La mitica erba “Moly” di Omero era forse la pianta chiamata Latte di Gallina d’Arabia che cresce anche in Salento?

La mitica erba “Moly” di Omero era forse la pianta chiamata Latte di Gallina d’Arabia che cresce anche in Salento?

di Oreste Caroppo

 

Infiorescenza di Latte di Gallina d’Arabia (Ornithogalum arabicum), pianta perenne bulbosa dai fiori dolcemente profumati; fino a 15 fiori su un luminoso racemo, hanno forma di stella, bianchi o bianco crema nei petali; i fiori, dall’aspetto ceroso e con un occhio nero a froma di perline di contrastro, raggiungono il diametro di 5 cm, si ergono sopra il fogliame basale semi-eretto di foglie blu-verdi in forma di cinturino. Fiorisce tra la tarda primavera e l’inizio dell’estate. E’ uno dei fiori recisi più longevi. Pianta nativa del Mediterraneo. Immagine dal link.

 

Il Moly (in greco antico μῶλυ) è una pianta misteriosa che compare nel racconto dell’Odissea (X, 302-306) di Omero, dove svolge un ruolo fondamentale nel salvare il protagonista Odisseo (Ulisse chiamato dai Romani) dalle insidie della maga Circe, grazie alle proprietà magiche di cui quella pianta è dotata.

E’ il dio greco Hermes (Mercurio per i Romani) che si presenta ad Odisseo e gli dice: «Ecco, va’ nelle case di Circe con questo benefico farmaco, che il giorno mortale può allontanare dal tuo capo. Ti svelerò tutte le astuzie funeste di Circe. Farà per te una bevanda, getterà nel cibo veleni, ma neppure così ti potrà stregare: lo impedirà il benefico farmaco che ti darò, e ti svelerò ogni cosa» (OmeroOdissea)

La bevanda di base, nella quale Circe getta i suoi veleni, è il ciceone, una bevanda diffusa in antichità nel mondo greco-mediterraneo, famosa anche e soprattutto per la sua utilizzazione ad Eleusi nei riti misterici legati a Demetra.

Quindi spiega Odisseo: «Mi porse il farmaco, dalla terra strappandolo e me ne mostrò la natura. Nero era nella radice e il fiore simile al latte. Gli dei lo chiamano moli e per gli uomini mortali è duro strapparlo: gli dei però possono tutto» (OmeroOdissea)

C’è chi ha ipotizzato che il Moly fosse il Ciclamino, che cresce in Salento spontaneo nella specie del Ciclamino napoletano (Cyclamen hederifolium). Ma il Ciclamino ha il fiore color rosa.

Dioscoride Anazarbeo (40 circa – 90 circa) botanico e medico greco antico vissuto nella Roma imperiale sotto Nerone identificò (III, 46) il môly con l’harmalá e con la pianta che i siriani chiamavano bḗssasan, cioè con la pianta riconosciuta botanicamente come Peganum harmala L., nota in italiano come ruta siriaca o pègano.

Altri hanno proposto che il Moly fosse la Ruta graveolens, ma questa, come anche la simile Ruta chalepensis che vive spontanea in Salento, ha fiore giallo. Queste piante di Ruta mediterranee hanno notevoli proprietà erboristiche e magiche secondo la tradizione.

Altri hanno proposto la Scilla marina (Urginea maritima), volgarmente anche Cipolla marina, una pianta delle Liliacee dal grosso bulbo, molto comune nei luoghi pietrosi del Salento e in dialetto locale chiamata “Cipuddhazzu“.

Riporto adattandoli alcuni passi dall’articolo “Moly, l’erba di Hermes che risana l’anima” di Hugo Rahner dalla sua opera del 1971 intitolata “Miti greci nell’interpretazione cristiana”, editore Il Mulino, Bologna:

«L’anonimo autore (Pseudo-Teofrasto) del IX libro della Storia delle piante di Teofrasto, un rizotomo occupatosi soprattutto delle piante che il popolo riteneva curative, afferma che il moly è un’erba che in Grecia cresce realmente in natura e la si troverebbe soprattutto sui monte Cillene e presso il fiume Peneo, contrade
tradizionalmente legate al culto di Hermes (da cui l’epiteto poetico “Nume del Cillene” per lui), proprio colui che consegna l’erba moly a Odisseo.

Canta perciò il poeta latino Ovidio nelle sue “Metamorfosi” in riferimento al mito omerico:
Gli diede il bianco fiore il gioioso nume del Cillene,
da nera radice germinante, i Celesti lo chiamano moly.

