OTRANTO: è una VERGINE fanciulla che accarezza l’UNICORNO, non il monaco Pantaleone! Studi sul mosaico medioevale del XII sec. d.C.

SICURI NON SIA UNA VERGINE?

Hanno detto sin ora che è il monaco Pantaleone

 

La Vergine dell’Unicorno nel mosaico medioevale del XII sec. d.C. di Otranto a destra, confrontata con a sinistra l’opera del 1604 del pittore Domenico Zampieri, detto il Domenichino, intitolata la “Vergine con unicorno” oggi a Roma, opera ispirata all’iconografia consueta della vergine dell’unicorno secondo il racconto nei bestiari medioevali.

 

OTRANTO: una VERGINE fanciulla accarezza l’UNICORNO, non il monaco Pantaleone!

Studi sul mosaico medioevale del XII sec. d.C.

di

Oreste Caroppo

 
Si è affermata l’idea che a Otranto nel mosaico pavimentale medioevale nel tondo dedicato all’unicorno sia raffigurato un monaco con tonsura e saio … ma siamo sicuri?
Qualcuno si è spinto oltre e vi ha voluto vedere persino lo stesso presbitero autore del mosaico, Pantaleone, in un autoritratto.
Mosaico pavimentale medioevale di Otranto, XII sec. d.C. tondo nella zona del presbiterio, unicorno e … ? Il monaco Pantaleone o la vergine? Io dico la vergine!
E se fosse invece solo pareidolia da cattiva cura artistica, da stile troppo naïf dell’opera?
 
Ovunque accanto all’unicorno nell’iconografia medioevale, e non solo, compare una vergine. Facciamo delle valutazioni di iconografia comparata.
“Vergine con unicorno”, 1604, affresco di Domenico Zampieri detto il Domenichino, Roma, Palazzo Farnese, Galleria dei Carracci.

 

 
Infatti sia nel testo dei primi secoli d.C. intitolato “Fisiologo” in greco che in quello in latino si scrive che l’unicorno è invincibile e la sola innocenza lo vince: infatti solo una vergine immacolata può ammansirlo, e solo in quello stato può essere ucciso dal cacciatore.
 
Confrontiamo allora il tondo musivo otrantino del XII sec. d.C. con tanti esempi tratti da miniature medioevali e dipinti moderni fondati sulla consueta iconografia. Spesso la vergine ha fasce sui capelli o veli sul capo, è vestita, altre volte è nuda. Si tratta di un tema artistico, quello della vergine dell’unicorno, che annovera innumerevoli opere in Europa dal medioevo all’epoca moderna.
Miniatura con il tema la vergine dell’unicorno.
Miniatura con rappresentazione della vergine dell’unicorno. Immagine al link.

 

Miniatura, caccia all’unicorno usando la vergine come esca per attrarlo e ammansirlo. L’unicorno secondo il racconto dei bestiari è attratto dalla vergine.

 

Dal Physiologus (Berna, ms Bongarsianus 318, c. 16v – sec. IX) l’Unicorno e la Dama vestita con abito romano. Immagine al link.

 

Miniature a tema la vergine con l’unicorno. Immagine al link. Nell’iconografia le dimensioni dell’unicorno spaziano da quelle di una capretta a quelle di un cavallo.

 

Particolare da “La Dame à la licorne“, arazzo fiammingo del XV secolo. Hôtel de Cluny. Rappresentazione del tema la vergine dell’unicorno nel periodo rinascimentale in Europa. Liocorno è uno dei diversi sinonimi dell’unicorno.

 

