“L’ALBERO DEI FALLI” anche nel mosaico pavimentale medioevale della Cattedrale di OTRANTO?
Dagli studi sul mosaico idruntino condotti da
Oreste Caroppo
Nello studio minuzioso del mosaico in ogni suo dettaglio è questa una suggestione che ho notato guardando alcune protuberanze dell’albero che è raffigurato nella porzione, fascia verticale, del mosaico che par dedicata al Paradiso (eccezion fatta per le parti basali di tale fascia dove è forse riconoscibile il mostro infernale Cerbero), che è nella parte sinistra della navatella di sinistra.
Viene riconosciuta come una colonna dedicata a temi paradisiaci in quanto in essa in alto vi compaiono i Patriarchi vetero-testamentali che accolgono le anime dei trapassati secondo una consueta iconografia bizantina, quella del “seno di Abramo“ detta, e poiché si contrappone alla fascia di destra della navata sinistra in quanto in essa vi è inequivocabilmente raffigurato l’inferno con tanto di demoni, pene, psicostasia, torture dei dannati, fiamme, mostri serpentiformi, epigrafe “INFERNUS” e Satana con corona come re degli inferi indicato dall’epigrafe “SATANAS”. Le due fasce verticali parallele della navata sono separate dal lungo tronco centrale di un grande albero che si sviluppa per tutta la navata.
Nella colonna dedicata a temi paradisiaci vi è nel mosaico di Otranto al di sotto dei Patriarchi vetero-testamentali la raffigurazione di due persone, di dimensioni inferiori a quelle dei Patriarchi ma ben più grandi delle animelle accolte nel loro seno da Abramo e Isacco. Di queste due persone/anime(?) un uomo sta nudo con perizoma e il secondo uomo completamente nudo sta accanto a lui. In particolare ho definito questa porzione in cui sono raffigurati questi due personaggi il “Campo dei Beati” perché le eventuali anime lì ritratte appaiono dall’espressione gioiosa (per lo meno l’uomo con il perizoma dato che dell’altro il viso è stato danneggiato nel tempo) e sono tra i rami della vegetazione, in particolare sui rami di un albero; si tratta di un ulteriore albero che insieme ad arbusti occupano questo spazio rispetto all’albero centrale della navata sinistra. L’uomo nudo è a cavalcioni di un ramo. Chi però siano questi personaggi non lo sappiamo.
Forse Adamo ed Eva tornati al Paradiso? Ma perché in tal caso rappresentare Eva nuda ed Adamo no?
Forse autoritratti dell’arcivescovo Gionata committente dell’opera e Pantaleone il monaco esecutore? Sarebbe assolutamente improbabile in cotanta nudità poi ed auto-promozione al Paradiso.
Gli alberi rappresentati nel mosaico forniscono frutti di ogni genere, ma in alcune di queste protuberanze dell’albero qui in osservazione, se non sono dei funghi fallici, o strani frutti, par di potersi riconoscere proprio dei falli, in particolare uno in piena erezione con glande dal colore più rossiccio posto proprio all’altezza del perizoma dell’uomo ad esso prossimo.
Qualche scherzo da parte degli operai esecutori del mosaico? Qualche loro svista o svista da parte dei restauratori?
Oppure qualcosa prodotto dal loro inconscio involontariamente di fronte alla commissione volta alla rappresentazione di alberi simbolo beneaugurale di fertilità del Creato e soprattutto lì in una zona rappresentante un paradiso a metà strada tra Paradiso terrestre Giardino dell’Eden-Avalon (isola delle mele)-Campi Elisi e il Paradiso Celeste maggiormente rappresentato quest’ultimo nella parte immediatamente superiore dalla icona bizantina del cosiddetto “seno di Abramo“, cioè Abramo che accoglie a sé, così come fanno Isacco e Giacobbe, le animelle degli uomini.
Se nello spazio di beatitudine paradisiaca compare dissimulato come vegetazione un fallo in erezione dal turgido glande rosso, allora non possiamo non osservare come esso si contrappone ad altri simboli fallici ma con negative valenze quali psicologicamente sono i serpenti ritratti nello spazio infernale dove son raffigurati mentre molestano le anime dei dannati.
