LICANTROPI – quegli ululati terrificanti tra gli ulivi del Salento!

LICANTROPI

quegli ululati terrificanti tra gli ulivi del Salento!

LA LEGGENDA DEL LICANTROPO IN SALENTO?
Nei mesi sorsi, tra fantasmi suscitati in Salento nella psiche da fobie pseudo-pestilenziali, ho visto anche condivise su Facebook immagini di affreschi con macabre storie di pasti a base di carni di bambini, in realtà si tratta di un tema assai antico che compare già nel mito greco del re arcadico Licaone, figura in parte anche legata alla nostra Puglia perché alcuni dei suoi discendenti sono eponimi di popoli pugliesi antichi.
Licaone che per aver offerto un sacrilego pasto agli ospiti a base delle carni di un nipote fu mutato in lupo dagli dei, licos in greco è il lupo (“liko” dialetto grecanico salentino, il griko).

“Zeus, desiderando accertarsi dell’empietà di Licaone, andò, travestito da contadino, a chiedere ospitalità al sovrano. Il re per sapere se l’ospite fosse veramente una divinità decise di servire al banchetto in suo onore con le carni del nipote Arcade o, in un’altra versione, quelle di un prigioniero. Nella versione del mito narrata da Publio Ovidio Nasone nella sua opera “Metamorfosi“, racconta che per la sua empietà Licaone fu punito con la trasformazione in un “feroce lupo”, destinato a cibarsi di carne umana. Questa versione viene messa in rapporto con i sacrifici umani che si svolgevano in Arcadia in onore di Zeus Liceo, quando una vittima umana veniva immolata e i celebranti, che si erano cibati delle viscere, venivano trasformati in lupi per otto anni. Scaduto questo termine potevano ritornare umani, a patto che non avessero mangiato carne umana” (fonte).

 

Zeus trasforma Licaone in un lupo, incisione di Hendrik Goltzius (1558-1617) incisore olandese del primo barocco. Immagine dal Web.
Licaone figlio di Pelasgo (considerato dal mito il capostipite dei Pelasgi ed uno dei primi abitanti dell’Arcadia). L’Arcadia nel Sud della Grecia è terra reale e mitica dalla quale, antichi racconti ci tramandano, giunsero genti in Puglia da colonizzatori in tempi protostorici, tanto che si dice fossero figli di Licaone: Dauno, il capostipite dei Dauni nel nord della Puglia, Peucezio da cui i Peuceti che occupavano la Puglia centrale ed Enotro da cui gli Enotri stanziati tra Puglia, Basilicata e Calabria di cui fu poi re il famoso Italo, da cui avrebbe preso il nome l’intera Italia, secondo alcune piste etimologiche, termine con cui in origine si designava solo il sud della penisola italica.
La suggestione dei Pelasgi viene fatta echeggiare ancora in Salento da un vetusto bastione di Otranto che per tradizione locale si appella “il Bastione dei Pelasgi”.
Il Lupo in Italia. Immagine dal Web.
In Salento il lupo è animale simbolico, totemico forse in antichità per alcuni gruppi. Lecce aveva nome Lupiae in latino, (“Luppiu” in griko ancora oggi), “città dei lupi” letteralmente. Tanto che il lupo è nello stemma di Lecce.
E da poco il Salento ha festeggiato il gran ritorno del lupo nella sua fauna dopo alcuni decenni di assenza a causa di antropiche devastazioni. Così come il ritorno della sua preda d’elezione il cinghiale!
Per approfondire sul ritorno del lupo nel Salento questo mio post e i miei commenti ad esso e quest’altro.
Uomini licantropi compaiono tra i popolari spauracchi pugliesi per bambini; di essi si raccontava che la notte cercassero le fonti d’acqua per bere, bagnarsi e placare forse il fastidio della loro trasformazione.
Mi raccontava uno zio acquisito da parte di madre e di cognome Marra (famigliarmente “Zio Gino”) e originario di Scorrano (paese vicino al mio paese Maglie) di un uomo licantropo che nella seconda metà nel ‘900 ancora la notte si vedeva andare a bagnarsi nella fontana in piazza a Scorrano, se non sbaglio un uomo del paese ingiuriato “Maccauni“.
Una leggenda ampiamente confermatami dagli abitanti del paese grazie ad un mio post facebook etnografico del 12 marzo 2020 in merito, che ci fanno sapere che il lupo-mannaro era genericamente chiamato nel vernacolo locale: “lupu sularu“.
Per una disamina molto accurata sulle tradizioni intorno alla licantropia e i licantropi in Puglia rimando a questo ottimo articolo segnalatomi dallo studioso Gianfranco Mele di Sava che ringrazio:
Dipinto dal Web.