Per le immagini di tante altre miniatura a tema l’unicorno guarda questo articolo al link. Capiamo anche dall’iconografia ispirata ai testi dei bestiari che solo una vergine lo può accarezzare l’unicorno secondo una tradizione antica diffusa nel medioevo.
A Otranto abbiamo anche la carezza dell’unicorno da parte del soggetto nel tondo, che lancio l’ipotesi possa essere proprio una donna anche qui con la massima applicazione del principio del rasoio di Occam.
E’ allora un saio quello che vediamo a Otranto nel soggetto accanto all’unicorno?
O non è forse un abito da donna?
E’ una tonsura sul capo o un cappellino o una fascia sui capelli pur lunghi che pare scendono sul collo?
Nel medioevo “le dame di rango o le ricche matrone difficilmente si mostravano in pubblico a capo scoperto, quindi erano necessari copricapo adatti. C’erano ad esempio quelli “a cuscino” o i cappelli “a cono” resi ancor più imponenti da veli o nastri svolazzanti.” (tratto dall’articolo dal titolo “Moda Medievale” al link).
The Church as the Path to Salvation (detail) 1366-67 fresco Cappellone degli Spagnoli, Santa Maria Novella, Florence. Immagine dal link.
I capelli alla qui ipotizzata signorina con l’unicorno di Otranto scendono fino alle spalle, non mi pare proprio un taglio da tonsura ecclesiastica?
Una tonsura romana (particolare dall’opera di Beato Angelico intitolata “Cristo deriso”, 1440-41 circa).
Nell’iconografia del tema la vergine dell’unicorno vediamo la donna con copricapi, decori circolari sui capelli, cappellini, veli in testa, cuffie, retine, diademi, coronicine, ecc. Non è una costante ma non mancano nella storia dell’arte europea tantissimi casi del genere con il capo non scoperto nell’iconografia della vergine nel tema in oggetto.
E ora mi accorgo anche di eleganti caviglie sottili nella figura umana effigiata a Otranto di fronte all’unicorno!
E il suo vestito nasconde un seno vistoso, o trattasi solo delle pieghe del presunto saio?
L’intento trasmettere dunque verginità e castità dato il bel vestito coprente, e anche il capellino/cuffia in testa?
E gli occhi son dolci muliebri?
Vi vedrei anche lineamenti dolci e occhi grandi e profondi, sensuali.
Forse è in apprensione per l’imminente uccisione dell’unicorno a cui lei ha fatto da esca come da tradizione leggendaria?
Non ha barba ma gote rosse; è giovane.
Il colore del copricapo non è lo stesso della pelle del viso.
Mosaico pavimentale medioevale di Otranto, XII sec. d.C. tondo nella zona del presbiterio, l’unicorno e la vergine, particolare sulla vergine. E dunque, potendo in migliori foto guardare i dettagli, è Pantaleone o una profumante verginella che a Otranto accarezza un’ammansito possente unicorno?
Passando a questa foto sopra dalla resa cromatica migliore possiamo notare come ciò che veniva presentato come tonsura in realtà mostra lo stesso colorito del vestito interno e non quello della carnagione del viso o delle mani, motivo per cui dobbiamo ancora di più pensare che si tratti proprio di un copricapo. Nel viso non si vedono barba o baffi e ha le guance rosse.
I capelli come possiamo notare poi per la figura umana in oggetto nel tondo dell’unicorno, anche se son adesi alla testa, scendono fino al collo almeno.
Inoltre gli abiti appaiono piuttosto eleganti decorati, decorate anche le calzature, (che paiono dei raffinati stivaletti con anche parrebbe accenno di tacco per piedi piccoli), direi più da donna che da monaco tutta questa cure estetica.
Ingrandimento sul viso della figura umana nel tondo dell’unicorno – mosaico del XII sec. d.C. di Otranto. Non ha barba, corpo esile, vesti assai decorati con finimenti decorativi. Stivaletti anche decorati, forse con tacchetto(?). Ha poi capelli assai lunghi, scendono fino al collo, e forse oltre. Direi che è imbellettata. Dagli occhi grandi! Comunque immaginando per ipotesi che sia una chierica quella sul capo sarebbe una chierica da capoccione. Per questo immagino che sia un cappellino. Poi di solito le chieriche hanno il colore della pelle, quando invece c’è della ricrescita hanno il colore degli altri capelli, qui invece la calotta sferica ha lo stesso colore del vestito, né il colore della pelle né il colore dei capelli. E’ assai giovane la signorina, se fosse un presbitero giovane sarebbe cosa esteticamente dissonante con il suo titolo di presbitero che viene dal greco πρεσβύτερoς, presbýteros, e vuol dire “più anziano”; dalla stessa parola greca, attraverso il latino presbyter, deriva anche il termine italiano prete; ma certo poteva anche non averla la barba il presbitero mosaicista Pantaleone, certo. E poi vedo troppi decori nei finimenti per un presbitero. Al collo sembrerebbe una collana di varie file di colori.

