San MARCO nel mosaico medioevale della Cattedrale di OTRANTO? Omaggio a Venezia? Legami sottesi tra Otranto e quella Repubblica marinara?

SAN MARCO nel mosaico pavimentale medioevale della CATTEDRALE di OTRANTO?

Un omaggio a Venezia? Quali legami sottesi tra Otranto e quella Repubblica marinara?

Dagli studi di

Oreste Caroppo

 

Forse San Marco raffigurato nel mosaico medioevale della Cattedrale di Otranto.
Vi è un’epigrafe sul mosaico pavimentale della navata di destra (destra per chi entra in chiesa) nella parte finale del mosaico, (che lascia poi il posto al pavimento della cappella dei Santi Martiri di Otranto realizzata successivamente), che ha suscitato negli studiosi parecchie perplessità a causa anche di danneggiamenti che ha probabilmente subito nel corso del tempo e nei vari restauri.
Cattedrale di Otranto, immagine tratta dal link.
Come immagine guida del mosaico pavimentale medioevale (realizzato fra il 1163 e il 1165) della Cattedrale di Otranto guardate anche qui per analizzare alcuni elementi delle parti superiori dei mosaici delle due navate laterali di cui qui qui discuteremo:
Quando io approfondì personalmente il mosaico di Otranto vi lessi in quell’epigrafe che sovrasta un uomo seduto vestito e che regge un cartiglio, ubicata a fianco ad Atlante, il nome di “San Marco” e ne riconobbi complessivamente tramite semplici confronti la sua iconografia in quella figura.
Vedi ad esempio questa icona in stile bizantino di San Marco Evangelista dove il personaggio è raffigurato come a Otranto senza barba, vestito, assiso su sgabello di cui si vedono due gambe con cuscino posto su di esso:

 

Un’icona bizantineggiante di San Marco Evangelista. Epigrafe in greco e alfabeto latino “O Agius Marcus” (letteralmente “Il Santo Marco”), con l’articolo determinativo abbreviato alla sola vocale “O“. In alfabeto greco sarebbe: “Το Άγιο Μάρκο”. Tratta dal link. La miniatura viene dal “Lindisfarne Gospels, uno dei più magnifici manoscritti dell’alto medioevo, scritto e decorato alla fine del VII secolo d.C. dal monaco Eadfrith, divenuto vescovo di Lindisfarne nel 698 e morto nel 721. La sua legatura originale in pelle, lunga da allora perduto, fu realizzato da Ethelwald, che successe a Eadfrith come vescovo, e fu decorato con gioielli e metalli preziosi più tardi nell’VIII secolo da Billfrith l’Ancorita. Il testo latino dei Vangeli è tradotto parola per parola in una glossa inglese antico, il primo esempio sopravvissuto del testo evangelico in qualsiasi forma della lingua inglese, fu aggiunto tra le righe a metà del X secolo da Aldred, prevosto di Chester-le-Street. Oggi il manoscritto è nuovamente rilegato in argento e gioielli, in copertine realizzate nel 1852 a spese di Edward Maltby, vescovo di Durham. Il design si basa su motivi tratti dalla decorazione del manoscritto stesso” (testo tratto dal link).
Tante similitudini, anche con sgabelli simili di cui si vedono due gambe e cuscino e i medesimi suoni con le lettere. A me sembra quasi che Pantaleone e/o i suoi aiutanti avessero una icona su qualche testo o cartone molto simile a questa sopra (e alle due immagini che seguono) nella realizzazione di quella parte del mosaico.
In merito alle ipotesi sull’epigrafe da cui tutto qui è partito, qui proposta come da scindere in due parole, per la seconda di esse riporto questo approfondimento sui termini AGIUS o AGIOS o SANCTUS tra latino-greco greco e latino e per l’aggettivo ”santo”, da questo testo al link intitolato “Inni sagri de’ breviarj romano e carmelitano ordinati, tradotti, e comendati in lingua volgare dal padre lettore Michelignazio Laporta“, stampato a Napoli nel 1737.
Altra icona bizantina di San Marco, sempre assiso su uno sgabello di cui si vedono due gambe su cui è steso un cuscino e su questo un secondo cuscino, e il personaggio indossa una tunica così come il qui ipotizzato San Marco nel mosaico di Otranto:
Un’icona in stile bizantino di San Marco Evangelista. Tratta dal link.
Il motivo iconografico della seduta su sgabello posto frontale di cui si vedono due gambe con cuscino connota anche la rappresentazione di San Marco nella scena della pentecoste sulla cupola all’interno della Basilica di San Marco in Venezia:
San Marco, mosaico nella Cupola della Pentecoste nella Basilica di San Marco in Venezia. Immagine tratta dal link.

 

Nota: simili troni li troviamo nel mosaico otrantino oltre che per il presunto San Marco anche per il Re Alessandro Magno, così come lì troviamo secondo l’iconografia bizantina del cosiddetto “seno di Abramo” per i patriarchi vetero-testamentali raffigurati nella navata di sinistra, Abramo, Isacco e Giacobbe, ben indicati da epigrafi esplicite dei loro nomi; la figura di Giacobbe è compromessa ma gli altri due patriarchi appaiono frontalmente e son assisi su troni simili a quello dell’Evangelista Marco qui presunto tale.

 

Disegno ispirato ad una icona bizantina sul tema il ”seno di Abramo”.

 

E’ presentata assisa su un simile trono anche la figura (che indossa un abito dal tessuto adorno) che compare nel clipeo che rappresenta il mese di maggio, mese scelto nel mosaico per raffigurare l’esplosione naturale di vita della primavera, (mentre altrove nei medesimi cicli dei mesi medioevale confrontabili ciò è solitamente rappresentato nel mese di aprile); questa figura siede in trono e si regge ai rami della vegetazione attorno,

 

Clipeo del mese di maggio, mosaico pavimentale medioevale della Cattedrale di Otranto. Forse calza ciabatte aperte.

 

per approfondire sulle suggestioni classiche greco-romane che ispirano questa figura ed anche alcune altre che troviamo ad Otranto nel ciclo dei mesi rimando a questo mio articolo: “Suggestioni greco-romane nei tondi del ciclo dei mesi del mosaico medioevale della Cattedrale di Otranto“.

Alessandro, Abramo, Isacco e la figura umana femminile allegoria per il mese di maggio appaiono poi nel mosaico tutti in posizione frontale. Tutto questo qualifica ancor di più nel confronto quello sgabello del presunto San Marco in Otranto proprio come il trono che troviamo nell’iconografia bizantina degli Evangelisti. Osserviamo come al presunto San Marco Evangelista del Nuovo Testamento in trono nella parte alta della navata destra corrispondono specularmente quasi (anche se sono un po’ più in basso) i Patriarchi del Vecchio Testamento, Abramo, Isacco, Giacobbe, anche loro assisi in trono nella scena del Paradiso-seno di Abramo.

C’è chi vi ha visto nello sgabello-trono del riconosciuto San Marco nel mosaico un altare sacrificale …  non direi, data anche la presenza del cuscino esattamente come sui simili sgabelli in inequivocabili icone tradizionali di San Marco.
Non è mia intenzione imporre una interpretazione, ma ho soltanto il piacere di evidenziare questi parallelismi iconografici che ho notato con le icone di San Marco. È però tale confronto iconografico che mi rende difficile abbandonare “l’ipotesi San Marco” che tale confronto naturalmente mi rafforza, ma assolutamente non per partito preso.
Nell’epigrafe otrantina della sin ad oggi misteriosa figura, misteriosa nel filone di studi che ruotano intorno al mosaico idruntino (“idruntino” è sinonimo di “otrantino”), mi sembra di poter leggere:
“MARCU AGIUS”
“agios” in greco significa santo,
per cui scritto in alfabeto latino un termine greco, il tutto non insolito in una terra bilingue quale è il Salento dove si parlava e si parla tanto il dialetto romanzo quanto il dialetto grecanico (il Griko).
Traduzione di ”San Marco” in greco.
Nella parte sommitale del mosaico della navata di sinistra vediamo accanto alla rappresentazione di un cervo l’epigrafe “CERVUS”, più precisamente “CERVVS”, da ciò deduciamo come il segno alfabetico “V” nel mosaico può indicare tanto la consonante v quando la vocale u.
“CERVUS” nella parte sommitale del mosaico pavimentale del XII sec. d.C. nella navata sinistra della Cattedrale di Otranto.
“AGIUS MARCUS”
Se si confermasse questa presenza lì di San Marco nel mosaico otrantino, esso sarebbe uno dei pochi elementi del Nuovo Testamento all’interno della grande opera musiva pavimentale della Cattedrale salentina. Di certo l’unico esplicitato da epigrafe.
Altro elemento del Nuovo Testamento nel mosaico, che pertanto non farebbe apparire anomalo del tutto un San Marco lì, è San Disma, il Buon-ladrone che entra nel Paradiso celeste inaugurato da Cristo prima di tutti gli altri uomini, ben identificato, credo data anche l’iconografia della croce a tau (o quasi a tau) a lui associata, nella navata centrale, dove viene rappresentato immediatamente sotto la scena della cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, con rappresentazione di una porta (la porta del Paradiso) e lui nello spazio corrispondente a quello dal quale Adamo ed Eva sono stati invece cacciati.
L’identificazione lì di San Disma è ben nota nella esegesi del mosaico. Io l’ho letta per la prima volta, se ben ricordo, nel testo intitolato “L’Enigma di Otranto” pubblicato nel 1980.
Samuele e forse San Marco raffigurati nel mosaico medioevale della Cattedrale di Otranto. Dal mosaico pavimentale nella parte finale sommitale prossima agli altari della navata destra (per chi accede al tempio sacro).
Sotto l’ipotizzato San Marco anche Samuele che è profeta del Vecchio Testamentale mostra un cartiglio che nel suo caso è un riferimento probabilmente ai “Libri di Samuele” del Vecchio Testamento a lui attribuiti, come invece un cartiglio per un evangelista è simbolo del suo Vangelo.
Mostro poi qui per confronti questa icona del profeta Samuele anche lui rappresentato con una sorta di cartiglio in ricordo dei “Libri di Samuele” del Vecchio Testamento attribuiti a lui:
Icona del profeta Samuele del XVII sec. Tempera su tavola. Nella collezione del museo d’arte regionale di Donetsk. Dal link.
C’è chi aveva interpretato come un corno contenente l’olio dell’unzione quanto regge in mano Samuele nel mosaico di Otranto, ma sia dal confronto con quanto regge in una mano l’ipotizzato San Marco, sia per la sua forma in sé dell’oggetto, sia per l’iconografia cristiana di Samuele con cartiglio l’ipotesi del corno appare assai peregrina.
Il profeta Samuele anche proprio nei mosaici nella Basilica di San Marco a Venezia, dove è raffigurato insieme ad altri profeti del Vecchio Testamento: nei pennacchi del cupolino si trovano quattro clipei con all’interno i profeti Samuele, Natan, Abacuc e il sommo sacerdote Levi. Ogni personaggio è presentato a mezzo busto con capo nimbato e con in mano un rotolo dove è scritto un passo della propria profezia o parti di salmi. Immagine dal link.
Nelle due immagini mostrate sopra nella rappresentazione di San Samuele il Santo ha l’aureola, e idem sempre nella icone mostrate ha l’aureola intorno al capo San Marco. Nessun personaggio ha l’aureola invece nel mosaico idruntino, né Samuele, neppure Abramo, Isacco e Giacobbe in Paradiso, né San Disma, né il profeta Giona, ecc. Nessuno pur se figure elevate a santità dal Cristianesimo e appartenenti al Vecchio Testamento o al Nuovo Testamento. Non deve allora meravigliare se un eventuale San Marco sul mosaico appare senza aureola.
La mancanza dell’aureola ci introduce all’approfondimento dello stile naïf che connota sovente le raffigurazioni nel mosaico di Otranto e che sono causa spesso della non poca difficoltà ermeneutica che ha accompagnato questo grande mosaico nel corso della sua pluridecennale esegesi. Così veniamo qui all’approfondimento del discorso calzature della presunta figura di San Marco. Nell’iconografia gli Evangelisti appaiono o con sandali o scalzi, così come del resto ben sì può osservare nei numerosi esempi qui riportati. E’ questa la scarpa cui allude l’apostolo Paolo scrivendo agli Efesini, “come calzature ai vostri piedi lo zelo dato dal vangelo della pace”. Il sandalo era la calzatura più comune ai tempi biblici. Consisteva in un pezzo di legno o cuoio legato al piede con strisce.
Sandali di San Marco in un’icona in stile bizantino di San Marco Evangelista. Per l’icona intera vedi a questo link.

