato inglese del XII secolo, (custodito nella Biblioteca dell’Università di Aberdeen), miniatura della leucrota. Immagine tratta dal link.
Vedo anche rappresentata una criniera nella creatura enigmatica di Otranto.
Rispetto a questa miniatura solo la coda, diciamo, è diversa.
Ma l’autore del mosaico ha voluto rimarcare in maniera molto decisa lo zoccolo diviso in due e anche la bocca aperta. E questi due potrebbero essere dei particolari diagnostici importante per l’identificazione con la leucrota.
Hanno zampe dove si indica lo zoccolo diviso in due nel mosaico ad esempio: mucche e tori, pecore/arieti (vedi nel mese di aprile), capre/caproni (incluso l’animale cavalcato da Rex Arturus, si nota bene questo particolare su tre delle sue zampe, e anche così già in tutte le zampe dell’animale che erano in vista nei primi dell’ ‘800 come ci mostrano dei disegni effettuati allora per “fotografarne” lo stato), il daino (o capriolo) tra le spire del dragone nell’abside, i cervi, l’unicorno, l’antilope-orice del medaglione con epigrafe “Gris”, cinghiali e maiali, gli elefanti, il dromedario (o cammello), il capricorno, un possibile rinoceronte nei pressi dell’Arca di Noè, anche gli struzzi e i centauri sono rappresentati con la zampa divisa in due, anche in una sfinge alata.
Non così ad esempio i felidi e i cani dove si fanno vedere più dita.
 
E così gli equini (cavalli, asini) appaiono con il loro tipico zoccolo unico.
 
Tutta questa attenzione nella rappresentazione delle zampe divise a due in certe specie anche in un mosaico così naïf nello stile come quello di Otranto può essere forse meglio compresa se si considera come in quel tempo forte era il contatto con la cultura ebraica per la presenza a Otranto e non solo di grosse comunità di ebrei con le loro accademie di studi religiosi.
 
Nella Torah ebraica si fa infatti questa distinzione: “I quadrupedi puri sono quelli non carnivori che hanno lo zoccolo fesso, ossia spaccato in due parti, e che sono ruminanti. Affinché siano puri, gli animali debbono avere entrambe le caratteristiche. Il cavallo, nonostante sia un ruminante, ha uno zoccolo privo di fessure ed è quindi impuro” (vedi il testo al link).
Il particolare dello zoccolo diviso in due poi in questo essere mostruoso all’inizio della navata centrale sulla sinistra, a cui è dedicato questo paragrafo, è praticamente esagerato, evidenziato in maniera inequivocabile, ecco perché la lettura che propongo per esso come rappresentazione della leucrota.
Le zampe di questo animale con zoccolo diviso sono però originarie o frutto di un restauro successivo non accurato?
In ogni caso l’archetipo del cavallo abbiamo visto che partecipava alla costruzione dell’iconografia della Leucrota (testa di cavallo, folta criniera di cavallo). E dei cavalli sono raffigurati simmetricamente a questo animale sempre nella navata centrale rispetto al tronco del grande albero centrale; vediamo a tal proposito questa coppia di allegorie che suggerisco nella lettura del mosaico idruntino:
All’ingresso della Cattedrale di Otranto nel mosaico pavimentale della navata centrale che subito si incontra focalizziamo qui su due scene che si trovano una immediatamente sulla destra e l’altra immediatamente sulla sinistra, mentre al centro ci sono i due elefanti dendrofori che reggono sul loro groppone il grande albero che si sviluppa lungo il corso della navata centrale.
Incontriamo sulla sinistra la scena dei due guerrieri che combattono tra di loro, nei loro pressi quello che sembra un cavallo imbizzarrito rampante, occhio indemoniato, con la criniera al vento fiammeggiante e che ha anche le fattezze del mostro leucrota dei bestiari; suggestioni queste di furia, di battaglia campale. Un simbolo di guerra, di odio tra le persone, di caos.
Incontriamo sulla destra la scena invece di un uomo e una donna rivolti l’una verso l’altro che suonano strumenti musicali, lunghe trombe (chiarine), inaugurazione anche sonora figurata del mosaico che accoglie chi entra nella Cattedrale; questa coppia corrisponde anche ad una coppia di cavalli in atteggiamento pacifico e sguardi dolci le cui code si intrecciano spiraleggiando tra loro come i due serpenti proprio nel simbolo degli accordi diplomatici di pace che è il caduceo del dio greco Hermes (il dio Mercurio per i romani). Una complessiva allegoria di pace, armonia, amore tra le persone e il mondo naturale.
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L’antilope Saiga delle steppe?

Compare una altra sorta di antilope anche nel mosaico sul pavimento dell’abside della Cattedrale di Otranto.

 

Antilope nasona, mosaico pavimentale del XII sec. d.C. nell’abside pressi altare della Cattedrale di Otranto.

 

Ma di che specie di antilope si tratta?

Se non un’altra antilope orice, come quella prima discussa per la navata centrale nella zona del presbiterio, forse una cervicapra indiana o una saiga delle steppe euro-asiatiche?

Vediamo questo animale bicornuto, accovacciato vicino a due scimmie nel mosaico idruntino, come speranzoso, con la lingua di fuori, di sottrarre a quei primati il frutto che gustano; questa scena è adiacente a quella che abbiamo identificato come l’Adorazione dei Magi, potrebbe pertanto far parte di una sorta di tocco di esoticità per il corteo dei Magi giunti da Oriente? Colpisce l’anomalo naso dattiliforme di questa antilope, che non a caso abbiamo battezzato qui come “antilope nasona”, è pur vero che nasi simili sporgenti dal profilo appaiono anche in figure di tipo umano nel mosaico (vedi scene dell’Inferno nella navata sinistra) o in animali come il mostro marino bicaudato/foca nella navata centrale,

 

Wild saiga antelope, Saiga tatarica tatarica visiting a waterhole at the Stepnoi Sanctuary, Astrakhan Oblast, Russia. Link.

 

ma non possiamo qui non osservare come l’antilope nota come Saiga delle steppe (nel Pleistocene assai anche diffusa in Europa), il cui nome scientifico è Saiga tatarica, abbia proprio a sua peculiare caratterizzazione un naso assai prominente come una sorta di corta proboscide.

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Il Daino o il Capriolo?

Il daino o il capriolo e il dragone nel mosaico medioevale pavimentale del XII sec. d.C. della Cattedrale di Otranto, zona abside. Il drago qui, come anche altri serpenti nel mosaico, forma un nodo con la sua coda.

 

Il daino o il capriolo nel mosaico pavimentale del XII secolo d.C. nell’abside della Cattedrale di Otranto, catturato da un dragone?
Nel mosaico compaiono cervi, anche i grandi dimensioni, con palchi, anche indicati dal nome con l’epigrafe “cervus”, pecore, capre, ma non sono mai maculati.

 

“CERVUS” nella parte sommitale del mosaico pavimentale del XII sec. d.C. nella navata sinistra della Cattedrale di Otranto.

 

In natura sono maculati i piccoli di capriolo, presenti nella fauna del Salento del tempo, ma da piccoli non hanno palchi.

Tra i cervidi mediterranei solo i daini (Dama dama) hanno contemporaneamente palchi e mantello maculato da adulti (i palchi compaiono nei maschi).

Riguardo a questo cervide rappresentato nel mosaico tra le spire del dragone queste sono le considerazioni per orientarsi:
-) o è una rappresentazione naturalistica precisa della specie intesa dall’artista e in tal caso tra i cervidi presenti in Italia al tempo l’unico animale che ha contemporaneamente palchi e mantello pomellato è l’adulto maschio di daino (Dama dama)
Daino (Dama dama) maschio adulto con palchi. Vista di profilo.
-) oppure è una rappresentazione simbolica della specie intesa e in questo caso si dovrebbe osservare che il tipo di corna sono praticamente quelle dritte in testa del Capriolo adulto (mentre sono assai estese e non dritte sul capo quelle del daino), che però ha mantello pomellato solo quando è piccolo e quando è piccolo non ha le corna.
Capriolo (Capreolus capreolus) maschio adulto con palchi. Profilo. Le sue corna sono a sviluppo più dritto sul capo che nel Daino.

 

Cucciolo di capriolo. L’indifeso piccolo di capriolo ha una base scura del mantello pomellato come nella rappresentazione del mosaico.
A favore di questa seconda ipotesi del capriolo piccolo potremmo aggiungere che nei pressi del cervide pomellato raffigurato nell’abside della Cattedrale di Otranto si aggira un lagomorfo (probabilmente una lepre) relativamente delle stesse dimensioni del cervide, al che facendoci dire che si tratta di un piccolo esemplare di cervide (sempre con l’anomali, magari simbolica pro identificazione della specie, della corna).
Lepre, daino o capriolo e dragone nel mosaico medioevale pavimentale del XII sec. d.C. della Cattedrale di Otranto.
L’identificazione è resa non immediata dal punto di vista delle dimensioni relative anche perché accanto l’artista ci mette questa lepre.
In tal caso dovremmo dire che l’artista ha voluto rappresentare un piccolo di capriolo, che effettivamente dà tanto quando lo si trova in natura l’idea dell’essere indifeso a rischio dei pericoli del mondo, la madre del capriolo lo lascia in un campo per andare a nutrirsi e lui rimane immobile mimetizzandosi grazie al suo mantello, sperando di non essere visto dai predatori.
Da questo punto di vista immaginando una rappresentazione simbolica dovremmo pensare che sia più un piccolo di capriolo; altrimenti un daino adulto accettando il tutto nella tante licenze artistiche naïf che nel mosaico vengo prese.

Se invece che il daino che ha contemporaneamente da adulto palchi e mantello pomellato, i suoi palchi in natura sono decisamente più vistosi come quelli del cervo ma più pieni, ben diversi anche nel modo di estendersi nello spazio rispetto alla testa in confronto a quanto nel mosaico.

Considerando questa chiave di lettura dell’artista, che con una rappresentazione, che con pochi simboli, voglia far capire che cosa intende, allora potremmo dire ha voluto farci pensare ad un piccolo di capriolo, ma nel capriolo quando presenti i palchi son in proporzione alla testa meno estesi di quanto invece appare per il cervide nel mosaico sotto analisi.

Fatto sta che la soluzione non è di facile soluzione, di certo si può dire: l’artista ha voluto comunicarci che non è un cervo, ma sempre un cervide. Nel ‘600 ancora i daini (chiamati anche damme) erano presenti nel Salento liberi come i caprioli e cervi. E’ presumibile fosse idem nei secoli del mosaico idruntino qui sottoposto a studio. Ergo lì o un daino o un capriolo. Per approfondire sulle faune del Salento nei secoli passati rimando a questo mio approfondimento: “Il CERVO a MAGLIE e nel SALENTO tutto e le MERAVIGLIE di una Natura dalla BIODIVERSITÀ ricchissima perduta che si può e si deve fare tornare!“.

Un Drago con zampe e alato lo troviamo anche scolpito nella “pietra leccese” tra i ricchi decori della facciata della Basilica barocca di Santa Croce a Lecce realizzata tra i secoli XVI e XVII d.C.:

Drago scolpito nella ”pietra leccese” tra i ricchi decori della facciata della Basilica barocca di Santa Croce a Lecce realizzata tra i secoli XVI e XVII d.C. Foto dal Web.
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I Dragoni (e serpenti)
Oltre al drago alato e con zampe visto nel paragrafo precedente nel mosaico idruntino compaiono diversi altri draghi.
Dalla ”Historiae animalium” di Conrad Genser, del 1551. I greci definivano ”drago” anche ogni grosso serpente.
Vi compaiono infatti ritratti diversi grossi serpenti anche cornuti.
Questo di seguito immenso è nella navata di destra, mostrato mentre sta divorando nelle sue fauci un intero caprone:
Notando come viene raffigurata la criniera nei leoni possiamo dire che questo drago ha la criniera, e l’elemento della criniera caratterizza sovente il drago orientale (cinese ad esempio).
A sua volta un fiero leone aggredisce questo serpente:
Trovo molto suggestiva questa composizione imponente di zoofagia che vediamo poco più in basso rispetto all’ipotizzato San Marco sempre nella navata destra certamente anche con valori allegorici simbolici nella scelta dei committenti o comunque dei progettisti dell’opera, con la presenza dei tre animali che si azzannano-divorano a catena aperta e che sono i tre precisi animali che compongono secondo il mito antico il mostro Chimera dei Greci:
Leone, Serpente-drago e Caprone-capra.
Mi piace anche ricordare che i Monti Acrocerauni (etimologicamente dal greco “le vette dei fulmini”), che si vedono quando il cielo è terso all’orizzonte da Otranto verso Est al di là del mare, lessi da qualche parte che erano anche chiamati Monti della Chimera.
Qui la Chimera rappresentata nella ceramica apula antica a figure rosse, un piatto, ca. 350-340 a.C., conservato in Francia nel Museo del Louvre:
La Chimera rappresentata nella ceramica apula antica a figure rosse, un piatto, ca. 350-340 a.C., conservato in Francia nel Museo del Louvre. Dal link.
Questa invece la statua bronzea della Chimera da ambiente etrusco (la statua è nota come la Chimera di Arezzo datata seconda metà o fine del V sec. a.C.):
La statua bronzea della Chimera da ambiente etrusco (la statua è nota come la Chimera di Arezzo datata seconda metà o fine del V sec. a.C.).
Interessante notare come le capre nelle due chimere mostrate hanno corna tortili nel primo caso e arcuate nel secondo, una variabilità che si osserva ancora oggi tra le capre domestiche/inselvatichite italiane. Biodiversità da preservare!
E a proposito di chimere nel mosaico di Otranto si trovano veri e propri mostruosi innesti animali come questo:
Essere mostruoso chimera-innesto dal mosaico medioevale pavimentale, navata centrale Cattedrale di Otranto. Elefante più una sorta di mustelidi serpentiformi. Vediamo poi animali che mangiucchiano il grande albero della navata centrale.