 

Ingrandimento sul petto, possibile seno prominente indicato da freccia rossa, della figura umana nel tondo dell’unicorno – mosaico del XII sec. d.C. di Otranto.
A tal fine facciamo un confronto con le calzature di un monaco cristiano. Tenendo conto che una comune doxa formulata dagli storici locali vorrebbe esser stato il presbitero Pantaleone un monaco basiliano legato al vicino Monastero di San Nicola di Casole Da questo sito internet sul monachesimo greco ortodosso blog.libero.it/uncuoremonastico prendiamo questa immagine e la sua didascalia dall’articolo intitolato “La teologia dell’abito monastico nella spiritualità greco-bizantina”:
Calzature dei monaci nel monachesimo greco ortodosso. Sandali. “I sandali per propagare la lieta novella della pace (Ef 6,15 “Avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace”.) perché siamo pronti e ci sforziamo nell’adempimento di ogni obbedienza e di ogni opera buona. I primi monaci erano ordinariamente scalzi, tuttavia i sandali erano concessi per viaggiare a piedi. Non erano mai calzati all’interno del monastero né in Chiesa. Attualmente i monaci greci portano sandali o calzari senza tacco.” (Tratto dal sito internet blog.libero.it/uncuoremonastico).
Il fatto che l’abito della persona nel tondo dell’unicorno paia stretto in vita è spiegabile anche tenendo conto che la persona è seduta. Non va interpretato come effetto proprio di una corda stringi saio monacale ritengo, come invece si è voluto vedere ad oggi lì, a partire dalla pareidolia del cappellino come tonsura. Non si vede evidenziata nel mosaico alcuna corda sulla figura in esame. Inoltre il fatto di farla apparire stretta in vita conferisce alla figura una certa graziosità femminile.
Al collo porta per caso una collana e bracciali al polso, o comunque si notano dei finimenti decorativi a livello del collo e delle maniche come nel medesimo mosaico per la Regina di Saba?
Clipeo con la Regina di Saba, zona presbiterio, mosaico pavimentale del XII sec. d.C., Cattedrale di Otranto. In due medaglioni si fronteggiano la Regina di Saba e Re Salomone, citati nei testi biblici, coranici e nell’etiope Kebra Nagast. Bibbia e Corano non attribuiscono alcun nome proprio alla Regina di Saba, chiamandola talvolta Regina del Sud, come fa il mosaico otrantino che la indica con epigrafe come Regina Austri, il vento che spira da Sud; nel mosaico la regina di Saba adorna di ricchi e vistosi gioielli e belle vesti è scalza e stringe tra le mani una sua scarpa, e il piede scalzo appare come equino. Re Salomone la ascolta assiso sullo scranno regale e adorno dei segni del comando: scettro, corona e ricche vesti. E’ stanca per il lungo viaggio e si toglie una scarpa (come ipotizza Franco Meraglia) o ci si è ispirati lì sul mosaico ad antiche leggende islamiche (extra-bibliche) che narrano che la regina era bellissima, ma aveva gambe e piedi deformi, nascosti sotto le ricche vesti? Re Salomone ricorre ad uno stratagemma per costringere la regina a scoprire le gambe e rivelare la sua imperfezione: riveste il pavimento della sua regia di lastre di cristallo, paiono acqua, e la bellissima regina distratta dal preservare le proprie belle vesti, le solleva rivelando, a seconda delle fonti, gambe pelose o zampe d’oca. Interpretazione questa del piede raffigurato come deforme per la Regina di Saba a Otranto tratta dall’articolo “PANTALEONE E LA REGINA SCALZA” in raccontidalsalento.wordpress.com.

 

Nel tondo nella zona del presbiterio con la Regina di Saba si notino i finimenti decorativi o gioielli a livello del suo collo (girocollo) e delle maniche del suo vestito.
Ci sarebbe poi anche un’altra donna con vestito (palla?) che le lascia scoperta una spalla, come per il soprabito della figura umana nel tondo dell’unicorno, è la donna nella coppia di suonatori di lunghe trombe, coppia formata da lei insieme ad un giovane nudo all’inizio della navata centrale della Cattedrale sul pavimento musivo.
Coppia uomo e donna dei suonatori di chiarine, inizio navata centrale, pavimento musivo del XII sec. d.C. Cattedrale di Otranto.
I due suonatori son rivolti l’uno verso l’altro dando un senso di inizio e armonia di coppia, e son associati a due cavalli rispettivamente, cavalli dalle code intrecciate tra loro a mo’ dei serpenti doppio spiraleggianti del classico caduceo di Hermes simbolo di concordia e pace e non a caso simbolo degli ambasciatori, (per altri esempi di rappresentazioni di serpenti intrecciati e del caduceo in Salento clicca qui e vedi questo mio post facebook e i miei commenti ad esso).
Proponiamo un ulteriore confronto tra una miniatura di monaco con tonsura nella quale possiamo osservare come la calotta della testa messa in vista dalla tonsura sia dello stesso colore della pelle delle parti in vista come viso e mani e
Miniatura, in particolare lettera miniata in un manoscritto, monaco medico, analisi delle urine di un paziente. Immagine dal link.
 la vergine dell’unicorno di Otranto nella quale
Mosaico pavimentale medioevale di Otranto, XII sec. d.C. tondo nella zona del presbiterio, particolare sulla vergine che accarezza l’unicorno.

 

si noti come le tessere che definiscono la calotta sferica sulla testa hanno lo stesso colore del vestito interno e non della pelle del viso, del collo o delle mani che appaiono scoperti.
Indossa dunque un copricapo. Inoltre osserviamo nel confronto come solitamente il saio dei monaci mostra il rigonfiamento dietro la testa dovuto al cappuccio, elemento che non è dato riscontrare nell’immagine musiva della vergine dell’unicorno in Otranto che più di un saio sembra indossare come soprabito un mantello-palla. Per approfondire sulla copertura del capo delle donne nel medioevo alcuni link ad articoli: “A capo coperto-Storie di donne, di veli, di potere e seduzione“, “La donna nel medioevo“, “Il velo femminile: ascesa e caduta di un accessorio ambiguo“.
E’ evidente che la resa naïf del mosaico ha favorito l’equivoco, ma l’osservazione sul colore del copricapo allontana ogni dubbio, e fa scoprire una certa graziosità nella resa della fragile figura muliebre della vergine rispettosamente raffigurata con il capo coperto in quel tempio sacro nel sacro presbiterio della Cattedrale. Vedi anche questo articolo “La bellezza nel medioevo“.
Qui vediamo un ultimo esempio di rappresentazione musiva di un monaco con tonsura dove come corretto che sia il colore della pelle del capo messa in vista dalla rasatura della tonsura non è diverso da quello della pelle di viso e mani:
Dal mosaico pavimentale figurato della Cattedrale di Reggio Emilia conservato presso i Musei Civici della città. Dimensioni 185 x 118 cm. Il frammento qui mostrato lo si data al secondo quarto del XII secolo. Il protagonista della scena è un monaco, la cui identità è resa riconoscibile sia dalla nera tunica con corda annodata in vita che dalla presenza della tonsura. Il monaco sta consegnando o ricevendo dalle mani di un giovane, la cui corta tunica bianca fa supporre si tratti di un novizio, un contenitore per i liquidi. La presenza di una crosta rossa di forma circolare sulla guancia del monaco (e non su quella del novizio) fa supporre che una delle sue attività preferite sia bere il vino, come d’altronde mostra anche il suo ventre rigonfio. La presenza di un testo accanto alla figura del monaco poi in cui compare il termine “bibulum” (bevitore) sembra confermare proprio l’amore del frate per il buon bere.
Qui l’immagine del tondo del mese di maggio dal mosaico di Otranto con comparsa di una donna allegoria di Tellus la Terra secondo un modello pagano. Notiamo il suo vestito decorato e che sembra ricordare nel colore quello indossato sotto il suo mantello-palla dalla individuata vergine nel tondo dell’unicorno nel presbiterio:
Ruota del mese di maggio, mosaico pavimentale medioevale della Cattedrale di Otranto.
Qui di seguito foto di mosaici parietali che metto per confronto da Ravenna, sono precedenti, del VI secolo d.C., ma il raffronto iconografico sarà importante a sostegno della possibilità che a Otranto il chierico Pantaleone abbia voluto raffigurare una vergine secondo la consueta iconografica medioevale della vergine accarezzante l’unicorno.
Corteo di donne accanto alla imperatrice Teodora (qui fuori campo) a Ravenna nella Basilica di San Vitale, mosaici del VI secolo d.C. Si notino i cappellini/cuffie e i collari e finimenti delle vesti e sopra-abiti (palle?).

