La musica dai mosaici del XII sec. d.C. delle Cattedrali di Otranto, Taranto e Brindisi
La musica dai mosaici del XII sec. d.C. delle Cattedrali di Otranto, Taranto e Brindisi
Dalle ricerche di
Oreste Caroppo
Subito all’ingresso della Cattedrale di Otranto nel mosaico pavimentale si incontrano suonatori di lunghe trombe (chiarine):
La chiarina (chiamata anche clarina, clarino, chiarino) è una tromba naturale di concezione molto semplice, in uso fin dall’epoca romana.
Incontrare all’ingresso della Cattedrale di Otranto e dunque del suo mosaico pavimentale due chiarine che vengono suonate dà l’idea della celebrazione dell’inizio, inaugurazione e accoglienza verso il visitatore che inizia anche la vista dello spettacolo del mosaico. Esempio sonoro:
Un altro suonatore a cavallo di uno struzzo nella navata centrale:
Tante le trombe raffigurate a Otranto mentre vengono suonate da tanti personaggi nel mosaico, tanto che la musica del mosaico di Otranto, se suonassero dei suonatori reali nei suoi vari punti dove sono presenti tali strumenti a fiato, sarebbe una melodia molto molto suggestiva!
Nel mosaico di Otranto si contano ben 8 lunghe trombe (chiarine) tutte suonate da figure umani sparse comunque tra navata centrale e abside, (oltre a quelle qui già mostrate, due all’inizio della navata centrale, uno tra le ruote del presbiterio e tre sulle mura di Ninive raffigurate nell’abside della Cattedrale).
La presenza di corni musicali di origine animali mammiferi come strumenti musicali la vediamo nel mosaico della Cattedrale di Taranto del 1160:
Taranto. Sito web consigliato: https://www.mondimedievali.net.
Data la curvatura della tromba in questo tondo con centauro suonatore, ben possiamo dire trattarsi di corno musicale ottenuto da mammifero. Il colore spiccatamente bianco di questo corno musicale ci fa pensare che si sia voluto rimarcare che è fatto di avorio, ergo un pregevole olifante di cui diremo. Il “cornu eburneum” ovvero “il corno d’avorio”. E non meraviglia tutto questo a Taranto se è vero che vi era un fiorente artigianato della produzione di questi corni musicali in avorio nel medioevo in sud Italia che poi raggiungevano i diversi centri dell’Europa cristiana.
Disegno dal web di suonatore di corno.
Corni da caccia con valore scaramantico in Salento, forse apotropaico con rito magico di cacciata del male con il loro suono:
Nonché dal valore decorativo:
Il corno da caccia compare anche nell’araldica di famiglie vissute in Salento, come quella degli Orsini del Balzo:
La Bestia dell’Apocalisse che esce dal mare con sette teste negli affreschi nella Basilica di Santa Caterina d’Alessandria in Galatina sempre in Salento. Affreschi del XIV-XV secolo d.C. Sotto con degli orsi vicini vi compare lo stemma di Raimondello Orsini del Balzo, con corni da caccia e stelle a 16 punte, per volontà del quale la Chiesa fu eretta.
Vediamo un centauro nell’atto di suonare un lungo corno con la mano destra mentre si regge la coda con la sinistra anche tra i resti del mosaico pavimentale medioevale della Cattedrale di Trani; un mosaico datato alla seconda metà del XII sec d.C. di poco successivo ed ispirato notevolmente al mosaico della Cattedrale di Otranto.
Compare un corno anche nel tondo del mese di settembre nel mosaico di Otranto, potrebbe essere un corno da caccia, ma è stato proposto soprattutto che sia un corno per bere anche data la sua posizione verticale a mò di bicchiere:
Vi è un campo arato, il contadino regge un lembo della veste con la mano sinistra mentre opera con la destra per prendere da lì i semi e spargerli. Sono presenti alcuni oggetti di ambigua identificazione, per alcuni indicano un corno per bere, un barilotto di vino, un prosciutto e – contiguo all’immagine dello scorpione zodiacale – un tarallo di pane (una tipica “frisella” salentina), interpretando ciò come l’occorrente per il pasto dopo la fatica della semina, ma poiché vi è un’ascia essa richiama l’attività di raccolta di taglio e raccolta della legna in vista dell’inverno alle porte per scaldarsi, e dunque attività per prepararsi alla cattiva stagione; in tal caso c’è chi vi vede in quegli oggetti un falcetto, un sacco, una botte, ma potrebbe essere anche un prosciutto o un cacio-cavallo ancora oggi tipico della produzione casearia pugliese, aggiungo data la forma, e la “frisella” avendo appunto lunga conservazione pur si collega al discorso delle scorte per l’inverno.
Nell’abside della Cattedrale di Otranto il cui mosaico pavimentale risale al 1163-1165 troviamo la città di Ninive dove suonatori di trombe annunciano alla città il rischio che corre rivelato dal profeta Giona.
Nel mosaico troviamo tanti animali, che qui immaginiamo con i loro versi come suoni del mosaico. Altri suoni quelli di cantiere per la realizzazione dell’Arca di Noè e della Torre di Babele. Le voci del Dio ebraico del Vecchio Testamento che parla dalle nubi ad Adamo ed Eva, a Caino e a Noè. La profezia di Giona a Ninive e il suo colloquio con Dio e con i marinai e pescatori. Il dialogo nel loro incontro tra Re Salomone e la Regina di Saba. Il suono della pigiatura dell’uva nel ciclo dei mesi ed altri suoni agricoli. il rumore del vento tra le fronde dei tanti alberi del mosaico. Il sibilo della fionda di Davide che abbatte il gigantesco Golia. Fuochi schioppettanti nelle case dei contadini in inverno. Lamenti di anime dannate tormentate all’inferno. Ecc.
Tra gli animali del mosaico questi di seguito gli animali da cui si ricavavano i corni musicali in Europa.
I caproni:
I montoni arieti, che qui vediamo nel gregge di ovini condotto da un pastore nel clipeo del mese di aprile nel mosaico di Otranto (come anche nel segno simbolo zodiacale del periodo nella parte alta del clipeo, l’ariete):
Per approfondire l’articolo qui linkato. Immagine linkata dal web.
O anche in un tondo del presbiterio sotto le grinfie di un grifone, forse un selvatico muflone (il corrispettivo selvatico nel Bacino del Mediterraneo della pecora domestica) o un ariete domestico:
Si noti la gobbetta sul muso di questo animali, è un modo di rappresentare il cosiddetto muso montonino tipico delle pecore.
Il muflone, progenitore selvatico della pecora o pecora rinselvatichita. Da secoli ormai nel paesaggio d’Italia. Una specie della nostra fauna antropocenica assolutamente da difendere in presenza e fertilità nonché diffondere.
I tori e mucche (a differenza della cultura ebraica in Europa non vi era nessuna discriminazione all’uso anche del corno di bovino):
E questo possiamo dire che è un toro se della razza podolica pugliese poiché in quella razza si distingue il maschio per le corna a semiluna, diverse per dimorfismo sessuale da quelle della mucca di quella medesima antica varietà che le ha a forma di lira:
Ma dei corni musicali venivano realizzati anche dalle zanne dell’elefante (tali “corni” erano chiamati olifanti):
Elefanti che ci richiamano all’antica presenza con i loro barriti degli elefanti antichi nel Pleistocene in territorio salentino, presenza attestata ampiamente dalla paleontologia, così come alla furia degli elefanti addomesticati usati come mezzi da guerra sbarcati in Messapia dalla vicina regione dell’Epiro dal re Pirro per combattere al fianco di Messapi e Dorici tarantini contro Roma.
Particolare di un piatto risalente al III secolo a.C. probabilmente creato in occasione del trionfo di Curio Dentato su Pirro, re dell’Epiro, nel 275 a.C. e raffigura un elefante da guerra seguito da un elefantino. Italia.
Il motivo dell’elefante turrito compare nell’araldica di famiglie del Salento, un bell’esemplare a Martano:
E lo troviamo anche sempre in Puglia nei mosaici pavimentali datati alla fine dell’ XI secolo e.v. dell’abbazia di Santa Maria alle Tremiti:
Tremiti, Elefante con torre. Sito web consigliato: https://www.mondimedievali.net. Si noti come la torre sull’elefante è fatta a scacchi come la Torre di Babele nel mosaico di Otranto. L’artista di certo alle Tremiti non aveva mai visto un vero elefante date le piccole orecchiette che gli mette sul capo.
A Zollino vi è un sito dolina con falda superficiale e tanti pozzi importanti per l’approvvigionamento idrico del borgo, il luogo è chiamato le “Pozzelle di Pirro“, non si sa se il nome derivi da quello del Re dell’Epiro che sbarcò in Salento con i suoi elefanti o dal nome di qualcuno successivo che conservava in questo nome proprio assegnatoli il ricordo locale mai sopito di quei tempi passati di furori bellici campali. La leggenda vuole comunque che quei pozzi numerosi lì siano stati costruiti dal re Pirro per abbeverare i suoi elefanti e il suo esercito.
Quello che segue è un video che esagera le dimensioni dell’elefante, ma rende bene l’idea dei suoni e delle suggestioni di uno scontro con gli elefanti da guerra nel campo di battaglia:
Fragore di combattimenti cui richiamano anche dei guerrieri che armeggiano accanto agli elefanti all’ingresso della cattedrale idruntina, mentre sul lato opposto stanno i suonatori di trombe mostrati sopra:
Stesso fragore della battaglia che echeggia dal mosaico pavimentale del 1178 della Cattedrale di Brindisi dove si descriveva per immagini la epica battaglia di Roncisvalle nel ciclo carolingio:
Dal mosaico della Cattedrale di Brindisi:
“Rollant” è Orlando, qui poi mostrato a cavallo mentre suona l’olifante. E’ una variante iconografica del racconto rispetto alla versione più famosa che lo vede suonare l’olifante non a cavallo ma seduto per terra morente, o comunque non a cavallo.
Vi vediamo Orlando il più celebre dei paladini di Carlo Magno proprio nell’atto di suonare il suo “corno” di elefante, l’olifante, con tutte le sue forze!
Qui lo stesso momento di intenso pathos con Orlando che si decide a suonare il suo magico Olifante nel teatro opera dei pupi siciliani:
Un olifante decorato, si nota il caratteristico colore dell’avorio:
Esemplare di olifante in avorio-zanna di elefante lavorata.
Nel video l’analisi di uno stile di olifanti decorati prodotti in Italia meridionale-Sicilia intorno all’ XI secolo e.v. si ritiene.
“Olifante Basilewsky”
L’ esemplare noto come “Olifante Basilewsky” è caratterizzato da animali (anche animali fantastici come il basilisco che pur troviamo nel mosaico di Otranto) dentro intrecci vegetali con grappoli d’uva a formare tondi come per gli animali del mosaico di Otranto nel presbiterio o quelli tra i rami degli alberi sempre a Otranto nel suo mosaico, come anche per gli animali dentro quinconce con anche motivi vegetali nei mosaici paleocristiani di Casaranello a Casarano e come anche per i tralci abitati del portale romanico scolpito della Chiesa di San Giovanni in Sepolcro di Brindisi. Vi compare anche raffigurato il basilisco che viene considerato come qualcosa di caratteristico del sud Italia.
Si osserva anche su di esso uno strano motivo decorativo, un uomo con le orecchie da asino che nell’articolo linkato non si riesce a spiegare con opportuni confronti iconografici; forse, ipotizzo allora, da conoscitori dei miti greci gli artigiani potrebbero aver voluto raffigurare re Mida a cui Apollo fece crescere grandi orecchie di asino perché divenisse più capace di riconoscere la superiorità musicale di un dio, ciò perché il Dio era risentito in quanto nel confronto musicale tra lui e il satiro Marsia, Mida aveva votato per il satiro indispettendo il dio.
Mi piace poi qui ricordare la produzione nell’artigianato salentino figulino tra gli strumenti musicali, oltre a tradizionali fischietti e ocarine, anche delle trombe di varie fogge che erano utilizzate dai contadini anche per messaggi tra loro in Salento.
Molto interessante è la tradizione della “Festa delle Trombe” nella ricorrenza dei Santi Pietro e Paolo Apostoli a Grottaglie, che ci sembra ben sposarsi con l’immagine dei suonatori di trombe all’ingresso della Cattedrale di Otranto nel mosaico pavimentale. Leggiamo che dalle visite pastorali degli Arcivescovi di Taranto Mons. Lelio Brancaccio (1584) e Mons. Tommaso Sarria (1677) si apprende che i cittadini di Grottaglie solevano entrare in Chiesa cantando e saltando al suono di diversi strumenti musicali, così come facevano gli ebrei ricordando Davide davanti all’Arca santa, “questa usanza non piacque ai vari arcivescovi perché la ritenevano irriverente e quindi non tardarono a minacciare la scomunica per tutti coloro che osavano entrare in chiesa con tali suoni. Ma i giovani, sempre ribelli nei secoli, nonostante le minacce di scomunica continuarono imperterriti a celebrare la festa delle trombe in onore di S. Pietro dai primi vespri della vigilia fino alla notte del 29 giugno. Le trombe, strumento musicale a fiato di creta, costruito in varie forme dai figuli grottagliesi (vedi foto), non si acquistavano ma si regalavano ad amici, a persone di riguardo, ai famigliari, oppure si barattavano con coloro che possedevano prodotti della terra. Una volta avute le trombe, i ragazzi con gioia immensa, soffiavano a più non posso, specialmente la sera della festa nei pressi della chiesetta di S. Pietro e Paolo. La festa durava tutta la notte e perdeva di intensità man mano che si spegnevano le lampade ad olio” (rimandiamo a questo bell’articolo di https://grottagliesitablog.wordpress.com per approfondimenti ulteriori).
Le trombe di creta affondano la loro origine nel passato mediterraneo ed europeo, interessanti trovo i confronti tra il modello della tromba di creta attorcigliata in una o più spire che troviamo soprattutto nella produzione figulina del sud Salento e certi esemplari archeologici di trombe in creta simili o con estremità a testa di animale/mostro a fauci divaricate presso i celtiberi:
Tornando al mosaico di Otranto
Nella navata centrale del mosaico idruntino incontriamo delle trombe dell’Apocalisse. Vediamo una donna nuda che suona una tromba a cavallo di un grosso pesce (o delfino):
Sulla sinistra un grosso pesce antropofago, forse uno squalo, sta divorando un’uomo. Degli uomini (forse giovanetti) a cavallo del grosso pesce sul mosaico idruntino, quello che siede avanti è forse una fanciulla, poiché porta lunghi capelli; suona un corno. C’è chi ha ipotizzato che i due uomini a cavallo del pesce possano essere Pirra e Decaulione, la coppia che sopravvisse al diluvio universale raccontato invece nei miti greci e da cui l’ umanità ripartì; Decaulione l’equivalente greco del biblico Noé (come dell’eroe mesopotamico Gilgamesh). In realtà un esame di iconografia comparata mi ha portato a riconoscervi in questa immagine la rappresentazione di scene dell’Apocalisse di Giovanni. Tanto che sotto possiamo riconoscervi negli esseri con più teste un riferimento alla bestia del mare dell’Apocalisse.
L’ispirazione iconografica per questa scena marina dell’Apocalisse di Giovanni in ambito cristiano viene molto probabilmente dall’iconografica classica legata a Poseidone, e alle creature, mostri, altri dei, nereidi ed eroi del suo scenografico seguito o comunque a Poseidone legati.
Partecipa a tale categoria iconografica un tipico simbolo dell’antico Salento, quello di Taras, figlio di Poseidone (Poseidone dio del mare assai venerato in Messapia), dio eponimo della città costiera di Taranto e del fiume Taras che lì sfocia. Taras è mostrato come giovinetto a cavallo di un delfino:
Questo motivo iconografico si trova anche nella forma del giovinetto nudo su delfino che suona uno strumento a fiato su questo vaso trovato in Etruria:
Youth playing the flute and riding a dolphin. Red-figure stamnos. From Etruria. Entre 360 y 340 a.C.
Riguardo al corno musicale che porta alla bocca per suonarlo il personaggio a cavallo di un delfino/pesce a Otranto, una tromba dell’Apocalisse, esso è simile alle altre trombe lunghe del mosaico idruntino, ma quale è lo strumento musicale primigenio per questo tipo di rappresentazioni marine?