 

E il mondo naturale fornisce a chi lo osserva anche suggestioni teratologiche in tal verso; in tema un mio post su alcuni esemplari teratologici dalla collezione scientifico-naturalista del Liceo Capece classico e sperimentale di Maglie (presso cui ho frequentato l’indirizzo sperimentale scientifico), interessanti anche i contributi nei commenti al post:

 

 

Ecco di seguito dal mosaico di Otranto sempre una rappresentazione del misterioso serpente cornuto:
Mosaico pavimento navata centrale, XII sec. d.C. La testuggine di terra e il mitico serpente cornuto vicino l’Arca di Noè. Cattedrale di Otranto. Mi chiedevo se mancasse nel mosaico la testuggine di terra, ma mi par di trovarla vicino l’Arca di Noè. Sotto vediamo il serpente cornuto tipico di tante leggende salentine: il chersydros e/o il “pasturavacche” a cui ho dedicato degli approfondimenti.
L’animale sopra grigio cosa vorrebbe essere invece un rinoceronte?
Ma sono tanti altri i mostri serpentiformi che si possono incontrare sul mosaico.
Serpente cornuto che mangia un lagomorfo (coniglio o lepre) con volpe vicina che suona dei piattini, mosaico pavimentale del XII sec. d.C., presbiterio della Cattedrale di Otranto.
Sembra cornuto anche il serpente che tenta Eva raffigurato nel mosaico pavimentale della Cattedrale di Trani successivo al mosaico di Otranto e sempre del XII sec. e.v.:
il serpente che tenta Eva raffigurato nel mosaico pavimentale della Cattedrale di Trani successivo al mosaico di Otranto e sempre del XII sec. e.v. Immagine dal Web al link.
Ma le leggende si fondano su suggestioni naturalistiche forti. Vedi ad esempio questo video di un grandissimo serpente (Cervone) di circa 3 metri che viene risvegliato dall’espianto di un albero di ulivo in Puglia, campagne di Surano, 8 gennaio 2021. Video di Giuseppe Maggiore. Articolo della notizia che ha avuto ampia diffusione al link.
Nel Salento inoltre si stanno registrando avvistamenti non ancora confermati di ”Stellione” Agama stellio, che qui vediamo fotografato nella vicina isola di Corfù, un grosso sauro parente tassonomicamente delle iguane (stesso infraordine Iguania):
”Stellione” Agama stellio – Corfù. Immagine dal bel sito web arachnoboards.com.
Confermata invece scientificamente è stata la diffusione in Salento di un altro sauro, l’Algyroides nigropunctatus, comunemente chiamato algiroide magnifico, che vive nei vicina Penisola balcanica; una bellissima notizia di incremento della locale biodiversità! Tra gli altri sauri già presenti: la lucertola campestre (“ursicula” in dialetto magliese), il ramarro, alcune specie di gechi e il camaleonte comune.
Troviamo nel mosaico di Otranto forse un accenno al caduceo con i due serpenti intrecciati nelle code di due cavalli che spiraleggiano tra loro, forse un segno di concordia e amore, dato che sono anche associati spazialmente i due cavalli rispettivamente ad un uomo e ad una donna che stanno suonando dei lunghi corni, o più presisamente data la forma delle chiarine, rivolti l’un verso l’altra, siamo nella parti iniziali del mosaico per chi entra dal portone principale della Cattedrale, mentre sul lato opposto a questi due stanno due soldati che battagliano con scudi e bastoni un simbolo maggiormente quello di guerra e non di amore.
Coppia uomo e donna dei suonatori di chiarine, inizio navata centrale, pavimento musivo del XII sec. d.C. Cattedrale di Otranto.
Per approfondire sul simbolo del caduceo rimando a questo mio articolo: “In Salento il simbolico CADUCEO di HERMES e il simbolo del serpente più in generale“.
L’intreccio delle code dei cavalli però ci richiama anche in Salento a delle storielle popolari fantasiose legate ad una sorta di locale folletto dispettoso chiamato “scazzamurieddhu” (o anche “moniceddhu“, “laùru” o “carcaluru“), che si divertirebbe di nascosto nelle stalle proprio a intrecciar code e criniere dei cavalli.
I SERPENTI/DRAGHI CHE MANGIANO LE ANIME/CORPI DEI DANNATI A OTRANTO E IL BISCIONE DI MILANO CHE MANGIA I BAMBINI
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Il Coniglio e la Lepre

Vediamo un lagomorfo (coniglio o lepre) anche negli interstizi decorati per horror vacui tra i clipei dedicati ai vari mesi dellanno nel ciclo dei mesi, “le opere e i giorni” anche detto, nella navata centrale; vedi qui in foto in alto a destra:

 

Tondo del mese di Settembre, mosaico pavimentale del XII sec. d.C. nella Cattedrale di Otranto. Immagine dal Web al link.

La Lepre europea/appenninica fa ancora ben parte della fauna salentina, bisognosa comunque di cospicui ripopolamenti a causa della pressione venatoria.

 

Vaso di stile Gnathia, con lagomorfo (coniglio domestico/selvatico o lepre europea/appenninica) e grappoli d’uva.

 

Il Coniglio è allevato in Salento oggi, anche con razze dette paesane nei colori assai ricordanti il Coniglio selvatico europeo (Oryctolagus cuniculus) progenitore del domestico. Nel Pleistocene la specie selvatica fu presente cospicua in Salento (qui nell’elenco delle faune fossili da un sito di Avetrana ad esempio, ma idem a San Sidero a Maglie). Nei secoli recenti i Conigli venivano allevati dalle genti salentine costiere su opportune isole prive di predatori, tanto che l’Isola detta Grande di Porto Cesareo conserva ancora il toponimo sinonimo Isola dei Conigli (nell’ ‘800 lo zoologo salentino Giuseppe Costa così ci informa di questa presenza vai al link, mentre a questo link annovera tra gli animali domestici allevati in Salento il coniglio Girolamo Marciano studioso vissuto tra il XVI e il XVII secolo d.C.). Tali isole di Terra d’Otranto diventavano così delle dispense a cielo aperto per pescatori e contadini. Anche le Capre in vari isole italiane venivano allevate in tal modo allo stato brado, tanto che il toponimo di diverse isole deriva da quello della capra. Per ulteriori approfondimenti sui conigli in Salento e la necessità di reintrodurli in natura rimando a questo mio post facebook e ai miei commenti ad esso (i Conigli sono anche importante base per l’alimentazione della Lince pardina, se ripopolati ciò potrebbe favorire anche una diffusione anche della Lince pardina loro predatrice; o ridiffusione possiamo dire della Lince pardina in quanto studi paleontologici stanno dimostrando la presenza in passato in Puglia non solo della Lince comune ma anche parrebbe della Lince pardina):

 

Troviamo raffigurato il Coniglio/Lepre in Salento anche nei più antichi mosaici della Chiesa di Casaranello, (lì intento a mangiare un grappolo d’uva), a Casarano di cui anche diremo nelle appendici qui di seguito.
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La Cicogna bianca, i Serpenti e i Ricci

 

La Cicogna bianca e il riccio si contendono il serpente, presbiterio, mosaico pavimentale del XII sec, d.C, Cattedrale di Otranto.

 

Accanto si vede anche il famoso “Asino arpista” e un’altra Cicogna bianca:

 

Porzione del presbiterio, mosaico pavimentale del XII sec, d.C, Cattedrale di Otranto. Asino arpista.

Anche sul portale di ingresso di Palazzo Lanzilao del XVII sec. d.C. nel centro storico di Lecce vediamo scolpito il motivo della Cicogna che preda il serpente:

 

Portale di ingresso Palazzo Lanzilao XVII sec. d.C. centro storico di Lecce, vi vediamo scolpito il motivo della Cicogna che preda il serpente. 13 aprile 2019, foto di Oreste Caroppo. Non possiamo dire se Cicogna bianca (Ciconia ciconia) o Cicogna nera (Ciconia nigra) data la mancanza di colori in queste statue, due specie di Cicogne che si osservano talvolta in Salento.

 

Il paese di Cerignola (nord Puglia) ha nello stemma comunale una Cicogna che uccide un serpente.

 

 

Lo stemma comunale riproduce una cicogna che spezza un serpente, in ricordo della leggenda che narra la salvezza della città ad opera delle cicogne durante un’invasione di serpenti.

 

Cicogna bianca che mangia il serpente, foto dal web. Frequenti in passo migratorio in Salento, talvolta vi nidificano le Cicogne bianche.

 

Il motivo del riccio che preda il serpente l’ho scovato anche anche in bassorilievi nel centro storico di Soleto:

 

Ricci mordono serpenti e Croce a svastica spiraleggiante all’interno del cerchio. Centro storico di Soleto in Salento. Foto di Oreste Caroppo del pomeriggio del 29 luglio 2016.

In quel contesto architettonico quella rappresentazione del riccio che azzanna il serpente sulla parete esterna di un’ abitazione ha un valore magico apotropaico di scacciata del male. Buonaugurale quindi.

 

Riccio che preda un serpente.

 

Nei casi sin qui analizzati per il Salento aspetti cromatici e morfologici ci permettono di parlare di Cicogne.

Nell’antico Egitto pare che una funzione simile per contrastare i serpenti, funzione reale e forse anche dai risvolti simbolici, era attribuita agli Ibis sacri lì al tempo assai diffusi, (oggi piacevolmente in diffusione anche in Italia). Lo studioso Scipione Mortato ci riporta infatti dei dati su «una tradizione orale ebraica secondo cui Mosè, in gioventù, aveva guidato una spedizione militare egiziana nel Kush fino alla città di Meroë, allora chiamata Saba. La città fu costruita vicino alla confluenza di due grandi fiumi ed era circondata da un formidabile muro e governata da un re rinnegato. Per garantire la sicurezza dei suoi uomini che attraversavano quella regione desertica, Mosè aveva inventato uno stratagemma in base al quale l’esercito egiziano avrebbe portato con sé cesti di carici, ciascuno contenente un ibis che sarebbe stato liberato quando si fossero avvicinati al paese del nemico. Lo scopo degli uccelli era di uccidere i serpenti mortali che giacevano in tutto quel paese. Dopo aver posto con successo l’assedio alla città, la città fu infine soggiogata grazie al tradimento della figlia del re, che aveva accettato di consegnare la città a Mosè a condizione che egli avrebbe consumato un matrimonio con lei, sotto la solenne certezza di un giuramento.» (tratto da “Meroe nella leggenda ebraica“). «L’Ibis, che uccide le cose striscianti mortali» (da “De Iside et Osiride” di Plutarco).

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La “Cilona de terra” la testuggine di terra

Ecco di seguito dal mosaico una rappresentazione della testuggine di terra, “cilona de terra” in dialetto magliese salentino:

 

Mosaico pavimento navata centrale, XII sec. d.C. La testuggine di terra vicino l’Arca di Noè. Cattedrale di Otranto.

 

Nel Salento la tipica testuggine di terra è quella della specie Testudo hermanni, probabilmente la stessa raffigurata nel mosaico idruntino, allevata nei giardini privati per tradizione e presente anche in libertà in passato più di oggi (urgono ripopolamenti!):

 

 

In passato non è escluso vi fossero anche due altre specie già diffuse ancora oggi insieme alle T. hermanni nelle vicine isole greche come Corfù, e ciò la Testudo graeca e la Testudo marginata – sarebbe il caso di permettere una maggiore diffusione in natura libere e presso i privati di queste tre specie. Ci sono zone della Calabria in cui ancora la marginata vive selvatica.

Leggo in questo studio “La Testuggine terrestre salentina” che La Testudo marginata in Puglia era chiamata “Cilona carbonaria“, probabilmente per il colore solitamente più scuro del suo carapace negli esemplari adulti, contrariamente a quello con più estese parti gialle che caratterizza la più autoctona e diffusa in Puglia (Salento incluso) Testudo hermanni. Si parla nell’articolo anche del ritrovamento in Italia di qualche Testuggine greca.

 

Testudo marginata.

I Greci usavano il carapace delle tartarughe come cassa di risonanza per strumenti musicali a corde!

 

Lecce, Museo Archeologico, lira ottenuta dal carapace di una testuggine.

 

Ad oggi gli studi paleontologici permettono con buona fiducia di sostenere l’ipotesi dell’ introduzione antropica della Testudo marginata in sud Italia in periodo olocenico e connotato dai grandi traffici umani mediterranei di epoca protostorica e storica. Leggiamo qui di resti di Testudo marginata del V sec. a.C. ritrovati a Metaponto, Bernalda e Reggio Calabria da “Il registro fossile italiano dei cheloni“. 
A Roma resti di carapace di T. marginata furono rinvenuti in una sepoltura arcaica nei pressi del Lacus Curtius (fonte).
Oggi la T. marginata è ampiamente presente in Sardegna anche allo stato selvatico, tanto da essere comunemente denominata Tartaruga sarda, benché ben presente in Grecia. C’è poi anche una località della Calabria in cui questa specie è presente, si ritiene naturalizzata grazie all’uomo, mi auguro accada lo stesso anche in Salento!
Io ricordo da bambino numerosi esemplari di Testudo marginata che erano stati raccolti negli anni ’80 e venivano allevati presso il Museo di Storia Naturale di Calimera insieme anche a Testudo hermanni (non ricordo se notai anche delle Testudo graeca).

 

Magna Grecia, lira ottenuta dal carapace di una testuggine marginata. Locri (Regione Calabria), museo.
 
Leggiamo anche da “Il registro fossile italiano dei cheloni”, di resti di Testudo graeca trovati a Roca Vecchia nel Salento e datati III sec. a.C./ XIV-XVI sec. a.C.
 
La Testudo hermanni in Italia è attestata già dal Pleistocene con continuità sino ai nostri giorni!
 
Della Testudo graeca leggo di segnalazioni fossili per l’Italia anche nel Pleistocene e neolitico.
 
La Testuggine palustre europea Emys orbicularis la vediamo attestata in Puglia già dal Pleistocene, ergo con continuità presente in Italia e Puglia fino ad oggi.
Dal corredo funebre di tombe magnogreche a Metaponto carapace di Testudo marginata utilizzati come cassa di risonanza per la costruzione di lire. Il sito di rinvenimento la necropoli di Pantanello – santuario extraurbano.
 
Interessante la presenza in Sicilia di cui leggiamo in “Il registro fossile italiano dei cheloni”, di tartarughe di terra giganti poi estinte.
Vi è un passo in quello studio in cui si accenna a specie di tartarughe terrestri giganti che han popolato l’Europa nel Terziario, e nel Pleistocene le isole Maltesi e la Sicilia (cui attestati esemplari con una lunghezza del guscio maggiore di 1 metro); erano legate alle tartarughe terrestri giganti che vivevano in Africa, e le cui discendenti viventi possono essere ritrovate nella grande Testuggine africana (Geochelone sulcata) che ha un carapace lungo fino a 85 cm, e vive nell’ area afro-tropicale.
Oggi estinte in Europa si crede possibile una loro diffusione mediterranea sia tramite geologici ponti di terra in tempi passati, sia via mare come avvenuto per le tartarughe terrestri giganti che oggi popolano le isole vulcaniche della Galàpagos. E lo stesso vale anche per altri rettili.
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L’Orso?

La rappresentazione dell’orso la troviamo in una ruota nel presbiterio, nel mosaico pavimentale del XII secolo d.C., nella Cattedrale di Otranto:

Orso, ruota nel presbiterio, mosaico pavimentale del XII secolo d.C., Cattedrale di Otranto.

Anche se la rappresentazione non è di grande maestria artistica notiamo come il mosaicista abbia messo in evidenza ad identificazione della specie le zampe dell’animale, l’orso è infatti un plantigrado, gli Ursidi sono infatti dei mammiferi che, come gli Ursidi, i Mustelidi e i Procionidi, nel camminare poggiano a terra con tutta la pianta del piede, carpo e tarso compresi; plantigrado contrapposto a digitigrado e a unguligrado.

Nella Cattedrale di Otranto, nella porzione basale del mosaico pavimentale del XII secolo d.C. nella navata destra, (vedi foto di seguito), vediamo dei canidi (lupi o cani, specialmente cane l’esemplare con collare, anche se nel mosaico compaiono a volte collari e tatuaggi decorativi nelle creature animali), una manticora (vedi oltre sulla manticora il paragrafo dedicato), e un animale in basso a destra che potrebbe essere un orso, si vede solo la testa, (altre ipotesi che sia un maiale o un tasso, ma questa ipotesi meno probabile perché il tasso, pur presente nella fauna salentina anche mangiato dai salentini, è un animale più piccolo e dalle orecchie più contenute).

 

Cattedrale di Otranto, porzione basale del mosaico pavimentale del XII secolo d.C. nella navata destra.

 

Orso bruno (Ursus arctos). Europa. Immagine dal Web al link.

 

Nel Medioevo pare che degli orsi bruni (Ursus arctos stessa specie che vive in Appennino, Alpi e Balcani) fossero tenuti nel fossato di Torre del Parco a Lecce, ancora oggi a Valona sull’altra sponda del Canale d’Otranto degli Orsi bruni si osservano in un serraglio in città, ciò testimonianza di quanto nella nostra area geografica gli Orsi erano comunque comuni in epoca storica, come nel Paleolitico.
Nel Salento troviamo il toponimo di Torre dell’Orso; nel Nord Puglia nel pre-Appennino Dauno il toponimo della città di Orsara di Puglia. Ancora presente il cognome Orsini in Salento.