 

Piedi scalzi di San Marco in una sua miniatura nel “Lindisfarne Gospels“. Immagine completa al link.
Forse San Marco raffigurato nel mosaico medioevale della Cattedrale di Otranto.
Nella figura del presunto San Marco di Otranto a livello dei piedi vediamo una rappresentazione con silhouette compatibile con piedi scalzi tanto che compare la linea anatomica a livello del plantare con la curva della dita e dell’arco del piede, ma il loro colore è più scuro rispetto a quello di mani e viso come dunque se vi fosse una calzatura leggera. Nelle figure umane che troviamo nel mosaico quando le persone sono del tutto scalze il colore del piede è lo stesso delle altre porzioni di pelle a vista, talvolta come qui si nota la curva delle dita e arco plantare, talvolta son disallineate le dita, aspetto che ne risalta l’effetto scalzo ma conferisce scarsa eleganza al complesso figurativo. Quando compaiono calzature il colore è più scuro delle porzioni di pelle a vista, talvolta si notano come dei tacchi, e la suola è solitamente più uniforme non mostrando la linea anatomica delle dita. Per cui cosa si è voluto rappresentare nel caso del presunto San Marco? Forse con tale compromesso una calzatura leggera stile semplice sandalo che compariva nella icona di riferimento assunta a modello di ispirazione?
O nell’ipotesi che si volesse rappresentare San Marco per quelle calzature che paiono avvolgenti interamente il piede, sebbene leggere e non sandali siamo di fronte ad un altro caso di non curanza dei canoni iconografici, così come ad esempio non curanza iconografica è rappresentata dal non aver raffigurato mai nel mosaico le areole in testa a santi e profeti?
Questa immagine presa in rete con un mosaico di San Marco serve per ipotizzare che gli strani segni che si vedono sul vestito del presunto San Marco a Otranto possono essere legati ad un tentativo eccessivamente naïf di rendere gli effetti del panneggio del vestito dell’Evangelista in trono:
San Marco Evangelista in un mosaico parietale, immagine dal Web (provenienza inizialmente non trovata, ma ci ha fornito in commento interessanti spiegazioni in merito Paolo Matacchioni, vedi didascalia a fianco).
Didascalia immagine (da un ottimo commento di Paolo Matacchioni che ringraziamo):
Si tratta della figura di San Marco Evangelista rappresentata nell’abside della Basilica di San Marco (dietro all’altare maggiore), lì il mosaico raffigura nell’ordine San Nicola (per inciso altro collegamento fra la Puglia e Venezia, qui rappresentato come patrono dei naviganti e quindi figura importante per i veneziani), San Pietro nell’atto di consegnare il Vangelo a San Marco, San Marco (l’immagine in questione) e Sant’Ermagora (patrono di Aquileia) nell’atto di ricevere a sua volta il Vangelo da Marco.
Con questa rappresentazione la Serenissima vuole sottolineare il primato di Venezia su Aquileia, sede storica del patriarcato, che Venezia vuole soppiantare in tutti i campi: politico, economico, culturale, ecclesiale. Marco (cioè Venezia) riceve il Vangelo da Pietro e lo porge a Ermagora (Aquileia) che quindi risulta dipendente da Venezia, senza poter accampare diritti di sorta su quest’ultima (vedi concilio di Mantova dell’anno 827 in cui Aquileia vuole vedere riconosciuta la sua supremazia su Venezia. Non è un caso che le spoglie di San Marco arrivino a Venezia l’anno successivo….).
Quindi in quella parte “alta” del mosaico idruntino della navata laterale è come se si rappresentasse un avvicendamento cronologico in senso ascendente tra Vecchio Testamento e Nuovo Testamento, ma anche se così fosse sarebbe interessante capire perché la scelta di Samuele per il Vecchio Testamento e San Marco per il Nuovo, scelta casuale o con delle motivazioni teologiche precise?
E se non teologiche di che tipo?
San Marco redige il suo Vangelo ispirato dalla Sofia, miniatura bizantina nel ”Codex Purpureus Rossanensis” datato 550 d.C. circa. Il Codex Purpureus Rossanensis è un manoscritto onciale greco del VI secolo, conservato a Rossano (in provincia di Cosenza, nella regione Calabria) e contenente un evangeliario con testi di Matteo e Marco. Deve l’aggettivo “Purpureus” al fatto che le sue pagine sono rossastre (in latino purpureus) e contiene una serie di miniature che ne fanno uno dei più antichi manoscritti miniati del Nuovo Testamento conservatisi. La miniatura ritrae San Marco (indicato in alto da epigrafe del solo nome scritto in greco) seduto su una poltrona che pare di vimini intrecciati (le sedie “vimina” dei romani), concentrato nell’atto dello scrivere su un lungo rotolo di pergamena il titolo del suo Vangelo. Belli i decori superiori del baldacchino con piramidoni e palmetta a ventaglio. Ciò mostra come nell’iconografia bizantina degli Evangelisti il Vangelo che come simbolo li connota può essere sia rappresentato da un libro sia da un rotolo (come sarebbe nell’ipotesi qui perseguita in merito al San Marco nel mosaico di  Otranto). La vista anche di miniature di quel genere poteva essere frequente nel XII sec. d.C. nei manoscritti della otrantina biblioteca presso il Monastero di San Nicola di Casole. Immagine tratta dal link. Il mosaico di Otranto ci consegna forse anche un piccolo riflesso della notevole biblioteca dell’otrantino Monastero di San Nicola di Casole (che fu distrutto dai Turchi alcuni secoli dopo nel 1480, per fortuna diversi volumi erano stati recuperati anni prima da lì e così messi in salvo, tra gli altri, dal Cardinale Bessarione , 1403-1472, a cui si deve la nascita della Biblioteca di San Marco a Venezia, Marciana anche detta); era caratterizzata da numerosissimi volumi greci e latini. Era all’epoca una delle biblioteche più ricche d’Europa. Con la vicina terra cosentina il Salento era intriso del medesimo humus culturale in quel periodo dove ancora forte era la cultura bizantina, tanto che nel periodo bizantino avvenne che uno degli antichi nomi territoriali del Salento, “Calabria”, passò a indicare per estensione il Bruzio, la Calabria attuale, e poi solo esso, ovvero il chersoneso occidentale del sud Italia, mentre il Salento è il chersoneso orientale del sud dello stivale (in senso figurato la intera Penisola italiana per la sua forma). L’idea non confermata ma assai diffusa è che il presbitero Pantaleone autore materiale del mosaico idruntino fosse un monaco del monastero di San Nicola di Casole.  

 

Icona degli Evangelisti con i rispettivi Vangeli redatti su rotoli.

 

Miniatura degli Evangelisti al lavoro, Libro d’Ore. Immagine dal link. Il “Libro d’Ore” è un libro devozionale cristiano popolare nel Medioevo. È il tipo più comune di manoscritto miniato medievale. Qui i Vangeli appaiono sia nella forma di libro che di rotolo. Nel caso di San Marco indicato dal Leone il Vangelo è in forma di rotolo.

 

Miniature degli Evangelisti dal “Lindisfarne Gospel“. Notiamo come per tutti il titolo di “santo” compare nella forma del greco AGIOS scritto in caratteri latini. Inoltre notiamo come nel medesimo evangelario per rappresentare i Vangeli dei vari Evangelisti si utilizzano indifferentemente i simboli del libro o del rotolo spiegato. Tutti gli evangelisti poi siedono su troni con cuscino in similitudine con il soggetto presunto San Marco nel mosaico di Otranto.

 

Miniatura di San Marco, Evangeliario di Lorsch, epoca carolingia, IX sec. d.C., custodito in Inghilterra a Manchester. L’ Evangelista, indicato iconograficamente dal suo simbolo del leone alato, siede su un trono con lungo cuscino, (simile al cuscino nell’immagine del mosaico di Otranto qui oggetto di studio), mentre è intento alla scrittura del suo Vangelo. Nelle pagine aperte del libro è leggibile un verso iniziale del Vangelo: “Vox clamantis in deserto: Parate viam Domini!“. Immagine dal link.

 

San Marco, miniatura dall’Evangelario di San Medard, manoscritto proveniente da Soissons (Picardia, Francia). IX sec. d.C. Immagine dal link. Si noti la frequenza iconografica del lungo cuscino sulla sedia-trono-sgabello del Santo.

 

Marco Evangelista, miniatura, lezionario, Lavra, A. 111, fol. 252v, Dettaglio Riferimenti: Weitzmann: Aus den Bibliotheken des Athos, No. 9 . XIII secolo d.C. dal Medioevo, sconosciuto 361 LavraA111Fol252v. Immagine dal link.

 

San Marco Evangelista con il leone alato suo simbolo mentre scrive il Vangelo secondo San Marco. Miniatura, XI secolo ”Il libro del Vangelo”. Biblioteca Apostolica Vaticana. Città del Vaticano. Immagine dal link.

 

Abside della Chiesa di Santo Stefano a Soleto (in provincia di Lecce), affreschi dei secoli XIV-XV d.C. Si notino i cartigli degli Apostoli sopra e di santi vescovi sotto.

 

La ipotizzata rappresentazione dell’Evangelista San Marco legato al Nuovo Testamento nelle parti alte dell’albero della navata destra nel pavimento musivo della Cattedrale idruntina non solo è simmetrica alla rappresentazione dei patriarchi del Vecchio Testamento nella parte alta dell’albero del mosaico della navata di sinistra, ma non sarebbe neppure un inserimento inconsueto dal punto di vista iconografico se consideriamo la iconografia bizantina che tanto influenzava all’epoca ancora la cultura cristiana del Sud Italia come quella veneziana, troviamo infatti una tipica icona bizantina dove il motivo dell’Albero della vita viene espresso nella forma della Vigna del Signore, un alberello di vite dunque identificato con Cristo al centro e personaggi legati alla sua predicazione tra i rami-viticci con pampini e grappoli, e proprio nelle parti più alte la rappresentazione degli Evangelisti, tra cui appunto San Marco. Una rappresentazione che ha anche valenza eucaristica per il concetto del vino ottenuto dagli acini d’uva, ritenuto simbolo del sangue di Cristo.
Icona bizantina, la Vite del Signore.

 

Osservando la icona bizantina sopra vediamo come in alto al centro lungo l’asse dell’albero si rappresenta un Sole raggiante; questa scelta compositiva mossa da archetipi di fondo oltre che da mode iconografiche vede a Otranto assumere il ruolo simbolico di Sole in cima all’albero musivo della navata destra da parte della sfera celeste (qui in piano disco) che secondo modelli iconografici greco-romani antichi anche nella statuaria regge sulle spalle Atlante.

La scelta di San Marco per rappresentare il Nuovo Testamento potrebbe non essere casuale, ma una sorta di omaggio alla potente Venezia i cui interessi e presenza di mercanti erano considerevoli nelle città portuali pugliesi già nel periodo Normanno, e Otranto era città di importanza strategica sull’imbocco del mare Adriatico, seno chiuso su qui si affacciava la città di Venezia. O più che un omaggio gratuito ciò era frutto di origini o interessi economico-commerciali dei committenti, o di donatori che con cospicue somme parteciparono a sostenere lo sforzo finanziario per la grande opera musiva?
A Venezia già da tempo si conservavano nella Basilica di San Marco le reliquie attribuite al corpo dell’Evangelista con quel nome lì traslate da Alessandria d’Egitto nel IX sec. d.C., e poi ritrovate nello stesso edificio nel 1094: la leggenda colloca in quell’anno il ritrovamento miracoloso in un pilastro della basilica del corpo di San Marco, che era stato nascosto durante i lavori di costruzione del luogo sacro in un posto poi dimenticato.
San Marco protettore di Venezia e un simbolo per quella potente repubblica marinara.
Mi sono allora chiesto se la figura del profeta Samuele fosse di una certa importanza per i veneziani come quella di San Marco, data l’associazione apparentemente anomala tra San Marco e il profeta Samuele che troviamo nel mosaico di Otranto.
Ho scoperto allora che proprio nella parte più antica della città di Venezia, il sestiere di San Marco come chiamata quella area, si erge oltre alla Basilica di San Marco anche un’antica chiesa edificata intorno all’anno 1000 d.C. detta Chiesa di San Samuele, che prende proprio il nome dal personaggio biblico Samuele perché, secondo la tradizione, al suo interno ne sono conservate le reliquie! Un’area lì nei pressi della Chiesa prende da essa il nome di Campo San Samuele.
Mi sembra allora la “pista veneziana” molto esplicativa promettente e importante per la lettura di questa porzione del mosaico.
Non mi spingo oltre ma nei pressi poco più in “basso” è presente la raffigurazione del leone che azzanna il mostro serpente cornuto (o orecchiuto) che a sua volta mangia il caprone.
Non saprei dire se questo complesso figurativo di zoo-machia o zoo-fagia che dir si voglia è correlabile a quello che chiameremo qui “complesso veneziano” di San Marco e Samuele, ma dobbiamo comunque ricordare che il principale simbolo dell’Evangelista San Marco è proprio il leone.
Leone, particolare, navata destra, mosaico pavimentale del XII sec. d.C. Cattedrale di Otranto.

 

L’epigrafe che lo accompagna LEONE ha il segno di abbreviazione, una tilde sulla vocale E finale. Abbreviazione dunque del caso accusativo LEONEM. E perché la scelta di un tale caso della declinazione latina del nome? Forse si intendeva scrivere una frase, e poi si abortì l’intento, o delle parti sono andate perdute, o si correla ad altre epigrafi, magari quella poco sopra oggi illeggibile nel cartiglio del presunto San Marco, in tal caso ancor di più legandosi questo leone a San Marco Evangelista (che ha proprio il leone come suo tipico simbolo assegnatoli a partire dalla merkavah ebraica trasformata dai cristiani nel tetramorfo degli Evangelisti. La rappresentazione di San Marco in forma di leone è tipica dell’esegesi patristica e dell’iconografia cristiana e deriva dalle visioni profetiche contenute nel versetto dell’Apocalisse di San Giovanni 4,7)?

Icona bizantineggiante di San Marco Evangelista dal “Lindisfarne Gospels“.

L’indicazione del nome del leone accanto ad una sua inequivocabile raffigurazione, anche di ottima fattura nel caso idruntino in questione, appare come legenda ridondante certo, ma non possiamo non osservare come nella miniatura di San Marco Evangelista dal “Lindisfarne Gospels” appaia oltre alla legenda per “San Marco” in latino anche quella per il suo leone alato marciano, leggiamo infatti acconto a questo “imago leonis” (che vuol dire in latino “immagine del leone”).

Ora se quello è Samuele è subito chiaro chi è il piccolo uomo rappresentato sulla destra del profeta sotto un uomo gigantesco:
è il giovane Davide rappresentato nel momento in cui sta per lanciare la pietra con la fionda (che infatti regge in mano), che ammazzerà il guerriero filisteo. E questa corretta lettura delle due figure umane come Davide e Golia nel mosaico di Otranto è stata già data da altri attenti studiosi.
Si tratta di un episodio biblico raccontato proprio nei libri di Samuele.
Inoltre sarà poi il profeta Samuele a incoronare successivamente Davide come re.
Tenendo conto che l’arcivescovo committente a Pantaleone la realizzazione del mosaico idruntino si chiamava Gionata capiamo anche come la rappresentazione del mito di Davide potesse essere cara e assai gradita al committente.
Golia è sovente rappresentato come barbuto.
E una lunga barba sembra avere il gigante sopra il piccolo Davide.
Ma cosa conteneva il cartiglio legato all’ipotizzato Golia raffigurato nel mosaico idruntino?
La lettura dei libri di Samuele potrebbe dare degli indizi. Forse riportava un passo della sfida che Golia lanciò all’esercito di Saul, sfida a trovare un uomo che si battesse con lui. Golia era un gigantesco guerriero e solo il giovane Davide accetto coraggiosamente la sfida.
Riguardo poi all’accostamento spaziale di Davide con l’ipotizzato San Marco non dimentichiamo che anche nel Vangelo di Marco Gesù Cristo è indicato come figlio della stirpe di Davide (Mc 10,47.48).
Gesù della stirpe di Davide secondo il Vangelo di Marco.
Venendo a quella che ipotizziamo qui come possibile immagine di San Marco Evangelista abbiamo un cartiglio-rotolo nel quale si legge qualcosa con difficoltà.
Cartiglio-rotolo del possibile San Marco nella navata destra del mosaico pavimentale del XII sec. d.C. Cattedrale di Otranto.