 

Sempre a Ravenna nella stessa Basilica vi è il corteo delle Vergini (ispirato ad una parabola del Nuovo Testamento), diademi sul capo e abiti per dei confronti: 

 

Sempre da Ravenna nella stessa basilica corteo dei Martiri con chieriche (forse con ricrescita dello stesso colore dei restanti capelli):
Ravenna nella Basilica di San Vitale, nei mosaici del VI secolo d.C. corteo dei Martiri con chieriche (forse con ricrescita dello stesso colore dei restanti capelli). Le foglie di Palma da dattero sono simboli del martirio. Immagine dal web.
Di solito le chieriche hanno il colore della pelle, quando invece c’è della ricrescita hanno il colore degli altri capelli, nella figura analizzata a Otranto invece la calotta sferica ha lo stesso colore del vestito, né il colore della pelle né il colore dei capelli. E perché colorarla come il vestito e non come la pelle del viso? Che sia dunque un cappellino?
Considerando anche il contesto di ubicazione del tondo dell’unicorno ciò il mosaico sul pavimento del presbiterio decorato a tondi notiamo come in essi oltre a raffigurazioni del Vecchio Testamento come la tentazione del serpente sull’albero ai progenitori biblici Adamo ed Eva e l’incontro della coppia regale del saggio Re Salomone e della Regina di Saba, vi è una dominanza di figure direttamente tratte dai bestiari medievali:
Cattedrale medioevale Otranto, presbiterio, pavimento con mosaico del XII sec. d.C.

Vi vediamo tra i tondi forse il basilisco, la scena del gatto che preda il topo, il serpente conteso tra la cicogna e il riccio, pesci e polpi, un asino che suona l’arpa, una volpe che fa rumore sbattendo dei piattelli, ecc., nella cornice superiore un granchio, ecc.,  nei tondi un cammello o dromedario, il serpente cornuto (forse l’antico serpente-drago chersydros che si racconta popolasse anche il Salento), l’antilope orice (con la misteriosa epigrafe “GRIS” della quale propongo qui una interpretazione in questo mio post facebook o anche in questo mio articolo), si ritiene sia un orso l’animale nel tondo in basso a destra. Ecc.

Per approfondire su alcuni animali e piante ritratti si rimanda anche al mio articolo dal titolo “Il “Bestiario” del mosaico medioevale di Otranto: approfondimenti su alcune creature raffigurate (mostri, animali, piante, ecc.)“; vi vedremo come il frutto proibito che mangiano Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre raffigurato ad Otranto è un fico e non una mela.

 

Per mostrare quanto grande sia stata l’ispirazione da parte delle miniatura dei bestiari medioevali per tante figure e composizioni del mosaico riporto qui di seguito un’immagini assai simile a quella del grifone che preda un ariete, viene da un bestiario manoscritto proveniente dall’Inghilterra e datato al terzo quarto del XIII secolo d.C., “Grifone animale portentoso”, oggi si trova nella biblioteca nazionale di Francia, (Bibliothèque Nationale de France, lat. 3630, Folio 77r. “Il grifone, un potente cacciatore, ha catturato una pecora”. Con legenda “Grifone”):

Bibliothèque Nationale de France, lat. 3630, Folio 77r, il grifone, un potente cacciatore, ha catturato una pecora. Miniatura di manoscritto con legenda: Grifone.
I bestiari erano testi compendio di bestie reali e fantastiche, erano originari del mondo antico, e furono resi popolari nel Medioevo tramite volumi illustrati che descrivevano oltre ad esseri animati persino rocce. La storia naturale e l’illustrazione di ogni bestia erano solitamente accompagnate da una lezione morale. Ciò rifletteva la convinzione che il mondo stesso fosse la Parola di Dio e che ogni cosa vivente avesse il suo significato speciale.
Bibliothèque Nationale de France, lat. 3630, Folio 77r, un bestiario manoscritto proveniente dall’Inghilterra e datato al terzo quarto del XIII sec. d.C. La pagina da cui è tratta la miniatura del grifone che preda l’ariete mostrata prima.
Ergo non può essere una casualità, o una invenzione motu proprio con finalità allegoriche autoritrattistiche di un mosaicista monaco come ad oggi vorrebbe la versione ufficiale dell’esegesi accettata di quell’immagine, la rappresentazione di un soggetto che accarezza l’unicorno lì, ma viene da una precisa conoscenza dei testi oltre che delle miniature dei bestiari dove immancabile era la suggestiva leggenda della vergini e dell’unicorno. E poiché intento dichiarato nelle epigrafi stesse dell’opera musiva otrantina era quello di commuovere e meravigliare lo spettatore, non stupisce si sia voluto rappresentare anche il paragrafo dei bestiari dedicato alla vergine dell’unicorno, che esalta il valore dai fondamenti socio-psico-biologici della purezza virginale e della castità prematrimoniale dunque della donna.
E quand’anche ci fosse stata una volontà autoritrattistica difficilmente un maschio presbitero poteva scegliere una vergine fanciulla nella medesima iconografica per raffigurarsi. Inoltre la figura ora ad una nuova analisi mostra tanti segni muliebri e non virili.
Rispetto ai coevi mosaici della corte normanna di Palermo o quelli della Basilica di San Marco in Venezia a Otranto troviamo linee naïf, disegni poco precisi, che talvolta sembrerebbero quasi disegnati da bambini, dice qualche osservatore odierno del mosaico del XII sec. d.C. della Cattedrale idruntina. Ipotizzo l’impiego di manovalanze assolutamente non del mestiere, ma con buoni modelli di riferimento da ricopiare quello sicuramente, da capire forniti da chi, certamente grande fu il contributo di Gionata e forse di Pantaleone come direttore dei lavori, quindi dai testi disponibili anche presso la locale Biblioteca del Monastero idruntino fuori porta di San Nicola di Casole.
Per questo sono molto importanti i confronti iconografici che sto qui sviluppando.
Credo pertanto che il motore per la nascita del mosaico fu l’arcivescovo committente e mecenate Gionata, che qui ipotizzo potesse venire dalla zona di Venezia sulla base di alcune mie proposte di interpretazione di epigrafi, iconografie e simboli nel mosaico, portando grandi idee, trovando bozzetti e materiale iconografico di riferimento, collaborando con il forse locale Pantaleone, e dovendo arrangiarsi con manovalanza locale assolutamente inesperta se confrontiamo con quella che era l’arte musiva ad esempio veneziana.
La strana postura della vergine nel tondo dell’unicorno in realtà non è dissimile da tante icone di vergine seduta con l’unicorno. E’ qui più che l’effetto di restauri e danneggiamenti ciò che pare deformato è da addebitarsi alla scarsa capacità delle manovalanze di ricopiare i modelli che erano stati forniti loro dal committente l’arcivescovo Gionata o dal direttore dei lavori il presbitero Pantaleone.
Qualche parte del mosaico invece deve essere stata eseguita da qualche operaio più capace perché la resa artistica è decisamente superiore, altre invece, come scritto, paiono fatte come quasi da bambini, comunque da personale non esperto nell’arte musiva.
L’ipotesi di un’ortodossia nella rappresentazione musiva idruntina della vergine con l’unicorno secondo il tipico racconto dei bestiari medioevali risponderebbe anche all’intento di stupire lo spettatore che si dichiara nella presentazione dell’opera musiva complessiva nelle epigrafi che la accompagnano, un intento poi anche di “biblia pauperum“, immagini da fare vedere per raccontare storie sacre e profane queste ultime giustificabili lì con più o meno forzati intenti teologizzanti moralizzanti in ambito cristiano.
E perché allora non volere raccontare per immagini ad un popolo locale e ai mercanti, crociati e pellegrini che transitavano da lì, masse mediamente a bassa alfabetizzazione e che non potevano fruire delle miniature dei testi riservati a pochi eruditi e trascrittori amanuensi, la meravigliosa leggenda della vergine dell’unicorno, esaltando così il valore ed il potere della purezza, della mancanza di peccato?!
Pur tuttavia nonostante il non virtuosismo nell’esecuzione ed un complessivo stile naïf, si deve rimarcare che l’opera musiva idruntina voluta da Gionata, che mirava alla realizzare di un mosaico più ricco di temi di quello di poco precedente del pavimento della Cattedrale di San Cataldo a Taranto (vedi ad esempio il comune tema dell’ascesa al cielo di Alessandro Magno), raggiunse il suo scopo della meraviglia da suscitare nello spettatore, per lo meno ne abbiamo la prova in ambiente pugliese tanto che lo si volle imitare, pur con varianti caratterizzanti, per i mosaici di poco successivi delle Cattedrali di Brindisi e Trani.
Mi chiedo se una certa predominanza del principio maschile operante in sacerdoti recenti che hanno teorizzato intorno al mosaico idruntino, più presi dall’istinto pastorale verso le anime da avvicinare alla chiesa utilizzando a tal fine anche il meraviglioso monumento musivo nella cattedrale che davvero da una voglia di capire il mosaico, non ha negato del tutto la possibilità che accanto all’unicorno vi fosse lì come ovunque nei bestiari una vergine. E per autorità dei teorizzatori dei secoli recenti, pigrizia e acriticità degli altri, o solo per simile pareidolia collettiva la vergine come da progetto raffigurata divenne un monaco nell’oratoria intorno al mosaico idruntino e così è stata raccontato a Otranto e nel mondo.
Questo comunque è importante per capire quanto l’opera musiva sia dotata di potere mitopoietico, sulla base delle sue immagini come appiglio di partenza possono essere narrate storie che si allontanano assai dagli intenti di committenti ed artisti valicando le mura della suggestiva Otranto e camminando poi per il mondo sui piedi delle persone subendo ulteriori evoluzioni, è quanto ho discusso in questo mio articolo sui possibili contributi del mosaico idruntino nella genesi dei racconti del Graal nel medioevo in seno al ciclo letterario arturiano medioevale.
Ridiamo alla vergine dell’unicorno di Otranto la sua dignità muliebre! Si è stati capaci persino di vilipendiarla per decenni dicendola ovunque un monaco … forse a qualche uomo di chiesa non piaceva l’idea di una presenza femminile così delicata e pura in quel contesto tanto che il suo conscio si rifiutò anche solo di considerare la più ovvia delle possibilità, ovvero che lì come ovunque nei testi e modelli di ispirazione seguiti per il resto del mosaico si sia rappresentata la vergine fanciulla, ogni possibile umana ragazza vergine, secondo l’antico racconto dei bestiari, aveva il medesimo potere verso l’unicorno, e non la sola Madre di Cristo detta vergine per dogma?!
Il mio grido esultante “eureka!” è questa volta: “ho trovato una vergine!”
 
Nota naturalistica o fanta-naturalistica: mentre alcuni autori hanno seguito l’idea che l’unicorno abbia zoccoli come quelli del cavallo, altri, e così nel mosaico idruntino, all’unicorno non associano zoccoli da cavallo. Data una seconda protuberanza più piccola sul muso qui raffigurata sarei quasi portato a dire che l’unicorno ritratto da Pantaleone a Otranto pare fondere in sé cavallo e rinoceronte africano.
Mosaico pavimento navata centrale, XII sec. d.C. La testuggine di terra e il mitico serpente cornuto vicino l’Arca di Noè. Cattedrale di Otranto. Mi chiedevo se mancasse nel mosaico la testuggine di terra, ma mi par di trovarla vicino l’Arca di Noè. Sotto vediamo il serpente cornuto tipico di tante leggende salentine: il chersydros e/o il pasturavacche a cui ho dedicato degli approfondimenti.
L’animale sopra grigio cosa vorrebbe essere invece un rinoceronte?

 

Nota: troviamo effigiato l’unicorno per mezzo del mosaico anche in altre chiese nella Penisola italiana ad esempio in un mosaico del XIII secolo d.C. nella chiesa di San Giovanni Evangelista a Ravenna.

A Piacenza nella Basilica di San Savino ritroviamo proprio il tema della vergine con l’unicorno:

La dama e l’unicorno. Mosaici di Piacenza, Basilica di San Savino, primi del XII sec. d.C.

 

LA VERGINE E L’ UNICORNO quali le origini e i significati del mito?
Il mito dell’Unicorno caratterizza la cultura europea e compare nei bestiari medievali e in diverse antiche raffigurazioni anche nel Salento, ad esempio nel mosaico medievale pavimentale della Cattedrale di Otranto così come nell’affresco seicentesco dell’Eden-Paradiso terrestre sulla volta della Chiesa della Madonna delle Grazie a Maglie. Per ulteriori approfondimenti sull’unicorno in altre rappresentazioni artistiche nel Salento vedi qui in questo mio post facebook: Maglie (Lecce), affresco seicentesco del Paradiso terrestre, scena della cacciata dei progenitori da esso, sulle vele della volta della Chiesa delle Madonna delle Grazie (o della Congregazione detta) nel centro storico del paese.
Ne ricercavo le possibili origini del mito dell’ unicorno nei rinoceronti che in epoca paleolitica-pleistocenica vivevano in Europa, e anche nello stesso Salento, con diverse specie, come la paleontologia e lo studio delle rappresentazioni artistiche dell’Homo sapiens ben attesta, e certamente sterminati dall’uomo con una pressione venatoria sempre maggiore. (Rinoceronte lanoso nome scientifico Coelodonta Antiquitatis e il Rinoceronte della steppa nome scientifico Stephanorhinus hemitoechus presenti nel Pleistocene nel Salento, come anche nel Pleistocene due specie di rinoceronte parenti dell’attuale Rinoceronte di Sumatra su cui dunque puntare per progetti urgenti di reintroduzione del rinoceronte in sud Europa).
All’evoluzione e al mantenimento del mito dell’unicorno possono aver contribuito anche non rarissimi casi teratomorfi di buoi, caprioli, capre, orici e altri animali con un solo corno sebbene appartenenti a specie normalmente caratterizzate da più di un corno, o casi di individui che per incidenti avevano perso uno dei due corni. Non meraviglia quindi scoprire che sebbene nel tempo l’iconografia dell’unicorno si sia semplificata nel verso di quella di un cavallo con un solo corno dritto sulla fronte, questa in origine fosse ben più dissimile da quella del cavallo, ad esempio in origine essa prevedeva zampe non ad un solo dito, come invece semplicisticamente è per il cavallo con il suo unico grande zoccolo.
 
Nell’immaginario medioevale europeo il mitico leggendario unicorno poteva essere ammansito solo da una vergine.
 
Evidentemente questa credenza racchiude un significato archetipo simbolico legato al rapporto sessuale uomo-donna data la valenza simbolica del corno come fallo.
 
Questo valore simbolico certamente ha favorito il mantenimento della leggenda, ma mi chiedo se alla sua origine non vi sia anche una qualche pratica venatoria arcaica o qualche arcaico rito donna-animali. La femminile arcaica Dea Madre, rappresentata dalle sue sacerdotesse, era anche chiamata la Signora delle Belve, tra i suoi tanti attributi di dea della Natura.
 
La donna umana in periodo di fertilità e in certi giorni particolari del suo ciclo mestruale emette certamente sostanze feromoniche volte ad attrarre il maschio umano all’accoppiamento. Vedi ad esempio la capacità da parte delle cagne in estro di attrarre cani maschi per effetto olfattivo anche da lunga distanza, che la raggiungono per accoppiarsi con lei.
È possibile che quei feromoni di donna di Homo sapiens data la non grandissima distanza evolutiva filogenetica possano attrarre anche maschi di altre specie di mammiferi.
 
È possibile dunque che nella caccia a determinati animali che vivevano in epoca paleolitica o ancora in epoca storica in Europa o in aree prossime all’Europa, notata questa attrazione olfattiva si adoperassero come esca per attirare quegli animali e cacciarli o catturarli più facilmente proprio donne umane in determinati periodi del loro ciclo, o forse soltanto loro indumenti impregnati di quelli umori? Questa è una mia ipotesi per la genesi di questo e altri miti simili. Nucleo venatorio di parenza cui poi si aggiungono valori simbolici legati alla verginità della donna e al sesso.
 
Dalle ricerche fatte non mi risultano fonti su simili pratiche venatorie, ma anche per questo posto queste riflessioni semmai qualcuno abbia letto o saputo di pratiche venatorie simili nel mondo ancora oggi e nella storia umana.
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 Oreste Caroppo

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