“Si dice che questo moly sarebbe simile a quello ricordato da Omero” scrive lo pseudo-Teofrasto. “La sua radice sarebbe a forma di cipolla e le sue foglie sarebbero paragonabili a quelle della scilla, la cipolla marina”. Clemente Alessandrino sa ancora che i Greci provavano uno strano timore dinanzi alla cipolla marina, e ci ha conservato i versi in cui il poeta comico Difilo ci riferisce come l’antichissimo veggente Melampo guarì con la scilla le figlie di Preto,
che erano state rese folli da Dioniso (Stromata VII, 4, 26, Difilo, fr. 126 Kock).
A dispetto d’ogni precisazione “scientifica”, dunque, il moly è una specie di aglio, un’erba magica. Più tardi Plinio, attingendo a piene mani dallo Pseudo-Teofrasto, ha descritto il moly con parole che hanno una eco fin in epoca
cristiana (Plinio, Nat. hist. XXV, 26): “il moly è la più famosa di tutte le piante, come testimonia Omero, il quale suppone che gli dèi stessi gli abbiano dato il nome e che da Mercurio fa scoprire le sue virtù salutari di rimedio contro ogni veneficio magico. Si dice che il moly cresca ancor oggi nella regione del Peneo e sul Cillene in Arcadia e che, come lo descrive Omero, il moly abbia una radice rotonda e nera della grandezza d’una cipolla.”
Esattamente con le parole di Plinio, già in epoca cristiana, descrive la pianta omerica il platonico Pseudo-Apuleio, e ne disegna perfino un’illustrazione che ci è stata tramandata
da una lunga catena di codici (Ps. Apuleio, Herbarius 48 in “Corpus Medicorum Latinorum“, IV, Leipzig-Berlin, 1927, p. 98). Anche Dioscuride (“De materia medica” III, 47, Wellmann, II, p. 60, lin. 11 ss.) e al suo seguito Galeno (XII, pp. 80, 82, 101 Kühn) descrivono come moly una pianta del tipo della cipolla, che serve a vari scopi terapeutici, ma in maniera cosi indeterminata che non sembra possibile trarne una precisa indicazione botanica. Comunque Linneo considera due tipi di porri, che chiama Allium moly e Allium magicum, e i botanici odierni sono inclini a ritenere che l’una o l’altra pianta di quella specie sia il moly omerico, e danno la preferenza al magico ginestrone (Allium victorialis Linnaeus).

In tutt’altra classe di antiche piante magiche ci porta il secondo gruppo; lo si può ricondurre ad una classificazione che si legge in Dioscuride Pedanio: “Quella pianta viene chiamata ‘ruta montana’ ed anche, in Cappadocia e in Galazia, ‘moly’.  (…)

Anche il l’Elleboro nero delle cui meraviglie e della cui pericolosità gli scrittori antichi e cristiani tanto ci parlano, era denominato come moly. Cfr. Trillet, op. cit.; Schmiedeberg, op. cit.; cfr. inoltre Plinio, “Naturalis Historia” XXV, 150, dove il nero elleboro viene assimilato, quanto agli effetti, alla mandragora. Altrettanto fa Apuleio, “De magia” 32 (Helm, pp. 22 s.). Sull’elleboro nei Papiri Magici cfr. A. Abt, op. cit., p. 134. Anche gli scrittori cristiani conoscono l’elleboro come farmaco, soprattutto contro l’insania; cfr. Ireneo, Adv. haer. II, 30, 1 (Harvey, I, p. 362). Tertulliano, “De spectaculis” 27 (CSEL 20, p. 26, lin. 19 s.). Sulpicio Severo, “Vita Martini” 6, 5 (CSEL I, p. 117, lin. 2).

A farla breve, sarà consigliabile concludere col Berendes: “Preferisco ritenere che nel moly non sia da ravvisare un concetto che abbia rispondenza in concreto, il nome particolare d’una pianta, ma che esso sia una comune espressione
poetica usata per indicare un antidoto, derivata da molyein, indebolire, fiaccare”.»

In Italia l’Elleboro nero (Helleborus niger) è presente sulle Alpi e Appennini, è anche chiamato Rosa di Natale per il suo periodo di fioritura durante il natale, dai fiori anche bianchi e rizoma nero. Il binomio scientifico attualmente accettato (Helleborus niger) è stato proposto da Carl von Linné (1707 – 1778) biologo e scrittore svedese, considerato il padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi, nella pubblicazione Species Plantarum del 1753. L’epiteto specifico in latino niger (= nero, scuro) coniato da Linneo è ancora dibattuto: può fare riferimento al colore del rizoma, ma non lo rende specifico, mentre altro fanno riferimento al mutamento del colore dei petali che da bianchi diventano rosa, poi viola, infine a tarda primavera, quasi neri.

Lo studioso Gianfranco Mele ci fa sapere che “Il Moly è un rompicapo. Sono molteplici le proposte di identificazione. Qualcuno ha ipotizzato anche Mandragora, [n.d.r.: che però ha fiori color blu tenue], e varie altre erbe che ora non ricordo. Peganum harmala viene dato come rarissimo in Puglia ma, a quanto pare e cmq, non autoctono.”.

La biodiversità botanica di Omero è tipicamente mediterranea. Pensiamo al Platano citato da Omero nell’Iliade e che è ancora oggi tipicamente diffuso proprio nei Balcani con la specie europea Platanus orientalis il cui areale naturale non si estende nel nord Europa. Stesso discorso per la Vite, da cui il vino, e per l’Olivo, piante omeriche per eccellenza. Omero cita persino la Palma da dattero, tipicamente mediterranea. Anche il Moly pertanto potrebbe essere una pianta mediterranea, se pianta reale.

Qui vediamo una rappresentazione del Moly (imolum in latino) dal Codex Medicina Antiqua, (fol. 61 verso) del XIII secolo d.C.

 

Omero (seduto), l’archiatra ed Ermes con l’imolum (Moly). Allegoria da una miniatura dal Codex Medicina Antiqua, (fol. 61 verso).

 

Vediamo Ermes che regge la pianta di cui aveva scritto Omero. Essa è rappresentata come dotata di bulbo.

Ascoltando dalla traduzione dell’Odissea la descrizione della pianta misteriosa dai portentosi poteri magici o più semplicemente erboristici noti in antichità la mia mente ha pensato subito all’erba chiamata Latte di Gallina d’Arabia. Ne avevo parlato di questa mia ipotesi diverso tempo fa in un mio post su Facebook, adesso risollecitato da Scipione Mortalo, un amico su Facebook, in merito ad un mio parere sulla identificazione di quella misteriosa pianta omerica, ecco qui il suo stimolante post di sollecito, nei commenti ho riesposto questa mia proposta identificativa. Riporto qui i miei commenti al suo post:

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Io mi concentrai molto tempo fa nell’identificazione del possibile Moly, se ti ritrovo il mio precedente post ti taggo lì.
Comunque nelle mie ricerche avevo proposto, non mi ricordo se poi avevo abbandonato questa ipotesi o meno,
Il Latte di Gallina d’Arabia, pianta dai bei fiori dal profumo soave. Ricordo che per diversi aspetti la pianta sembra coincidere con la descrizione del Moly però rimaneva un punto interrogativo sulla radice, perché il Moly è descritto avere una radice nera. Solo che questo (il Latte di Gallina d’Arabia) ha un evidente colore nero al centro del fiore. Inoltre se non erro nel Moly, nel passo omerico che lo descrive, c’era in qualche modo il concetto del colore bianco come il latte. Se non erro c’è chi ha ipotizzato che il Moly fosse il Ciclamino.
Quindi il ciceone è la bevanda che Circe offre ad Ulisse e ai suoi compagni, tale termine non era quindi esclusivo della famosa bevanda offerta nei riti misterici di Eleusi; come il vino usato in tanti luoghi ma legato ritualmente a Dioniso e anche bevuto al di fuori delle ritualità dionisiache, così era per il ciceone con Demetra, una bevanda comunque diffusa ma anche legate poi ritualmente a Demetra. Era semplicemente una bevanda come la birra o il vino o l’idromele, o la gassosa oggi.
Nicola Bizzi storico eleusino contemporaneo ha raccontato in un video su YouTube della presenza ancora oggi in Turchia di una bevanda molto simile al ciceone.
Sulla mia ipotesi di possibile identificazione del Moly ci sarebbe anche poi la similitudine tra il termine attuale greco Molyza che leggo indicherebbe l’Aglio e il fatto che il Latte di Gallina d’Arabia appartiene alla stessa famiglia delle Liliacee a cui appartiene l’Aglio e la Cipolla. Aglio, ricordiamolo, che nella credenza popolare proteggerebbe da ogni maleficio, sarebbe così potente da provocare gravissimi malesseri a streghe nere e vampiri che vi si avvicinassero. Una sorta di amuleto apotropaico anche per proteggere interi ambienti, come le abitazioni, appendendo trecce di agli opportunamente intrecciati.
Nell’incertezza in merito all’etimologia del termine “amuleto” non possiamo qui non osservare una assonanza con i termini “Molyza” e “Moly” che si sposa anche con l’uso dell’Aglio (Molyza in greco) nella tradizione per tenere lontano il Male e con l’uso del Moly nel racconto omerico. Al contempo dobbiamo osservare come l’Aglio dalla buccia dei bulbi bianca o bianco-rossastra non si sposa con la descrizione omerica del Moly nei suoi tipici colori.
Nell’indicazione tassonomica binomiale scientifica di alcune specie di aglio i botanici hanno ripreso proprio il nome moly, tra questi
Allium moly che ha però il fiore giallo e qui leggiamo “moly: (Allium, Cepa, Kalabotis, Molyza, Nectaroscordum) dal greco μωλυ moly moli, un tipo di aglio citato da Teofrasto e Ippocrate”
e
Allium chamaemoly dal prefisso greco χᾰμαι- chamai- a terra, strisciante a seguito del suo portamento, spontanea anche in Salento, dai tepali di colore bianco con una stria longitudinale di colore rossastro.
“Nero all’interno e i petali color latte”
mentre oggi la traduzione è:
“nero nella radice e il fiore color latte”.
Un passo in greco dall’ “Odissea” di Omero in cui si descrive la misteriosa pianta chiamata Moly. La traduzione di Ippolito Pindemonte (17531828): “Finito il ragionar, l’erba salubre / Porsemi già dal suol per lui divelta, / E la natura divisonne: bruna / N’è la radice; il fior bianco di latte; /
Moli i Numi la chiamano: resiste / Alla mano mortal, che vuol dal suolo / Staccarla; ai Dei, che tutto ponno, cede.”. (Ringrazio per questo screenshot e per questo passo della traduzione del Pindemonte la studiosa Silvia Fogliato)
La versione omerica che ci è giunta in greco è in questo verso assai inequivocabile, non lascia adito a fraintendimenti.: “nere sono le radici, i fiori invece bianchi come il latte”.
Volendo incastrare la mia ipotesi con il Moly devo pensare che tanto bianco è il fiore color latte della pianta proprio chiamata Latte di Gallina d’Arabia, che la buccia del bulbo conferiva un colore scuro alla radice per grossomodo quest’aspetto, e questo contrasto cromatico chiaro/scuro:
Latte di Gallina d’Arabia (Melomphis arabica sinonimo Ornithogalum arabicum) in Salento. Foto dello studioso salentino Pancrazio Campagna. Dalla pagina internet.
Qui di seguito vediamo anche disegnato come con una buccia scura il bulbo dell’Ornithogalum arabicum in questa opera della prima metà dell’ ‘800:
Disegno di Ornithogalum arabicum, da “Madeira Flowers, Fruits and Ferns” – P17. PENFOLD, Jane Wallas (fl. 1820-1850, artist) and William Lewes Pugh GARNONS (1791-1863) – Biblioteca Municipal do Funchal. Leggo da questo link: “La latte di Gallina d’Arabia è celebre per il comportamento dei suoi fiori, che si aprono di giorno ma si arricciano se il cielo e coperto e si chiudono di notte. La latte di Gallina d’Arabia, durante le carestie che colpirono l’Europa nel corso del XVI secolo, veniva mangiata insieme al miele, ma è un comportamento da non replicare: il lattice presente nel suo fusto è infatti tossico sia per l’uomo che per gli animali domestici.”

Benché l’interno del bulbo sia chiaro esso è in ogni caso come rivestito proprio da una buccia scura:

 

Il bulbo del Latte di Gallina d’Arabia (Melomphis arabica sinonimo Ornithogalum arabicum). Foto dalla Puglia. Dalla pagina internet.

 

Un po’ strano è il discorso sulla difficoltà di strappar il Moly da parte degli uomini di cui narra Omero.

Effettivamente questo concetto ci richiama di più alla Mandragola ritenuta in passato come difficile da strappare con il suo lungo antropomorfo fittone; si diceva fosse problematica tale operazione e che necessitasse di accortezze; vuole la leggenda che in tale operazione ci si dovesse tappare le orecchie per evitare che le urla della Mandragora strappata nuocessero al soggetto eradicante.

C’è da dire che una volta cercai a Otranto su un pietroso terrapieno, al fine di ripropagazione, di strapparmi con la radice-bulbo delle piante di Latte di Gallina d’Arabia (non più di qualche bulbo era il mio intento da quella ricca formazione), ma non riuscì a far emergere anche il bulbo tanto erano ben saldi e ancorati al suolo! Mi restava in mano solo l’infiorescenza e qualche foglia strappata.

Stessa difficoltà ho avuto sui dirupi costieri rocciosi di Santa Cesarea Terme (in provincia di Lecce) nel tentativo di strappare con radice per poterla trapiantare altrove una pianta di Ruta d’Aleppo (Ruta chalepensis) sempre a fini di ripropagazione e sempre da formazioni ricche di piante in loco della medesima specie.

Inoltre la pianta che indico come potenziale Moly, e cioè il Latte di Gallina d’Arabia, ha anche un altro sinonimo scientifico:

Melomphis arabica sinonimo Ornithogalum arabicum – Latte di Gallina arabo.
Il nome del genere, leggo, deriva dal greco μέλας mélas cioè scuro, nero e da ὀμφᾰλός omphalós ossia ombelico per l’ovario/capsula nera al centro del fiore, il nome specifico da Arabia, arabo.
Dunque ritroviamo proprio quel concetto di colore nero che caratterizza il moly omerico.
Oltre poi il concetto del bianco nel nome come contenente il concetto di bianco come il latte.
Altri dati sul Latte di Gallina d’Arabia: pianta erbacea perenne che fiorisce in aprile-maggio, con bulbi sotterranei, tipica delle coste mediterranee (habitat: pascoli, incolti, vigne da 0 a 600 m slm), poco comune, presente in Italia nelle regioni Toscana, Lazio, Puglia, Sicilia e Sardegna.
Da noi in Salento il Latte di Gallina d’Arabia è presente sia coltivato come pianta apprezzata per il fiore, anche reciso, sia spontanea. La considero una “pianta delle nonne”; cresceva come pianta da fiore nel vecchio giardino della mia nonna paterna, nei pressi di un umido muro a secco e della vera di una cisterna in delle aiuole, era un giardino sul retro della sua dimora nel centro storico di Sanarica (in provincia di Lecce), dove cresceva della vite, nespoli, aranci e un grande albero di albicocco. Il Latte di Gallina d’Arabia è presente anche spontaneo in Salento, ad esempio a Otranto, e in altre aree costiere. A Maglie (in provincia di Lecce) si ritrova piantato da vecchia data nelle aiuole intorno al monumento ai caduti nel Parco delle Rimembranze dei Santi Medici.
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Silvana Francone mi scrive che ricorda dalla sua infanzia che la pianta Latte di Gallina d’Arabia cresceva nel giardino di sua nonna vicino a un pozzo a Galatone (in provincia di Lecce). Stessa ubicazione della medesima pianta nel giardino di mia nonna sempre in Salento.
Scrive Lunanuova Castelli a commento di un mio post sul gruppo della poetessa Wilma Vedruccio chiamato Fra le “Scrasce”: Io l’ho trovato nel feudo di Nardò il Latte di Gallina d’Arabia nel campo intorno ad un ‘furnieddhru’ [n.d.r.: un locale trullo in pietre a secco] . Qualcuno ne avrà interrato il bulbo chissà quando. Analogamente dietro lo stesso furnieddhu ci sono Scilla peruviane. Mi piace perché mi dà l idea di un’attenzione verso questa “casa”.
Comunque quando si prende qualche bulbo per diffondere una pianta altrove, cosa sempre positiva, è buona norma sempre lasciarne una consistente parte in loco dei bulbi. Nell’hinterland di Maglie vi è ad esempio una “pajiara” (sinonimo di “furnieddhu“) in contrada Sant’Isidoro con nei pressi pure Scilla peruviana, ma anche IrisSternbergia luteaGiunchiglie (Gladiolus tristis).
Incuriosito dallo strano nome della pianta oggi chiamata Latte di Gallina d’Arabia  (Ornithogalum arabicum), ho chiesto informazioni con un post nel bel gruppo facebook “I nomi delle piante. Uomini, piante ed altre storie“.
Questo il testo del mio post:  «Alquanto strano è il nome “Latte di Gallina d’Arabia” (ornithogalum il nome del suo genere che vuol dire latte di uccello in greco, o anche proprio latte di Gallina tenendo conto che in griko, il dialetto grecanico salentino, “ornisa” vuol dire Gallina).