Ho condiviso questa foto su questo mio post facebook con questo testo: “COSA VI LEGGI? Facciamo un esperimento di brainstorming e citizen-science. Questa è l’epigrafe meno comprensibile di tutto il mosaico medioevale di Otranto, nei commenti metterò la proposta data da alcuni studiosi nel corso del tempo ma ad oggi nessuna convincente.
Non si sa se questa epigrafe all’interno di questo cartiglio-rotolo sia originaria o frutto delle deformazioni dopo danneggiamenti e restauri poco accorti. Ma forse i tuoi occhi possono interpretare e vedere ciò che ancora nessuno ha compreso.
Invito anche a non fermarsi al solo italiano, se vedi che è scritto qualcosa in latino scrivilo, se vedi il greco in caratteri greci scrivilo, se vedi greco scritto in caratteri latini scrivilo lo stesso, e qualsiasi altra lingua o alfabeto ti sia noto.
Non badare neppure a quello che hanno già interpretato altri e scritto, altrimenti rischi di influenzare le tue sensazioni iniziali sulla base di tutto il tuo background che possono essere quelle magari vincenti.
Foto ravvivata nei colori e contrasti“.

Se fosse “olet” almeno si potrebbe leggere qualcosa tipo “rara rosa che profuma”.

In questo verso vi è chi ha proposto similitudini con una famosa licenziosa poesia scritta nella prima metà del ‘200 dal titolo

ROSA FRESCA AULENTISSIMA” eventualmente con “aulentissima” abbreviato con AULET, ma “fresca” dove è scritto?
Si tratta di una poesia che nasce presso la corte di Federico II e che fa parte della produzione della cosiddetta “scuola siciliana” e quindi come tale comunque legata all’ambiente federiciano che comprendeva anche la Puglia, ma siamo qualche tempo dopo in tal caso rispetto alle date del mosaico otrantino. E immaginano che possa essere anche una perifrasi poetica traslata alla Madonna in ambiente ecclesiastico o da ambiente cristiano mariana tratta.
Raffaele Santo ha scritto nel post facebook: “Secondo me l’oggetto è il risultato di un restauro eseguito male considerata la posizione che esso occupa nella navata destra. Dopo alcune elaborazioni con Photoshop io leggo: RARA ROSA IO COLSI VT”
Date le difficoltà di lettura e interpretazione, anche a causa forse del danneggiamento e poi restauro nel tempo dell’epigrafe nel cartiglio-rotolo, supponiamo almeno che sia corretta la lettura della parola ROSA, e non è certo confermato, e indaghiamo secondo questa pista.
Nelle epigrafi dei cartigli o libri aperti che caratterizzano sovente l’iconografia di San Marco Evangelista non troviamo alcun riferimento a “rosa” e neppure nel suo vangelo, mi pare.
Nei Vangeli apocrifi si narra che durante la fuga verso l’Egitto la “sacra famiglia” fu fermata da un gruppo di soldati. Maria nascose Gesù sotto il manto ma le guardie chiesero cosa portasse . La Vergine disse “fiori” e aperto il manto i soldati non videro il bambino ma rose e fiori. Che sia un riferimento a quelle rose? E perché lì?
Che sia un riferimento a Maria? La rosa è il fiore mariano per eccellenza. La Madonna è spessissimo rappresentata con questi fiori. La parola “rosario” deriva da un’usanza medioevale che consisteva nel mettere una corona di rose sulle statue della Vergine; queste rose erano simbolo delle preghiere “belle” e “profumate” rivolte a Maria.  “Maria è detta rosa mistica, rosa senza spina, e da una rosa può essere simboleggiata.  Perfino nelle preghiere popolari è definita la Rosa (in Sicilia MARIA LA ROSA, GIUSEPPI LU GIGGHIU DATINI AIUTU PRUDENZA E CUNSIGLIU; la rosa che sfiorisce -ca spampina- è la Madonna del 15 agosto). Nelle raffigurazioni possono essere gli angeli, i santi o dei devoti ad offrirgli le rose. Altre volte è la stessa Vergine a recarle in mano o sulle vesti.” (Passo tratto da internet)
Maria allora indicata come “Rara Rosa Olet”, rara rosa che profuma?
Mi piace sottoporre all’attenzione anche con l’occasione il bellissimo decoro con rose rosse (o forse peonie delle locali specie murgiane-materane, come la Paeonia mascula, e le peonie son anche chiamate rose di montagna per la loro somiglianza alle rose) degli affreschi all’interno della cosiddetta cripta del Peccato Originale a Matera, affreschi di cultura longobardo-benedettina datati tra l’ VIII e l’ IX secolo d.C. con rappresentazioni di Maria, San Pietro e dove non mancano anche gli Evangelisti. Lì l’albero del frutto del peccato nel Paradiso terrestre pare sia proprio un fico (Ficus carica) come nel mosaico a Otranto.
Non dimentichiamo che nei mosaici della Basilica di San Marco in Venezia Davide, capostipite della discendenza regale di Israele, indossante le sontuose vesti dell’imperatore di Bisanzio, proclama la regalità del bambino che da lei, Maria (la Theotókos), nascerà “Il frutto delle tue viscere porrò sul mio trono” (Salmo 132, 11).
E se invece fosse un riferimento a San Marco stesso?
Se entriamo nell’ambito del culto tradizionale di San Marco proprio in Venezia allora scopriamo come da tradizione locale la sua festa è strettamente legata al simbolo proprio della rosa!
Il 25 aprile giorno della Festa di San Marco in Venezia gli innamorati regalano una rosa rossa alla loro amata. Viene chiamata Festa del bocciolo di rosa (in veneziano: il “bocolo” di San Marco”).
La tradizione secondo una versione sarebbe nata da un episodio triste avvenuto a Venezia intorno al IX sec. d.C. e che coinvolse due innamorati, la figlia del Doge e un giovane dal nome Tancredi che morì combattendo contro gli infedeli in Spagna tra le file dell’esercito di Carlo Magno secondo la leggenda o fatto storico che sia.
Una leggenda che spiega la tradizione di regalare all’amata a Venezia un bocciolo di rosa il 25 aprile festa di San Marco. Immagine al link.
Ma c’è anche una seconda leggenda legata alla data del 25 aprile, giorno in cui ricorre la festa di San Marco, patrono di Venezia. Secondo questa leggenda la tradizione del bocolo trae origine da un roseto che cresceva vicino al luogo originario di sepoltura di San Marco in Alessandria d’Egitto. Basilio, un marinaio veneziano, trovatosi ad Alessandria d’Egitto insieme ai due mercanti veneziani che stavano trafugando i resti di San Marco, chiese e ottenne di poter svellere un roseto che si trovava sulla tomba dell’ Evangelista; come riconoscimento per aver aiutato nel trafugare le spoglie del Santo per portarle a Venezia gli fu concesso di piantarlo nel suo giardino di casa a Venezia, lui viveva nella Giudecca. Quando Basilio morì il roseto divenne un divisorio tra le proprietà spartite tra i suoi due figli. Con il passare del tempo litigi e attriti divisero i due rami della famiglia e da quel momento in poi il roseto smise di fiorire. Molti anni dopo, proprio il 25 aprile, una ragazza ed un ragazzo appartenenti ai due rami rivali delle famiglie si innamorarono l’uno dell’altra guardandosi attraverso il roseto. Da quel momento le rose iniziarono nuovamente a fiorire. Il giovane prese un bocciolo di rosa rossa dal roseto e lo regalò alla giovane.” (Passo tratto dal link integrato con dati tratti da questo altro link).
In merito alla tradizione delle rose che crescevano sulla tomba di San Marco mi piace ricordare questa tradizione romana: “i Rosaria, o Rosalia, erano a Roma delle feste commemorative dedicate ai defunti ed erano legate alla stagionalità della fioritura delle rose, la data di celebrazione infatti variava localmente a seconda del tempo di fioritura. Così tra un uovo ed un bicchiere di vino si ricordavano i cari estinti con preghiere, ma anche aneddoti e qualche risata” (tratto dall’articolo a questo link). 
È possibile allora che questo riferimento alla rosa lì sia un ulteriore omaggio al culto e tradizione di San Marco in Venezia,
e che inoltre si sia voluto rimarcare con San Marco quella leggenda e tradizione veneziana legata al bocciolo di rosa anche per stabilire un parallelismo con il signore normanno sotto il cui dominio era Otranto in quel tempo, Tancredi Conte di Lecce (Lecce, 1138 circa – 20 febbraio 1194) coinvolto in quegli anni in burrascose vicende, e che si chiamava dunque anche egli Tancredi, intessendo così un legame più forte simbolico, parallelo a quello economico-commerciale, tra la terra salentina sotto il dominio normanno e Venezia, omaggiando al contempo anche il signore normanno sotto il cui potere gravitava Otranto all’epoca?
Ma la comparsa del termine “ROSA” in quel contesto aprirebbe anche ad un’altra possibile pista esoterica.
Riguardo a questo cartiglio, la mia analisi iconografica ed epigrafica mi ha portato ad avanzare l’ipotesi che si possa trattare di San Marco per colui che lo ostenta. Ma cosa c’è scritto nel cartiglio? L’unica parola che sembra leggersi è “ROSA”. Ma come può legarsi la parola ROSA a San Marco, sempre che la lettura ROSA sia corretta e originaria e non frutto di deformazioni da danneggiamenti e restauro?

Nel testo sopra linkato propongo varie possibilità sulla base del legame di San Marco e la tradizione della Rosa in Venezia: si dice che un roseto crescesse sulla tomba di San Marco ad Alessandria d’Egitto (a abbiamo già esposto questa pista). Ma vi è anche un altro filone che possiamo battere, San Marco è legato da una tradizione alle origini della setta dei Rosa-croce. Volendo seguire questa pista più esoterica ci sarebbero anche delle croci incise a braccia uguali rubricate di rosso nella Cattedrale di Otranto in corrispondenza di un sarcofago al lato della scalinata discendente nella cripta proprio all’altezza della medesima navata destra dove vi è questa iscrizione epigrafica musiva. “Come archetipo della società segreta di origini immemorabili e onnipotente, i Rosa-Croce appaiono nella letteratura esoterica, spesso come successori dei Cavalieri del Graal e dei Cavalieri templari” e nel mosaico di Otranto non manca la rappresentazione di un possibile Graal di Artù/Coppa dei Magi. Né era assente al tempo la presenza templare in Salento (leggi anche i miei commenti a questo post facebook). “Si dice che nel 46 d.C. Ormus, figura mistica egizia del pensiero zoroastriano e gnostico, convertita al cattolicesimo da San Marco, fondò un ordine che aveva come simbolo una Croce Rossa o Rosa (Rosacroce)“.

Secondo un’altra versione “Marco l’Evangelista nel 49 d.C. in Egitto durante la sua predicazione conobbe un gruppo di gnostici ed essi gli rivelarono i segreti delle antiche religioni misteriche dell’Egitto, Marco le comprese e si formò un primo gruppo settario che prese, secondo al leggenda, il nome di Rosacroce, la rosa simbolo di rinascita per le sue annuali fioriture, e questa setta pose la rosa al centro della croce come sua simbolo (…) si ritiene che queste conoscenze furono portate poi dall’Oriente in Europa dai Cavalieri Templari”.

Uno dei motti ermetici dei Rosacroce è «Dat Rosa Mel Apibus» scritto appunto in latino, che significa «la rosa dà il miele alle api», questa iscrizione in latino la osserviamo sopra una croce sormontata da una rosa in una incisione dal “Summum Bonum” del rosacrociano Robert Fludd del 1629.

 

Da una incisione dal “Summum Bonum” del rosacrociano Robert Fludd del 1629.

 

Ci chiediamo pertanto se magari non si debba anche proprio rintracciare questo motto in latino, già in tal caso secoli prima del ‘600, nella enigmatica iscrizione nel cartiglio del qui presunto San Marco Evangelista nel mosaico medioevale della Cattedrale di Otranto.

Ricordo che il semiologo Umberto Eco nel suo famoso romanzo proprio chiamato “Il Nome della Rosa”, cita un monaco, di invenzione narrativa, molto bravo nel disegnare bestie immaginarie, come miniature su copie dell’Apocalisse, un tal Adelmo d’Otranto; Eco si sarà ispirato a al mosaicista presbitero Pantaleone che operò a Otranto? Colpisce anche questa coincidenza con l’Apocalisse, sebbene fino ad oggi non era stata adeguatamente ipotizzata presente tra i motivi del mosaico medioevale di Otranto a differenza di quanto invece io ho evidenziato nei miei studi. Umberto Eco chiude la sua opera, “Il Nome della Rosa”, con questa frase in latino: “Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus“.

Ricordiamo anche la presenza del rosone nelle chiese romaniche e gotiche, (quello presente oggi sulla facciata della Cattedrale di Otranto a 16 raggi con fini trafori gotici di forma circolare convergenti al centro, secondo i canoni dell’arte gotico-araba, risale al periodo rinascimentale), e il termine “rosone” deriva da rosa.

Il termine ROSA lì nel mosaico idruntino è allora corretto? E se sì è originario o è stato aggiunto dopo per la presenza proprio di San Marco? E se sì con che intento è stato scritto lì?
Immaginando un testo precedente invece poi stravolto da usura e restauri, l’ipotesi di San Marco per quella figura in trono ci porta a cercare confronti con i testi che compaiono nell’iconografia del Santo in cartigli/libri del suo Vangelo o meno in greco o latino:
ad esempio questi testi
Opera di Emmanuel Tzanes del 1657 San Marco Evangelista. Nel testo aperto tra le zampe del Leone si legge in alfabeto greco la parte iniziale del Vangelo di Marco in greco.

 

L’Evangelista San Marco, decorazione musiva parietale della Cupola dell’Ascensione nella Basilica di San Marco in Venezia.  Della legenda descrittiva sopra l’Evangelista in latino in lettere capitali e onciali
“S(AN)C(TU)S MARC(US)”. Mentre sempre in latino e lettere capitali e onciali sul Vangelo mostrato leggiamo “i(n)itiu(m) eva(n)g(e)lii ih(es)u xri(sti)” traducendo “Inizio del Vangelo di Gesù Cristo”. Tra parentesi quanto mancante a causa delle abbreviazioni usate.

 

Opera di Lorenzo di Bicci, San Marco Evangelista, 1390-1410 ca. Per il passo del Vangelo di Marco nel cartiglio vedi al link.
o nel libro aperto del suo Leone marciano veneziano
Il Leone di San Marco” in Venezia, del pittore Vittore Carpaccio (vissuto tra XV e XVI secolo d.C.). C’è raffigurata anche la pianta in fiore del Dracunculus vulgaris sulla sinistra, nell’ottocento, mi piace ricordare, vivente ancora nel cuore del basso Salento.

 

Nel primo rigo del misterioso cartiglio musivo otrantino una coppia di lettere “AR” sembra di leggersi bene e nell’iconografia usuale di San Marco il cartiglio a lui associato riporta le parole iniziali del suo Vangelo che comincia con la parola greca ” ‘ARCHÈ ” (in greco ” ἈΡΧῊ “) qui scritta in caratteri latini come in caratteri dell’alfabeto latino è scritto nel mosaico il titolo e nome in greco di San Marco. In greco e alfabeto greco l’inizio del Vangelo secondo San Marco è questo ” Ἀρχὴ τοῦ εὐαγγελίου Ἰησοῦ ⸀χριστοῦ. “, tradotto in italiano “Questo è l’inizio del Vangelo di Gesù, Cristo.

“AR” due lettere a che che si susseguono anche nello stesso nome MARCO.

Tutto quanto qui analizzato e suggerito deve portare chiaramente a dare maggiore importanza in termini di influenze alle similitudini se non stilistiche perlomeno relative ai motivi trattati tra i mosaici della Basilica di San Marco in Venezia, dove il mosaico domina anche le cupole e l’esteso mosaico pavimentale nella Cattedrale di Otranto.
Basilica di San Marco in Venezia (immagine dal link).
Mosaici all’interno della Basilica di San Marco in Venezia (immagine dal link). Nell’ipotesi di una raffigurazione di San Marco nel mosaico di Otranto diventa allora interessante cercare i parallelismi tra la Basilica di San Marco e la Cattedrale di Otranto; Basilica nella quale compaiono oltre a San Marco tanti elementi che ritroviamo nel mosaico otrantino.
Scopriamo così che nel nartece della Chiesa veneziana l’Antico Testamento rappresentato dai mosaici delle cupole preparano al Vangelo raffigurato dentro la Basilica: come nel mosaico di Otranto anche a Venezia troviamo le storie di Noè, la tentazione da parte del serpente di Adamo ed Eva e la loro cacciata dal Paradiso terrestre. Il motivo leggendario di Alessandro Magno che ascende al cielo con due grifoni tenendo in mano due spiedini con bocconi di carne rivolti verso l’alto, sicché i grifoni volino su nel tentativo di raggiungerli sollevando così Alessandro che poggia su di essi lo troviamo nel mosaico della navata centrale della Chiesa di Otranto,
Il “volo di Alessandro” nella navata centrale nel mosaico pavimentale nella Cattedrale di Otranto datato al XII sec. d.C. Stesso motivo compare nel mosaico pavimentale della Cattedrale di Trani che si ritiene fortemente ispirato al mosaico Otrantino di Pantaleone e in diversi altri siti religiosi pugliesi (come a Trani, Bitonto, Corato e Taranto). Un’iconografia che si può raffrontare anche con il “Volo di Alessandro” raffigurato sul Duomo di Fidenza.
e il medesimo motivo del volo di Alessandro grossomodo anche con la medesima impostazione stilistica per l’ascesa al cielo tramite due grifoni lo troviamo scolpito sulla facciata a Nord della Basilica di San Marco in Venezia, datato all’ XI sec. d.C. (immagine al link), il bassorilievo dovrebbe provenire da Bisanzio trafugato alla Capitale dell’Impero bizantino durante il sacco di Costantinopoli del 1204 (Costantinopoli e Bisanzio nomi della stessa città oggi chiamata Istanbul):
E’ stato incastonato tra i marmi sulla facciata a settentrione della Basilica di San Marco in Venezia.

 

Benché tale bassorilievo con la scena della ascesa al cielo di Alessandro Magno con grifoni è stato trafugato da Costantinopoli nel 1204, il volo di Alessandro è comunque una figura già legata alla Basilica in quanto in forme stilizzate compare in un tondo nella famosa Pala d’oro:
Alessandro Magno sale al cielo con due grifoni, sulla Pala d’oro della Basilica di San Marco in Venezia. Immagine dal link.
Nel 976 il Doge Pietro Orseolo ordinò questa pala a Costantinopoli. Ulteriori placchette furono commissionate tra il 1102 e il 1118 da Ordelaffo Falier. Nel 1209 Pietro Zano la fece rinnovare dal procuratore della Chiesa.
Alessandro Magno è legato a San Marco Evangelista anche in quanto Marco subì il martirio e fu sepolto ad Alessandria d’Egitto città fondata da Alessandro e dove Alessandro fu sepolto in un mausoleo tenuto in gran considerazione in antichità. E qualcuno pensa che il suo corpo insieme a quello di San Marco fu portato a Venezia, anche perché in un furbo sincretismo forse i cristiani aveva sovrapposto e unito la venerazione delle reliquie di San Marco a quelle del grande Alessandro. 
Si scoprono pertanto tanti parallelismi, e certamente ulteriori con maggiori indagini più approfondite, ma già bastano per tessere sempre più anche una nuova “pista veneziana” nella lettura del ricco e complesso mosaico idruntino, da affiancare alle tante altre piste già note per una migliore comprensione ed un maggiore sincretismo esegetico; indagine volta ad indagare le influenze reciproche tra la potente repubblica marina di Venezia a Nord dell’Adriatico e la Otranto bizantino-normanna a Sud sulle bocche di quel mare, il Canale d’Otranto, di strategica importanza per Venezia come per i Normanni conquistatori del Sud Italia. Vi era forse tra le varie ipotesi un tentativo di emulazione a Otranto dei fasti di una potente Venezia i cui mosaici scintillavano di oro prezioso?
Teniamo anche conto che lo stile del mosaico pavimentale otrantino nei suoi toni naïf può ricordare quello dell’arazzo normanno di Bayeux, come anche giustamente rimarcato dall’amico e studioso Vincenzo Scarpello della mia stessa città, Maglie (Lecce) nell’entroterra otrantino.
Frammento dell’Arazzo di Bayeux, (immagine dal link).
Linkiamo anche questo bel post in tema da Facebook:
Nel mosaico di Otranto siamo ben lontani in termine di stili (non di motivi) dai mosaici parietali più ricchi di influssi stilistici romano-bizantini della Basilica di San Marco in Venezia o degli edifici Normanni di Palermo.
C’è nel mosaico di Otranto un maggiore possibile confronto figurativo stilistico ma anche di temi con l’arte scultorea romanica del tempo in cui si sente un maggiore influsso “barbarico”, nonché poi con altri mosaici pavimentali figurati del tempo in Italia.
Il  motivo quello degli intrecci vegetali che con i suoi alberi frondosi caratterizza il mosaico di Otranto lo ritroviamo nella plastica architettonica in bassorilievo dello stile romanico pugliese dell’epoca del mosaico di Otranto dove ornava soprattutto gli stipiti delle porte delle chiese; in Puglia se ne hanno degli esempi nella Chiesa di San Nicola a Bari, in quella di San Giovanni in Sepolcro a Brindisi, in quella di Santa Maria della Strada a Taurisano, ecc.). Motivi decorativi che hanno anche ispirato probabilmente l’idea musiva idruntina della creazione di un filo conduttore nel cosmo rappresentato nelle tre navate, cosmo che spazia tra tempi e luoghi molteplici, attraverso il motivo del grande dritto albero centrale per ciascuna navata, più altri alberi minori e arbusti, da cui si dipartono tanti rami con foglie e frutti vari. Alberi posati talvolta sul groppone di grandi animali, secondo il motivo, sempre diffuso nella scultura romanica, degli animali stilofori, ovvero supportatori di colonne in portali o altre strutture esterne ed interne nelle chiese; motivo simile con alberi o comunque piante ed intrecci vegetali posati sul groppone di animali connota anche la plastica scultorea decorativa romaica.
Idem nel bassorilievo in marmo in un portale di ingresso del Tempio di San Giovanni al Sepolcro (o Chiesa del Santo Sepolcro) a Brindisi, edificata sul finire del’ XI secolo, per volontà del normanno Boemondo, dall’ Ordine Benedettino vediamo un elefante che regge sulla sua groppa un vaso da cui si diparte una vigna in cui si intrecciano figure umane, animali e mostri (motivo romanico del tralcio abitato):
Sul groppone di un elefante poggia un vaso da piante da cui cresce una pianta, dalla quale pendono grappoli d’uva e che si intreccia nello sviluppo del bassorilievo. Particolare del bassorilievo in marmo in un portale di ingresso, (impreziosito dall’alternanza di conci chiari e scuri), del Tempio di San Giovanni al Sepolcro (o Chiesa del Santo Sepolcro) a Brindisi, una singolare costruzione a forma circolare (forse un battistero) edificata sul finire dell’ XI secolo, per volontà del normanno Boemondo di ritorno dalle crociate come vuole la tradizione locale.

 

Al di là dei pur possibili significati allegorici quei bassorilievi a Brindisi ed il mosaico di Otranto condividono il medesimo motivo decorativo ampiamente attestato nella scultura romanica: ricami di vegetali intrecciati entro i quali si raffiguravano uomini, animali e mostri, che talvolta mordono i rami, e in alcuni casi si vedono persino uscire tali rami dalla loro bocca (non è infrequente nel mosaico di Otranto).

Aggiungiamo alcune note sui bassorilievi nei portali di ingresso del Tempio di San Giovanni al Sepolcro (o Chiesa del Santo Sepolcro) a Brindisi, si tratta di una chiesa (forse battistero), e confronti con il mosaico di Otranto. “Gli stipiti del portale sono riccamente ornati di rilievi, con il tralcio abitato, tipico motivo del romanico pugliese: sono presenti scene di lotta tra animali mitologici e reali, scene che rimandano all’Antico Testamento (Sansone, Noè), e la raffigurazione di un guerriero normanno riconoscibile dallo scudo lungo ed ovale“.

Si osserva nei bassorilievi, tutti in marmo, sugli stipiti dei portali, anche una pianta di vite ricca di grappoli che emerge dalla bocca di un cervo maschio (data la presenza dei palchi attributo del maschio nella specie).

Tra i rami intrecciati che connotano tali bassorilievi con motivi vegetali e floreali vari, e tanti grappoli sparsi, troviamo anche Sansone dai lunghi capelli che affronta il leone divaricandoli le fauci, come nel racconto biblico, fino a spezzargli la bocca e così ucciderlo, (stesso motivo, stessi capelli lunghi e stessa iconografia della lotta contro il leone che troviamo sul mosaico otrantino nell’abside); una donna dai seni scoperti seduta sul groppone di un leone con criniera come i leoni maschi ma che ha ai suoi piedi dei cuccioli che sta allattando come una leonessa dalle sue mammelle; uccelli, tra cui pavoni, e serpenti tra i rami; una donna sempre dal seno scoperto e con in mano una clava posata sulla spalla (o foglia di palma – non si legge bene poiché danneggiata) seduta su un drago marino dalla lunga coda squamata e caudata in punta con sotto dei pesci; due cavalieri con scudi che si affrontano con le spade; un leone che si avventa su un toro; un grifone che ghermisce un cane (o lupo); fantasiosi motivi vegetali-serpentiformi insieme con bocche di draghi o comunque di animali ora con denti ora con becchi che emergono dalle stesse estremità di protuberanze vegetali che poi mordono rami prossimi; uomini (forse nudi) tra i rami; un elefante con un uomo che gli sta a cavallo sul collo con una verga in mano per guidarlo, (elefante  che porta in spalla una cesta a lui ben assicurata da cui escono due uomini che suonano dei corni); un centauro; draghi affrontati, pavoni affrontati; un uomo nudo a cavallo con una lunga verga in mano; un vaso, con due manici ad ansa sui suoi lati, impreziosito da una fila di puntini (forse ad indicar pietre incastonate o fori da cui fuoriesce l’acqua del vaso da piante), da cui esce una pianta di vite che poi si intreccia e produce grappoli d’uva; un elefante sul cui groppone sta un vaso da cui sempre emerge una pianta che si intreccia (foto sopra); una coppia di uomini nudi tra i rami, due centauri affrontati che, come se stessero brindando, bevono da due coppe che tengono in mano, certamente piene di vino, una è una centaura, lo rivelano i seni in vista e tiene in mano anche una picca con punta verso l’alto, l’altro tiene un serpente in mano che arcuandosi arriva a bere nella sua stessa coppa insieme a lui: ricorda ciò vagamente il simbolo antico greco-romano della famosa Coppa di Igea (vedi anche questo mio articolo per approfondire).

 

Tempio di San Giovanni al Sepolcro (o Chiesa del Santo Sepolcro) a Brindisi, dettaglio del portale decorato nel XII secolo e.v. Immagine dal Web al link.

 

Nei bassorilievi marmorei di Brindisi osserviamo come in essi molti animali si mordono tra loro o mordono/ingoiano i vegetali presenti. Le similitudini di ispirazione comune o indotta tra Brindisi e Otranto, (queste sculture di Brindisi e il mosaico di Otranto sono dello stesso secolo), sono elevatissime.

Il grande albero del mosaico nella navata centrale di Otranto è mostrato reggersi su due elefanti così come due elefanti reggono la cattedra vescovile del Duomo di Canosa scolpita e firmata dall’artista Romoaldo tra il 1078 e il 1089 (arte romanica):
Cattedra vescovile del Duomo di Canosa scolpita e firmata dall’artista Romoaldo tra il 1078 e il 1089.

 

Nella navata centrale otrantina l’albero al centro del mosaico poggia su due elefanti come detto, quello al centro della navata di sinistra poggia su un toro, nella navata di destra sebbene vicino appaia la testa di quello che potrebbe essere un orso, l’ albero invece presenta il mero ceppo radicale libero non supportato da animali, come par di intuire nonostante i danneggiamenti lì subiti dal mosaico.

Vedi per approfondire “I giganti telamoni nel mosaico medioevale della Cattedrale di Otranto“.

Uno dei pochi personaggi umani che per stile mi sembra di alto livello artistico nel mosaico di Otranto e non altrettanto naïf come gli altri è questo manovale impegnato nella costruzione della Torre di Babele (immagine tratta dal link):
Dettaglio su un manovale impegnato nella costruzione della Torre di Babele nel mosaico medioevale pavimentale del XII sec. d.C. nella Cattedrale di Otranto. Immagine dal Web al link. Difficile dire se immagine interamente originale o frutto di un misto con restauri successivi. Certamente una scena di forti suggestioni simboliche oggi muratorie-massoniche.
Riguardo alla presenza di riferimenti espliciti al Nuovo Testamento nel mosaico idruntino vi è di abbastanza assodato nella interpretazione del mosaico effettuata da studiosi negli anni passati l’identificazione di San Disma, il buon ladrone, (anche con il suo caratteristico iconografico bastone croce a tau o quasi a tau), non accompagnato però da epigrafe come sarebbe in questo caso per San Marco. Ma vedremo che i motivi tratti dal nuovo testamento possono essere anche maggiori. Vedremo per esempio nella navata sinistra l’ispirazione alla parabola del povero Lazzaro e del ricco narrata nel Vangelo di Luca. Anche un possibile riferimento alla coppa eucaristica e quindi con essa all’Ultima Cena o all’Adorazione dei Magi con coppa d’oro e pietre preziose nell’abside in quella che abbiamo battezzato “scena del corteo del Graal”. Ecc.
Per il personaggio con la croce a tau sposo in pieno l’interpretazione che se ne dà nel libro “L’Enigma di Otranto”, ovvero come rappresentazione di San Disma il cosiddetto anche “Buon ladrone”:
Scena della cacciata dal Paradiso do Adamo ed Eva ad opera di un angelo sopra, sotto San Disma con croce a tau e perizoma con a destra della figura del Santo la porta del Paradiso, mosaico pavimentale del XII sec. d.C., navata centrale della Cattedrale di Otranto. Che sia la porta del Paradiso che è elemento ricorrente nell’iconografia di San Disma lo mostra anche la correlazione con la scena superiore della cacciata dal Paradiso secondo il racconto veterotestamentale della “Genesi”, mentre San Disma è figura legata al Nuovo Testamento!

 

Per confronti mostriamo di seguito questo mosaico in stile bizantino che è su una parete interna della Basilica di Santa Maria Assunta, sull’isola di Torcello, nella laguna di Venezia, (basilica i cui mosaici furono realizzati tra la seconda metà dell’XI secolo e la seconda metà del XII sec. d.C.); vi vediamo la porta del Paradiso con gli angeli che la custodiscono e San Pietro con le chiavi della porta. San Disma appare in tutto e per tutto simile all’iconografia seguita a Otranto anche per capigliatura, postura, gestualità, per la mano con cui tiene la croce e dove anche accanto a lui sullo stesso lato si rappresenta la porta del Paradiso; non solo in ambo i casi San Disma è raffigurato senza aureola sul capo. L’iconografia bizantina di San Disma con la porta del Paradiso prossima a lui è legata a passi dei Vangeli come questo qui commentato “Costui pregava che il Signore si ricordasse di lui, quando fosse giunto nel suo Regno, ma il Signore gli rispose: In verità, in verità ti dico, oggi sarai con me nel Paradiso. La vita è stare con Cristo, perché dove c’è Cristo là c’è il Regno” (Sant’Ambrogio, Esposizione del Vangelo secondo Luca, 10,121). 
Mosaico con San Disma nella Basilica di Santa Maria Assunta, sull’isola di Torcello, nella laguna di Venezia. I mosaici furono lì realizzati tra la seconda metà dell’XI secolo e la seconda metà del XII sec. d.C. Dei soggetti raffigurati solo San Disma non ha aureola. Immagine tratta dal link.

 

Similitudini anche per la presenza degli alberi del Paradiso terrestre.

E’ questa veneziana un’icona musiva molto interessante per l’esegesi del mosaico di Otranto in quanto vi compare anche Abramo che accoglie a sé le anime dei giusti, il concetto del cosiddetto “seno di Abramo“, che troviamo ben rappresentato anche nel mosaico di Otranto nella navata sinistra. Inoltre ad Otranto oltre ad Abramo vi compaiono anche Isacco e Giacobbe, (ad Otranto tutti senza aureola), e ciò ricorda quanto scritto su di una tomba cristiana ad Alessandria (19 marzo 410) e cioè “l’augurio del riposo nel seno di Abramo, Isacco e Giacobbe”.  Il confronto del mosaico di Otranto è dunque doveroso con la Basilica di Santa Maria Assunta, sull’isola di Torcello, nella laguna di Venezia, lì vi viene rappresentato nei mosaici, come a Otranto, anche l’inferno con Satana, il tormento delle anime dei dannati nel fuoco e la pesatura delle anime (psicostasia) da parte degli angeli per valutare se dovranno finire all’inferno o meno. Propongo anche un confronto con gli affreschi della comunque successiva chiesa del 1212 dedicata a San Giovanni (Karşı Kilise) a Gülşehir, cittadina turca in provincia di Nevşehir, vi troviamo il tema del seno di Abramo per le anime dei giusti, il tema della pesata delle anime ad opera di San Michele arcangelo e inoltre San Disma, tutti i temi iconografici che compaiono nel mosaico di Otranto.

Da un punto di vista teologico l’ubicazione di San Marco nella parte sommitale della navata destra prossima agli altari della parte più sacra della chiesa, dove poi si legge il Vangelo, mi pare spiegabile anche con questa vicinanza ma anche nella interpretazione teologica dell’albero come un’ascesa verso il “cielo divino” anche compiuta nel corso del tempo, della storia dalle origini intrise di peccato originale, e nei fatti antichi narrati nel Vecchio Testamento verso il Nuovo Testamento. Quel medesimo passaggio tra Vecchio Testamento e Nuovo Testamento che si realizza nel ciclo musivo di Venezia nella Basilica di San Marco nel passaggio dal nartece dalla luce smorzata (dedicato al Vecchio Testamento) all’interno della Basilica dalla atmosfera soffusa e dorata (dedicata al Nuovo Testamento).
Faccio quindi notare che potrebbe aver depistato un po’ tutti gli studiosi recenti del mosaico la convinzione che non ci fosse nulla del Nuovo Testamento sul mosaico.
Ciò però è smentito
-) dalla presenza di San Disma con tanto di croce tau o quasi a tau;
-) dalla presenza di una Croce tau nell’abside che viene afferrata da un personaggio nudo con barba e in piedi, una scena ad oggi più criptica ma dobbiamo evidenziale come tutto faccia pensare sia proprio una croce a tau;
quindi non si può dire che un San Marco lì sarebbe in totale anomalia.
L’idea pertanto che nel mosaico non ci sia il Nuovo Testamento era ideologica parziale e affrettata.
A questo punto si passa all’analisi iconografica e questa con un principio del rasoio di Occam mi ha stupito per le forti somiglianze con l’iconografia proprio di San Marco a cui ha condotto inizialmente senza riferimenti iconografici l’analisi della sola epigrafe leggibile a meno di piccole alterazioni come
“MARCUAGIUS”
da cui il confronto con
MARCUS AGIUS (in greco corrispondente a “Marco Santo”)
AGIUS MARCUS (forma greca in caratteri latini che ho trovato nell’iconografia di San Marco)
AGIOS MARCOS (forma frequente in caratteri greci nell’iconografia di San Marco)
SAN MARCO
Nell’iconografia a volte compare anche solo il nome MARCO (qui riporto un esempio con il nome scritto in greco in lettere greche).
A quel punto l’osservazione di una coerenza con l’ubicazione dell’Evangelista nei pressi degli altari dove i Vangeli vengono letti nei riti delle messa, come nei pressi dell’altare centrale è il Calice eucaristico (Graal?) dove si celebra il rito eucaristico nel rito della messa.
Per osservare come nel corso del tempo alcune epigrafi pur conservando tutte le lettere hanno subito delle storpiature tra danneggiamenti e restauri poco oculati che ne hanno alterato la lettura, riporto il caso di questo tondo con effige di un animale:
Orice raffigurato in un tondo nel mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto, zona del presbiterio. L’Orice che nel tempo divenne “Gris”?
Si trova nel mosaico del pavimento del presbiterio. Appena si vede l’animale ad un esperto naturalista non sfuggirà l’ipotesi che si possa trattare di un’antilope orice. Il nome del genere in latino corrisponde esattamente al nome in greco: Oryx. Dal testo “L’Enigma di Otranto” leggiamo che questo animale è descritto con il nome Oryx già nell’opera “Cynegetica” (trattato sulla caccia) dell’autore greco Oppiano di Apamea (II-III sec.d.C.). L’ “Oryx” ricordato da Oppiano dovrebbe identificarsi secondo alcuni studiosi con l’Oryxleucoryx, figurato su monumenti egizi (“Grazie a una riproduzione dei colori fedelmente completata da esploratore francese Frédéric Cailliaud nei primi anni del XIX ° secolo, siamo in grado di visualizzare un tebano risalente pittura manca dal regno di Amenofi II (sotto il Nuovo Impero). Raffigura una scena di caccia nel deserto e un orice la cui morfologia e, soprattutto, la cui colorazione del mantello coincide ovviamente con quelle dell’orice arabo. Di conseguenza, avanziamo l’ipotesi della possibile presenza dell’orice arabo nel deserto orientale dell’Egitto in epoca faraonica.“).
ORYX che diventa forse ORIS nella originaria epigrafe sul mosaico, ma poi storpiato ad oggi in un indecodificabile GRIS.
Pantaleone dei collari a volte solo decorativi li fa comparire sugli animali raffigurati nel mosaico idruntino, e il caso dell’antilope in oggetto. Qui in questo articolo, forse per un progetto di reintroduzione, vediamo degli Orici d’Arabia con radiocollari invece odierni.
Nel mosaico non è infrequente che animali anche assai facilmente riconoscibili come cervi e leoni siano indicati da precisa epigrafe tassonomica, (precisa per l’epoca, siamo ben prima di Linneo), troviamo così CERVUS (nella navata sinistra) e LEONE (nella navata destra). Per questo non stupisce che anche per qualche altro animale dove troviamo un solo termine epigrafico associato la pista tassonomica sia da battere. In tal caso ORIS, da oryx, l’orice esattamente rappresentato nel presbiterio lo trovo plausibile. Inoltre rispetto al cervo e al leone l’orice era meno noto ai locali, motivo per cui indicarne il nome poteva essere sentito come una esigenza, tanto più che anche le epigrafi partecipano a colmare gli spazi secondo le esigente artistiche dell’ “horror vacui“. Se si guarda lì con attenzione si noterà proprio il segno di margine del tratto che si era staccato o fortemente danneggiato col tempo e che fu poi restaurato alla meno peggio (si nota anche il cambio della pezzatura delle tessere musive utilizzate); un danneggiamento che colpì la parte superiore delle lettere e una parte sempre superiore della prima lettera, spezzando la continuità della qui presunta O che divenne una sorta di G nei restauri qui ipotizziamo. Stiamo seguendo qui una pista tassonomica per la lettura dell’epigrafe nel tondo. Altre versioni tassonomiche dell’esegesi di quell’epigrafe da parte di altri studiosi hanno proposto di ricondurla ad ONAGRIS, cioè l’onagro (l’asino selvatico); ma questa ipotesi non mi ha mai convinto sia perché quello non è un asino selvatico, sia perché mancano un po’ di lettere per arrivare ad ONAGRIS e non sembra che delle intere lettere sono state cancellate nel corso del tempo tenendo conto del chiaro segno della parte distaccatasi e ricostruita. Mentre l’ipotesi dell’orice mi sembra la più naturale, sempre con la guida del metodo del rasoio di Occam.
Mi interessano molto le vostra idee in merito alle ipotesi qui esposte, anche per la buona applicazione di un principio di falsificazione.
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Questo articolo è tratto da un mio post facebook del 2 gennaio 2021
riporto di seguito alcuni miei commenti ad esso per approfondimento.
Non mancano nel mosaico idruntino riferimenti al mondo classico greco-romano, vedi solo ad esempio questo approfondimento in merito: “I giganti telamoni nel mosaico medioevale della Cattedrale di Otranto“.
Mosaico pavimentale medioevale della Cattedrale di Otranto, navata sulla destra per chi accede al tempio sacro.
Qui a sinistra una bella immagine del mosaico della navata destra (tratta dal link) dove vediamo in alto il presunto San Marco assiso a destra di Atlante, Atlante che regge il globo celeste
e sotto troviamo anche un leone con tanto di indicazione epigrafica anche piuttosto ridondante data l’inequivocabile immagine del leone, ma del resto nella navata di sinistra troviamo anche l’epigrafe “CERVUS” per indicare il cervo anche esso abbastanza facilmente riconoscibile.
Non sappiamo se questo “LEONE” è un riferimento a Venezia, di certo c’è da dire che simbolo di San Marco è il Leone, ed essendo San Marco divenuto il protettore di Venezia anche il Leone di San Marco è divenuto poi un simbolo per Venezia. Ma ovviamente il leone è un simbolo dalle valenze ben al di là della sola Venezia.
Mentre quei due personaggi che paiono giganti a sinistra di Atlante come sorta di cariatidi, di telamoni del cielo, con i piedi e le mani adese ai rami dell’albero nella parte alta, ho proposto, (ma questa è così un’ipotesi chiaramente senza molti appigli), che potessero essere proprio Iperione e Giapeto le colonne del cielo nella mitologia antica.
A questi si aggiunge in più Golia, che è sulla estrema destra, per la sua statura gigantesca. In questa parte alta celeste si colloca anche San Marco, secondo quanto qui ipotizzato, posizionato in una posizione di spicco, come sovente si fa con gli evangelisti ad esempio rappresentati nella chiese nelle cupole, dunque nella dimensione del Cielo.
Tra questi esseri giganteschi telamonici sta nella dimensione del cielo quindi un più minuto San Marco Evangelista ma “gigante” anche lui ma dal punto di vista spirituale, “un gigante della fede”! Tanto più se poi si tiene conto della teoria della priorità marciana tra i vangeli sinottici e della tradizione che vuole San Marco discepolo di San Pietro.
In merito ai motivi figurativi di ispirazione classica troviamo nel mosaico anche ad esempio la raffigurazione di fanciulli nudi a cavallo del pesce/delfino, un motivo figurativo comunissimo nel Salento, soprattutto nella monetazione della polis magnogreca di Taranto, vedi per approfondire “I giganti telamoni nel mosaico medioevale della Cattedrale di Otranto“.
Tornando alle raffigurazioni del mosaico nella navata destra trovo molto suggestiva quella composizione imponente di zoofagia che vediamo poco più in basso rispetto all’ipotizzato San Marco sempre nella navata destra certamente anche con valori allegorici simbolici nella scelta dei committenti o comunque dei progettisti dell’opera, con la presenza dei tre animali che si azzannano-divorano a catena aperta e che sono i tre precisi animali che compongono secondo il mito antico il mostro Chimera dei Greci:
Leone, Serpente-drago e Caprone-capra.
Vedi per approfondire: “Il “Bestiario” del mosaico medioevale di Otranto: approfondimenti su alcune creature raffigurate (mostri, animali, piante, ecc.)“.
Oltre al leone, in basso a destra troviamo anche l’orso (mi sembra), due animali che mi piace ricordare non mancano nelle leggende bibliche di Davide, tra le sue imprese giovanili vi è infatti lo scontro con un leone e con un orso; sorta di iniziazione personale, di palesamento del proprio valore, di lotta coraggiosa contro la ferinità primordiale della Natura per un’ascesi dell’uomo e dell’umanità tutta nella storia secondo certo pensiero teologico.
Con più certezza legato a Davide è Re Salomone, che fu suo figlio, rappresentato insieme alla Regina di Saba rispettivamente in due prossimi tondi nel mosaico pavimentale sempre della zona del presbiterio della medesima Cattedrale di Otranto.
Mi piace qui osservare come in epoca medioevale un motivo iconografico che assai si afferma nell’ambito dell’arte cristiana medioevale tra l’XI e il XV secolo e che coinvolge il simbolo dell’albero nella sua valenza semantica di albero genealogico è il cosiddetto Albero di Jesse (o Iesse): rappresenta una schematizzazione dell’albero genealogico di Gesù a partire da Jesse, padre del re Davide. Tra i suoi rami vi compare raffigurato pertanto anche Re Davide e Re Salomone suo figlio, alla sommità si trova Gesù, a volte in croce, a volte bambino, sulle ginocchia della Madre in trono.
L’Albero di Jesse vede raffigurato alla sua base il personaggio Jesse, solitamente rappresentato coricato, semi-coricato o in un’iconografia meno antica seduto, già questo basta per concludere che a Otranto nel mosaico pur con tutti gli alberi che vi sono raffigurati non abbiamo un vero e proprio Albero di Jesse, ciò non toglie che qualcosa in comune nel complesso possiamo trovare se teniamo conto che nel mosaico otrantino comunque non mancano le rappresentazioni tanto di Davide quanto di Salomone. Non solo, dallo studio che abbiamo fatto sulla possibile presenza dei Re Magi nel mosaico, abbiamo potuto avanzare delle ipotesi sulle scene un tempo presenti nelle parti oggi mancanti del mosaico ai fianchi dell’altare, e abbiamo così potuto ipotizzare proprio la presenza di una Maria in trono con Bambin Gesù che completava la scena della Adorazione dei Magi. Abbiamo anche immaginato la raffigurazione della Crocifissione nella simmetrica parte mancante sull’altro fianco dell’altare. Aggiungiamo infine il riconoscimento della figura di Cristo nel mosaico dell’abside con individuazione della scena della Anastasis.   
Sempre nel filone dei confronti iconografici e dell’indagine nelle fonti, nonché nello studio di aspetti naturalistici, osserviamo ora alcune similitudini stilistiche nel mosaico di Otranto nel ciclo di Giona rispetto allo stesso tema raffigurato nei mosaici paleocristiani della Basilica di Aquileia del IV sec. d.C.
Giona all’ombra della pianta di “qikaion” (questo il nome originario nella Bibbia della pianta), mosaico nella Basilica di Aquileia del IV sec. d.C. Immagine tratta dal link.
Giona all’ombra della pianta di “qikaion” (questo il nome originario nella Bibbia della pianta), mosaico medioevale, pavimento, abside, Cattedrale di Otranto.

La pianta ritratta nei due mosaici, il “qikaion” biblico, viene raffigurata nello stesso modo dal punto di vista botanico.

Per approfondire sul “qikaion” tra “cucuzza” (zucca bottiglia anche lunga) e ricino rimando al mio articolo dal titolo “Il “Bestiario” del mosaico medioevale di Otranto: approfondimenti su alcune creature raffigurate (mostri, animali, piante, ecc.)“.

Riguardo a queste similitudini tra il ciclo di Gina a Otranto e quello sempre musivo pavimentale ma più antico di Aquileia non dimentichiamo che Aquileia è nel Nord Adriatico ed era al tempo nell’area di grande influenza veneziana e marciana. E negli affreschi del XII sec. d.C. grande risalto è dato proprio nella cripta della cattedrale di Aquileia alla figura di San Marco considerato dalla tradizione antica l’evangelizzatore di quelle terre dove predicò su mandato di San Pietro.

RICAPITOLANDO
scinderei quanto scritto in questo mio scritto in tre macrotemi (più piccoli approfondimenti sparsi sul mosaico):
1) confronto dell’immagine dall’epigrafe misteriosa con le icone di San Marco e le loro epigrafi
(questa diciamo la parte più importante del post)
2) interrogativi su un qualche legame concettuale per i committenti ed esecutori del mosaico con Venezia, e non mancavano certamente all’epoca numerosi veneziani a Otranto con i loro interessi economici e attività, se l’ipotesi precedente è giusta su San Marco, dato che di tutti gli evangelisti o addirittura di tutto il Nuovo Testamento (buon ladrone a parte) sul grande mosaico quel San Marco sarebbe l’unico riferimento esplicito con tanto di didascalia greca in caratteri latini.
Da qui un ulteriore tentativo di spiegazione di altri dettagli della porzione di mosaico in questione data la vicinanza con Samuele e un richiamo al concetto della rosa, e tanto Samuele quanto la rosa sono caratteristici delle tradizioni e dei culti nel sestiere di San Marco a Venezia
3) tenendo conto della rappresentazione di Atlante nel mondo classico l’ipotesi che oltre ad Atlante nel mosaico si è rappresentato nella parte sommitale dell’albero nella navata in questione nei due giganti per statura posti accanto a lui Iperione e Giapeto in quanto i due titani considerati nella mitologia antica i pilastri dell’Est e dell’Ovest, quindi sempre qui il concetto del mosaico che abbraccia l’intero mondo, come nei tondi del mosaico che rappresentano i mesi troveremo i segni zodiacali ad abbracciare l’intero cosmo.

Se teniamo conto che la esegesi incontestabile della parte superiore del mosaico in quella navata porta individuare il gigante filisteo Golia, ancor più l’ipotesi che siano giganti anche i due soggetti non accompagnati da epigrafe, dal grosso corpo, nudi come il titano Atlante e a sinistra rispetto ad Atlante siano giganti, dei titani in particolare, non appare lì forzata.

Icona di ”Sanctus Marcus” Evangelista.
Inoltre l’identificazione dei pilastri del cielo con appunto l’albero che regge il cielo, albero che ha questi valori anche archetipici.
Nella mia lettura mi ha guidato lo studio del nostro salentino “griko” nel quale si familiarizza con il termine “ajo” che vuol dire santo e viene dal greco “άγιος” (“ágios”).
Depista un po’ forse il fatto che nel mosaico otrantino viene ampiamente utilizzato il latino e l’alfabeto latino.
Per cui anche se le prime lettere dell’enigmatica epigrafe del mosaico della navata di destra possono far pensare al nome Marco, forse ci si sarebbe attesi un “SANCTUS MARCUS” (come nella icona qui a destra), e questo ha impedito sino ad oggi a corretta esegesi della figura corrispondente alla epigrafe.
Esiste però ad esempio questa tipologia di icona bizantineggiante qui a sinistra sempre di San Marco ma utilizzante il termine greco “agios” (“agius”) per “santo”.
Un’icona bizantineggiante di San Marco Evangelista dal “Lindisfarne Gospels“.

Né mancava all’epoca un’ampia presenza nel territorio salentino di icone affrescate con iscrizioni in lingua greco/griko.

Ha poi ulteriormente forse depistato il fatto che qui nel mosaico l’aggettivo sia stato posposto al nome e quasi attaccato ad esso.
Ma per il resto ci siamo fortemente nell’iconografia anche dello sgabello con cuscino.
Sembra quasi come se Pantaleone avesse di fronte come sua guida per San Marco un’icona molto simile a questa.
Un indizio tutto questo di una situazione di bilinguismo già allora tra romanzo (e latino per i dotti) e griko (e greco per i dotti) in terra salentina.
Non solo rispetto all’impostazione solita l’attributo di santo è posposto al nome dell’Evangelista ma il tutto dal punto di vista musivo è scritto in maniera veramente pessima. Anche sotto l’epigrafe di Samuele.
Per spiegare tutto questo mi viene in mente un’ipotesi: forse il committente non apprezzò che non fossero state aggiunte nella prima stesura le epigrafi in quella zona, una biblia pauperum interamente per immagini, e chiese di aggiungere alcuni riferimenti epigrafici, che non trovando spazio a sufficienza costrinsero a delle scritture così tanto sgangherate?
Nei secoli recenti di studi internazionali intorno al mosaico idruntino è stata assai ostica la lettura di quella epigrafe, in cui qui vi abbiamo riconosciuto San Marco. Tantissime e diversissime tra loro le proposte interprentative, ma mai San Marco, anche per l’idea diffusa che nel mosaico otrantino pavimentale del XII sec. d.C. non vi fosse spazio teologico per il Nuovo Testamento, ed invece ciò non era neppure vero data la riconosciuta presenza in esso ad esempio di San Disma. La scritta in tessere musive è nella parte terminale del mosaico di Pantaleone nella navata di destra e si è conservata in parte, ha subito certamente restauri che possono averla in parte alterata, come accaduto probabilmente anche per l’epigrafe nel cartiglio del medesimo personaggio del resto, ma quanto rimane è assai confrontabile con il greco MARCUS-AGIUS (Markos Agios). Del resto se questa immagine pur con tanti elementi iconografici e tanta epigrafe è rimasta misteriosa ed indecodificata fino ad oggi è possibile che ciò sia dovuto a qualche errore-danneggiamento-mal restauro nei secoli dell’epigrafe che ne ha celato la corretta lettura, nonché per la sua originalità di posporre al nome l’attributo di “santo”.
Il perché degli evangelisti solo San Marco nel mosaico otrantino porta alla pista dei riferimenti veneziani, a Venezia. Nel sestiere di San Marco a Venezia si conservavano allora e ancora oggi secondo la tradizione le reliquie di due santi, San Marco nella Basilica detta in suo onore di San Marco e San Samuele (il profeta del Vecchio Testamento) nella Chiesa detta in suo onore di San Samuele. Ciò spiegherebbe perché la scelta di raffigurare, lì dove termina il mosaico della navata e dove sono le cime dell’albero come quasi nel senso di una ascesa cronologica che portò dalla dimensione antica e quindi dal Vecchio Testamento al Nuovo, rispettivamente e proprio Samuele per il Vecchio Testamento con tanto di cartiglio simbolo dei suoi “Libri di Samuele” e dunque del Vecchio Testamento e San Marco per il Nuovo anche egli con cartiglio come si confà ad un evangelista scrittore di Vangeli facenti parte del Nuovo Testamento.
Qui un articolo sulla leggenda del trafugamento e traslazione della reliquia della salma di San Marco da Alessandria d’Egitto fino a Venezia via mare passando ovviamente per il Canale d’Otranto (non sappiamo se corteggiando la riva orientale o quella occidentale dell’Adriatico, né se fecero scalo anche a Otranto durante il tragitto, ma non possiamo escluderlo né escludere che vi fosse a Otranto una qualche tradizione/leggenda legata al passaggio della reliquia).
Un evento assai simile a quello che poi vide portare a Bari da Mira le reliquie di San Nicola con costruzione di una basilica apposita per custodirle e grande lustro acquisito dalla città. E anche per portare via mare San Nicola a Bari obbligato fu il passaggio dal Canale d’Otranto.
Se venisse confermata l’interpretazione lì a Otranto di San Marco, sarebbe anche una bella presenza del greco (griko?) nel mosaico.
Vediamo ad esempio come viene chiamata in greco la città di Galatina solitamente chiamata in dialetto locale “San Pietro”, data la venerazione del Santo in essa.
Icona bizantina di San Pietro. Epigrafe in greco e alfabeto greco “Ο Άγιος Πέτρος” (letteralmente “Il Santo Pietro”). Pietro regge un rotolo. A lui sono attribuite delle lettere che sono incluse nel Nuovo Testamento.

Viene chiamata “As Pedro”.

Così come “As” accompagna in griko al posto di “San” il nome di tanti altri luoghi che nel dialetto romanzo iniziano con un “San”, ad esempio San Foca, San Cesario, San Cosma, eccetera.
Deriva dal greco “agios” (santo), contratto in “as”.
ancora oggi in Grecia non è difficile trovare delle località che si chiamano ad esempio “Agios Petros“, che è l’epigrafe che accompagna poi sovente San Pietro nell’iconografia bizantina:
Toponimi salentini griki con nomi di santi cristiani.
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APPROFONDIMENTO SULL’ETIMOLOGIA DI GALATINA: per Galatina come per Galatone come per Gallipoli invito a battere quella che potrei battezzare come “la pista pliniana”: origine legata ad una presenza in quella zona di Galli senoni,

furono poi alcuni nostri umanisti a non gradire questa identificazione, (che si può trarre dalle fonti romane, da Plinio), e distorcendo fonti ed etimologia tentarono in tutti i modi di rafforzare una genealogia toponomastica greca.

Non discuto dell’origine del singolo nucleo di Galatina qui, ma sento che nella zona circola un diffuso toponimo legato ai Galli-Galati
che è quello che ritengo vada approfondito.
Vedi per approfondimento questo mio post e i miei commenti ad esso: “I CELTI IN SALENTO?
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Crea stupore immaginare che vi possa essere in quella porzione del mosaico un riferimento così forte al Nuovo Testamento con un evangelista, ma anche se soltanto l’iniziale del suo nome misterioso fosse Marco, come l’epigrafe può fare pensare, già questo ci porterebbe da solo nel mondo romano a cui il nome Marco appartiene, e con il mondo romano che incontra quello ebraico-cristiano siamo praticamente già nel Nuovo Testamento!
E anche poi nell’ipotesi del mosaico come biblia pauperum, racconto per immagini facilmente leggibili e comprensibili alle masse analfabete e non, non sarebbe assai strano mettere lì un personaggio dal nome tanto apparentemente astruso non noto a nessuno quale quello dell’epigrafe come ad oggi immaginata (ciò come nome intero MARGUACIUS)?
Per il discorso di Atlante vanno bene le ipotesi di lettura della figura nell’ambito delle allegorie cristiane, come tentato da parte di vari studiosi, però cercare di individuare tutti i simboli del mosaico nel loro primo livello di significato credo sia la cosa più importante all’inizio, prima ancora di avventurarsi in tentativi di spiegazione dell’intera scelta compositiva di tutta l’opera. Così ad esempio se vediamo una creatura con la testa umana e il corpo di cavallo non ci lanciamo subito nel trovare il suo valore di allegoria ma diciamo “l’artista ha utilizzato il simbolo preso dalla mitologia greca (che gli era nota) del Centauro”, poi si passa nell’analisi alla ricerca del valore di allegoria cristiana e ci si chiede perché l’artista o il committente ha voluto lì quel simbolo del centauro.
Da un punto di vista teologico la comparsa di un riferimento neotestamentale nelle parti sommitali del mosaico non la trovo strana o anomala, avendo letto come connotato da un concetto di evoluzione ed elevazione spirituale dell’umanità tutto il mosaico proprio nel verso crescente degli alberi che si sviluppano lungo tutte le navate dalla dimensione terrena materialista verso quella celeste spirituale, e così dalle origini del creato e dell’umanità attraverso il Vecchio Testamento verso il Nuovo.
Il Vangelo allora comparirebbe (con San Marco) proprio là dove comincia lo spazio più sacro degli altari dove si leggono i Vangeli nel rito della messa.
Questo per quanto concerne la navata destra, ma un ulteriore terzo elemento riconducibile al Nuovo Testamento lo troviamo anche nei mosaici lungo l’asse centrale della chiesa, non mi riferisco qui al già citato San Disma che è nella navata centrale, ma al simbolo della coppa dell’Ultima Cena e quindi del rito eucaristico che compare proprio nel punto conclusivo del mosaico nell’abside; abside in cui la narrazione del mito biblico del Vecchio Testamento di Giona ci dice che il mosaico va letto in verso antiorario, a cominciare da destra per finire a sinistra, e lì nel punto finale dove lo spazio musivo lascia il posto all’altare centrale, luogo preposto al rito eucaristico nella messa in cui si ritiene avvenga la transustanziazione, ovvero la magica conversione del vino contenuto nella coppa nel sangue di Cristo, troviamo un giovane nudo con le gote rosse con in mano una coppa pregevole, forse d’oro, adorna di pietre preziose incastonate, tra cui spiccano quelle verdi. E’ con molta probabilità la coppa calice eucaristico dove vi è il vino o le ostie, e nella navata centrale si è rappresentato Noè che dopo il Diluvio universale pianta una vigna e la cura aiutato dai figli, secondo il racconto biblico, (con piante di vite coltivate rappresentate nel mosaico ad alberello come ancora nella tradizione agronomica vitivinicola salentina), per produrre vino e poi berne da parte di Noè fino ad ubriacarsi.
Ma oltre che calice eucaristico quella coppa potrebbe anche essere il Graal o come qui ho approfondito un contenitore da doni da Re Magi!
Forse la più antica rappresentazione medioevale del Graal, coppa preziosa nel mosaico pavimentale medioevale nella Cattedrale di Otranto – zona dell’abside? La mia analisi iconografica del contesto e con confronti mi porta ad individuarvi in essa una coppa da re magio come suo primo significato nel mosaico.  Ci potrebbe essere dunque nel mosaico anche un terzo riferimento al Nuovo Testamento nel mosaico, oltre all’assodato San Disma con la sua croce a tau (o quasi a tau), e al qui proposto San Marco: il calice-coppa eucaristica dell’Ultima Cena se vi vediamo il Graal, o idem se vi vediamo una coppa da re magio. Ma proseguendo l’analisi ho individuato nel mosaico anche ulteriori riferimenti al Nuovo Testamento che non erano stati ben riconosciuti ad oggi, ad esempio il motivo della Resurrezione di Cristo. Vi ho riconosciuto anche un riferimento all’Apocalisse di Giovanni. Per non parlare poi dei numerosi riferimenti al Nuovo Testamento nel mosaico della navata sinistra della Cattedrale di Otranto.
L’ipotesi che formulavo che possa trattarsi di un calice eucaristico viene dalla sua ubicazione adiacente all’altare principale della chiesa; sarebbe quindi in tal caso un richiamo simbolico all’Ultima Cena che è un evento narrato nei Vangeli, quindi nel Nuovo Testamento.
La presenza in quel punto finale prossimo all’altare della coppa quale possibile simbolo del Calice eucaristico (ed anche eventualmente del Graal quale Calice eucaristico dell’Ultima Cena narrata nei Vangeli, una idea concettuale in merito al Graal che non mancherà di affermarsi nella letteratura successiva), e la presenza del Vangelo di Marco nel punto finale della navata di destra nei pressi degli altari creano anche un possibile legame tra le due figure se leggiamo il passo del Vangelo di Marco seguente:
“Ultima Cena” dal Vangelo di San Marco.
L’ipotesi, che mi è scaturita spontaneamente diversi anni fa studiando meticolosamente il mosaico e che qui espongo, ovvero che potesse anche trattarsi proprio della rappresentazione del calice Graal della tradizione cavalleresca medioevale in sovrapposizione di significato con la coppa eucaristica, come ben possibile dati i significati e la natura del Graal nella tradizione medioevale, la formulavo per la vicinanza spaziale di questa scena del fanciullo, o apparente fanciullo, uomo puro con la coppa, con un enigmatico complesso di figure collocato nel mosaico della navata centrale, dove compare proprio Re Artù, nonché per la vicinanza di tale coppa con l’altare luogo della celebrazione eucaristica nella messa. L’ipotesi esegetica graalica per quella coppa si ritrova indipendentemente anche in molti altri studiosi contemporanei del mosaico otrantino ho scoperto poi. Una ancor più attenta indagine iconografica mi ha portato dal contesto e con confronti a riconoscervi in essa come primo immediato significato una coppa de re magio.
Per ulteriori molto interessanti aspetti legati alla materia arturiana e al Graal nel mosaico di Otranto rimando a questo ulteriore articolo di approfondimento:
Per il riconoscimento in quella misteriosa coppa di una coppa-contenitore di doni da Re Magi come primo significato rimando a questo sempre mio ulteriore articolo:
APPROFONDIMENTO SUL FAMOSO LEONE QUADRI-CORPOREO DEL MOSAICO IDRUNTINO valutando se possa essere letto in chiave “San Marco-Venezia”

Ora percorrendo la pista veneziana aperta dalla possibile scoperta di San Marco nel mosaico e solo lui tra gli Evangelisti, chiediamoci se vi sono nel mosaico altri elementi riconducibili al Venezia, e il pensiero corre subito al leone simbolo di San Marco e quindi di Venezia già allora. Abbiamo già osservato la presenza di un leone raffigurato nel mosaico in una scena di zoo-machia non distante da San Marco nella navata destra.

Ma nel mosaico il leone è anche presente in uno dei suoi più enigmatici simboli ad oggi: il leone quadricorporeo che occupa insolitamente immenso una ampia porzione del mosaico nella navata centrale.

Si son versati fiumi di inchiostro per cercare di penetrare il mistero di questa figura dalla grande forza magnetica di suggestione sullo spettatore, rappresentata alla stessa altezza dell’ascesa al cielo di Re Alessandro Magno. C’è chi vi ha visto un simbolo del Regno dei Normanni nel sud Italia, chi invece della Chiesa vittoriosa e raggiante come un solleone. Fatto sta che si tratta di un simbolo assai raro, quasi unico. Quasi.

 

Leone quadri-corporeo, mosaico pavimentale medioevale della Cattedrale di Otranto, navata centrale. Secolo XII d.C.  Notiamo la disposizione dei corpi e della criniera a formare una croce a bracci uguali (croce greca).
Nel libro L’Enigma di Otranto” pubblicato nel 1980 si parla di questo simbolo solamente osservato su tessuti e smalti. Potrebbe essere un simbolo certamente più antico e maggiormente diffuso in area orientale ma mi sono chiesto se magari non comparisse in area veneziana.

Ho allora cercato altri esempi in letteratura, digitando sul motore di ricerca Google “lion with four bodies” in inglese senza specificare il luogo, e oltre all’esempio otrantino mi è apparso un solo altro esempio, un bassorilievo conservato in un museo istriano datato allo stesso secolo del leone quadri-corporeo idruntino. Diversa è la composizione ma il motivo di fondo concettuale è il medesimo, un leone con quattro corpi convergenti in un’unica testa:

Bassorilievo romanico della tipologia “ornamenta ecclesiae” dal Museo regionale di Capodistria, XII sec. d.C. Immagine tratta dal link.

 

In Istria, ornamento di chiese, datato al XII sec. d.C. (stesso secolo del mosaico idruntino), in area di forte influenza veneziana, Venezia per la quale già era iconico il simbolo di San Marco e il suo leone.

Lo si è voluto interpretare questo bassorilievo come se il leone stesse azzannando sé stesso, con lettura allegorica conseguente, ma potrebbe non essere questo che vuol comunicare la composizione. Così come non c’è autofagia nel coevo simbolo idruntino simile.
Al tempo l’area istriana era ben più del Salento nell’area di maggiore influenza della vicina Repubblica marinare di Venezia:
Mappa delle zone di influenza della Repubblica di Venezia intorno all’anno 1000. Si osservi quanto forte era l’influenza veneziana sull’Istria.

 

Non posso escludere che sia anche un simbolo orientale più antico. Ma data la sua presenza coeva in area di maggiore influsso veneziano nel nord Adriatico la pista di indagine diventava assai stimolante!

Ho coinvolto nella ricerca di eventuali altri leoni quadricorporei tramite Facebook appassionati esperti di cultura veneziane. Mi ha risposto Roberto Monegato che mi ha invitato a dei confronti anche con le “patare” veneziane. Sono bassorilievi marmorei che si trovavano generalmente affissi ai muri esterni delle case/palazzi della città di Venezia. Molte di quelle raffiguranti San Marco furono distrutte, mi dice, per ordine di Napoleone. “Patara” credo sia un termine vernacolare veneziano che deriva da patera, che vuol dire piatto. Roberto ricorda di averne vista una con un leone quadricorporeo non molto diverso da quello così iconico nel mosaico idruntino proprio sulle facciate della Basilica di San Marco in Venezia.
Particolare dalla facciata a settentrione della Basilica di San Marco in Venezia.
Particolare dalla facciata a settentrione della Basilica di San Marco in Venezia.
Seguendo le indicazioni di Roberto Monegato ho cercato foto delle facciate della Basilica di San Marco in Venezia online, e lì sulla facciata a Nord, che dovrebbe essere stata realizzata incastonando nel marmo soprattutto opere precedenti locali o di spoliazione (ad esempio dalla presa di Costantinopoli del 1204) troviamo non solo una “patara” con il grifone, simbolo assai comune nel medioevo anche a Otranto, ma anche una “patara”, un tondo in bassorilievo, proprio con il più enigmatico dei simboli del mosaico di Otranto: il leone quadricorporeo. 
Basilica San Marco in Venezia, facciata nord. ”Patara” con leone quadricorporeo.
Non conosco di preciso la provenienza e il secolo di questo bassorilievo che è sulla facciata settentrionale della Basilica di San Marco in Venezia, però se consideriamo l’esemplare simile trovato nella vicina Istria del XII sec. in area di grande influenza veneziana, tutto questo ancor più avvalora l’idea di un Gionata e/o di un Pantaleone legati alla figura di San Marco che con il leone si identifica, come con il leone e San Marco si identificavano i veneziani “pianta leoni” in ogni dove andassero o mettessero radici o gettassero l’ancora figurativamente per loro parlando. E ancora oggi il legame dei veneziani con San Marco ed il leone è viscerale.

E’ un reperto dunque da confrontare con la formella decoro di chiese datata al XII sec. d.C. trovata in Istria, sempre area di forte influsso veneziano, e mostrata sopra.

Consideriamo che nell’area pugliese il leone quadricorporeo in mosaico di Otranto è un unicum. Certamente se ne troveranno nell’arte altri esempi nel mondo, ma a Otranto la sua presenza musiva imponente sembra avvalorare la pista di una cultura e influsso veneziano sul committente del mosaico e/o sul suo esecutore Pantaleone il cui nome è sì intriso di grecità, come di grecità è intriso il Salento, ma è anche assai assonante con la cultura di Venezia come approfondiremo di seguito.

Che sia dunque anche il leone quadri-corporeo un simbolo di San Marco, e quindi con riferimento implicito a Venezia?

Quand’anche non nascesse come simbolo di San Marco dal suo ritrovamento sulle facciate della Basilica di San Marco in Venezia e in Istria dobbiamo pensare che per i veneziani lo sia divenuto, veneziani che importarono sculture di leone da ogni dove arricchendo con esse la loro città per la sanmarcomania patriottica che li ha connotati nel corso della storia.

Quel simbolo se arcaico può già derivare da una merkavah leonicizzata, in ambiente cristiano esso potrebbe rappresentare un tetramorfo (un simbolo che porta in ambiente cristiano, con nuovi significati aggiunti, un simbolo più antico veterotestamentale la merkavah) leonicizzato.

Potrebbe essere frutto di una sorta egemonizzazione tramite il leone del tetramorfo che è il simbolo rappresentante dei quattro Evangelisti insieme attraverso i loro rispettivi simboli (aquila, toro, angelo, leone) in forma simmetrica di equi-importanza.

 

Un esempio dall’arte gotica medioevale del tetramorfo.

 

Come possiamo notare nel leone quadri-corporeo idruntino non manca il simbolo della croce centrale che troviamo nel tetramorfo, criniere e corpi dei leoni son disposti infatti a formare una croce centrale. Come anche la quadri-ripartizione del complesso figurativo dei corpi dei quattro leoni convergenti in un’unica testa nel bassorilievo ornamento di chiese istriano forma una centrale croce.

 

Leone quadri-corporeo (o tetra-corporeo che dir si voglia, “tetra” dal greco indica il numero quattro), immagine in bianco-nero, mosaico pavimentale medioevale della Cattedrale di Otranto, navata centrale. Secolo XII d.C. Notiamo la disposizione dei corpi e della criniera a formare una croce a bracci uguali (croce greca).

 

Il leone è il simbolo di San Marco. Si affermerebbe così con un eventuale simbolo di questo genere in maniera nascosta, anche magari per azione solo inconscia negli autori dell’opera e/o della sua scelta, una superiorità di San Marco rispetto agli altri Evangelisti a voler indicare e propiziare una supremazia di Venezia, (o semplicemente la rappresentazione della Chiesa ma dal punto di vista di un vescovo culturalmente legato a Venezia e al suo protettore l’Evangelista San Marco quasi dal valore eponimo per Venezia). Una eresia concettuale praticamente mascherata sotto l’ornamento di chiesa.

Il leone quadri-corporeo di Otranto poggia con alcune zampe su un mostro sottostante impegnato a divorare un altro essere mostruoso secondo iconografie assai diffuse nei bestiari medioevali, (vedi il paragrafo “L’accoppiamento e il parto cruento delle Vipere secondo i bestiari” nel mio articolo al link), non è chiaro se lo stia artigliando o se tale sovrapposizione è solo per motivi di spazio, in ogni caso ciò sarebbe allegoricamente coerente con le varie ipotesi di supremazia e con i vari livelli semantici allegorici cristiani e politici con cui si è voluto leggere il simbolo qui e in proposte di studiosi precedenti. Una supremazia di ciò che il leone quadri-corporeo allegoricamente rappresenta sul male, sui quei poteri giudicati negativamente e raffigurati simbolicamente in forme dragonesche serpentiformi che cercano di perpetuarsi-rigenerarsi.

Riassumendo: nell’approfondimento del mosaico pavimentale medioevale di Otranto vi è una epigrafe ad oggi non compresa, in essa mi è parso di poter leggere in greco “San Marco” aprendo così una pista veneziana possibile per la comprensione dei misteri di quel mosaico.
L’iconografia, per quanto naïf nel mosaico idruntino, in parte sembra anche corrispondere con quella di un San Marco.
Nel mosaico della navata destra compare un fiero leone che morde un drago (un grosso serpente cornuto minaccioso e scuro) che a sua volta sta mangiando un caprone, è un po’ in basso rispetto al presunto San Marco. Leggo in rete che due leoni medievali raffigurati mentre lacerano dei serpenti e dei draghi si trovano sul muro di una casa nell’area chiamata Traghetto di San Tomà a Venezia.
Tornando al mosaico di Otranto nella navata centrale questa abbiamo la grande rappresentazione del serpente tetracorporeo che nella vista veneziana si potrebbe forse interpretare in chiave marciana come un tetramorfo monopolizzato dal leone simbolo di San Marco. Motivo del leone tetracorporeo di cui si trovano esempi nel nord Adriatico in aree di influenza veneziana.
Nella navata dove compare il presunto San Marco inoltre compaiono due sfingi leonine alate (che chiamiamo “sfingi greche”) e due figure leonine a testa umana piuttosto grottesche (che chiamiamo “sfingi egizie”, “manticore” nei bestiari medioevali), la coda rigonfia con ciuffo in punta qualifica tali figure come semi-leonine (una di queste sfingi egizie sembra esser stata ritratta nel corso di una metamorfosi avendo ancora un piede e mani umane come la testa o semplicemente trattasi di creatura teratomorfa), Vi è una dominanza del simbolo marciano del leone sembrerebbe, soprattutto dunque nella navata destra dove troviamo il presunto San Marco. Lì vi è il grande leone di ottima fattura che azzanna il dragone. Ma anche troviamo il motivo del leone nella navata centrale con il leone quadricorporeo di discreta fattura, aggiungiamo che anche il grifone partecipa come animale chimerico della natura del leone ed esso compare nella navata centrale e nel presbiterio. Nel ciclo dei mesi poi troviamo ancora il leone come segno zodiacale. Ritroviamo anche il leone di ottima fattura nell’area dell’abside nella scena di Sansone che abbatte il leone (dalla criniera stessa mano artistica si direbbe del leone che morde il drago nella navata di destra).
Una testa di leone compare anche nella cornice musiva tra il transetto e la prima epigrafe di inaugurazione dell’opera del mosaico, sulla estrema destra:
Cornice musiva con protome di leone tra transetto e epigrafe di inaugurazione del mosaico del pavimento del 1163 nel Duomo di Otranto.
Quindi questa testa di leone è spazialmente prossima nel presbiterio al presunto San Marco nella navata destra.
Per la presenza di Davide e Samuele vicino (oltre che del qui presunto San Marco), il leone nella navata destra viene letto ad oggi come un riferimento al Leone di Giuda che era il simbolo della tribù ebraica di Giuda (il quarto figlio di Giacobbe). Secondo la tradizione ebraica e cristiana, di questa tribù erano gli antenati di re Davide e di Gesù: il Leone di Giuda è anche un’espressione usata nell’ “Apocalisse di Giovanni” per indicare il Messia. Nessuno qui vuole negare questi i valori semantici per il leone, anche magari come Leone di Giuda e simbolo del Cristo che scaccia il male (drago), o simbolo della Chiesa, ma si vuole indagare perché tra tutti i simboli possibili committenti e autori del mosaico idruntino optarono tanto per i leoni.
LO STILE COSMATESCO NEL MOSAICO DI OTRANTO COME NELLA BASILICA DI SAN MARCO IN VENEZIA
Nel mosaico di Otranto tutto in opus tessellatum compare solamente un disco in opus sectile proprio nei pressi della testa del presunto San Marco:
Cattedrale di Otranto, Atlante, navata destra, mosaico pavimentale del XII sec. d.C.
Ora la presenza di opus tessellatum e opus sectile insieme non è proprio una grande novità a livello pugliese tenendo conto del grifone sul pavimento della Cattedrale di Bitonto.
Questo disco invece credo sia a livello dei pavimenti musivi dell’epoca pugliesi abbastanza raro.
Si tratta in particolare di un disco in “stile cosmatesco” diciamo in Italia con un uso generalizzato del termine; ma è una tipologia musiva ad intarsio, per pavimenti prevalentemente, che prende spunto da uno stile tipicamente bizantino che ritroviamo ad esempio anche in edifici sacri sul Monte Athos. In Italia nell’ XI e XII secolo mosaici pavimentali in questo stile vengono realizzati a Roma, in ambiente benedettino a Montecassino e in Molise, ecc. e tanto in ambiente veneziano, come nella stessa Basilica di San Marco:
Basilica di San Marco a Venezia, pavimenti cosmateschi. Immagine dal Web al link.
O nel Duomo di Murano a Venezia (è la Basilica dei Santi Maria e Donato, il principale luogo di culto cattolico dell’isola di Murano a Venezia), il pavimento dovrebbe essere del 1140:
Nell’Isola di Murano a Venezia, Basilica dei Santi Maria e Donato (Duomo di Murano), il pavimento cosmatesco dovrebbe essere del 1140. Immagine dal Web al link.
Duomo di Murano a Venezia, il pavimento cosmatesco dovrebbe essere del 1140. Immagine dal Web al link.
Duomo di Murano a Venezia, particolare del pavimento cosmatesco che dovrebbe essere del 1140. Immagine dal Web al link.
Data l’esoticità del materiale litico centrale del disco, tipico per quella tipologia di dischi musivi altrove realizzati, nonché per la sua unicità in Otranto, si può ipotizzare che quel  disco in opus sectile fu fatto giungere ad hoc d’altrove, forse un pezzo di spoglio, o un manufatto ad hoc realizzato su commissione,
mi interrogo però sul periodo di sua ubicazione a Otranto.
Per l’ipotesi di un inserimento successivo occorre comunque tener conto che non sembra ci siano state molte attività di adattamento: nel senso che il cerchio eventualmente prelevato altrove avrebbe avuto una sua dimensione difficilmente coincidente con un cerchio musivo in opus tessellatum precedente, e in quella zona le figure in opus tessellatum come le mani del telamone Atlante, come la sua testa con capigliatura non sembrano aver avuto deformazioni-rifacimenti pro-adattamento, né vedo spazi di colmata nel caso fosse stato più piccolo il cerchio in opus sectile di spoglio rispetto al cerchio preesistente dal valore astronomico in opus tessellatum ipotizzato come precedente.
Tale inserimento di un disco cosmatesco a Otranto nei pressi del presunto San Marco rappresenta un elemento di ispirazione veneziana in quel tempo e di richiamo suggestivo a Venezia?
A proposito della rappresentazione della scacchiera nel mosaico pavimentale di Otranto (la vediamo nella navata centrale), troviamo la scacchiera rappresentata anche nei mosaici del Duomo di Murano in ambiente veneziano, questo per ribadire ancora una volta la mia ipotesi di uno strettissimo legame con Venezia per quanto riguarda la genesi del mosaico della Cattedrale di Otranto. Il Duomo di Murano fu edificato nel VII secolo d.C., restaurato nel IX e ricostruito nel XII sec.
OTRANTO MOSAICO: SAN LUCA E LA NAVATA DI SINISTRA
Se comunque a San Marco Evangelista par doversi legare in un certo qual modo il mosaico della navata destra, vedremo come specularmente a San Luca Evangelista si lega maggiormente il mosaico della navata sinistra, anche se San Luca non è direttamente raffigurato.
SIMILITUDINI TRA I MOTIVI NEI MOSAICI DELLA BASILICA DI TORCELLO IN VENEZIA E QUELLI NEL MOSAICO DELLA CATTEDRALE DI OTRANTO
I mosaici nella Basilica di Santa Maria Assunta, a Torcello (Venezia), sono datati tra la seconda metà del XI secolo e la seconda metà del XII secolo d.C. Soprattutto quelli della facciata interna, cioè i sei settori orizzontali in cui sono rappresentati la Crocifissione, l’Anastasis e il Giudizio Universale con Paradiso e Inferno, sono databili tra la fine dell’XI e gli inizi del XII secolo d.C. Lo stile è bizantino.
Basilica di Santa Maria Assunta a Torcello (Venezia), mosaico della facciata interna. Last judgment mosaic. Immagine dal Web al link.
Vi vediamo in basso San Disma accanto alla porta del Paradiso, una scena che in maniera ben più naïf già abbiamo visto nel mosaico di Otranto e qui discusso: San Disma e la porta del Paradiso vicino a lui son nella navata centrale di Otranto.
Sempre nella parte bassa della facciata interna della Basilica di Torcello troviamo la scena del Paradiso con l’iconografia del “seno di Abramo”, cioè Abramo con in braccio un beato (forse Lazzaro), circondato dalle anime salvate (le animelle dei defunti senza peccato) a sinistra, e a destra la rappresentazione dell’inferno con le anime dei dannati tormentate nel fuoco e da demoni e poco sopra l’immagine di Satana assiso su un trono di serpenti dragoneschi, lo stesso schema compositivo che troviamo nel mosaico idruntino nella navata sinistra come discusso nel mio articolo dal titolo “Il Vangelo di Luca nel mosaico della Cattedrale di Otranto nella navata sinistra“. Vi troviamo persino anche a Torcello la scena della psicostasia, la pesata della anime effettuata da un angelo con bilancia a due braccia, e tantissime altre similitudini per cui rimandiamo all’approfondimento “Il Vangelo di Luca nel mosaico della Cattedrale di Otranto nella navata sinistra“.
Nella parte alta troviamo la scena della Anastasi (che in greco vuol dire “resurrezione”) che ci richiama proprio la scena dell’Anastasi che tramite altri confronti abbiamo riconosciuto in una ad oggi enigmatica rappresentazione nell’abside del mosaico di Otranto, dove forse anche vi era una oggi logora epigrafe così come appare un’epigrafe nella stessa posizione relativa a Torcello rispetto alla testa del Cristo risorto, ne discutiamo in questo mio articolo: “Cristo Risorto è raffigurato sul mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto?!“.
Cristo Pantocratore siede su un trono non dissimile da quello del qui ipotizzato Evangelista San Marco nel mosaico di Otranto:
Dai mosaici nella Basilica di Santa Maria Assunta, a Torcello (Venezia). Cristo Pantocratore. Immagine dal Web al link.

Nel clipeo dell’Agnus Dei nei mosaici di Torcello vediamo degli angeli che lo reggono a mo’ di telamoni,

 

Dai mosaici nella Basilica di Santa Maria Assunta, a Torcello (Venezia). Clipeo con Agnus Dei. Immagine dal Web al link.

 

in questo con similitudini con il telamone (Atlante) che regge il disco della sfera celeste o solare nel mosaico di Otranto nella navata destra per l’approfondimento del quale rimando a questo mio articolo: “I giganti telamoni nel mosaico medioevale della Cattedrale di Otranto“.

Il confronto tra i due mosaici ha permesso poi di individuare anche nella navata centrale idruntina scene marine dell’Apocalisse di Giovanni – Giudizio Universale, ne discuto in questo articolo: “La scoperta dell’ “Apocalisse” nel mosaico medioevale di Otranto!“.

Le similitudini e lo stile superiore dei mosaici di Torcello nonché la loro datazione di poco precedente, almeno per quanto riguarda la facciata interna rende assai improbabile escludere un influsso diretto sul progetto musivo idruntino!

Vedi anche il mio ulteriore approfondimento in merito qui linkatoChi progettò il mosaico figurato di Otranto si ispirò ai mosaici di Torcello a Venezia? Perché? La pista veneziana!“.

DA DOVE VENIVA L’ARCIVESCOVO GIONATA COMMITTENTE DEL MOSAICO?
A questo punto ritorna l’interrogativo su come mai nel Regno normanno del sud Italia, il cui re è magnificato e ricordato nelle epigrafi del mosaico si sia voluto dare tanto spazio a Venezia, seppur in forme non esplicite ma simboliche.
 
Forse ad un certo punto mancarono i finanziamenti per proseguire l’opera e l’arcivescovo Gionata ricevette una donazione dai ricchi veneziani cristiani presenti a Otranto e volle omaggiarli inserendo dei simboli veneziani nell’opera, a partire da San Marco?
 
Gionata era un arcivescovo certamente megalomane come ha evidenziato lo studio psicologico del personaggio a partire dal mosaico dove lo vediamo citato, si fa infatti citare più volte insieme al re normanno in carica nelle legende del mosaico, e vi fa accostare il suo nome spazialmente alla figura del saggio Re Salomone. Dai dati storici sappiamo anche che non doveva essere uno sconosciuto presso la Curia romana.
Mosaico medievale pavimentale della Cattedrale di Otranto realizzato negli anni 1163-1165, particolare di una sua epigrafe musiva nella navata centrale esplicitante il committente della grande opera musiva, l’Arcivescovo di Otranto Gionata (“IONATHAS”).
 
Nasce allora un interrogativo: e se fosse stato lui stesso di origine grossomodo veneziana? Così si spiegherebbero più facilmente gli inserti veneziani nel mosaico qui ipotizzati.
 
Sappiamo che il vescovo Gionata fu in carica nella arcidiocesi di Otranto da prima del 1163 a dopo il 1179.
In particolare riportiamo dalla cronotassi dei vescovi dell’Arcidiocesi di Otranto questi dati in merito al periodo di carica vescovile su di Gionata e del suo successore:
  • