La musica dai mosaici del XII sec. d.C. delle Cattedrali di Otranto, Taranto e Brindisi

La musica dai mosaici del XII sec. d.C. delle Cattedrali di Otranto, Taranto e Brindisi

Dalle ricerche di

Oreste Caroppo

 

Il paladino Orlando suona il suo speciale ”corno”, l’Olifante. Sotto di lui la magica spada Durlindana. Dipinto di epoca recente. Foto dal web.

 

Subito all’ingresso della Cattedrale di Otranto nel mosaico pavimentale si incontrano suonatori di lunghe trombe (chiarine):

 

Coppia uomo e donna dei suonatori di chiarine, inizio navata centrale, pavimento musivo del XII sec. d.C. Cattedrale di Otranto.

 

La chiarina (chiamata anche clarina, clarino, chiarino) è una tromba naturale di concezione molto semplice, in uso fin dall’epoca romana.

Dipinto con suonatori di chiarina.

 

Incontrare all’ingresso della Cattedrale di Otranto e dunque del suo mosaico pavimentale due chiarine che vengono suonate dà l’idea della celebrazione dell’inizio, inaugurazione e accoglienza verso il visitatore che inizia anche la vista dello spettacolo del mosaico. Esempio sonoro:

 

Un altro suonatore a cavallo di uno struzzo nella navata centrale:

 

Da un libro foto di un particolare del mosaico medioevale pavimentale della Cattedrale di Otranto. Ragazzo, con berretto e intento a suonare una lunga chiarina, a cavallo di uno Struzzo. Questo personaggio sospinge degli animali normali ed essere chimerici mostruosi.

 

Tante le trombe raffigurate a Otranto mentre vengono suonate da tanti personaggi nel mosaico, tanto che la musica del mosaico di Otranto, se suonassero dei suonatori reali nei suoi vari punti dove sono presenti tali strumenti a fiato, sarebbe una melodia molto molto suggestiva!

Nel mosaico di Otranto si contano ben 8 lunghe trombe (chiarine) tutte suonate da figure umani sparse comunque tra navata centrale e abside, (oltre a quelle qui già mostrate, due all’inizio della navata centrale, uno tra le ruote del presbiterio e tre sulle mura di Ninive raffigurate nell’abside della Cattedrale).

La presenza di corni musicali di origine animali mammiferi come strumenti musicali la vediamo nel mosaico della Cattedrale di Taranto del 1160:

 

Taranto. Sito web consigliato: https://www.mondimedievali.net.

 

Data la curvatura della tromba in questo tondo con centauro suonatore, ben possiamo dire trattarsi di corno musicale ottenuto da mammifero. Il colore spiccatamente bianco di questo corno musicale ci fa pensare che si sia voluto rimarcare che è fatto di avorio, ergo un pregevole olifante di cui diremo. Il “cornu eburneum” ovvero “il corno d’avorio”. E non meraviglia tutto questo a Taranto se è vero che vi era un fiorente artigianato della produzione di questi corni musicali in avorio nel medioevo in sud Italia che poi raggiungevano i diversi centri dell’Europa cristiana.

 

Il mosaico pavimentale del 1160 e.v. della Cattedrale di Taranto – immagine dal web.

 

Disegno dal web di suonatore di corno.

 

Corni da caccia con valore scaramantico in Salento, forse apotropaico con rito magico di cacciata del male con il loro suono:

 

Un altorilievo su una porta, scolpito in una locale pietra di calcarenite, mostra quello che parrebbe un suonatore di corno con accanto un intreccio di corni, sicuramente simboli buon augurali, (simboli di fertilità per la loro nota simbologia fallica-scaramantica e poiché appendici poste sulla testa del virile toro e lì proiettati come dalla Terra verso il Cielo come a congiungere questa coppia di opposti complementari equiparabili ai principi di femmina e maschio dalla cui unione scaturisce nuova vita). I quattro corni intrecciati formano una croce con le suggestioni del moto rotatorio delle svastiche. La resa della scultura è naïf-grottesca potremmo dire, ma anche forse obbligata dal tipo di materia prima lapidea utilizzata. Poggiardo nel centro storico. Notte tra il 5 e il 6 maggio 2019, foto di Oreste Caroppo.

 

Nonché dal valore decorativo:

 

Il corno da caccia rappresentato anche tra i decori della facciata del palazzo comunale credo sia di Nardò, tra cui rappresentazioni di panoplie. Se i corni avessero avutoi qualcosa all’interno sarebbero stati cornucopie di buon augurio, ma essendo vuoti trattasi di corni da caccia. 17 novembre 2019, foto di Oreste Caroppo.

 

Il corno da caccia compare anche nell’araldica di famiglie vissute in Salento, come quella degli Orsini del Balzo:

 

La Bestia dell’Apocalisse che esce dal mare con sette teste negli affreschi nella Basilica di Santa Caterina d’Alessandria in Galatina sempre in Salento. Affreschi del XIV-XV secolo d.C. Sotto con degli orsi vicini vi compare lo stemma di Raimondello Orsini del Balzo, con corni da caccia e stelle a 16 punte, per volontà del quale la Chiesa fu eretta.

 

Vediamo un centauro nell’atto di suonare un lungo corno con la mano destra mentre si regge la coda con la sinistra anche tra i resti del mosaico pavimentale medioevale della Cattedrale di Trani; un mosaico datato alla seconda metà del XII sec d.C. di poco successivo ed ispirato notevolmente al mosaico della Cattedrale di Otranto.

 

Un centauro nell’atto di suonare un lungo corno con la mano destra mentre si regge la coda con la sinistra. Mosaico pavimentale medioevale della Cattedrale di Trani. (Immagine dal Web)

 

Compare un corno anche nel tondo del mese di settembre nel mosaico di Otranto, potrebbe essere un corno da caccia, ma è stato proposto soprattutto che sia un corno per bere anche data la sua posizione verticale a mò di bicchiere:

 

 

Vi è un campo arato, il contadino regge un lembo della veste con la mano sinistra mentre opera con la destra per prendere da lì i semi e spargerli. Sono presenti alcuni oggetti di ambigua identificazione, per alcuni indicano un corno per bere, un barilotto di vino, un prosciutto e – contiguo all’immagine dello scorpione zodiacale – un tarallo di pane (una tipica “frisella” salentina), interpretando ciò come l’occorrente per il pasto dopo la fatica della semina, ma poiché vi è un’ascia essa richiama l’attività di raccolta di taglio e raccolta della legna in vista dell’inverno alle porte per scaldarsi, e dunque attività per prepararsi alla cattiva stagione; in tal caso c’è chi vi vede in quegli oggetti un falcetto, un sacco, una botte, ma potrebbe essere anche un prosciutto o un cacio-cavallo ancora oggi tipico della produzione casearia pugliese, aggiungo data la forma, e la “frisella” avendo appunto lunga conservazione pur si collega al discorso delle scorte per l’inverno.

 

Nell’abside della Cattedrale di Otranto il cui mosaico pavimentale risale al 1163-1165 troviamo la città di Ninive dove suonatori di trombe annunciano alla città il rischio che corre rivelato dal profeta Giona.

 

Suonatori di trombe annunciano a Ninive il rischio che corre la città rivelato dal profeta Giona, mosaico pavimentale del XII sec. d.C. zona catino absidale Cattedrale di Otranto. L’albero raffigurato nei pressi delle mura si pensa sia una Palma da dattero stilizzata per dare un tocco estetico di esoticità orientale alla scena.
L’allarme consiste nell’avvisare che c’è bisogno che tutta la città faccia penitenza, il profeta Giona ha avvisato il Re di Ninive o altrimenti il sommo Dio la distruggerà! Questa la profezia. Grande è la paura e lo scompiglio nella enorme città.
Lo shofar (שופר) è un corno vuoto di ariete (montone domestico o selvatico muflone) o di capra/caprone, (anche di stambecco o antilope, purché non di mucca nella tradizione ebraica) utilizzato come strumento musicale durante alcune funzioni religiose ebraiche (come il Giubileo ebraico); il suo suono ci può dare però una buona idea di cosa udirono d’un tratto i niniviti quando furono destati dalle loro vite (secondo il disegno di Pantaleone), per essere messi al corrente del decreto a favore della penitenza generale cittadina emesso dal loro re a seguito della diffida divina comunicata da Giona profeta biblico del Vecchio Testamento). In quel tempo vetero-testamentale antico ben più della chiarina, (la lunga tromba di invenzione successiva ad imitazione dei corni), sicuramente si utilizzavano i corni animali come lo shofar.

Nel mosaico troviamo tanti animali, che qui immaginiamo con i loro versi come suoni del mosaico. Altri suoni quelli di cantiere per la realizzazione dell’Arca di Noè e della Torre di Babele. Le voci del Dio ebraico del Vecchio Testamento che parla dalle nubi ad Adamo ed Eva, a Caino e a Noè. La profezia di Giona a Ninive e il suo colloquio con Dio e con i marinai e pescatori. Il dialogo nel loro incontro tra Re Salomone e la Regina di Saba. Il suono della pigiatura dell’uva nel ciclo dei mesi ed altri suoni agricoli. il rumore del vento tra le fronde dei tanti alberi del mosaico. Il sibilo della fionda di Davide che abbatte il gigantesco Golia. Fuochi schioppettanti nelle case dei contadini in inverno. Lamenti di anime dannate tormentate all’inferno. Ecc.

 

Il mosaico pavimentale del XII sec. e.v. della Cattedrale di Otranto – immagine dal web.

 

Tra gli animali del mosaico questi di seguito gli animali da cui si ricavavano i corni musicali in Europa.

I caproni:

Becco, un caprone con caratteristica barbetta nel mosaico pavimentale del XII sec. d.C. nella Cattedrale di Otranto. Il caprone è detto anche “zimbaru” nel dialetto dell’odierna religione Calabria, e “jazzu” in dialetto salentino.

 

I montoni arieti, che qui vediamo nel gregge di ovini condotto da un pastore nel clipeo del mese di aprile nel mosaico di Otranto (come anche nel segno simbolo zodiacale del periodo nella parte alta del clipeo, l’ariete):

 

Per approfondire l’articolo qui linkato. Immagine linkata dal web.

 

O anche in un tondo del presbiterio sotto le grinfie di un grifone, forse un selvatico muflone (il corrispettivo selvatico nel Bacino del Mediterraneo della pecora domestica) o un ariete domestico:

 

Otranto, grifone e ariete in una ruota del mosaico pavimentale del XII sec. d.C. della Cattedrale.

 

Si noti la gobbetta sul muso di questo animali, è un modo di rappresentare il cosiddetto muso montonino tipico delle pecore.

 

Il muflone, progenitore selvatico della pecora o pecora rinselvatichita. Da secoli ormai nel paesaggio d’Italia. Una specie della nostra fauna antropocenica assolutamente da difendere in presenza e fertilità nonché diffondere.

 

I tori e mucche (a differenza della cultura ebraica in Europa non vi era nessuna discriminazione all’uso anche del corno di bovino):

 

Toro che regge l’albero centrale raffigurato nel mosaico medioevale della navata sinistra della Cattedrale di Otranto.

 

E questo possiamo dire che è un toro se della razza podolica pugliese poiché in quella razza si distingue il maschio per le corna a semiluna, diverse per dimorfismo sessuale da quelle della mucca di quella medesima antica varietà che le ha a forma di lira:

 

Val d’Agri, mucca di razza ”podolica pugliese”, 30 maggio 2009, foto di Oreste Caroppo. Per approfondire. Mucche della bella e pregiatissima razza Podalica Pugliese, allevata nei secoli passati, con numerose mandrie, nel cuore del Salento, e diretta discendente dall’Uro. Una sua eco vivente.
Numerose ossa fossili trovate nel feudo di Maglie testimoniano la presenza dell’Uro nelle aree del Bosco Belvedere già in epoca paleolitica. Un graffito rupestre paleolitico sulle pareti di Grotta Romanelli a Castro, raffigura parrebbe proprio un Uro.

 

Ma dei corni musicali venivano realizzati anche dalle zanne dell’elefante (tali “corni” erano chiamati olifanti):

 

Mosaico pavimentale del XII secolo della Cattedrale di Otranto, inizio navata centrale. Elefanti dendrofori.

 

Elefanti che ci richiamano all’antica presenza con i loro barriti degli elefanti antichi nel Pleistocene in territorio salentino, presenza attestata ampiamente dalla paleontologia, così come alla furia degli elefanti addomesticati usati come mezzi da guerra sbarcati in Messapia dalla vicina regione dell’Epiro dal re Pirro per combattere al fianco di Messapi e Dorici tarantini contro Roma.

 

Particolare di un piatto risalente al III secolo a.C. probabilmente creato in occasione del trionfo di Curio Dentato su Pirro, re dell’Epiro, nel 275 a.C. e raffigura un elefante da guerra seguito da un elefantino. Italia.

 

Il motivo dell’elefante turrito compare nell’araldica di famiglie del Salento, un bell’esemplare a Martano:

 

Stemma in bassorilievo con elefante turrito a Martano, sull’architrave di un immobile all’ingresso del paese dalla via per Soleto. Famiglia Mongiò.

 

E lo troviamo anche sempre in Puglia nei mosaici pavimentali datati alla fine dell’ XI secolo e.v. dell’abbazia di Santa Maria alle Tremiti:

 

Tremiti, Elefante con torre. Sito web consigliato: https://www.mondimedievali.net. Si noti come la torre sull’elefante è fatta a scacchi come la Torre di Babele nel mosaico di Otranto. L’artista di certo alle Tremiti non aveva mai visto un vero elefante date le piccole orecchiette che gli mette sul capo.

 

A Zollino vi è un sito dolina con falda superficiale e tanti pozzi importanti per l’approvvigionamento idrico del borgo, il luogo è chiamato le “Pozzelle di Pirro“, non si sa se il nome derivi da quello del Re dell’Epiro che sbarcò in Salento con i suoi elefanti o dal nome di qualcuno successivo che conservava in questo nome proprio assegnatoli il ricordo locale mai sopito di quei tempi passati di furori bellici campali. La leggenda vuole comunque che quei pozzi numerosi lì siano stati costruiti dal re Pirro per abbeverare i suoi elefanti e il suo esercito.

Quello che segue è un video che esagera le dimensioni dell’elefante, ma rende bene l’idea dei suoni e delle suggestioni di uno scontro con gli elefanti da guerra nel campo di battaglia:

 

Fragore di combattimenti cui richiamano anche dei guerrieri che armeggiano accanto agli elefanti all’ingresso della cattedrale idruntina, mentre sul lato opposto stanno i suonatori di trombe mostrati sopra:

 

Duello/scontro tra due cavalieri con mazze clavate. Mosaico pavimentale Cattedrale di Otranto, Particolare della navata centrale.

 

Stesso fragore della battaglia che echeggia dal mosaico pavimentale del 1178 della Cattedrale di Brindisi dove si descriveva per immagini la epica battaglia di Roncisvalle nel ciclo carolingio:

 

Dal mosaico della Cattedrale di Brindisi:

 

Disegni realizzati nel 1812-1813 delle scene della Rotta di Ronchisvalle nel mosaico pavimentale medioevale della Cattedrale di Brindisi dall’antiquario e storico francese Aubin-Louis Millin (1759, 1818).

“Rollant” è Orlando, qui poi mostrato a cavallo mentre suona l’olifante. E’ una variante iconografica del racconto rispetto alla versione più famosa che lo vede suonare l’olifante non a cavallo ma seduto per terra morente, o comunque non a cavallo.

 

Vi vediamo Orlando il più celebre dei paladini di Carlo Magno proprio nell’atto di suonare il suo “corno” di elefante, l’olifante, con tutte le sue forze!

Qui lo stesso momento di intenso pathos con Orlando che si decide a suonare il suo magico Olifante nel teatro opera dei pupi siciliani:

 

Un olifante decorato, si nota il caratteristico colore dell’avorio:

 

Esemplare di olifante in avorio-zanna di elefante lavorata.

 

Nel video l’analisi di uno stile di olifanti decorati prodotti in Italia meridionale-Sicilia intorno all’ XI secolo e.v. si ritiene.

 

“Olifante Basilewsky”

 

L’ esemplare noto come “Olifante Basilewsky” è caratterizzato da animali (anche animali fantastici come il basilisco che pur troviamo nel mosaico di Otranto) dentro intrecci vegetali con grappoli d’uva a formare tondi come per gli animali del mosaico di Otranto nel presbiterio o quelli tra i rami degli alberi sempre a Otranto nel suo mosaico, come anche per gli animali dentro quinconce con anche motivi vegetali nei mosaici paleocristiani di Casaranello a Casarano e come anche per i tralci abitati del portale romanico scolpito della Chiesa di San Giovanni in Sepolcro di Brindisi. Vi compare anche raffigurato il basilisco che viene considerato come qualcosa di caratteristico del sud Italia.

Si osserva anche su di esso uno strano motivo decorativo, un uomo con le orecchie da asino che nell’articolo linkato non si riesce a spiegare con opportuni confronti iconografici; forse, ipotizzo allora, da conoscitori dei miti greci gli artigiani potrebbero aver voluto raffigurare re Mida a cui Apollo fece crescere grandi orecchie di asino perché divenisse più capace di riconoscere la superiorità musicale di un dio, ciò perché il Dio era risentito in quanto nel confronto musicale tra lui e il satiro Marsia, Mida aveva votato per il satiro indispettendo il dio. 

Mi piace poi qui ricordare la produzione nell’artigianato salentino figulino tra gli strumenti musicali, oltre a tradizionali fischietti e ocarine, anche delle trombe di varie fogge che erano utilizzate dai contadini anche per messaggi tra loro in Salento.

 

Trombe di terracotta – Grottaglie artigianato. Immagine dall’articolo al link.

 

Molto interessante è la tradizione della “Festa delle Trombe” nella ricorrenza dei Santi Pietro e Paolo Apostoli a Grottaglie, che ci sembra ben sposarsi con l’immagine dei suonatori di trombe all’ingresso della Cattedrale di Otranto nel mosaico pavimentale. Leggiamo che dalle visite pastorali degli Arcivescovi di Taranto Mons. Lelio Brancaccio (1584) e Mons. Tommaso Sarria (1677) si apprende che i cittadini di Grottaglie solevano entrare in Chiesa cantando e saltando al suono di diversi strumenti musicali, così come facevano gli ebrei ricordando Davide davanti all’Arca santa, “questa usanza non piacque ai vari arcivescovi perché la ritenevano irriverente e quindi non tardarono a minacciare la scomunica per tutti coloro che osavano entrare in chiesa con tali suoni. Ma i giovani, sempre ribelli nei secoli, nonostante le minacce di scomunica continuarono imperterriti a celebrare la festa delle trombe in onore di S. Pietro dai primi vespri della vigilia fino alla notte del 29 giugno. Le trombe, strumento musicale a fiato di creta, costruito in varie forme dai figuli grottagliesi (vedi foto), non si acquistavano ma si regalavano ad amici, a persone di riguardo, ai famigliari, oppure si barattavano con coloro che possedevano prodotti della terra. Una volta avute le trombe, i ragazzi con gioia immensa, soffiavano a più non posso, specialmente la sera della festa nei pressi della chiesetta di S. Pietro e Paolo. La festa durava tutta la notte e perdeva di intensità man mano che si spegnevano le lampade ad olio” (rimandiamo a questo bell’articolo di https://grottagliesitablog.wordpress.com per approfondimenti ulteriori).

Le trombe di creta affondano la loro origine nel passato mediterraneo ed europeo, interessanti trovo i confronti tra il modello della tromba di creta attorcigliata in una o più spire che troviamo soprattutto nella produzione figulina del sud Salento e certi esemplari archeologici di trombe in creta simili o con estremità a testa di animale/mostro a fauci divaricate presso i celtiberi:

 

Tromba-corno di creta dei celtiberi da Numanzia in Spagna. Decoro a scacchiera. Età del ferro.
Nel vedere la tromba di Numanzia presso i celtiberi in Spagna, emersa da scavi archeologici e mostrata qui sopra in foto, vien da dire che è come le tipiche trombe-corni di creta del Salento!
Poiché perseguo la pista di una colonia celtica in basso Salento sul versante Gallipolino (Gallipoli-Galatone-Galatina) a partire dagli indizi forniti da Plinio il Vecchio questa similitudine mi intriga!
Le trombe salentine  vedo che si trovano anche nella ceramica di Grottaglie ma se ho ben osservato avevano una maggiore diffusione come tipologia nel sud Salento a Cutrofiano dove venivano prodotte anche in più di una spira. Nel ‘900 erano ancora oggetti di decoro casalingo, ma avevano perso la funzione di strumento per lanciarsi messaggi tra contadini e famiglie di contadini durante le trasferte nei campi per vari lavori agricoli, ad esempio mi hanno raccontato di tale loro uso nei campi dei Paduli (Nociglia).
Queste trombe di ceramica erano vendute a Maglie sulle bancarelle di venditori ambulanti durante la cosiddetta fiera “dei campaneddhi (che si teneva e tiene il venerdì che precede la Domenica delle Palme), insieme a fischietti e campanelli sempre tutti figulini.
Vi venivano vendute anche le cosiddette “trozzule” in legno, in italiano chiamate raganelle, (uno strumento inventato in origine dal pitagorico Archita stratega della polis magnogreca di Taranto per far giocare i bambini), che venivano suonate in occasione della Processione dei Misteri del Venerdì Santo, emettendo un suono forte e stridulo.

Tornando al mosaico di Otranto

Nella navata centrale del mosaico idruntino incontriamo delle trombe dell’Apocalisse. Vediamo una donna nuda che suona una tromba a cavallo di un grosso pesce (o delfino):

 

Apocalisse – navata centrale, porzione destra, della Cattedrale di Otranto, mosaico pavimentale dell’XII secolo d.C.

 

Sulla sinistra un grosso pesce antropofago, forse uno squalo, sta divorando un’uomo. Degli uomini (forse giovanetti) a cavallo del grosso pesce sul mosaico idruntino, quello che siede avanti è forse una fanciulla, poiché porta lunghi capelli; suona un corno. C’è chi ha ipotizzato che i due uomini a cavallo del pesce possano essere Pirra e Decaulione, la coppia che sopravvisse al diluvio universale raccontato invece nei miti greci e da cui l’ umanità ripartì; Decaulione l’equivalente greco del biblico Noé (come dell’eroe mesopotamico Gilgamesh). In realtà un esame di iconografia comparata mi ha portato a riconoscervi in questa immagine la rappresentazione di scene dell’Apocalisse di Giovanni. Tanto che sotto possiamo riconoscervi negli esseri con più teste un riferimento alla bestia del mare dell’Apocalisse.

L’ispirazione iconografica per questa scena marina dell’Apocalisse di Giovanni in ambito cristiano viene molto probabilmente dall’iconografica classica legata a Poseidone, e alle creature, mostri, altri dei, nereidi ed eroi del suo scenografico seguito o comunque a Poseidone legati.

Partecipa a tale categoria iconografica un tipico simbolo dell’antico Salento, quello di Taras, figlio di Poseidone (Poseidone dio del mare assai venerato in Messapia), dio eponimo della città costiera di Taranto e del fiume Taras che lì sfocia. Taras è mostrato come giovinetto a cavallo di un delfino:

 

Taras su delfino con coppa per libagioni – moneta di Taranto (IV secolo a. C.).

 

Questo motivo iconografico si trova anche nella forma del giovinetto nudo su delfino che suona uno strumento a fiato su questo vaso trovato in Etruria:

 

 

Youth playing the flute and riding a dolphin. Red-figure stamnos. From Etruria. Entre 360 y 340 a.C.

 

Riguardo al corno musicale che porta alla bocca per suonarlo il personaggio a cavallo di un delfino/pesce a Otranto, una tromba dell’Apocalisse, esso è simile alle altre trombe lunghe del mosaico idruntino, ma quale è lo strumento musicale primigenio per questo tipo di rappresentazioni marine?

Per rispondere dobbiamo analizzare il topos iconografico originario fonte di ispirazione per queste scene marine dell’Apocalisse nel Cristianesimo. Esso lo si ritrova come detto nel corteo dei personaggi marini legati a Poseidone, nella cultura pagana greco-romana pre-cristiana, che comparivano talvolta a cavallo di delfini, pesci o mostri marini; in quelle scenografie nettuniane vi comparivano anche delle trombe, ma non erano fatte né di metallo né di corno di mammifero, come gli altri strumenti a fiato mostrati nei tre mosaici salentini citati, ma erano di conchiglia, delle trombe di mare.

Nei personaggi del corteo di Poseidone frequente è nell’iconografia il corno a tortile conchiglia; vediamo, solo ad esempio, il celebre mosaico romano che mostra un ittiocentauro che suona una conchiglia, conservato a Tunisi nel Museo del Bardo (forse una epifania di Tritone figlio di Poseidone in forma di ittiocentauro con lunga conchiglia tortile a tromba):

 

 

Si trattava di particolari specie di conchiglie tortili, opportunamente modificate dall’uomo, comunemente dette “trombe di mare” o “buccina” (“tufa” in napoletano e “brogna” o “trumma” in siciliano), per la produzione di suoni come strumenti a fiato.
Il loro uso sembra che risalga già ad epoche molto lontane.
Nella mitologia greca si racconta che Tritone, figlio del dio del mare Poseidone (chiamato dai Greci, Nettuno chiamato dai Romani) e della ninfa marina (Nereide) Antifritite, mediante il suono emesso da un corno di conchiglia, su ordine del padre, placava oppure scatenava le tempeste e annunciava l’arrivo del Dio del mare.
Miseno compagno di Enea oso sfidare Tritone nel suono di questo strumento, e per la sua hybris fu precipitato in mare.
Ritrovato il corpo dell’amico trombettiere annegato Enea lo inumò sotto un enorme tumulo funerario.
Nota: presso gli antichi Greci la hybris era l’orgogliosa tracotanza che porta l’uomo a presumere della propria potenza e fortuna e a ribellarsi contro l’ordine costituito, sia divino che umano, immancabilmente seguita come conseguenza (come nemesis) dalla vendetta o punizione divina (tísis). Significa letteralmente “tracotanza”, “eccesso”, “superbia”, “orgoglio” o “prevaricazione”. Alcuni ritengono che il termine del dialetto salentino “cabbu” (a Maglie) o “jabbu” (a Lecce), che indica la derisione compiaciuta del prossimo, derivi dal greco hybris o ne abbia stessa origine etimologica.
Charonia tritonis. Esteticamente anche molto bella.
Questi rudimentali arcaici ma efficaci strumenti a fiato erano di uso comune tra tutti i popoli marinari che vivevano il mare e del mare.
Le conchiglie appartenenti alle specie Charonia tritonis (Tritone marino) e Charonia nodifera (Charonia lampas), entrambe viventi nel Mediterraneo, erano le due specie comunemente impiegate per realizzare queste trombe di mare usate come mezzo di comunicazione dai pescatori del Mediterraneo.
Questi grandi gasteropodi vivono ancora in Sicilia e in Grecia, ma sono scomparsi nel mare Salentino.
Che cosa si aspetta ad avviare un rapido progetto di loro reintroduzione?
Se non si impegnano in questi progetti i parchi marini allora essi non hanno alcun senso.
Fontana di Tritone, realizzata da Gian Lorenzo Bernini, stile barocco italiano, in Piazza Barberini, Roma, Italia, 1642-1643. Si vede Tritone intento a suonare la sua tipica tromba di mare.

 

La parte inferiore del corpo di Tritone è bicaudata pisciforme o serpentiforme, come la sirena bicaudata nel mosaico di Otranto, altre volte viene raffigurato nella forma dell’ittiocentauro.

Le conchiglie suonate a mo’ di corno erano presenti di certo anche nei nostri mari salentini, ma troppi souvenir da sub prelevando esemplari vivi l’hanno fatta rarefare? Ne ho visto qualche esemplare in qualche casa salentina come soprammobile e mi piacerebbe conoscerne la provenienza, forse da viaggi in Grecia?

 

Conchiglia Tromba di mare di Tritone tritone nei Bothroi di Vaste – epoca ellenistica. (vedi questo articolo scientifico in merito “La fauna dei Bothroi di Vaste e sue implicazioni cultuali”). La conchiglia di Charonia potrebbe rappresentare uno strumento sonoro (tromba?), anche se non si può dirlo con certezza perché l’esemplare è incompleto, mancando soprattutto dell’apice e di parte dell’ultima spira. Conchiglie simili sono state rinvenute in altri santuari italici, come nel santuario urbano di Demetra a Herakleia (Policoro – IV secolo a.C.) e in quello di Timmari presso Matera, (vedi qui in questo estratto alle pagine 334 e 335).

 

La Tromba di mare di Tritone in un esemplare di Charonia tritonis è stata ritrovata anche nel Salento, in particolare nei bothroi messapici santuario alle divinità ctonie nella piazza di Vaste in strati di età ellenistica legati alla locale cultura messapica.

Non solo, anche nella Grotta dei Cervi di Porto Badisco (Otranto), santuario neolitico e protostorico, con frequentazioni anche più antiche, sono state trovate “conchiglie di Charonia tritonis con apice forato e lavorato per cui si pensa che fossero utilizzate come strumento musicale, come trombe, come anche ipotizzato per altre simili conchiglie trovate in grotte liguri e di altre località del Mediterraneo” (virgolettato tratto dal seguente video di conferenza sugli scavi archeologici in Grotta dei Cervi, dalla voce dell’archeologa Ida Tiberi, si tratta della relazione dell’archeologa sulla famosa grotta salentina al “XXVIII Valcamonica Symposium” del 29 ottobre 2021):

 

Conchiglie di Charonia tritonis con apice forato trovate in Grotta dei Cervi. Screenshot dalla relazione online dell’archeologa Ida Tiberi sulla famosa grotta salentina al “XXVIII Valcamonica Symposium” del 29 ottobre 2021.

 

Così bisogna favorirne la ridiffusione, come della conchiglia del gasteropode Tritone, anche del mollusco bivalve Pinna nobilis, la grande “cozza penna” comunemente chiamata in Salento, da cui il toponimo di alcune località costiere salentine. Da questa si estraeva in passato il prezioso bisso marino, un filamento, la seta del mare anche detto, chiamata a Taranto, dove pure si produceva “lanapinna” o “lanapesce”.

 

 

Come tanti molluschi marini produce dei filamenti con i quali si ancora al fondo del mare. Questi fili, sottili e robusti, costituiscono il materiale con cui si fabbrica il filamento detto bisso marino, utilizzato in passato per la tessitura di preziosi indumenti dai colori cangianti. Questa specie comunque fortunatamente non è estinta lungo le coste salentine.

In ogni caso il suono del corno in tale contesto marino idruntino (sebbene apocalittico), ci richiama alla mente quanto Plinio ed Erodoto ci hanno raccontato, ovvero la possibilità di richiamare i delfini con il suono, con la musica oltre che con la voce, e forse la stessa era usata per coordinare le collaborazioni tra uomini e delfini nella pesca, collaborazione alieutica forse raffigurata sul mosaico, dato che intorno ai ragazzi sul pesce, scorrazzano altri pesci più piccoli, e forse la vicina foca che nuota lì vicino, ne approfitta per catturarne con più facilità qualche pesce.

Il presbiterio del mosaico idruntino si caratterizza, oltre che per la presenza della chiarina pure lì, anche per i suoni di altri strumenti musicali, quasi una piccola orchestra, vi sta infatti l’asino arpista, che se non fosse per le corde sembrerebbe suonare un aulos, e la volpe che suona dei piattini e pare persino cantare a squarciagola; dunque fiati, voci (versi), corde e percussioni:

 

Cattedrale medioevale Otranto, presbiterio, pavimento con mosaico del XII sec. d.C.

 

Un’atmosfera musicale giocosa quella che emerge dal mosaico nel presbiterio della Cattedrale di Otranto.

Solo suggestivamente:

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