Latte ok indica il candore dei petali, ma perché di uccello, se il latte è più tipico dei mammiferi?
E perché d’Arabia se credo sia specie mediterranea?»
La gentile e profonda studiosa e amministratrice del gruppo, nonché scrittrice di libri sul mondo della botanica, Silvia Fogliato, (nomen omen), che ringrazio, sempre prodiga di dati, mi ha fornito a commento una ricca risposta alle mie curiosità, risposta che qui copio: «Sul nome Ornithogalum le interpretazione si sprecano. Partiamo dalle sole certezze: primo, è un composto greco formato da ornis, genitivo ornithos (ὄρνις, genitivo ὄρνιθος) ‘uccello’ e gala (γάλα), ‘latte’ [n.d.r.: anche in griko, il dialetto grecanico salentino il altte è chiamato gala], dunque ‘latte di uccello’; secondo, è di uso antichissimo, essendo attestato già in Teofrasto (IV-III sec. a.C.) [n.d.r.: Teofrasto botanico greco antico]. A questo punto entriamo nel campo delle interpretazioni. Rifacendosi a Dioscoride, Pitton de Tournefort scrive che i fiori di queste piante “sono verdastri all’esterno e di color bianco latte quando si aprono, similmente al colore delle ali di diversi uccelli”. L’irriverente Salisbury pensa invece che questi fiori che si aprono solo in peno sole “quando sono chiusi sono di un bianco sporco che assomiglia al colore degli escrementi di certi uccelli” (più cacca di gallina che latte di gallina…). I filologi fanno notare che per greci e romani “latte di uccello” significa qualcosa di raro, prezioso. Altri ancora tirano in ballo, più che il colore dei fiori, quello del lattice che secernono i fusti di alcune specie [n.d.r.: del genere Ornithogalum] al taglio, che richiamerebbe per colore e consistenza il latte del gozzo con il quale i piccioni nutrono i loro piccoli nei primi tre giorni dopo la schiusa. Altri ancora il colore e la consistenza dei bulbi. Insomma, ce n’è per tutti i gusti. Meno misterioso l’epiteto arabicum. E’ vero che questa specie è panmediterranea, non araba, ma il nome si deve, più che alla geografia, alla storia. Il binomiale è di Linneo, che sulla sua provenienza scrive “vive nei pressi di Alessandria d’Egitto” e riprende il nome da Clusius, Rariorum plantarum historia, 2, 186. Quest’ultimo racconta le sue esperienze con questa pianta che coltivava nel giardino imperiale di Vienna. Riusciva a farla fiorire solo con bulbi ricevuti annualmente da Costantinopoli, mentre quelli vecchi, anche piantati in terra grassa, producevano solo foglie. Riferisce poi che in Italia lo chiamavano giglio alessandrino (eccola qui, l’Alessandria d’Egitto di Linneo), ma a Costantinopoli sempre zambul arabe, ovvero “giacinto d’Arabia”. E da lì lui ha preso il nome, assegnandolo però a Ornithogalum, visto che non è [n.d.r.: tassonomicamente parlando] né un giglio, né un giacinto, né un narciso, come altri credono. Insomma, un nome che riflette, più che la distribuzione in natura, le vie commerciali. Proprio come per noi i tulipani sono olandesi, non dell’Asia centrale.»
Sul Latte di Gallina d’Arabia dal ”Rariorum plantarum historia” pubblicato nel 1601 del botanico Jules-Charles l’Escluse [latinizzato come Carolus Clusius] (Nord della Francia, 1526-1609).
Da questa ricca disamina sul Latte di Gallina d’Arabia estrapolo due aspetti interessanti per me che seguo la pista della mia ipotesi sul Moly qui esposta:
«I filologi fanno notare che per greci e romani “latte di uccello” significa qualcosa di raro, prezioso.»
«Ornithogalum è un composto greco formato da ornis, genitivo ornithos (ὄρνις, genitivo ὄρνιθος) ‘uccello’ e gala (γάλα), ‘latte’, dunque ‘latte di uccello’; è di uso antichissimo, essendo attestato già nel botanico greco antico Teofrasto (IV-III sec. a.C.)»

Interessante il concetto di raro e prezioso per il Latte di Gallina d’Arabia nonché il fatto che il nome di questa pianta dai petali bianchissimi associato al latte (‘gala‘ in greco) è attestato già al tempo di Teofastro; e così anche il prezioso Moly per Omero anche è associato al latte (‘gala‘) per il colore del suo fiore!

Di fatto anche il termine “gallina” richiama sonoramente più che etimologicamente al termine greco “gala“, che vuol dire latte, latte+gala una sorta di rafforzativo in due lingue ad indicare lo stesso concetto?

 

Ornithogalum arabicum, sembrerebbe questa in foto una varietà cultivar dai fiori più piccoli e numerosi per racemo rispetto a quella diffusa in Salento in cui i fiori, sempre dall’aspetto ceroso e con un occhio nero a forma di perline di contrasto, raggiungono il diametro di 5 cm. E’ interessante qui questa foto per un confronto delle forme ma anche dimensionale complessivo con l’erba Moly mostrata nelle miniature sopra tratte dal Codex Medicina Antiqua del XIII secolo d.C. Immagine tratta dal link. In Salento troviamo altre specie di Ornithogalum spontanee ma dal fiore assai meno appariscente rispetto a Ornithogalum arabicum, citiamo qui ad esempio Ornithogalum gussonei e Ornithogalum  refractum, queste specie di minore appariscenza sono chiamate genericamente Latte di Gallina o con il nome più evocatico di Stella di Betlemme.

 

Nel Latte di Gallina d’Arabia lo stelo floreale può arrivare fino a 45-60 cm. Ho notato che se la pianta cresce dove vi è un cespuglio comunque basso essa estende assai lo stelo per cercare di superarlo e anche le sue foglie, altrimenti si mantiene più bassa. Penso siano stati piantati inizialmente dei bulbi nelle aiuole intorno al monumento ai caduti di Maglie, dopo però ci hanno aggiunto delle siepi di Evonimo Giapponese (Euonymus japonicus) variegato. Oggi quando è il periodo della fioritura del Latte di Gallina d’Arabia la pianta eleva il suo stelo floreale sino a fuoriuscire dall’Evonimo, che tramite potatura da arte topiaria viene comunque periodicamente potato.

 

Riporto in conclusione questa discussione in merito alla natura autoctona/alloctona del Latte di Gallina d’Arabia in Puglia dal mio post nel gruppo “I nomi delle piante. Uomini, piante ed altre storie“:

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Silvia Fogliato: In Italia non è certo frequente, e in Puglia è considerata oggi da alcuni studiosi come “alloctona casuale”, vedi nel sito dryades.units.it.

Oreste Caroppo: Certo questa classificazione della alloctona casuale, che avevo visto lì in quel sito, la trovo veramente assurda. La danno autoctona nel Lazio e in Toscana, e alloctona in Puglia. Mi chiedo se queste classificazioni sono fatte da persone che hanno qualche conoscenza di geologia e di evoluzionismo darwiniano o se sono dei fissisti. 

Silvia Fogliato: La Toscana si deve al fatto che la cartina è grossolana, fatta per regioni. Ho trovato che si pensa sia indigena nell’arcipelago toscana; forse la distribuzione originale è tirrenica, e non adriatica. Poi con piante con fiori vistosi e coltivate da secoli è sempre difficile capire cosa è spontaneo e cosa naturalizzato.

Oreste Caroppo: Come può una pianta panmediterranea essere in Italia autoctona delle isole toscane ma non anche della Penisola. E’ un non senso che ancor di più evidenzia la natura inconsistente di queste bollature autoctona o alloctona nelle regioni italiane in cui è presente. Più saggio invece quanto tu osservi in merito e specialmente per piante come questa dai fiori vistosi e coltivata da secoli! Tantissime grazie per tutti questi dati che mi hanno permesso di estendere tanto l’approfondimento su questa pianta, l’Ornithogalum arabicum!

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L’ipotesi qui esposta mi ha abbastanza convinto: per diversi elementi questo fiore nostrano il Latte di Gallina d’Arabia si incastra con il Moly. Rimarrebbe da approfondire il punto in cui Omero parla della difficoltà di strappare questa pianta mitica, il Moly, ma potrebbe proprio essere quella difficoltà di estrarre la pianta, semplicemente tirandola senza zappare, senza strapparla e con tutto il bulbo. Quando si fanno queste ipotesi poi si cerca qualche altra proposta falsificante alla Popper.

Ad esempio in tal senso potremmo valutare le numerose altre specie annoverate nel genere Ornithogalum e che sono presenti spontanee in Italia e nella stessa Puglia, ma sono comunque meno appariscenti della specie considerata e della quale sappiamo che il suo nome “Latte di Gallina” compare già in Teofrastro, mentre l’aggiunta “d’Arabia” è come abbiamo visto successiva e frutto di una confusione dato che la specie è prettamente mediterranea.

Possiamo poi anche considerate un’altra specie presente in Italia (anche sul Gargano) e nei Balcani e che ha pure nel suo nome in greco il riferimento alla associazione tra il suo fiore candido e il latte: il Bucaneve, il cui nome scientifico è Galanthus nivalis e che appartiene anch’esso alla tassonomica famiglia botanica delle Liliacee. Il nome del genere (“Galanthus”) deriva da due parole greche: “gala” = latte (bianco come il latte) e “anthos” = fiore. L’epiteto specifico (“nivalis”), della specie di Bucaneve presente autoctona-spontanea anche in Puglia, fa riferimento alla sua precoce fioritura in mezzo alla neve. Da Wikipedia ricopio questo passo sul Bucaneve (Galanthus nivalis): «I riferimenti storici al Bucaneve si perdono nella “notte dei tempi”. Viene chiamato “Stella del mattino” perché è uno dei primi fiori ad apparire nel nuovo anno. Anche le feste religiose (sia cristiane sia pagane) fanno riferimento a questo fiore: è una pianta sacra e simbolica per la festa della Candelora (2 febbraio); invece in Imbolc (antica festa irlandese del culmine dell’inverno – 1º febbraio) si dice che il colore bianco del bucaneve ricorda allo stesso tempo la purezza di una Giovane Dea (festeggiata in questa ricorrenza pagana) e il latte che nutre gli agnelli. Tra le varie leggende anche Adamo ed Eva sono collegati al bucaneve: un racconto inglese narra che Eva scacciata dal paradiso terrestre fu presa dallo sconforto nel trovarsi su una terra buia e gelida, ma ben presto l’apparire di un bucaneve (grazie al miracolo di un angelo) le diede di nuovo forza e speranza. È interessante ricordare ancora che in Inghilterra il bucaneve fu introdotto dalla Regina Elisabetta prelevato dalle zone selvatiche dell’Italia alpina.». Si tratta di una pianta minuta, non difficile da estrarre dalla terra anche con il suo piccolo bulbetto.

 

E’ strano che non si trovi la mia ipotesi di identificazione del Moly con il Latte di Gallina d’Arabia, che per me è stata così naurale, tra le ipotesi identificative maggiormente divulgate. Latte di Gallina d’Arabia che è la pianta mediterranea per antonomasia dagli ampi fiori richiamanti il bianco del latte. Si deve forse ciò alla rarità oggi del fiore Latte di Gallina d’Arabia, che però da salentino, terra assai legata alla vicina Grecia (non molto distante dal Salento è l’isola Itaca di Ulisse) anche dal punto di vista botanico oltre che culturale, ho avuto la fortuna di vedere e conoscere?

A questo punto sarebbe interessante approfondire eventuali proprietà erboristiche del Latte di Gallina d’Arabia, pianta oggi conosciuta come specie spontanea, al più decorativa, ma non come pianta di interesse erboristico. Leggo che i fusti prima dell’antesi (la fioritura), nelle regioni meriodonali, vengono talvolta raccolti per utilizzarli a guisa di Asparagi dopo la cottura. Sono dunque eduli.

 

APPENDICE

Viaggio alla ricerca dei semi della Mandragora

In appendice avendo citato la pianta della Mandragola, pianta di antica forte suggestione magica, linko e rimando per approfondimenti a questo mio post facebook dedicato ad un viaggio per ritrovare in Terra d’Otranto la Mandragora della specie Mandragora autumnalis, dove la sua presenza già attestata nei secoli passati si è sempre più rarefatta; un viaggio per prenderne i semi e così riprodurla e ridiffonderla maggiormente.

Nel post e nei commenti ad esso diverse mie foto, dati e link per approfondire, ma anche la narrazione di un simpatico suggestivo aneddoto relativo a quel breve ma intenso viaggio autunnale.

 

La scoperta della Datura ferox

Tra le cosiddette piante delle streghe vi sono le Dature presenti in Terra d’Otranto con le seguenti specie spontanee: Datura inoxia, D. wrightii, D. stramonium. Più rara la Datura ferox che pur ho osservato nell’hinterland di Maglie come qui racconto in questo mio post facebook cui rimando:

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