Troviamo anche l’orso in un tondo nel mosaico pavimentale della metà del XII secolo nella Cattedrale di Sant’Evasio a Casale Monferrato, vi compare un uomo che lotta contro un orso:

 

Orso in un tondo nel mosaico pavimentale della metà del XII secolo d.C. nella Cattedrale di Sant’Evasio a Casale Monferrato. Immagine dal Web al link.

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L’Elefante e il Topo/Ratto? O uno Scoiattolo?

 

Mosaico pavimentale del XII secolo della Cattedrale di Otranto, inizio navata centrale. Elefanti dendrofori.

 

Per l’identificazione degli elefanti nessun problema, ben più difficoltoso capire cosa fosse l’animale rappresentato in basso. Ho pertanto indetto anche una collettiva partecipazione su Facebook con un post per tentare di capire che animale si sia voluto lì raffigurare.

Si è così battuta la pista che si tratti di un topo o ratto, sebbene le sue dimensioni siano esagerate e sebbene sia molto diverso dal topo che in giuste proporzioni è raffigurato vicino ad un gatto nel medesimo mosaico:

 

Gatto domestico e topo/ratto, mosaico pavimentale medioevale nel presbiterio della Cattedrale di Otranto.

 

Per tale ipotesi importante una proposta esegetica in merito di cui mi hanno messo al corrente gli studiosi Francesco Corona e Toni Albano che ringrazio, ovvero quel roditore sarebbe un riferimento alla leggenda diffusa nel medioevo in ambito cristiano di Barlaam e Josaphat che portava nella Cristianità occidentale la storia di Buddha, in particolare un riferimento alla parabola del viandante e dell’unicorno narrata in tale leggenda che divenne nel medioevo un motivo artisticamente raffigurato in miniature, bassorilievi ed altre opere d’arte: “Coloro che desiderano i piaceri materiali e permettono che le loro anime muoiano di fame, sono simili a un uomo che fuggendo dinanzi a un liocorno cadde in un precipizio. Mentre stava precipitando si attaccò con le mani a un arbusto e pose i piedi su un appoggio sdrucciolevole. Ed ecco che vide due topi, uno bianco e uno nero, rodere le radici dell’arbusto a cui stava attaccato e in fondo al­l’abisso un drago terribile, spirante fiamme, con la bocca spalancata per il desiderio di divorarlo. E su l’appoggio dove teneva i piedi vide quattro vipere che sollevavano la testa. Ma ecco che alzando gli occhi scorse qualche goccia di miele stillar dai rami dell’arbusto; allora, dimentico del pericolo, si abbandonò tutto al piacere di gustare quel miele“.

L’iconografia correlata in Otranto appare in tal caso parzialmente ma sarebbe ugualmente ben possibile riconoscerla, alle radici dell’albero vediamo solo un roditore chiaro. Alcuni studiosi vi hanno visto nei fanciulli nudi raffigurati tra i rami dell’albero e che parrebbero anche cadere e poi impigliarsi ai rami e poi più in basso trovare più solido appoggio su un grosso ramo orizzontale e lì gustare qualcosa da un ramo (forse gocce di miele?) un riferimento a quella parabola. Nella parabola di Barlaam e Josaphat compaiono anche quattro vipere, e nel mosaico quattro vipere compaiono anche a sinistra dell’albero subito dopo il grosso uccello che preda un lagomorfo (coniglio o lepre sopra la scacchiera) e sotto il leone quadricorporeo, nella scena dell’accoppiamento violento di una coppia di vipere e del parto cruento con nascita di altre due vipere, secondo modalità narrate nei bestiari. Si vede anche un piccolo minaccioso unicorno (correttamente con zoccolo diviso in due) nella zona in cui il fanciullo cade:

 

Nel mosaico medioevale di Otranto forse anche la parabola del viandante e dell’unicorno dalla leggenda di Barlaam e Josaphat.

 

L’unicorno che intendo è quello qui di seguito indicato con freccia rossa, con frecce arancioni invece indico il fanciullo che pare cadere:

 

Nel mosaico medioevale di Otranto forse anche la parabola del viandante e dell’unicorno dalla leggenda di Barlaam e Josaphat. Con frecce indicative: l’unicorno sarebbe quello qui indicato con freccia rossa, con frecce arancioni invece indichiamo il fanciullo che pare cadere. E’ la osservazione della presenza di quel possibile unicorno pronto alla carica e infuriato(?) che rende plausibile la proposta esegetica qui richiamata.

 

Il punto iconografico è appurare che sia un unicorno, con un solo corno (monocero), e non un qualche bovino che sta caricando e dato che è raffigurato di profilo appaia come con un solo corno. Poi per la posizione del corno son stati magari vincolati dagli spazi. Questa storia della parabola del viandante, che hanno proposto nell’esegesi del mosaico, pare inserita nei ritagli di spazio, e così anche quell’unicorno pare abbia trovato posto in un piccolo spazietto.

 

Unicorno-Bufalo navata centrale mosaico pavimentale medioevale Cattedrale di Otranto. Immagine dall’archivio di Toni Albano che ringrazio.

 

Le zampe sono a zoccolo fesso (ossia spaccato in due parti) compatibili con altri unicorni del mosaico. L’animale che gli assomiglia di più per quanto ricarda le corna è il Bufalo mediterraneo. Le corna della capra vanno per lo meno in partenza nella concavità opposta, è invece il bufalo che le ha così:

 

Bufalo mediterraneo italiano.

 

ma se vedete che ha un solo corno allora è un “unicorno”, un monocero de facto; anche se di profilo, viene da pensare che, se non avessero voluto raffigurare un unicorno avrebbero fatto in modo di farci vedere anche il secondo corno distinto con opportuna rotazione del punto di vista. Ed è rappresentato proprio come infuriato pronto a caricare minaccioso (anche se poi la resa del volto pare ilare) come dovrebbe essere secondo la leggenda del viandante e dell’unicorno! Il bufalo è diffuso anche in Asia ed è plausibile che l’unicorno della leggenda di Barlaam sia stato raffigurato come bufalo infuriato e unicornizzato.

Forse nel rappresentare l’animale cornuto-unicorno della leggenda l’artista comunque si è ispirato al bufalo nostrano del sud Italia già allevato al tempo? In questo disegno lo vediamo ritratto il bufalo nel ‘700 a Policoro:

 

Carovana di cammelli o dromedari a Policoro con la bella presenza del bufalo mediterraneo, dal “Voyage pittoresque ou Description des Royaumes de Naples et de Sicilie“, Abbè de Saint-Non Paris, La Fosse, 1777. Una varietà di specie addomesticate da ripristinare diffusamente nel territorio del sud Italia in forme di allevamento bucoliche! Diversi toponimi nel Salento paiono ricordare l’allevamento del bufalo nel tempo passato, oggi più allevato in Campania, Molise e nord Puglia, ma alcune masserie, ad esempio tra i boschi di Calimera, hanno ripreso ad allevarle anche in provincia di Lecce, (contrada Bufalelle a Casarano, Masseria Bufolaria in feudo di Ugento sorta intorno al 1700 a opera del marchese Carlo D’Amore che vi allevò bufali, da qui l’origine del suo nome, sfruttando le paludi della zona); alcuni decenni or sono erano allevate anche nell’area dei laghi Alimini a Otranto. Opportuni progetti anche per inselvatichire questi bufali in aree paludose del sud Italia come sta avvenendo virtuosamente nell’est Europa nel Delta del Danubio.

 

Se immaginate questo bufalo con la testa abbassata pronto a caricare visto di profilo ottenete proprio la vista della bestia otrantina qui in analisi:

 

Bufalo mediterraneo italiano.

 

Ma il bufalo è diffuso anche in Asia. Arriviamo al compromesso esegetico che l’unicorno della leggenda di Barlaam sia stato raffigurato come bufalo infuriato e unicornizzato a Otranto? Non è da escludere anche perché come possiamo capire guardando queste due immagini di miniature medioevali immagine-1 e immagine-2 tante diverse forme di corno son possibili per il monocero unicorno, ciò a dire che non vi era un canone preciso per come raffigurarlo.

Passando però ad analizzare la coda dell’animale essa è una codina, è più da caprone quindi. Ma le corna non son da caprone. Se data la cosa non è un bufalo, quell’animale in conclusione potrebbe essere proprio un unicorno (con corpo da caprone e corno da bufalo verso dietro come ben possibile dalle poliedriche raffigurazioni dell’unicorno)!

Inoltre nell’abside del mosaico una possibile antilope è mostrata di fianco e pure si fa in modo di fare vedere i due corni distinti. Quindi se qui si fosse voluto non rappresentare un unicorno si sarebbe fatto in modo di non fare apparire un solo corno anche se l’animale è di profilo, viene da pensare

Sulla base di questo input ho cercato raffronti con esplicite rappresentazioni del tempo medioevale di quella parabola. Da questa miniatura medioevale

 

Miniatura della parabola del viandante e dell’unicorno, dalla leggenda di Barlaam e Josaphat.

 

capiamo come la postura dello strano animale di Otranto sotto l’elefante, che divarica le fauci proteso verso le radici dell’albero da rosicchiare, è compatibile proprio con quella di un topo, capiamo anche come da una cattiva copia di modelli ne sia derivata la strana forma della punta della coda, e riconosciamo il topo/ratto in quelle zampe anteriori penzolanti seppur protese in avanti e ci ricordiamo che spontaneamente quando si imita ad esempio in maschere di carnevale il topo/ratto si tengono le braccia in avanti e penzolanti a imitazione evidentemente dell’animale quando si alza sulle zampette posteriori.

Si aggiunge a Otranto l’associazione topo/elefante conseguente all’uso degli elefanti come dendrofori. Non sappiamo se un abbinamento casuale o mosso da archetipi o scelte coscienti a monte del progetto musivo, certo è che in Occidente compare la leggenda dell’elefante che teme i topi, mentre in India nell’iconografia induista del Dio Ganesha, come mi ha fatto osservare lo studioso Franco Meraglia che ringrazio, compare sempre un topo a lui associato, anche di dimensioni relativamente notevoli o altre volte assai minuto, e non vi è traccia del concetto di terrore per il topo da parte dell’elefante. A Otranto poi gli elefanti non son mostrati spaventati per la presenza del grosso roditore,

Mi chiedo allora se la leggenda dell’elefante che ha paura del topo, circolante in Italia, non derivi dall’iconografia induista del Dio Ganesha, o forse più semplicemente entrambe derivano da un archetipo che porta ad accostare come in un simbolo di opposti complementari il mammifero terrestre notoriamente più grande con quello notoriamente più piccolo il topo/ratto (il più piccolo credo sia comunque un toporagno). Un simbolo di completezza nell’unione di opposti cui poi si possono dare tanti significati didascalici. L’equilibrio degli opposti complementari.

Troviamo pertanto forse in quella porzione basale del mosaico, tra i tanti temi trattati nella vasta opera musiva, anche degli interessanti riferimenti a quella parabola del viandante e dell’unicorno.

La identificazione di questo topo/ratto è stata comunque assai faticosa. Scherzosamente per quanto è realizzato o conciato male dai restauri poco virtuosi dico che assomiglia ad un piccolo di triceratopo, e vi è chi vi ha visto una mangusta (che vive in Africa), chi addirittura un canguro, quest’ultimo quasi impossibile dato che l’Australia sarà scoperta diversi secoli dopo dagli occidentali, ma dico quasi impossibile perché dall’area pacifica dall’Oriente giungevano rarità anche vive come per questo famoso caso di un pappagallo cacatua australiano (Cacatua sulphurea) giunto alla corte del Re Federico II di Svevia nel sud Italia/Sicilia e raffigurato con una miniatura nel suo trattato sulla caccia col falcone. Per i canguri vi è invece un caso assai enigmatico, ma relativo comunque ai secoli successivi, compare una miniatura di canguro nel capolettera di un manoscritto portoghese risalente al Cinquecento, un secolo prima della scoperta europea del continente, avvalorando così l’idea, se la datazione della miniatura fosse corretta, che i portoghesi avevano scoperto l’Australia prima, ma lo avevano tenuto segreto.

 

Nota naturalistica: il ratto (Rattus rattus) era dunque già presente nel Salento in età messapica ellenistica! Vedi scavi a Vaste: https://www.academia.edu/1114270/La_fauna_dei_Bothroi_di_Vaste_e_sue_implicazioni_cultuali Contrariamente pertanto ad un’idea, che potete leggere ad esempio in questo link, secondo cui esso è giunto nelle nostre aree al tempo dei crociati: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Rattus_rattus

P.s.: interessante anche la documentazione di resti di Capriolo dallo scavo del sito messapico e datati sempre in età ellenistica.

 

Il ratto nero o ratto comune (Rattus rattus).

 

Si deve invitare ad un migliore rapporto con i Ratti nel territorio, dato anche che la specie Rattus rattus è stata documentata dagli studi degli strati messapici di quel sito archeologico, spiegando come con tutti gli animali bisogna convivere senza ecocidi, anche quando si tratta di specie esotiche naturalizzatesi di recente, ma favorendo forme di equilibrio preda predatore, da qui l’importanza dei gatti liberi nel territorio non sterilizzati!

 

Per chiudere presentiamo però anche una altra possibile proposta, meno esplicativa di quella del Topo/Ratto, ma non meno suggestiva.

La presenza di un roditore nei pressi di un grande albero ci richiama al mito dell’albero cosmico Yggdrasil della tradizione norrena, al quale è associato uno Scoiattolo che lo percorre in continuazione dalla base alla chioma.

 

The Luttrell Psalter – Psalm 103. Lincolnshire, c.1320-40. British Library Add. MS 42130, fol 33 r. Immagine dall’articolo al link.

 

Se nel nostro caso idruntino si trattasse davvero di uno Scoiattolo verrebbe ulteriormente meno un elemento che fa pensare sia raffigurata la parabola del viandante e dell’unicorno, quell’unicorno forse sarebbe davvero una raffigurazione di un bufalo in tal caso, e i fanciulli nudi sull’albero rappresentazione giocose di fanciulli che scalano l’albero, si arrampicano sui rami, siedono a cavalcioni, ne restano impigliati ai rami, si nutrono dei suoi frutti, (forse riferimenti ridondanti ad Adamo e Eva nel Patadiso terrestre, uno stato di spensieratezza che ricorda anche quello di Perceval figlio della Vedona nel romanzo di Chrétien de Troy prima di vedere nella foresta dei cavalieri a cavallo).

Per alcuni dati sugli Scoiattoli nella Penisola italiana rimando a questo articolo.

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Il Toro dendroforo

 

Un toro dendroforo regge all’inizio del mosaico della navata di sinistra della Cattedrale di Otranto un grande albero sulla sua groppa. L’ho legato a San Luca in un mio studio interpretativo del mosaico di quella navata: https://naturalizzazioneditalia.altervista.org/il-vangelo-di-luca-nel-mosaico-della-cattedrale-di-otranto-nella-navata-sinistra/

 

Toro che regge l’albero centrale raffigurato nel mosaico medioevale della navata sinistra della Cattedrale di Otranto.
RIMETTIAMO DELLE ENORMI CORNA SUGGESTIVE DI MUCCA PODOLICA PUGLIESE/MAREMMANA AI TORI STILOFORI DEL PORTALE PRINCIPALE DELLA BASILICA ROMANICA PUGLIESE DI SAN NICOLA DI BARI
Durante una passeggiata esplorativa nel centro storico di Bari insieme a Giovanni Enriquez e Donato Nuzzaci, la sera del 19 dicembre 2022, giunti nei pressi del portale della Basilica di San Nicola, (facendo un confronto con gli elefanti dendrofori che nel mosaico medioevale della Cattedrale di Otranto reggono sui loro gropponi la base di un grande albero e che sono posizionati all’ingresso della navata centrale), ci siamo interrogati sugli animali scolpiti a tutto tondo stilofori (dal greco sostenitori di colonne) lì presenti ai lati del portale principale.
“Sono leoni” dice Donato, “sono tori” dico io, “guarda le zampe da bovino!”.
Ma dipana subito la questione Giovanni, che ci fa notare sulla testa degli animali la presenza di due grandi fori cilindrici in corrispondenza dei punti in cui avremmo dovuto veder spuntare invece le corna dalla testa di quegli animali se tori.

Erano quindi cornuti bovini taurini!
Ma dove sono le corna oggi?
È allora ben possibile che lì in origine venissero allocate delle corna reali, immaginate dunque che grande suggestione era in origine quel portale con quelle grandi corna vere all’ingresso, che tanto ci richiamano ad un archetipo antico delle corna taurine ubicate in corrispondenza dell’incrocio delle travi lignee dei tetti a doppio spiovente in tempi neolitici in Europa.
A doppio spiovente anche queste chiese romaniche, ma dove un tempo arcaico vi sarebbero state le corna in un tempio ligneo, nel culto cristiano compare la croce; ma lì a Bari le corna erano rimaste ma erano discese in basso ai lati dell’ingresso.
E ci ricordiamo delle corna di consacrazione tipiche della cultura minoica che adornavano a Creta i sontuosi palazzi, ci ricordiamo del toro mitraico e del toro simbolo di San Luca Evangelista nel Cristianesimo. Del toro nel tetramorfo-merkavah.
Mucche della bella e pregiatissima razza Podalica Pugliese, allevata nei secoli passati, con numerose mandrie, nel cuore del Salento, e diretta discendente dall’Uro. Una sua eco vivente.
Numerose ossa fossili trovate nel feudo di Maglie testimoniano la presenza dell’Uro nelle aree del Bosco Belvedere già in epoca paleolitica. Un graffito rupestre paleolitico sulle pareti di Grotta Romanelli a Castro raffigura, parrebbe, proprio un Uro.
E allora perché non onorare le nostre mucche podoliche italiane discendenti degli antichi Uri (Bos taurus primigenius) che vivevano nel Pleistocene anche in Salento, come quelle pugliesi o quelle maremmane macro-cere (cioè dalle enormi corna) riportando lì delle corna reali (nelle mucche di razza podolica le corna del maschio sono a semiluna mentre quelle della vacca sono a forma di lira).
E se non per incastrarvi delle corna reali a cosa servivano quei fori sul capo?
Eravamo lì in occasione del ritiro del premio del concorso fotografico del Sigea-geologia vinto sia da me che da Giovanni.

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Dromedari e forse anche Cammelli

 

Un cammello o dromedario:

 

Cammello o Dromedario nel presbiterio della Cattedrale di Otranto nel mosaico medioevale pavimentale.

 

Troviamo il dromedario anche in un tondo del mosaico pavimentale del 1160 della Cattedrale di Taranto:

 

Taranto.

 

Pochi sanno che i Cammelli e/o Dromedari erano allevati ancora nel ‘700 nel Regno di Napoli, ben lo ricorda questo disegno:

 

Carovana di cammelli a Policoro dal “Voyage pittoresque ou Description des Royaumes de Naples et de Sicilie“, Abbè de Saint-Non Paris, La Fosse, 1777. Da approfondire se trattasi dei domestici Cammelli dromedari ad una sola gobba, anche diffusi e impiegati nelle zone desertiche del nord Africa, e/o del Cammello per antonomasia a due gobbe, che vive nelle zone desertiche e steppose dell’ Asia centrale, tra l’ Anatolia e la Mongolia. Si noti anche la bella presenza del bufalo mediterraneo. Una varietà di specie addomesticate da ripristinare diffusamente nel territorio del sud Italia in forme di allevamento bucoliche!

 

Per approfondire rimando a questo mio post facebook e ai miei commenti ad esso.

 

Un possibile dromedario:

 

Possibile Dromedario nella navata centrale della Cattedrale di Otranto nel mosaico medioevale pavimentale nei pressi della Torre di Babele. In verità c’è chi vi ha visto una Donnola (mustelide presente nella fauna del Salento). L’analisi delle zampe potrà chiarire; se come qui apparirebbe vi è lo zoccolo fesso allora è più probabile che si sia voluto rappresentare un dromedario.

 

C’è chi vi ha proposto per questo animali dei mustelidi che vivono nel Salento, come la faina che però ha coda troppo lunga o la donnola la cui coda è più piccolina. L’analisi delle zampe dell’animale convince però di più, data la presenza anche si nota di uno zoccolo fesso (diviso in due), nell’identificazione con il dromedario. Magari la suggestione delle zampe basse viene anche dall’abitudine dei dromedari di appoggiarsi per terra e stazionare così a lungo o può esser stata dettata dal limitato spazio a disposizione.

 

 

La terminazione allargata delle zampe è più consistente con quella del dromedario che camminando sulla sabbia cedevole ha bisogno di zoccoli con una pianta più larga per distribuire meglio il loro peso e non sprofondare. Certo, anche la coda è un po’ corta, ma corpo e collo sono praticamente gli stessi di un dromedario” ben ha osservato Marcello Polignano sul post facebook che ho proposto per l’identificazione dell’animale.

Almeno nelle zampe posteriori, si vedono chiaramente i “piedi” allargati” ha anche osservato Ayoub Monno che ha fatto anche un confronto sinottico:

 

Confronto sinottico con quelle del dromedario delle zampe di un animale ritratto nel mosaico di Otranto del XII secolo d.C. Da Ayoub Monno.

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Il Corvo, la Colomba e l’Ulivo

 

Colomba con ramoscello d’ulivo nel becco, dettaglio dal mosaico pavimentale del XII sec. d.C. nella Cattedrale di Otranto. Immagine dal Web al link.

 

E’ la scena legata alla rappresentazione del mito biblico dell’Arca di Noè e del Diluvio Universale. La colomba torna all’Arca portando un ramoscello verde di ulivo segno che le acque iniziano a ritirarsi. Nel mosaico sono rappresentati tanto il corvo quanto la colomba.

Noè, al termine del diluvio universale, lasciò uscire dall’Arca prima un corvo e poi una colomba per verificare se le acque si fossero ritirate. Al primo tentativo, il corvo tornò a bordo e così fece anche la colomba perché la terra era ancora sommersa dalle acque. Dopo sette giorni, Noè fece uscire ancora la colomba che tornò col ramoscello di ulivo, segno che le acque si erano ritirate; dopo altri sette giorni, avendola nuovamente inviata, la colomba non ritornò più testimoniando così che la terra poteva essere nuovamente abitata.

 

”La selva oscura” agro di Scorrano, uliveti al tramonto dopo i violenti nubifragi appena passati. 20 novembre 2017. Foto di Giovanni Enriquez.

 

Si tratta di un mito che in realtà deriva da vere e proprio tecniche di orientamento usate dai marinai in antichità. I naviganti, durante i lunghi viaggi a mare di esplorazione e colonizzazione ed in assenza delle attuali tecnologie, osservavano con attenzione il volo degli uccelli per avere informazioni sulla presenza più o meno vicina della terraferma.

“Plinio il vecchio, nella sua Naturalis Historia, ricorda che nell’Oceano Indiano, alla latitudine dell’attuale isola di Ceylon, i marinai erano soliti portare a bordo delle navi un certo numero di uccelli che rilasciavano periodicamente per seguirne il volo. Questo perché i volatili, salendo di quota e volando in tutte le direzioni, hanno una maggiore possibilità di scorgere la terraferma anche da grande distanza: se ritornavano a bordo, la terra era ancora lontana, se si allontanavano definitivamente, la direzione prescelta indicava la via per raggiungere la terra più vicina.” (Passo tratto dal link).

Sono ancora diffuse nel territorio salentino anche a Otranto le torri colombaie, non si dimentichi anche l’uso che se ne faceva nei secoli passati dei piccioni viaggiatori. Le falesie della costa idruntina sono poi luoghi di nidificazione dei piccioni selvatici.

 

La falconeria e le torri colombaie.

 

Per approfondire: “Il variopinto Colombo selvatico, compagno irrinunciabile delle nostre città! Presenza da apprezzare, non certo da denigrare e combattere“.

 

A Otranto è presente un porticciolo il cui toponimo è “Porto Craulo”, deriva dal termine dialettale “craulu” che indica il corvo, è una voce onomatopeica che deriva dal verso dell’animale, la si confronti con l’inglese crow, il latino corvus.

 

Corvi imperiali (Covus corax). Oggi in sud Puglia si possono osservare nell’area della murge-gravine. Ma non mancano recenti avvistamenti anche in provincia di Lecce.

 

Approfondimento sui Corvi comuni (“crauli” in vernacolo) in Salento presenti svernanti numerosi ancora negli anni ’50 del ‘900, poi nulla più per il Salento. Si discute qui di questo a partire dalla foto di un Corvo comune (Corvus frugilegus) nella collezione del Liceo Capece di Maglie di animali imbalsamati:

 

 

Auspichiamo una maggiore diffusione in Salento dei Corvi imperiali, ma anche dei Corvi comuni così come di altri corvidi come le Ghiandaie oggi attestate a Bari e delle Cornacchie comuni; al momento si registra una presenza in Salento di Gazze (“Picalò” o “Mita” in dialetto locale), Taccole (“Ciole” in dialetto locale) e Cornacchie grigie!

 

Nei commenti a questo post-video facebook approfondimenti sui corvidi in Salento.

 

Ecco il corvo raffigurato per la scena del Diluvio Universale nel mosaico di Otranto. Appare variopinto per raffigurare l’iridescenza che comunque connota lo scuro piumaggio del corvo. E’ mostrato intento a cibarsi, il corvo è un animale saprofago, dei resti degli uomini uccisi dalle acque travolgenti, in particolare lo vediamo intento a beccare una gamba umana.

 

Il Corvo nel mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto. Immagine tratta da www.pinterest.it.

 

Si dice che se il modo di volare dei corvi muta esso preannuncia pioggia o cambiamento del tempo: da cui il detto popolare salentino “quandu fiscanu li crauli e’ segnu ca olenu acqua“, quando cantano i corvi è segno che vogliono acqua ossia che la pioggia si avvicina.

Altri modi di dire popolari: “niuru comu nnu crau“, nero come il corvo; “se tutti gli aceddhri canusciane u crau“, se tutti gli uccelli conoscessero il corvo.

Non è escluso che con il termine “craulu” a volte si intendessero anche cornacchie grigie e taccole in Salento, oltre ai più maestosi corvi imperiali.

Altri nomi dialettali di corvidi presenti in Salento: per la taccola “ciole“, per le gazze “mite” o “picalò“, per le cornacchie grigie “curnacchia“.

Chiudo questo paragrafo con la bella frase nella Bibbia nel mito dell’Arca di Noè che può fungere da principio guida per la rinaturalizzazione: “Dio ordinò a Noè: «fa uscire le creature, perché possano diffondersi sulla terra, siano feconde e si moltiplichino su di essa»“.

 

Mi piace riportare in conclusione anche questa raffigurazione (non da Otranto) dell’Arca di Noè piena di animali

 

Illustration from Histoire Universelle en Francais de la Creation du Monde jusqu’a Cesar. Painted by an anonymous monk between 1260-1270 in Akko, Kingdom of Jerusalem, then seat of the Knights of Saint John. MS 562 Bibliotheque Municipale, Dijon, France.

 

in essa oltre alla Colomba bianca e al nero Corvo, vediamo tra i vari uccelli, oltre a Cicogne e Galli/Galline anche due Pellicani probabilmente, con l’0ccasione rimando a questo articolo per approfondire sui Pellicani in Terra d’Otranto.

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L’accoppiamento e il parto cruento delle “Vipere” secondo i bestiari

Nel bestiario chiamato “Fisiologo” si dice che la femmina della “vipera” non ha vagina nel ventre, ma soltanto una sorta di cruna d’ago.

 

L’accoppiamento e il parto cruento delle vipere dei bestiari nel mosaico di Otranto. Pavimento della navata centrale della Cattedrale di Otranto, nello spazio sotto il famoso leone quadricorporeo raffigurato nel medesimo mosaico.

 

Quando dunque il maschio copre la femmina, eiacula nella bocca della femmina, e quando essa ha inghiottito il seme, tronca gli organi genitali del maschio, e quest’ultimo muore istantaneamente. Quando crescono, i figli divorano il ventre della madre, e in tal modo vengono alla luce: le vipere sono quindi parricide e matricide.

 

Vipere, miniatura dal Bestiario latino di Aberdeen, 1195-1200 ca.
Perché nelle rappresentazioni medioevali trovate per questo confronto le vipere hanno sempre delle orecchie evidenti o forse corna?
In tal caso forse l’influenza potrebbe venire dalla conoscenza anche delle vipere nordafricane cornute del deserto:
Vipera cornuta della sabbia (Cerastes cerastes) deserto del nord Africa.

 

Grazie al coinvolgimento di più esperti ed appassionati su un post facebook con cui avevo divulgato questa ipotesi identificativa con le vipere dei bestiari del groviglio di rettili raffigurato nella navata centrale della Cattedrale di Otranto sotto il leone quadricorporeo, lo studioso di Otranto Elio Paiano mi ha segnalato un suo testo dal titolo “Passaggio a Sud Est” Editrice Salentina 1997, dove anche egli esponeva la medesima lettura iconografica qui proposta per la scena presa in oggetto rispetto ai bestiari; non solo, Elio, che ringrazio, mi ha fatto notare un ulteriore particolare che trovo molto interessante: “C’è un aspetto importante del Phisiologus: quel parto idealizzato della vipera viene dall’esperienza [naturalistica riportata in quel testo antico], la vipera è ovovivipara“; l’ovoviviparità è un tipo di riproduzione di una specie animale in cui le uova sono incubate e si schiudono nell’organismo materno, senza che vi sia alcuna relazione nutritiva, come invece accade nella viviparità. È presente in alcune specie di pesci, come gli squali, di rettili, come la vipera, e di invertebrati, come gli scorpioni.

 

Parto e accoppiamento delle Vipere in intreccio dalle sembianze di Uroboro. Miniatura tratta da un Bestiario Inglese del XIII secolo.

 

Per la raffigurazione di queste vipere nella miniatura sul bestiario inglese sembra forte l’influsso naturalistico della vipera della specie Vipera berus (marasso), assente in sud Italia ma vedo presente in Gran Bretagna dove hanno realizzato nel medioevo questa miniatura!

 

Vipera berus (marasso), esemplare in foto gentilmente identificato dall’esperto erpetofilo salentino Filippo Tomasi che ringrazio.

 

In Salento vive invece la specie di vipera Vipera aspis sottospecie jugy.

 

Vipera aspis

 

Nelle vipera, vediamo nella foto sopra, è evidente la strizione della coda rispetto al resto del corpo. La coda è nettamente distinta dal corpo, caratteristica tipica della vipera e che la differenzia, tra le altre cose, dagli innocui colubridi. Questo particolare naturalistico connota nei bestiari e nel mosaico di Otranto la raffigurazione delle vipere.

Dal mio post facebook qualche mia considerazione sulla lettura del mosaico di Otranto: “Comunque questa priorità data all’allegoria specifica originale di fronte al mosaico di Otranto ha accecato dal riconoscimento di tanti suoi simboli e fonti. Secondo me prima va fatta una analisi iconografica con tutte le fonti, poi dopo c’è spazio per la domanda se il tutto avrà anche un valore allegorico speciale locale. Che ci sia un valore allegorico ad esempio nel caso in oggetto può essere certo, ma se si mette l’allegoria come priorità poi non ci si concentra nel capire davvero cosa è rappresentato. Così io lì sempre ho sentito spiegazioni allegoriche legate al soprastante leone-quadricorporeo quando invece innanzitutto le due scene, il leone quadricorporeo e la scena dei serpenti hanno una loro sintassi e origine iconografica precisa e indipendente che invece la pista allegorica ha impedito di riconoscere. Eccezion fatta per l’analisi di Elio che invece ne aveva dato una corretta lettura delle vipere lì secondo il Fisiologo. Mettere l’allegoria prima della analisi iconografica è stato come voler leggere la Divina Commedia senza prima capire ogni lettera a che suono alfabetico corrisponde! Se fossi stato soddisfatto dalle spiegazioni allegoriche da predica sermonica costruite intorno al mosaico nel secolo scorso non avrei poi approfondito per conto mio. La lettura allegorica è sovente stucchevole, è sempre uguale, è il solito sermone ripetuto in tutte le salse trite e ritrite che già si apprende nelle prime lezioni del catechismo. E’ pertanto alla fine anche una strumentalizzazione che anziché evidenziare la ricchezza semantica del mosaico lo sminuisce a appiattisce. “Non va dimenticato che lo scopo ultimo di tutte le rappresentazioni del mosaico era proprio l’allegoria, l’exemplum” ricorda lo studioso Elio Paiano, e concordo, ma è come per una fiaba di Esopo/Fedro, prima devi ascoltare la storiella, capirla nei suoi personaggi e relazioni, poi ne trai la morale. A me è parso che tanta la fretta evangelica di fare prevalere la morale cristiana e cristianizzante che spesso di fronte al mosaico si è data poca importanza alla corretta lettura della fiaba sottostante narrata!

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“Il Granchio e il Serpente” e “il Gallo e la Volpe” dalle fiabe di Esopo, i Pavoni e l’Ippocampo 

Nella cornice tra il transetto e la lunga epigrafe nella parte superiore del presbiterio nel mosaico pavimentale medioevale nella Cattedrale di Otranto troviamo la rappresentazione di alcuni animali fantastici e reali insieme. Tra questi quelli che paiono due ippocampi mitologici affrontati, e mi piace ricordare la buona presenza nei mari del Salento dei cavallucci marini (i reali ippocampi), in special modo nel Mar Piccolo a Taranto:

 

 

e la scena del confronto tra un granchio e un serpente

 

Il granchio e il serpente, gli ippocampi, parte superiore del presbiterio, mosaico pavimentale medioevale nella Cattedrale di Otranto.

Il granchio e il serpente sono un chiaro richiamo alla fiaba greca di Esopo dedicata a questi due animali e incentrata sulla difficoltà di stabilire un’amicizia per la loro diversa natura tra questi due animali nonostante il loro tentativo animato da buoni propositi inizialmente in tal senso. Il serpente manifestava il suo affetto stringendo troppo tra le sue spire il granchio costretto a liberarsi da quella morsa che lo stava soffocando facendo uso delle sue chele.

 

Sempre nella stessa fascia vediamo (nella foto sotto a destra, in quella sopra a sinistra) due Pavoni (specie: Pavo cristatus) affrontati. Sono entrambi variopinti, tenendo conto del dimorfismo sessuale nella specie si tratta di due maschi che stanno lottando tra di loro:

 

I pavoni ed altre creature, parte superiore del presbiterio, mosaico pavimentale medioevale nella Cattedrale di Otranto. Forse qui sulla sinistra la scena del confronto tra un gallo e una donnola tra rami di alberi, è da verificare meglio sul posto, in tal caso sarebbe un possibile richiamo alla fiaba di Esopo proprio con protagonisti il gallo e la donnola.

 

Mi piace ricordare che i romani chiamavano il Pavone “uccello di Giunone” ed era un simbolo di regalità.

Per approfondire sui Pavoni e la loro presenza come animali domestici sin dall’antichità greco-romana nel sud Italia rimando a questo mio post facebook e ai miei commenti ad esso:

 

 

Nello spazio del presbiterio troviamo rappresentato nello spazio tra i tondi il confronto tra un gallo e una volpe:

 

Il gallo e la volpe, presbiterio, mosaico pavimentale medioevale nella Cattedrale di Otranto.

 

Anche questo confronto tra questi due animali è probabilmente un richiamo alle fiabe di Esopo che coinvolgono proprio questi due animali.

Troviamo nel mosaico di Otranto la volpe anche ben raffigurata nelle aree inferiori della navata centrale non lontano dall’ingresso della Cattedrale, l’animale è facilmente distinguibile per la sua lunga folta coda:

 

La volpe nel mosaico pavimentale del XII sec. d.C. nella Cattedrale di Otranto nella navata centrale non troppo distante dall’ingresso. Foto di Oreste Caroppo, scatto del 27 novembre 2022.

 

In tema di volpi mi piace segnalare questo interessante episodio naturalistico documentato nel basso Salento, tra aprile e maggio del 2021, che in passato avrebbe potuto indurre mitopoieticamente fiabe, la volpe ha tentato di mangiare il serpente (un cervone), il serpente per difesa ha tentato di strangolare la volpe stringendosi in strette spire attorno al suo collo e mordendogli il labbro:

 

 

Qui uno scontro mortale non dissimile tra un serpente (cervone) e un biancone (un rapace mangiatore di serpenti) documentato a Caserta a metà agosto del 2019:

 

 

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La “Cucuzza” (zucca bottiglia anche lunga)? 

Troviamo nell’abside della Cattedrale di Otranto nel mosaico pavimentale il ciclo dedicato alle storie bibliche del profeta Giona. In una scena vediamo Giona all’ombra della pianta di “qikaion” (questo il nome originario nella Bibbia della pianta).

 

Giona all’ombra della pianta di “qikaion” (questo il nome originario nella Bibbia della pianta), mosaico medioevale, pavimento, abside, Cattedrale di Otranto.

 

Nel filone dei confronti iconografici e dell’indagine nelle fonti, nonché nello studio di aspetti naturalistici, osserviamo alcune similitudini stilistiche nel mosaico di Otranto nel ciclo di Giona con lo stesso tema raffigurato nei mosaici paleocristiani della Basilica di Aquileia del IV sec. d.C.
Giona all’ombra della pianta di “qikaion” (questo il nome originario nella Bibbia della pianta), coltivata a pergolato. Mosaico nella Basilica di Aquileia del IV sec. d.C. Immagine tratta dal link.
La pianta ritratta nei due mosaici, il “qikaion” biblico, viene raffigurata nello stesso modo dal punto di vista botanico.
Zucca bottiglia varietà lunghissima (Lagenaria siceraria var. longissima), “cucuzza longa” in vernacolo salentino. Coltivata a pergolato.

 

“Qikaion” viene sovente tradotto come ricino (Ricinus communis), una pianta presente in Salento sia come selvatica che coltivata come ornamentale,

 

 

ma è evidente che non sia un ricino la pianta raffigurata per Giona tanto ad Aquileia quanto assai simile a Otranto. L’unica specie che pare corrispondere è la zucca bottiglia (Lagenaria siceraria), una “cucuzza” autoctona nel Vecchio Mondo nonché pur presente e coltivata in Mediterraneo e Italia prima della scoperta dell’America del 1492 da parte di Cristoforo Colombo. Fatto seccare il suo frutto viene utilizzato per produrre una sorta di bottiglia in Africa ma anche in passato in Salento. Inoltre la si coltiva proprio a pergolato. L’approfondimento botanico qui sviluppato mi da anche occasione di ricordare il nome dialettale salentino di queste zucche “cucuzze“. Addirittura l’attestazione di questa glossa del volgare salentino si è rinvenuta in un codice della Mišnah ebraica dell’ultimo quarto del sec. XI, (il manoscritto ebraico De Rossi 138 della Biblioteca Palatina di Parma, lo studio di tali glosse da parte di L. Cuomo in “Antichissime glosse salentine nel codice ebraico di Parma”, De Rossi, 138, in «Medioevo Romanzo», 4, 1977, pp. 185-271), compare tra brevi scritture, quasi tutte annotazioni lessicali di carattere botanico. Ricordiamo che al tempo vi erano nel Salento floride comunità ebraiche in particolare a Otranto e Oria, (mi piace ricordare qui ad esempio ricordare le leggende ebraiche sul mostro Golem a Oria).

 

Zucca bottiglia (Lagenaria siceraria), “cucuzza” in dialetto salentino. Coltivata a pergolato.

 

La glossa botanica in vernacolo salentino ritrovata tra quelle annotazioni è in particolare “kukuzza lunga“, ed essa corrisponde proprio a varietà nota, sempre della precedente specie vitata del Vecchio Mondo, chiamata scientificamente Lagenaria siceraria var. longissima, o comunemente “zucca da pergola”, i cui frutti hanno una forma molto allungata invece della tipica forma a fiasco; nella coltivazione a pergola pendono in basso per gravità, mentre nella coltivazione spontanea sul terreno si ricurvano e prendono una forma a “serpentello”, assai coltivata negli orti del Salento. Nei mosaici com Giona analizzati i frutti pendenti dalle pergole paiono talvolta allungati.

 

Ricino (Ricinus communis). Si notino le differenze con la pianta rappresentata nei due mosaici per nel ciclo di Giona.

 

Gli alberi nel mosaico di Otranto paiono produrre tanti frutti diversi e fogliame che sfamano il Creato (uomini son ritratti mentre mangiano frutti, così Adamo ed Eva frutti di fico, animali son raffigurati mentre mangiano rami e foglie, Noè e i suoi figli son mostrati mentre coltivano la vite), anche frutti diversi dallo stesso albero.

 

Cucuzza”, zucca bottiglia, mosaico XII sec. d.C., pavimento area iniziale della navata centrale sulla sinistra. Per un confronto dimensionale si osservi che sopra son rappresentati dei piedi umani in calzature; si potrebbe pensare a frutti piriformi, pere, ma si tratta più probabilmente, date le dimensioni, di una zucca. In passato poi è probabile che si facevano “maritare” crescere abbarbicandosi, le rampicanti zucche bottiglia agli alberi, da qui la suggestione per raffigurarle insieme agli altri frutti sull’albero del mosaico idruntino.

 

Ad esempio anche zucche bottiglia dal grande albero della navata centrale, come nel caso sopra in foto si mostra, bacche, ecc. Si sviluppano poi altri alberi ad esempio di fico nel mosaico e vigne e si mietono messi (nei tondi dei mesi).

Sarebbe anche da guardare meglio se tra quella sorta di appendici che si vedono alla radice della pianta rampicante raffigurata ad Otranto non sia rappresentato anche il verme che nel testo biblico si dice fece seccare la pianta danneggiandone le radici

 

Giona all’ombra della pianta di “qikaion” (questo il nome originario nella Bibbia della pianta), forse con il verme che ne rode le radici. Mosaico medioevale, pavimento, abside, Cattedrale di Otranto.

 

Tale verme è ad esempio ben raffigurato in alcune rappresentazioni come la seguente a Moscufo in provincia di Pescara in Abruzzo:

Giona in un bassorilievo nell’ambone della Chiesa di Santa Maria del Lago, Moscufo.

 

Un odierno pergolato con zucca bottiglia:

Bel pergolato con Zucca bottiglia della varietà nominale e della varietà lunghissima. Foto dal Web.

 

 

Zucca bottiglia secca, varietà lunghissima, Maglie. Foto di Oreste Caroppo. Non saprei giunto come il seme, ma diversi anni fa nel mio giardino a Maglie nell’entroterra otrantino nacque una Zucca bottiglia della varietà lunghissima che si arrampicò sul Melograno e mi regalò due o tre frutti lunghissimi. Uno è questo perfettamente seccato, con dentro ancora i semi sonanti: frutto lungo complessivamente 65 cm incluso il peduncolo.

 

Zucca bottiglia coltivata recentemente nei dintorni di Carpignano salentino e cresciuta a terra, foto del 31 ottobre 2022:

 

 

NOTA: la grande profusione di alberi nel mosaico pavimentale di Otranto, sovente legati al Paradiso terrestre, ci induce a riportare qui il seguente passo tratto dall’articolo dal titolo “L’origine dell’Albero di Natale“:

«Un antecedente dell’usanza dell’Albero di Natale nel Cristianesimo (n.d.r.: oltre che naturalmente nella tradizione pagana nella quale tanto forte era la presenza dell’elemento arboreo) potrebbe essere la tradizione che si diffonde nel Medioevo degli “Adam und Eva Spiele” (giochi di Adamo ed Eva, traducendo dal tedesco) che prevedevano la ricostruzione nelle chiese dello scenario del Paradiso in terra, proprio il 24 di dicembre, alla vigilia di Natale, con tanto di alberi di frutta, simboli dell’abbondanza e del mistero della vita.». Quindi i famosi alberi della vita e della conoscenza del Paradiso terrestre biblico. Da qui poi l’affermazione del sempreverde abete dalla chioma conica.
Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre forse mentre si nascondono tra i rami dopo il peccato compiuto secondo Genesi – Otranto, navata centrale della Cattedrale, mosaico medioevale pavimentale.

 

Nel medesimo articolo anche vediamo una immagine dell’albero della vita nella cultura indiana, raffigurato come sorretto proprio da un elefante, così come da elefanti è sorretto il grande albero nella navata centrale del mosaico medioevale della Cattedrale di Otranto:

 

L’albero della vita nella cultura indiana, raffigurato come sorretto proprio da un elefante.

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La Vite coltivata ad alberello leccese?

Il mosaico idruntino è fortemente ispirato proprio dai riferimenti alla coltivazione del vino e ai miti ad esso legati. Il più esplicito è quello di Noè, mostrato con le gote rosse, segno probabilmente di ebbrezza, e mentre con i figli cura il suo vigneto, ciò dopo il Diluvio Universale:

 

con viti che paion coltivate proprio ad “alberello  leccese” come in parte ancora oggi nella tradizione contadina salentina.

Vitigno primitivo, coltivato in Terra d’Otranto con portamento ad “alberello leccese” detto. Immagine dal sito www.wineblogroll.com.

 

Nei tondi dei mesi vediamo il mese di agosto rappresentato da un contadino che vendemmia raccogliendo l’uva, e anche lì la vite sembra coltivata ad alberello, e il mese di settembre da un contadino dalle gote rosse che a piedi nudi la pigia in un vasca da un cui foro sgorga un mosto scuro (palmento è il nome delle vasche scavate a volte nella nuda roccia utilizzate nel Salento per la fermentazione del mosto).

 

Rappresentazione musiva nei tondi dei vari mesi dell’anno con i tipici simboli e lavori contadini legati alla natura. Anche i segni dell’oroscopo (ariete, capricorno, toro, scorpione, cancro e quindi il granchio, leone, pesci, ecc.). Particolare del pavimento della navata centrale della Cattedrale di Otranto.

 

Il fatto che in questo calendario dei mesi con scene della vita contadina la raccolta dell’uva inizi ad agosto rappresenta una tipicità, dato che solitamente in altre raffigurazioni medioevali dei mesi in Europa essa compare nel mese di settembre. Ciò risalta la correlazione con il mondo contadino locale cui Pantaleone si riconduce nelle raffigurazioni dei mesi con le loro principali simbologie e attività umane, del resto nel mosaico le genti locali in primis dovevano riconoscere il loro mondo: ancora oggi in Salento si coltiva un vitigno di una cultivar locale chiamata “primitivo” proprio perché la maturazione della sua uva giunge prima che per le altre cultivar e la raccolta dell’uva inizia già in agosto.

Il tondo del mese di novembre vede la rappresentazione vicino ad un contadino di un corno da bere, e poiché novembre è il mese in cui il mosto diventa vino e si beve il primo vino nuovo, e il corno come bicchiere è già da epoca antica legato al vino, (vedi l’iconografia antica di Dioniso talvolta raffigurato con in mano un corno pieno di vino, quando non con il bicchiere da vino, il “kantharos”), tale corno in posizione da bicchiere rimanda proprio al vino nuovo con tutta probabilità! Correlato potrebbe essere il particolare delle gote rubiconde dell’uomo raffigurato in questo tondo dei mesi.

Nota: nel tondo del mese di settembre troviamo l’allegoria del segno zodiacale della Vergine. Solitamente essa regge o la spiga o la palma o entrambe secondo l’iconografia del segno, qui a Otranto mi pare di poter dire che si  sia optato per la foglia di palma, la palma da dattero (Phoenix dactylifera) di cui in Salento si sono ritrovati semi di datteri di epoca messapica da offerte alle divinità nei santuari, e ancor oggi è una specie assai diffusa in Terra d’Otranto.

Il Salento era ancora nel medioevo, e ancora oggi, come nel tempo antico, ottima terra di vigneti e oliveti. Una tradizione, quella della viticoltura molto caratteristica del sud Italia che annovera cultivar di vitigni di pregio (oltre al primitivo anche il negramaro) e diverse varietà di buona uva da tavola.

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La Palma da dattero

L’albero raffigurato nei pressi delle mura della città di Ninive nel mosaico di Otranto si pensa sia una palma da dattero (Phoenix dactylifera) stilizzata per dare un tocco estetico di esoticità orientale alla scena:

 

Suonatori di trombe annunciano a Ninive il rischio che corre la città rivelato dal profeta Giona, mosaico pavimentale del XII sec. d.C. zona catino absidale Cattedrale di Otranto. L’albero raffigurato nei pressi delle mura si pensa sia una Palma da dattero stilizzata per dare un tocco estetico di esoticità orientale alla scena. Vedi anche per approfondimento i seguenti articoli “La prostituzione sacra di Ninive nel mosaico medioevale di Otranto?” e “La musica dai mosaici del XII sec. d.C. delle Cattedrali di Otranto, Taranto e Brindisi“.

 

Nota la Palma da dattero e Maria: il Vangelo apocrifo di Matteo riporta che, durante la fuga in Egitto, il bambino Gesù ordinò a una palma da datteri nel deserto di curvarsi davanti a lui per dare a Maria dei datteri. Così è anche il racconto sul comando di Gesù alle radici della palma da cui scaturì una fonte per dissetare la Sacra Famiglia. Troviamo un riferimento alla palma da dattero legata alla nascita di Cristo nel Corano. La sua redazione è completamente diversa da quella dei Vangeli. Il luogo indicato dal Corano della nascita di Gesù (‘Isa’s), si trova nella Sura 19 di “Maria”. Ecco il testo del Corano: << 22 Lo concepì e, in quello stato, si ritirò in un luogo lontano. 23 I dolori del parto la condussero presso il tronco di una palma. Diceva: «Me disgraziata! Fossi morta prima di ciò e fossi già del tutto dimenticata!». 24 Fu chiamata da sotto : «Non ti affliggere, ché certo il tuo Signore ha posto un ruscello ai tuoi piedi; 25 scuoti il tronco della palma : lascerà cadere su di te datteri freschi e maturi. 26 Mangia, bevi e rinfrancati. (…)>> (Sura 19:22-26). Il parto di Maria in un luogo lontano presso il tronco di una Palma da dattero ci richiama la mitica nascita di Apollo e della sorella Diana dalla madre Latona (Leto) ingravidata da Zeus e che avvenne tra una palma (della tipologia palma da dattero) ed un olivo nell’Isola di Delo dove Leto aveva cercato rifugio per fuggire alle ire di Era moglia di Zeus. A Delo esisteva un santuario dedicato a lei dove una palma di bronzo ricordava l’albero a cui si era aggrappata al momento di partorire i due gemelli. Ciò ci richiama al parto che in antichità avveniva con la donna in posizione verticale appogiata ad un albero eventualmente aggrappandosi a suoi rami bassi (foglie nel caso di una palma). Mi piace ricordare come possibili palme da dattero sono gli alberi stilizzati raffigurati sempre nel mosaico idruntino dell’abside nei pressi della raffigurata città di Ninive relativa al ciclo di Giona.

 

Palma da dattero (Phoenix dactylifera) di cui in Salento si sono ritrovati semi di datteri di epoca messapica da offerte alle divinità nei santuari, e ancor oggi è una specie assai diffusa in Terra d’Otranto.

 

Antica veduta di Gallipoli (Lecce) nella Provincia di Terra d’Otranto con Palme da dattero.

 

Qui vediamo ben rappresentata la Palma da dattero in uno stemma presente in quella che fu la casa natia del mago Matteo Tafuri (Soleto, 1492 – Soleto, 1584) a Soleto, figura di cui abbiamo trattato in questo articolo,

 

Stemma sulla casa natia del mago Matteo Tafuri di Soleto.

 

edificio famoso anche per una epigrafe lì presente su un’architrave con inciso il motto «HUMILE SO ET HUMILTA’ ME BASTA. DRAGON DIVENTARO’ SE ALCUN ME TASTA».

 

 

Tornando al mosaico di Otranto nel tondo del mese di settembre troviamo l’allegoria del segno zodiacale della Vergine. Solitamente essa regge o la spiga o la palma o entrambe secondo l’iconografia del segno,

 

Vergine costellazione allegoria.

 

qui a Otranto mi pare di poter dire che si  sia optato per la foglia di palma:

 

Tondo del mese di Settembre, mosaico pavimentale del XII sec. d.C. nella Cattedrale di Otranto. Immagine dal Web al link.

 

 

Clipeo del mese di settembre nel mosaico di Otranto. C’è chi ha proposto vista la scena di pigiatura dell’uva che si fosse rappresentato lì Bacco con un ramo di alloro, ma data la presenza in ogni tondo dei mesi di un segno zodiacale ben più plausibile è vedervi lì l’allegoria della Vergine, segno zodiacale che va appunto dal  dal 24 agosto al 22 settembre.

 

Il tondo di settembre sopra presentato mostra un contadino con berretto a foggia conica, come quello del mese di agosto impegnato nella vendemmia:

 

Tondo del mese di Agosto, mosaico pavimentale del XII sec. d.C. nella Cattedrale di Otranto. Immagine dal Web al link.

 

Questi cappelli mi ricordano il PILEUS il berretto greco, che compare raffigurato nell’arte pugliese antica dei vasi Apuli a figure rosse:
Piatto antico a figure rosse pugliese, terzo quarto IV secolo a.C., Louvre.
Aneddoto: anni fa feci di tutto per ritrovare a Maglie un anziano contadino che avevo visto passare in moto con un berretto conico di feltro color verde sul capo, identico a quello conico dei mosaici dei contadini in Otranto, mentre andava a lavorare nei campi in contrada Poligarita.
Dopo giorni di appostamenti lo incontrai e gli chiesi di quel cappello, e lui, ovviamente meravigliato, ma anche contento della mia attenzione al suo look, mi disse, con certo compiacimento per la sua opera, che era solo un vecchio cappello rottosi e che aveva però lui aggiustato, se non erro con pezzi di canna, conferendogli quella forma.
A Maglie la tradizione della produzione di cappelli di varie fogge, tra cui l’ immancabile “coppula”, divenne un’ industria fiorente e rinomata nel secolo scorso.
Il pileo (greco: πῖλος – pilos, anche pilleo o pilleum in latino) era un cappello senza bretelle indossato nella Grecia antica e nelle regioni circostanti, come l’ Illiria, poi introdotto anche in Roma antica. Può essere fatto di feltro o di cuoio.
Il greco πιλίδιον (pilidio) e il latino pilleolus erano versioni più piccole, simili a un cranio.
Il pileo (plis in albanese) è molto comune anche in Albania e in Kosovo.
Non sarebbe male se i nostri sarti locali pugliesi riproponessero questo tradizionale anche apulo elemento di abbigliamento antico adattandolo alla nostra contemporaneità!
Sarebbe anche un modo per ritrovare un degno uso alla lana delle nostre pecore tipiche salentine oggi sempre più boicottata stupidamente per materiali di origine sintetica industriali!

Per approfondire su questo discorso dei cappelli in antichità rimando a questo mio post facebook del 13 settembre 2017 e ai miei commenti e non solo miei ad esso.

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Il Fico (Ficus carica) e il suo frutto proibito nell’ Eden?

Cattedrale medioevale Otranto, presbiterio, pavimento con mosaico del XII sec. d.C.
Si ritiene sia un orso l’animale nel tondo in basso a destra.
Un dromedario o cammello quello nel secondo tondo a partire dal basso sulla estremità sinistra.
Si noti la presenza tra i tondi anche della scena di un gatto e topo/ratto e di un gallo in difesa/attacco contro una volpe.
In merito alla scena della tentazione da parte del serpente verso Eva e di Adamo che mangia il frutto proibito, rappresentati in centro in basso (vedi foto sopra) sul pavimento del presbiterio si osservi come nella rappresentazione idruntina l’albero sembrerebbe lì un fico della locale specie mediterranea (Ficus carica) per foglie e frutti.
Adamo mangia un fico, come frutto proibito, presbiterio, mosaico pavimentale del XII sec. d.C., Cattedrale di Otranto.
Troviamo un fico (Ficus carica) raffigurato come albero del frutto proibito del Paradiso terrestre anche pare nella cosiddetta cripta del Peccato Originale a Matera, nei suoi affreschi di cultura longobardo-benedettina datati tra l’ VIII e l’ IX secolo d.C.; negli affreschi della chiesa rupestre materana è con foglie di fico che Adamo ed Eva coprono i loro organi genitali dopo aver compiuto il loro peccato mangiando il frutto proibito (simbolicamente lì come a Otranto un fico parrebbe tale frutto e non una mela come secondo una consuete iconografia).
La fica” in dialetto salentino, frutto del Ficus carica, l’albero di fico.

 

E’ del resto nella stessa Bibbia, libro della Genesi, che si dice che Adamo ed Eva usarono proprio una foglia di fico per coprirsi gli organi genitali, la cui nudità, dopo aver mangiato il frutto dell’Albero della conoscenza del bene e del male, era divenuta fonte di vergogna. Da qui una diffusa iconografia nell’arte Cristiana che mostra Adamo ed Eva con foglie di fico come perizoma dopo l’atto della consumazione del frutto proibito. Non si specifica invece nel libro della Genesi con precisione la specie del frutto proibito. Ciò ha favorito l’idea che si trattasse del fico, poiché le sue foglie sono menzionate poco dopo per l’uso che ne fecero i progenitori Adamo ed Eva.

A seguito di questa lacuna di informazione pomologica comunque si è sviluppato anche il filone che ha visto nel frutto una mela, altra pianta arborea da frutto presente in area mediterranea, ad esempio in Salento con la cultivar assai diffusa chiamata Melo di San Giovanni (una varietà precoce estiva, la festa di San Giovanni Battista cade il 24 giugno).

 

Melo di San Giovanni in Puglia. Da biodiversitainrete.it.

 

In alcune zone della Puglia (quelle costiere) è anche denominata Melo di Sant’Antonio, in quanto matura un po’ prima rispetto alle zone collinari interne. In Valle d’Itria è anche denominato Melo Grasta, nome dialettale di vaso, a causa dello scarso vigore della pianta che ha habitus pendulo.

Per  il “frutto proibito” nel testo della Bibbia si parla di “frutto”, senza ulteriori specificazioni. In latino la mela viene chiamata mālum, parola che ha anche un suono molto simile a quella che significa “il male” (mălum). Per questo motivo nel medioevo (quando tra l’altro si perse la distinzione tra vocali brevi e lunghe nella pronuncia del latino) si sarebbe cominciato a rappresentare il frutto come una mela.

A Maglie nel ‘600 l’albero del frutto proibito nel Paradiso terrestre è un Melo nell’affresco della volta nella Chiesa della Madonna delle Grazie.
In tale affresco Adamo ed Eva si coprono le nudità con foglie di Fico.
A Otranto nel XII secolo d.C. tale albero è invece un Fico nel mosaico del pavimento della Cattedrale di Otranto.

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La manticora nei bestiari (o sfinge egizia)
Sopra nel mosaico di Otranto,
a seguire in una miniatura nel Rochester Bestiary, Folio 024v, “Manticora”:
Rochester Bestiary, folio 024v, ”Manticora”.

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La sfinge greca
Sopra nel mosaico di Otranto,
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La Pistrice/Ketos o il Pesce mostruoso?

Valutiamo se vi sono similitudini (o meno) tra il mosaico di Otranto e quello di Aquileia anche per il tipo di mostro marino che ingoia Giona rappresentato nei due mosaici.

Aquileia.

Ad Aquileia l’essere marino che ingoia Giona ha le sembianze del drago ketos (o pistrice anche chiamato questo drago marino) di ispirazione classica e che compare simile anche nell’arte vascolare apula a figure rosse:

 

Particolare di un pregevole vaso rituale per acqua della tipologia detta in greco “loutrophoros”, dove si mostra l’eroe Perseo che sta combattendo contro il mostruoso essere marino draghiforme chiamato Ketos, per salvare da esso e liberare Andromeda. Terracotta Apula a figure rosse prodotta in Puglia e datata tra il 340 e il 330 a.C.

 

In altre versioni della storia di Giona altrove si mostra tale essere mostruoso che fagocita il Profeta come un grosso pesce di forma più comune per un pesce, fino a diventare in altre interpretazioni una balena; del resto lo stesso topos narrativo mitologico sarà ripreso nella fiaba di Pinocchio ingoiato da un enorme “pesce-cane” si dice nel racconto scritto, ma sovente raffigurato come balena.

 

Il profeta Giona sputato fuori dal grosso pesce – icona.

 

A Otranto vediamo solo le fauci dell’animale che tra le acque ingoia Giona. Non rivela una cresta sulla testa né corna come nella pistrice/ketos.

 

Abside della Cattedrale di Otranto, mosaico medioevale pavimentale, Giona gettato nelle acque e il mostro. Vi vediamo un possibile confronto che il mosaicista ha voluto rappresentare anche tra una stella nel cielo e una stella marina nel mare.

 

Se osserviamo che una coda di grosso essere marino pisciforme e forse dello stesso colore della testa (da verificare!) si nota verso la poppa con timone della stessa nave da cui Giona viene precipitato in acqua, allora per la posizione della bocca e della coda, se con quella coda si fosse voluto rappresentare il posteriore del medesimo essere con la gran parte del suo corpo fuori scena, allora anche il mostro marino di Otranto nel ciclo di Giona avrebbe un possibile lungo corpo serpentiforme come la pistrice (ketos) raffigurata ad Aquileia.

Confrontiamo anche con il tondo di Giona che vien gettato a mare nel mosaico pavimentale della metà del XII secolo nella Cattedrale di Sant’Evasio a Casale Monferrato.

Non mancano comunque esseri marini che nei millenni passati possano aver ispirato la genesi di mostri simili per alcuni aspetti alla pistrice.
Per approfondimento: da un mio post facebook del 20 agosto 2018
IL CASO DEL RE DELLE ARINGHE (REGALECO) articolo del professor Franco Tassi – criptozoologia.
CRIPTOZOOLOGIA: IL CASO DEL RE DELLE ARINGHE
lunghissimo pesce abissale che vive anche in MediterraneoRiflessioni in merito a ciò che a volte viene bollato troppo frettolosamente come “animali fantasiosi della mitologia”, e che sovente contengono invece importanti dati dal valore naturalistico e storico in merito a ibridi, teratomorfi, emersione di fossili, animali comuni o rari già all’ epoca della nascita del mito, e oggi magari rari o estinti, o altri fenomeni naturali, che hanno ispirato antichi racconti e raffigurazioni.Riporto questo articolo e bel commento del Professor
Franco Tassi, grandissimo naturalista e studioso attento anche di criptozoologia, dal bel post del 18 agosto 2018 di
Francesco Bevilacqua (che qui linko) dedicato agli animali misteriosi “draghi” e delfini nei mosaici magnogreci di Kaulonia nella attuale regione Calabria sul versante ionico.

Da Franco Tassi:

Caro Francesco, l’argomento è molto interessante e suggestivo, e meriterebbe approfondite riflessioni. Spesso i “draghi” e i “mostri” dell’antichità riflettevano fenomeni reali, magari trasfigurati dalla fantasia. Si pensi ad esempio alle Sirene, che si è ipotizzato nate dall’avvistamento sugli scogli lontani della Foca monaca, o al Grifone o a mille altri… Ho avuto modo di affrontare spesso questo enigma nell’ambito dell Criptozoologia, su cui prossimamente pubblicheremo anche un Libro. Ma per il momento mi limito ai bellissimi mosaici di Kaulonia, uno è ovviamente un Delfino (soggetto un tempo preferito), ma cosa dire dell’altro? Gli archeologi si limitano a chiamarli “mostri”, e li archiviano così, come avviene a Piazza Armerina… Peccato, perché se avessero interpellato un Criptozoologo, avrebbe spiegato che la figura ricorda molto da vicino quella di un animale realmente esistente, il Re delle Aringhe o Regaleco (Regalecus glesne), presente anche nei nostri mari ma raramente visibile, talvolta impressionante per le dimensioni, l’agilità e l’aspetto, con la testa che ricorda un cavallo… E si potrebbe continuare, ma per ora ci fermiamo qui.
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QUEL MOSTRO CHE SI SPIAGGIO’ SULLE COSTE DEL SALENTO: DI CHE SPECIE ERA?
“Il mare, agitato da Orione, gettò sugli scogli degli Iapigi, una scolopendra [nel testo greco “scolopendran”] dagli innumerevoli piedi; e i comandanti delle navi a venti remi addette al trasporto di buoi dedicarono agli dei questo fianco enorme del mostruoso selaceo.”
(Teodorida di Siracusa, scrittore greco siceliota del III sec. a.C., epigramma conservato presso l’ “Antologia greca” o “Antologia Palatina” detta, VI 222)
Bibliografia: “I Messapi e la Messapia nelle fonti letterarie greche e latine” a cura di Mario Lombardo, Congedo Editore, Galatina 1992
E se fosse un Re delle Aringhe in decomposizione di cui apparivano le costole che potevano sembrare tante zampe?
Per la discussione su cosa potesse essere rimando anche ai commenti al post facebook.
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Da un mio post facebook.
Compare frequentemente nell’arte musiva romana questo essere marino (seconda foto), talvolta anche cavalcato, interpretato come delfino.
Ma questa specifica iconografia non è esattamente naturalisticamente corrispondente al delfino. Ha infatti una prominente cresta a pennacchio rosso sulla testa e due lunghi bargigli rossi-arancioni sotto il mento.
E’ forse tale iconografia ibrida tra il Delfino e il grande Pesce nastro (chiamato anche Regaleco o Re di aringhe) che non mancava in passato come oggi di impressionare, soprattutto quando ritrovato spiaggiato, per le sue notevoli dimensioni?
Lo confrontiamo invece il Delfino con la sua rappresentazione naturalistica nella penultima foto da un affresco minoico nel Palazzo di Cnosso a Creta molto più antico. Ma anche con certe raffigurazioni assai naturalistiche del Delfino cavalcato da uomo nudo nella monetazione magnogreca dalla città di Taranto (Taras), vedi ultima foto nell’album del post.
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Il Cinghiale
Caccia al cinghiale, mosaico pavimentale medioevale nell’abside della Cattedrale di Otranto. Particolare.
Il grosso cinghiale cacciato è una “troia”, termine che viene dal latino e indica la femmina del cinghiale, infatti se si allarga l’immagine dell’intero mosaico sopra si vedrà poco innanzi rispetto alla scena qui mostrata un altro cane della ciurma di caccia che azzanna un piccolo cinghialetto in fuga che divarica la bocca per strillare per il dolore e sperando in un aiuto che più dalla madre non arriverà probabilmente. In tutto quattro grossi cani lupeschi.
Scena della caccia al cinghiale, mosaico pavimentale medioevale nell’abside della Cattedrale di Otranto.
Nei cinghiali è caratteristica etologica infatti che i piccoli stiano con la madre che li difende strenuamente, motivo per cui è bene tenersi lontano da troie e loro cuccioli. (Tròia s. f. [lat. mediev. troia, forse voce espressiva che imita il grugnito del maiale]. – La femmina del maiale, spec. con riferimento a quella destinata alla riproduzione; è sinon. pop. di scrofa).
Cinghiali (Sus scrofa). Scrofa con cucciolata.
Inoltre ad Otranto nel mosaico vediamo anche maiali e cinghiali nel tondo del mese di dicembre, (vedi anche sopra l’immagine con le ruote dedicate ai vari mesi dell’anno con le loro caratteristiche più tipiche, dall’oroscopo, ai lavori agricoli e faccende umane, alle delizie e caratteristiche della natura clima incluso):
Tondo del mese di dicembre, mosaico pavimentale medioevale nella Cattedrale di Otranto.
Si mostra lì l’uccisione macellazione del cinghiale e del maiale, perché in inverno si ha bisogno di maggiori calorie alimentari per resistere ai rigori del meteo, e nel Salento non a caso l’autunno si caratterizza ancora oggi per tante sagre del maiale fatte coincidere con feste religiose cristiane. Sempre nel mosaico nel medaglione del mese di febbraio si mostra un maialino cotto allo spiego. Il maiale altri non è, ricordiamo, che il cinghiale nella sua forma domestica.
Anche nel Salento è assai probabile che vi fosse la tradizione del maialino allo spiego, come oggi per il famoso “porceddu” sardo! Qui si legge che tale tradizione gastronomica nei primi del ‘900 era presente anche nella vicina Albania:
Tondo del mese di Febbraio nel mosaico di Otranto.
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I Felidi
Per approfondire sui Felidi presenti nel mosaico pavimentale medioevale idruntino rimando a questi miei articoli:
per un approfondimento sui leoni ritratti nel mosaico (anche in forma quadricorporea) rimando all’articolo “San MARCO nel mosaico medioevale della Cattedrale di OTRANTO? Omaggio a Venezia? Legami sottesi tra Otranto e quella Repubblica marinara?
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L’unicorno
Sono presenti nel mosaico di Otranto diversi unicorni raffigurati, questo di seguito il più bello:
Mosaico pavimentale medioevale di Otranto, XII sec. d.C. tondo nella zona del presbiterio, unicorno e la vergine.

 

Per approfondire: “OTRANTO: è una VERGINE fanciulla che accarezza l’UNICORNO, non il monaco Pantaleone! Studi sul mosaico medioevale del XII sec. d.C.

Troviamo l’Unicorno anche a Maglie nel ‘600 nella raffigurazione del Paradiso terrestre nell’Affresco della volta nella Chiesa della Madonna delle Grazie:

In tale affresco nel Paradiso terrestre troviamo anche la rappresentazione delle ninfee (foglie), della vite con uva bianca e nera e pampini, il melo con mele, la palma, il pino con pigne, zucche tonde costolate (probabilmente delle specie del genere Cucurbita di importazione americana), varie erbe con fiori, i conigli/lepri, anatre in una fontana, colombe, pavoni, forse uno struzzo o un tacchino dato il becco ricurvo,
Guardavo questo grande uccello in questo affresco del Paradiso terrestre sulle volte della Chiesa della Madonna delle Grazie a Maglie. Affresco del ‘600 credo, sono indeciso tra struzzo e tacchino, ma il becco ricurvo non si addice allo struzzo naturalisticamente parlando. La Gallina faraona (Numida meleagris) allevata in Italia già al tempo dei romani ha una cresta e collo meno lungo rispetto all’uccello nell’affresco.
il Tacchino (Meleagris gallopavo) animale questo ultimo importato dal Nuovo Mondo
Tacchino (Meleagris gallopavo) selvatico, uccello importato in Italia dal Nuovo Mondo allevato anche come avicolo domestico.
e già attestato in Salento dall’archeozoologia tra fine del ‘500 e inizi del ‘600, da resti ossei repertati in un silos di Borgo Terra a Muro Leccese:
L’antico Tacchino di Muro Leccese, da un post facebook.
cervo/daino/capriolo, la capra, l’ariete/bufalo, il bue, il cavallo, l’asino, le pere, varie altre piante e frutti, alveari (?), l’elefante, il cane, il cammello/dromedario, pesci (?), ecc.
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Il Grifone mitologico
Sono presenti nel mosaico di Otranto diversi grifoni mitologici raffigurati.
Otranto, grifone e ariete in una ruota del mosaico pavimentale del XII sec. d.C. della Cattedrale.
L’ispirazione per questo animale chimerico più che dall’aquila veniva forse dagli avvoltoi, quali tra le specie europee l’avvoltoio monaco, il capovaccaio, il gipeto e proprio l’avvoltoio chiamato grifone, per approfondire su queste specie: “Il cimitero per gli amati “Pelosetti”? Sia nello stomaco degli Avvoltoi di cui ripopolare l’Italia! RIFLESSIONI CONTRO IL REGIME DELLA FALSA-ECOLOGIA PER LA RINASCITA!
Avvoltoio monaco e Grifone, Europa, carnaio
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Lo Struzzo
Diversi struzzi sono effigiati sul mosaico pavimentale della Cattedrale idruntina.
Da un libro foto di un particolare del mosaico medioevale pavimentale della Cattedrale di Otranto. Ragazzo, con berretto e intento a suonare un lungo corno, a cavallo di uno Struzzo.
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La Cavalletta/Locusta mostruosa gigante?

Alla stessa altezza delle bestie policefale probabilmente dell’Apocalisse, ma subito a sinistra dell’albero centrale nella navata centrale sempre, compare una strana creatura ghermitrice che tormenta un uomo:

 

Mostro tormentatore forse dell’Apocalisse – navata centrale della Cattedrale di Otranto, mosaico pavimentale dell’XII secolo d.C.

 

Potrebbe essere una fantasiosa raffigurazione delle considerate locuste dell’Abisso (o locuste dell’Apocalisse o cavallette dell’Apocalisse), mostri mitologici nominati nell’Apocalisse di Giovanni: “uscirono sulla terra delle cavallette/locuste a cui fu dato un potere simile a quello degli scorpioni della terra. E fu detto loro di non danneggiare l’erba della terra, né la verdura, né gli alberi, ma solo gli uomini che non avessero il sigillo di Dio sulla fronte. Fu loro concesso, non di ucciderli, ma di tormentarli per cinque mesi con un dolore simile a quello prodotto dallo scorpione quando punge un uomo.”

 

Locusta.

 

Non è proprio peregrina l’idea della locusta dell’Apocalisse con coda di scorpione che tormenta l’uomo per questa immagine del mosaico, da questo confronto con una locusta reale, anche se ci sono similitudini comunque nel corpo con uccelli predatori mostrati prossimi ma meno mostruosi.

Ma persino le ali del mostro ghermitore nel mosaico idruntino con quadrettature irregolari sono assai compatibili con le ali di insetti come le locuste/cavallette:

Cavalletta che spande le sue ali.

 

Ma quadrettature irregolari, dobbiamo osservare, sono utilizzate anche per rappresentare le piume delle ali di alcuni uccelli nel mosaico, come possiamo vedere ad esempio per lo struzzo sopra.

L’idea nell’Apocalisse di cavallette-scorpioni può esser derivata dall’osservazione nelle cavallette/locuste femmine dell’aculeo ovopositore appariscente in fondo all’addome con cui esse scavano nella terra per deporre le loro uova:

Mi piace segnalare anche qui alla ricerca di suggestioni naturalistiche per quei mostri dell’Apocalisse un insetto diffuso in Eurasia chiamato la Mosca scorpione (Panorpa communis), che ha una certa somiglianza con il mostro qui discusso nel mosaico di Otranto:

La Mosca scorpione (Panorpa communis).

 

la Mosca scorpione è una sorta di fossile vivente, che deve il suo nome alla conformazione particolare dell’ultima parte del corpo, che termina con un rigonfiamento che ricorda un pungiglione e che l’insetto normalmente tiene sollevato sopra il corpo, grazie alla curvatura dell’addome. Ciò lo rende simile allo scorpione, ma in questo caso quel rigonfiamento terminale è assolutamente innocuo e serve per bloccare la femmina della sua specie in fase di accoppiamento, perché essa ha la tendenza a mangiarsi il partner una volta compiuta la copula, anche per questo il maschio le porta in dono qualche insetto per farla mangiare sperando così di salvarsi, cosa che accade, ma non sempre. E’ un insetto prevalentemente carnivoro, si nutre infatti di animaletti morti o afidi vivi attraverso il suo particolare muso allungato, che gli permette di succhiare gli alimenti.

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Ecc. ecc.
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APPENDICI

L’Aquila nel mosaico della Cattedrale di Brindisi
Aquila in una ruota nel mosaico pavimentale della Cattedrale di Brindisi del XII sec. d.C. Mosaico di poco successivo a quello figurato della Cattedrale di Otranto.
LE AQUILE GIUNGEVANO DELL’ALBANIA NEL CAPO DI LEUCA E PREDAVANO GLI AGNELLI AL PASCOLO … “. Un’amica piemontese mi dice di vedere ogni tanto un’Aquila sulla costa adriatica a 1km da Leuca. mi dice di crederci nella sua terra natia le Aquile le conosce bene
In effetti non sarebbe anomalo, alcune specie di Aquile giungono nel Capo di Leuca per passo migratorio.
Ma mi racconta di aver saputo dagli anziani del luogo che in passato ce n’erano tante, provenienti dall’Albania, ed esse si mangiavano gli agnelli ai tempi della pastorizia.
In effetti l’Albania è proprio nota come la terra delle Aquile, che vengono ostentate anche nello stemma della nazione.
Ora guarderò i monti dell’Albania all’orizzonte del Canale d’Otranto con ancora più suggestioni pensando giustamente alle Aquile albanesi …
La distruzione della Natura in Salento è stata tanto puntigliosa che anche l’Aquila è un animale sparito dalla mia percezione della realtà e pertanto dalla mia immaginazione. Giusto guardare all’araldica anche con occhi naturalistici!
Monete antiche del Salento con aquile.
Né manca il simbolo dell’Aquila nella monetazione messapica antica (vedi qui le monete delle città messapiche di Sturnium e Graxa) e nella statuaria messapica (vedi la famosa statua di bronzo dello Zeus “Zis” di Ugento che regge in mano un’Aquila)!
Grande simbolo l’aquila (athos in greco) per i Romani.
Come possiamo capire il passato e la nostra cultura nella distruzione del paesaggio e della biodiversità?!
RINATURALIZZAZIONE
AGGIUNGERE RIAGGIUNGERE NON TOGLIERE LE SPECIE PRESENTI
Mi piace ricordare come camosci (Rupicapra sp.) e stambecchi (Capra ibex) vivessero anche in Puglia nel Pleistocene.
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Il Pollo sultano nei mosaici di Casaranello a Casarano
Il Pollo sultano (Porphyrio porphyrio) credo di poterlo individuare nel mosaico del 450 d.C. circa nella Chiesa di Santa Maria della Croce di Casaranello a Casarano (Lecce). Precedentemente era stato scambiato dagli studiosi per un gallo (Gallus gallus). Il 30 marzo 2012 divulgai con un mio post facebook post questa mia interpretazione tassonomica.
Mosaico parietale del 450 d.C. circa nella Chiesa di Santa Maria della Croce di Casaranello a Casarano (Lecce), quinconce a spazi anche figurati con animali e vegetali. Ipotesi del Pollo sultano per l’uccello al centro nel tondo di destra.
Pollo sultano (al link).
Il Pollo sultano ho dunque osservato che era un motivo assolutamente amato dall’arte musiva romana-bizantina, qui di seguito un esempio dai mosaici paleocristiani (prima metà del IV secolo d.C.) sul pavimento della Basilica di Aquileia (Italia):
Pollo sultano nei mosaici paleocristiani (prima metà del IV secolo d.C.) sul pavimento della Basilica di Aquileia.
Ciò ad ulteriore supporto della mia ipotesi che sia anche un Pollo sultano quello mostrato a Casaranello.
Per approfondire sugli animali (polli sultani, anatre, galli/galline, conigli/lepri, pesci scorfani), vegetali (melograne, fichi, forse rami d’ulivo, canne palustri/canne domestiche, felci forse di Polypodhium vulgare/australe o Acanto, carciofi, grappoli d’uva) e funghi (fungi dell’inchiostro e altri di colore rosso, se non sono meduse) che ho individuato nei mosaici paleocristiani di Casaranello rimando a due miei post facebook post1 del 30 maggio 2012 e post2 del 17 settembre 2017 e ad un mio studio di approfondimento. Lì anche discussioni sugli elementi di più difficile identificazione.
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I Funghi rappresentati nella tela di Sant’Antonio Abate a Zollino e forse anche nel mosaico della Chiesa di Casaranello a Casarano
Sant’Antonio Abate con i funghi in una tela nella Chiesa di Zollino (Lecce) dei Santi Pietro e Paolo Apostoli. Una datazione possibile per l’opera al XVI o al XVII sec. d.C. Ringrazio l’amico Giovanni Enriquez che avendo con sé una fotocamera mi ha gentilmente scattato questa foto per immortalare questa tela che mi aveva tanto colpito per i suoi funghi e l’immagine del Santo eremita raffigurato con suggestioni che mi parevano da mago non appena la notai durante un’escursione il 24 giugno 2018. Da notare anche il cane ritratto nella parte alta per riflettere sulla sua possibile razza.

 

Si tratta dei commestibili funghi della specie Cimballo (Clitocybe geotropa) come riconosciuti da un micologo.

 

Cimballo (Clitocybe geotropa).

 

Per approfondire rimando al mio post facebook dedicato e ai miei commenti ad esso nonché a questo mio studio.

 

Per approfondire anche sulla possibile rappresentazione di funghi (o meduse) nel mosaico della Chiesa di Casaranello a Casarano (Lecce) vi invito a questi miei due post e ai miei ricchi commenti ad essi: post1 e post2. Nonché a questo mio studio.

Ho proposto di riconoscervi dei funghi (o meduse o assai meno probabilmente pini ad ombrello) nelle figure ad ombrello che compaiono negli angoli del mosaico interno sulla volta della cupoletta della Chiesa di Casaranello edificata nel 450 d.C. circa:

 

Mosaico interno sulla volta della cupoletta della Chiesa di Casaranello a Casarano.

 

Tre di queste figure fungiformi in tre angoli della volta della cupola sono simili tra loro:

 

Mosaico interno sulla volta della cupoletta della Chiesa di Casaranello a Casarano, particolare di uno dei tre angoli simili.

 

Per queste figure ho proposto confronti con il cosiddetto Fungo dell’inchiostro (Coprinus comatus), o con meduse come le specie presenti in Mediterraneo Pelagia noctiluca, Rhizostoma pulmo o Chrysaora hysoscella; nonché con il mediterraneo Pino italico da pinoli ad ombrello (Pinus pinea), ma quest’ultima ipotesi poco probabile messa solo per completezza di analisi.

 

Fungo dell’inchiostro (Coprinus comatus). Foto dal web.

 

Suggestiva è la somiglianza con il Fungo dell’inchiosto; forse in tempi paleocristiani era impiegato per produrre davvero un inchiosto e la sua raffigurazione era un richiamo alla scrittura dei Vangeli? In merito a questa pista di indagine simbolica che ho proposto ho fatto notare come in altre simili rappresentazioni musive grossomodo coeve, in particolare nella cupola del Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna, negli angoli della volta (volta sempre con azzurro cielo stellato e croce al centro), sono raffigurati i simboli dei quattro Evangelisti, nel complesso il simbolo del tetramorfo, ai quali è attribuita la scrittura dei quattro Vangeli canonici. Nelle chiese romaniche e gotiche i quattro santi evangelisti in forma umana, con in mano il Vangelo e con a fianco i loro simboli, vennero molto spesso effigiati nelle quattro vele delle volte a crociera, uno per vela, seduti allo scrittoio, intenti alla stesura dei rispettivi vangeli.

In uno degli spigoli della volta della Chiesa di Casaranello appare invece una figura fungiforme diversa dalle altre tre, era già così in origine o è frutto tale diversità di un restauro successivo?

 

Mosaico interno sulla volta della cupoletta della Chiesa di Casaranello a Casarano, particolare dell’angolo dalla figura fungiforme diversa rispetto a quelle degli altri tre angoli.

 

E’ una specie di medusa diversa oppure un diverso fungo? Assomiglia ad un carpoforo di fungo sezionato longitudinalmente per metà. Ma che specie di fungo? Forse un rimando stilizzato alla suggestiva Amanita muscarica dal cappello rosso punteggiato di bianco e bianco stelo, l’Ovolo malefico anche chiamata volgarmente?

 

Varie forme e stadi di crescita del carpoforo della specie Ovolo malefico (Amanita muscaria).

 

L’Amanita muscaria è il fungo dalle capacità psicoattivanti usato per entrare nella dimensione psichica concepita come contatto con il divino da parte degli sciamani euro-asiatici, stati di coscienza che permetterebbero forse anche secondo alcune teorie la rivelazione della Parola di Dio, questa interpretazione non sarebbe possibile se viste quelle figure come meduse più o meno urticanti.

Dato che tre dei quattro Vangeli canonici vengono definiti sinottici e solo uno se ne distingue nettamente, quello di Giovanni l’Evangelista, allora qui tale fungo differente dovrebbe rappresentare quel differente Vangelo nella esotica congettura ermeneutica qui formulata a partire dall’ipotesi degli altri tre come Funghi dell’inchiostro.

 

 

Mi piace riportare qui in calce a questo paragrafo alcune immagini dal mosaico pavimentale della Basilica di Aquileia.

 

Cesto con funghi nel mosaico pavimentale della Basilica di Aquileia. Immagine tratta dal seguente articolo.

 

Piatto con lumache nel mosaico della pavimentazione della Basilica di Aquileia.

 

Alcune lumache sono raffigurate mentre stanno abbandonando il contenitore come solitamente accade dopo un po’ di tempo da quando le si pone insieme in un recipiente.  Nel Salento c’è la consuetudine di raccogliere e consumare per l’alimentazione umana diversi gasteropodi terrestri col guscio spiraliforme.

 

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Il Bottone di mare nei mosaici di Aquileia nel nord Adriatico?
Come grande meraviglia ha suscitato nell’agosto 2018 lungo le coste del Salento la comparsa di numerosi esemplari del “Bottone di mare“, nome volgare ed eloquente dell’idrozoo coloniale della specie Porpita porpita, con tanti post facebook della gente e diversi articoli sui giornali online,
Bottone di mare, nome volgare ed eloquente dell’idrozoo coloniale della specie Porpita porpita.
così certamente altrettanta meraviglia provocava accadeva in passato la loro vista.
E nell’alto Adriatico, (il Salento è alla bocca del Golfo adriatico) non sfuggì forse all’attenzione degli artisti del IV sec. d.C.
Studiando i mosaici di Aquileia, nel ciclo di Giona, accanto alla Razza ocellata ho notato questo essere dalle sembianze di medusa, ma mi chiedo se non sia proprio invece il Bottone di mare.
Mosaici pavimentali della Basilica di Aquileia, nel ciclo di Giona del IV sec. d.C. particolare.
Ricordo poi che all’epoca il mondo del mare era vissuto dagli uomini più guardandolo da fuori che immergendosi. E il Bottone di mare si apprezza proprio facilmente in tutta la sua bellezza dall’esterno dell’acqua quando galleggia quasi sulla superficie.
Torpedine ocellata presente in Adriatico
Gli artisti poi sono molto più attenti alla bellezza e alle particolarità del creato. Ciò valido in tutte le epoche, anche ciò da tenere presente quando ci interroghiamo sulle più enigmatiche espressioni dell’arte preistorica.
Restando sul tema della forma della medusa analizziamo guanto raffigurato invece nel mosaico di Otranto tra Abele e Dio Padre nella scena delle offerte che Caino ed Abele fanno a Dio.
Vi vediamo una sorta di strana apparente rossastra medusa sopra Abele nella scena dell’offerta al Signore da parte di Caino e Abele ispirata dal biblico libro della Genesi. E si pone il quesito molto interessante di cosa si tratti.
Trovo allora queste altre immagini per la medesima scena biblica (vedi il mio post facebook) da altri luoghi della cristianità per una analisi iconografica.
Si trova il motivo del raggio di benevolenza del Signore nei confronti dell’offerta di Abele, inoltre il motivo del fuoco sull’ara sacrificale.
A Otranto è come se il mosaicista abbia fuso i due motivi insieme tra loro.
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La Tartaruga di mare in un dipinto a Gallipoli
Antica veduta di Gallipoli con Tartaruga marina. Link dall’articolo di www.japigia.com ottimo sito web.
E’ probabilmente la più comune Caretta caretta o la più rara Chelonia midas (Tartaruga verde). Da segnalare anche l’avvistamento nei mari del Salento della Tartaruga liuto, sempre una tartaruga marina, ghiotta di meduse e gigantesca.
Le tartarughe marine nel Salento vengono mangiate, la pratica era in vigore ancora decenni or sono nella località costiere (ad esempio a Porto Cesareo). E’ importante fare sì che il prelievo dal mare avvenga però sempre con misura per non estinguere le risorse.

Riporto anche questo interessante studio: “Testimonianze di utilizzo del carapace di Caretta caretta nell’insediamento dell’Età del Bronzo di Roca (Lecce)” in merito al rinvenimento di diversi resti di carapace di Caretta caretta, tutti inquadrabili cronologicamente al Bronzo recente. Si tratta degli unici resti rinvenuti in siti protostorici italiani che mostrano della lavorazione dell’osso di questo animale. “È probabile che questi animali venissero cacciati in primavera quando si recavano sulle spiagge per deporre le uova, oppure catturati casualmente con grossi ami usati per la pesca, anche se non si può escludere che il carapace potesse essere prelevato da persone spiaggiati, morti naturalmente”.

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La razza del Cane Cirneco nel mosaico della Cattedrale di Brindisi?

E questo bel cagnolino nel mosaico medioevale di Brindisi?
Immagine linkata qui dal sito www.salentoacolory.it.
Un Cane cirneco ancora vivente nel Sud Italia e Sicilia?
Razza canina da difendere con i denti come tutte e ripropagare massimamente anche in esemplari randagi.
Aggiungo anche qui la foto di questo cane ritratto a Otranto sulla cui razza sarebbe interessante speculare:
Affresco della natività, data 1677, particolare del cane dei pastori, cripta Cattedrale di Otranto. Foto del pomeriggio del 10 febbraio 2019, di Oreste Caroppo. Qui una foto dell’intera opera di Rita Paiano.
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L’Asino nel mosaico della Cattedrale di Brindisi?

Che animale è?
Dal mosaico medioevale del XII sec. d.C. della Cattedrale di Brindisi quello di color arancio.

Immagine linkata dal sito di www.brundarte.it.
Mi ha molto fatto pensare all’animale brindisino l’animale su cui tanti si son interrogati per capire di cosa si tratti nei mosaici paleocristiani di Aquileia più antichi (l’animale dai colori più grigi qui di seguito):
Particolare dai mosaici paleocristiani di Aquileia.
Mi pare che il topos iconografico musivo sia il medesimo.
Ma di che animale si tratta?
Io direi un asino selvatico o domestico che si morde la groppa per l’esemplare brindisi, vi risulta questo comportamento negli asini?
Ipotesi?
Nel mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto abbiamo già accennato sopra alla rappresentazione dell’Asino arpista negli spazi tra i tondi del presbiterio, sotto di lui partecipa all’esibizione musicale una Volpe che suona dei piatti che tiene nelle zampe anteriori:
Cattedrale medioevale Otranto, presbiterio, pavimento con mosaico del XII sec. d.C.
Altri esempi simili in Europa dall’arte scultore nelle chiese medioevali. A Genova ad esempio troviamo il motivo dell’Asino arpista scolpito nel portale della Chiesa di San Lorenzo
Un asino nelle vesti di musico, con un’arpa o con una cetra, come possiamo vedere in una chiesa di Aulnay in Francia, in corrispondenza di un archivolto del portale maggiore, allude alla ignoranza e alla presunzione. L’ iconografia deriva da una favola di Fedro e può essere interpretata anche come simbolo dell’uomo che cerca di avvicinarsi alle armonie superiori, che cerca di migliorare se stesso” (testo virgolettato e immagine che segue tratti dallo studio intitolato “UNA SOCIETÀ PIENA DI SIMBOLI“).
Asino arpista in una chiesa di Aulnay in Francia, in corrispondenza di un archivolto del portale maggiore.

 

Idem motivo anche in miniature nei manoscritti medioevali:

 

Asino arpista. Angers, BM, ms. 242, f. 1.
Questo Asino che suona l’arpa con la Volpe che suona i piatti mi ricorda un modo di dire salentino: “u ciucciu ‘menzu i soni“, traducendo dal dialetto “l’Asino in mezzo ai suoni”, ad sensum “l’Asino frastornato”, figura che indica una persona confusa tra diverse molteplici voci e informazioni contrastanti incapace pertanto di un nitido giudizio, di una scelta definitiva.
Metamorfosi asino-uomo (o essere teratomorfo) nei pressi del presunto Graal nel mosaico idruntino del XII sec. d.C., pavimento zona abside nella Cattedrale di Otranto.
per il cui approfondimento rimandiamo a questo mio articolo dal titolo “OTRANTO: la scoperta dei Re Magi nel mosaico medioevale della Cattedrale e il mistero della coppa Graal“.
In merito agli asini mi piace ricordare qui l’esistenza della razza tipicamente pugliese degli asini martinesi (da Martina Franca importante centro per il loro allevamento), da diffondere sempre più.
Asini martinesi, Puglia – foto dal Web.
Nonché la presenza già di onagri, asini selvaggi in Salento nel Pleistocene (specie Equus asinus hydruntinus, nome tassonomico che ricorda la loro ampia attestazione in Terra d’Otranto da parte della paleontologia).
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Il Drago.

 

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