Se percorriamo l’ipotesi della rappresentazione, lì sotto il Paradiso celeste in alto, del Paradiso terrestre più in basso, tutto nella stessa colonna musiva dedicata pertanto al tema del Paradiso contropposto all’Inferno nella colonna opposta nella medesima navata, allora è coerente la raffigurazione di alberi e altra vegetazione elementi assai connotanti la dimensione dell’Eden biblico, descritto nel libro della Genesi nel Vecchio Testamento come luogo nel quale vi era ogni albero che è piacevole alla vista e buono per il cibo; e tra questi anche il cosiddetto “Albero della vita” in mezzo al giardino, e l’ “Albero della conoscenza del bene e del male”. Adamo ed Eva originariamente si aggiravano nudi nell’Eden, così li vediamo raffigurati infatti nella navata centrale.
Riguardo alla possibile Eva a sinistra nell’immagine sopra osserviamo che alcune tessere musive potrebbero fare pensare anche ad una raffigurazione proprio di suoi femminili seni e capezzoli.
Dopo aver infranto le regole divine e aver mangiato i frutti dell’albero proibito i progenitori Adamo ed Eva coprirono le loro nudità si legge nella Bibbia, e questo ha fatto pensare che il simbolo dell’atto di mangiare il frutto proibito indicasse la perdità della loro verginale purezza con la consumazione dell’atto sessuale del coito, da cui il senso di pudore qui ad Otranto forse in parte simboleggiato dal perizoma del possibile Adamo. Così aver dato vagamente un sentore fallico a quell’albero o ai suoi frutti si sposerebbe, per scelta volontaria o inconscia nell’artista, con questa pista esegetico-teologica sessuale ben diffusa nel pensiero cristiano riguardo ai fatti della Genesi inerenti il frutto proibito, tanto che è un serpente, simbolo fallico per eccellenza, che viene raffigurato avvinghiato all’albero dai frutti proibiti nell’Eden nell’iconografia cristiana e che secondo quanto riportato in Genesi tenta e induce Eva a prendere quel frutto e a farlo consumare anche ad Adamo.
Se qui Adamo ha il perizoma ed Eva no ciò può essere anche conseguenza della rappresentazione scelta per Adamo mostrato di fronte e per Eva raffigurata di fianco nell’esigenza complessiva di pudore figurativo all’interno del tempio cristiano.
Fatto sta che se fosse proprio un fallo quello rappresentato qui in uno spazio implicato comunque dal principio estetico dell’ “horror vacui” che ispira tutta l’opera, quella non sarebbe una grande anomalia in periodo medievale. Certo un po’ anomalia la rappresentazione in un ambiente ecclesiastico e forse in tal caso per questo il fallo è dissimulato come ramo senza rappresentarvi i testicoli.
Vediamo comparire infatti in ambiente europeo e anche italiano nel medioevo la rappresentazione dell’ “albero dei falli”, simbolo propiziatorio di fertilità ed abbondanza, alberi sui quali crescono come frutti dei grossi falli che le donne raccolgono e talvolta bisticciando tra loro per conquistare l’ambito frutto, frutto a sua volta di fertilità!
E la fertilità per i viventi è tutto, di certo il valore più importante!
L’albero come bethilos naturale per antonomasia si correla all’archetipo del fallo, non meraviglia allora che consciamente con rappresentazione esplicita di falli o inconsciamente con loro rappresentazione implicita il simbolo del fallo sia associato a quello dell’albero nella forma dell’ “albero dei peni”.
Un fallo buon augurale, dissimulato come ramo senza raffigurare anche i testicoli, a Otranto in una chiesa e dunque precedente ai due famosi esempi medioevali sopra menzionati? Lo battezzeremo qui scherzosamente “il fallo di Artù” o “il fallo di Adamo” portafortuna.
Chissà se sia davvero sfuggito alla gente del luogo, come invece agli studiosi del mosaico, e non vi siano invece licenziosi aneddoti in merito ad esso, per pudore e rispetto del luogo sacro mai prima d’ora messi per iscritto.
L’albero dalle protuberanze falliformi nel Mosaico di Otranto potrebbe essere, come osservato, una raffigurazione naïf di un albero del Paradiso terrestre con Adamo ed Eva. Le protuberanze falliformi sono anche, volendo, protuberanze vagamente fungiformi, ricordiamo che alcuni funghi crescono anche sugli alberi e ricordiamo un genere di funghi, che invece crescono al suolo, anche attestato in Salento, e la cui forma del carpoforo ricorda proprio quella di un fallo umano, è il genere micologico chiamato proprio non a caso “Phallus“.
Queste simbologie mi portano a ricordare anche qui una famosa raffigurazione dell’Albero della Conoscenza del bene e del male che troviamo in un affresco nella cappella medievale (XII secolo) di Plaincourault (lndre, Francia). Vi si raffigura lì la scena biblica della tentazione, dove Adamo ed Eva si trovano ai lati dell’Albero della Conoscenza del bene e del male, su cui avvolge le sue spire il serpente, l’ “albero” è però raffigurato come un grande fungo con cappello rosso cosparso di puntini bianchi, fornito di quattro rami sporgenti dal tronco formati da funghi simili.
Il fungo di riferimento sembra essere in tal caso proprio la famosa Amanita muscaria (nome comune Ovolo malefico), che cresce anche in Salento, un fungo altamente iconico associato all’arrivo del Natale, a fate e gnomi, e utilizzato per le sue proprietà allucinogene dagli sciamani euro-asiatici come apprendiamo da studi di etnomicologia. Vi è una vera e propria ambivalenza di sentimenti per questo fungo, da un lato è considerato velenoso, sebbene si scopre che la sua ingestione non comporti la morte, dall’altro lato è spesso associato ad immagini belle, soprattutto nei paesi mediterranei. Tra le decorazioni del Natale capita spesso di vedere questi funghi. Le case degli gnomi e della fate sono quasi sempre rappresentate con il cappello rosso ed i puntini bianchi. Associato alla sfera del magico e del misterioso. Questi funghi vengono anche correlati alle streghe, a volte alcune specie di funghi (e tra queste anche Amanita muscaria) vedono spuntare i loro carpofori come al bordo di una circonferenza, per la voce popolare sarebbe quello il “cerchio delle streghe”, il luogo cioè dove le streghe durante la notte avrebbero danzato nel loro sabba.
Ad Adamo e ad Eva era stato vietato dal loro dio di cibarsi dei frutti dell’Albero della Conoscenza del bene e del male. Raffigurare questo albero biblico simbolicamente come albero-fungo con un fungo non prettamente edule ma allucinogeno, nonché fungo dalla forma e colori fallici, può essere stato un simbolo dell’ambivalenza dei frutti di quell’albero per Adamo ed Eva nel racconto biblico, da un lato la possibiltà della “conoscenza” (simbolicamente anche del sesso-procreazione), dall’altro lato la conseguente cacciata dallo stato di paradiso terrestre (forse anche simbolo psicologico della perdità delle verginità, della fine dello stato di purezza fanciullesca, disincanto), o inoltre un messaggio esoterico per immagini dell’uso anche in ambiente cristiano e forse anche giudaico di quel fungo allucinogeno in riti misterici così come è ancora in uso presso gli sciamani euro-asiatici (filone di ipotesi questo legato allo studioso John Allegro)?
Questa convergenza di simboli archetipici fallo-albero-fungo trova le sue radici nel pensiero magico-associativo, per approfondire in merito rimando anche alla mia Teoria T-S.
——————————————————————————
Per il fallo arboreo qui discusso siamo nell’ambito del forse, tra pareidolia, o scherzo di un mosaicista iniziale o restauratore e/o emersione dell’archetipo.
Passiamo ora ad evidenziare alcuni organi maggiormente legati alla funzione riproduttiva messi in palese ed esplicita evidenza sul mosaico idruntino.
Cominciamo dall’analisi del caprone o capra che compare nell’iconografia di Re Artù. Si notano due “sacchetti” sporgenti tra le gambe posteriori dell’animale, di che si tratta?
Premettiamo che come segni distintivi di dimorfismo sessuale il caprone appare in natura con i testicoli sporgenti nella parte posteriore (come sotto nella allegoria della lussuria), la capra con le mammelle anche magari gonfie di latte nella parte posteriore.
Le mammelle sono tanto più in evidenza quanto maggiore è il loro quantitativo di latte prima della mungitura.
Da questo punto di vista non facile dire se si tratta di un caprone o di una capra per il caprino cavalcato da Artù.
Il caprone (detto becco o irco anche) ha una barba maggiore sotto il mento e corna solitamente più lunghe della capra della medesima sua razza. Nel mosaico di Otranto alcuni caproni son evidenziati dalla lunga barba sotto il mento alcune volte anche rimarcata di colore più scuro.
Nel caso del caprino di Artù essa è assente. Inoltre a giudicare dagli schizzi del mosaico dei primi dell’ottocento, precedenti ai grandi restauri che furono fatti in quel secolo, le corna del caprino di Artù dovevano essere leggermente più lunghe delle attuali.
Confrontiamo anche con questa miniatura allegorica successiva di alcuni secoli al mosaico idruntino:
ma nella quale ben si evidenziano i testicoli pendenti del caprone.
Non prendiamo pertanto qui una decisione netta sulla questione del preciso sesso del caprino montato da Artù, anche se dovessimo dire a volte solo caprone o solo capra in riferimento ad esso in questi scritti.
Mostriamo qui un’opera pittorica di ispirazione alla classicità dionisiaca con menade (baccante) in groppa ad un caprone simbolo di Dioniso:
——————————————————————————
Nel mosaico compaiono poi in grande evidenza i seni di figure femminili nude, è il caso della sirena bicaudata, un motivo assai diffuso nel lessico romanico del tempo anche nel genere del mosaico pavimentale figurato.
E’ in posizione ostentante l’organo sessuale femminile simbolicamente data la divaricazione degli arti inferiori, e anche costituendo una complessiva figura di possibile simbologia vulvare la vesica piscis.
——————————————————————————
Compare anche una donna nuda stesa, con lunghi capelli attorcigliati al braccio, seni in vista, grandi natiche e vita sottile, giovane presumibilmente e bella, la sua mano tra le gambe copre la sua vulva, (che con questo espediente si evita di raffigurare); poiché rispetto alle torri da cui i suonatori di trombe-corni stanno lanciando l’allarme alla città sotto cui sta la donna vi è davanti ad essa una porta è quello il segno che la donna è all’interno della città, due giovani uomini nudi sembrano saltare via al suono delle trombe, è simbolicamente la rappresentazione della lussuria. Una donna dai capelli arruffati che stava facendo sesso con due uomini?! Infatti l’allarme consiste nell’avvisare che c’è bisogno che tutta la città faccia penitenza, il profeta Giona ha avvisato il Re di Ninive o altrimenti il sommo Dio la distruggerà! La donna è la bella “pulandra”, possiamo dire in lingua grika, il dialetto grecanico salentino, colei che ha più uomini sessualmente parlando (dal greco polý-andros, molti maschi)!
Nuda con i seni in vista anche Eva nella scena del peccato originale con, anziché una mela (eppur meli crescono in Salento di cultivar autoctone), con il più diffuso e certamente più delizioso frutto del fico (“Ficus carica“), frutto in Salento chiamato “fica” al femminile con lo stesso termine che designa l’organo sessuale femminile nel medesimo vernacolo locale:
Adamo ed Eva son interamente nudi e son mostrati con una leggera torsione del bacino per evitare di raffigurare i loro organi genitali nudi. Nel Paradiso terrestre prima del peccato del frutto son mostrato tra i rami come due giovani fanciulli indistinti, Eva non ha lì segni distintivi di femminilità e neppure nella scena della cacciata dal Paradiso terrestre dopo il peccato. Rappresentazioni molto naïf.