 

Il tema del licantropo ci richiama alla mente anche un’altra trasformazione, quella dello stregone, il masciaro, in cane o altro essere. Riporto in merito un fatto di cronaca che coinvolse un canonico chiamato Mauro di Otranto a Venezia nel 1456, brutalmente assassinato da prete che la vox populi superstiziosa diceva in amicizia col demonio e capace di compiere le sue peggiori ribalderie in forma canis albi (in forma di cane bianco):

Un fatto di cronaca che coinvolse un canonico di nome Mauro di Otranto a Venezia nel ‘400. Da un testo del 1882 intitolato “Curiosità Veneziane“.

 

Gianfranco Mele (autore del testo “La magia nel Salento“) ci fa sapere che quella della mutazione in cane bianco è una “tipica trasformazione ricorrente sia nelle storie salentine dei nostri masciari che in quelle della stregoneria di tutta Europa”, proprio quella in cane bianco è molto ricorrente. Altre volte in gatto”.

Gli ho chiesto in base ai suoi studi le varie forme che si riscontrano per queste metamorfosi. Io per il paese di Sanarica in provincia di Lecce raccolsi da mia nonna paterna, Giorgina Miggiano che era originaria di Sanarica, la leggenda di una strega locale che si trasformava in gatta, sempre secondo la vox populi naturalmente, e che da gatta per mostrare che fosse la strega mostrava con la zampa indicando e abbassandosi un labbro l’assenza di un dente laterale che mancava appunto vistosamente alla strega del paese quando si presentava in forma umana.

 

Pastore maremmano-abruzzese, tipico cane di razza antica italiana anti-lupo da gregge. Importante per la migliore convivenza con i lupi. Immagine dal Web.

 

Da Gianfranco Mele: “le più ricorrenti dalle nostre parti [il Salento] sono cane (spesso bianco) e gatto. Nei verbali del Tribunale del Santo Officio di Oria si trova anche la storia della trasformazione di una strega in mosca. Altre trasformazioni sono in equino (cavallo o asino), e in capro per lo più colui che presiede il sabba”.
Nella natura poi non mancavano eventi che contribuivano a creare quell’humus di paure e curiosità che contribuiva all’affermazione e diffusione delle leggende sui licantropi:
Lupo, dipinto dal Web.

 

 

Dipinto con lupi mannari, dal Web.

 

Il cane inoltre, (ovvero il lupo nella forma addomesticata), sebbene compagno dell’uomo da lunga domesticazione, e suo aiutante in tante faccende, è pur sempre ammantato da un’aurea di oltretomba per le sue abitudini alimentari antroponecrofaghe, come quelle dello sciacallo, si nutre infatti potendo di cadaveri umani. Da qui la simbologia psicopompa del cane e dello sciacallo nella mitologia mediterranea greco-romana ed egizia. Vedi i cani sacri alla dea greca e romana Ecate, la potente signora dell’oscurità, che regnava sui demoni malvagi, sulla notte, la luna, i fantasmi, i morti, ed era invocata da chi praticava la magia nera e la necromanzia. E ancora l’egizio Anubi, dio della mummificazione e dei cimiteri, protettore delle necropoli e del mondo dei morti, rappresentato come un uomo dalla testa di sciacallo (teriocefalia), o in teriomorficamente dallo sciacallo.

Bellissima notizia di naturalizzazione, lo sciacallo della specie Canius aureus, sciacallo dorato, è in diffusione in Italia da alcuni anni a partire dai Balcani.

Il mitico racconto del mostruoso delitto di Licaone lo ritroviamo anche in ambiente cristiano, fuso con il mito egizio del riassemblamento del corpo Osiride, in questo ben successivo racconto agiografico cristiano riportato da Luigi del Prete in un suo post facebook con immagine di un quadro che così commenta: «l’opera, conservata presso il Museo Diocesano di Nardò, raffigura un miracolo. Un tizio aveva una moglie “lunatica”. La quale aveva fatto a pezzi e cucinato il loro figlio. Il Santo in questione invitato a cena compie il miracolo di riassemblare il piccolo e guarire la moglie dalla sua infermità mentale». Lo studioso salentino Stefano Cortese, che ringrazio, ci informa che il santo è San Vincenzo Ferreri (Valencia, 1350 – Vannes, 1419), un religioso e predicatore apocalittico nativo del regno di Valencia, appartenente all’ordine dei Domenicani.

 

     Oreste Caroppo

 

 

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