Per rispondere dobbiamo analizzare il topos iconografico originario fonte di ispirazione per queste scene marine dell’Apocalisse nel Cristianesimo. Esso lo si ritrova come detto nel corteo dei personaggi marini legati a Poseidone, nella cultura pagana greco-romana pre-cristiana, che comparivano talvolta a cavallo di delfini, pesci o mostri marini; in quelle scenografie nettuniane vi comparivano anche delle trombe, ma non erano fatte né di metallo né di corno di mammifero, come gli altri strumenti a fiato mostrati nei tre mosaici salentini citati, ma erano di conchiglia, delle trombe di mare.
Nei personaggi del corteo di Poseidone frequente è nell’iconografia il corno a tortile conchiglia; vediamo, solo ad esempio, il celebre mosaico romano che mostra un ittiocentauro che suona una conchiglia, conservato a Tunisi nel Museo del Bardo (forse una epifania di Tritone figlio di Poseidone in forma di ittiocentauro con lunga conchiglia tortile a tromba):
La parte inferiore del corpo di Tritone è bicaudata pisciforme o serpentiforme, come la sirena bicaudata nel mosaico di Otranto, altre volte viene raffigurato nella forma dell’ittiocentauro.
Le conchiglie suonate a mo’ di corno erano presenti di certo anche nei nostri mari salentini, ma troppi souvenir da sub prelevando esemplari vivi l’hanno fatta rarefare? Ne ho visto qualche esemplare in qualche casa salentina come soprammobile e mi piacerebbe conoscerne la provenienza, forse da viaggi in Grecia?
La Tromba di mare di Tritone in un esemplare di Charonia tritonis è stata ritrovata anche nel Salento, in particolare nei bothroi messapici santuario alle divinità ctonie nella piazza di Vaste in strati di età ellenistica legati alla locale cultura messapica.
Non solo, anche nella Grotta dei Cervi di Porto Badisco (Otranto), santuario neolitico e protostorico, con frequentazioni anche più antiche, sono state trovate “conchiglie di Charonia tritonis con apice forato e lavorato per cui si pensa che fossero utilizzate come strumento musicale, come trombe, come anche ipotizzato per altre simili conchiglie trovate in grotte liguri e di altre località del Mediterraneo” (virgolettato tratto dal seguente video di conferenza sugli scavi archeologici in Grotta dei Cervi, dalla voce dell’archeologa Ida Tiberi, si tratta della relazione dell’archeologa sulla famosa grotta salentina al “XXVIII Valcamonica Symposium” del 29 ottobre 2021):
Così bisogna favorirne la ridiffusione, come della conchiglia del gasteropode Tritone, anche del mollusco bivalve Pinna nobilis, la grande “cozza penna” comunemente chiamata in Salento, da cui il toponimo di alcune località costiere salentine. Da questa si estraeva in passato il prezioso bisso marino, un filamento, la seta del mare anche detto, chiamata a Taranto, dove pure si produceva “lanapinna” o “lanapesce”.
Come tanti molluschi marini produce dei filamenti con i quali si ancora al fondo del mare. Questi fili, sottili e robusti, costituiscono il materiale con cui si fabbrica il filamento detto bisso marino, utilizzato in passato per la tessitura di preziosi indumenti dai colori cangianti. Questa specie comunque fortunatamente non è estinta lungo le coste salentine.
In ogni caso il suono del corno in tale contesto marino idruntino (sebbene apocalittico), ci richiama alla mente quanto Plinio ed Erodoto ci hanno raccontato, ovvero la possibilità di richiamare i delfini con il suono, con la musica oltre che con la voce, e forse la stessa era usata per coordinare le collaborazioni tra uomini e delfini nella pesca, collaborazione alieutica forse raffigurata sul mosaico, dato che intorno ai ragazzi sul pesce, scorrazzano altri pesci più piccoli, e forse la vicina foca che nuota lì vicino, ne approfitta per catturarne con più facilità qualche pesce.
Il presbiterio del mosaico idruntino si caratterizza, oltre che per la presenza della chiarina pure lì, anche per i suoni di altri strumenti musicali, quasi una piccola orchestra, vi sta infatti l’asino arpista, che se non fosse per le corde sembrerebbe suonare un aulos, e la volpe che suona dei piattini e pare persino cantare a squarciagola; dunque fiati, voci (versi), corde e percussioni:
Un’atmosfera musicale giocosa quella che emerge dal mosaico nel presbiterio della Cattedrale di Otranto.
Solo suggestivamente: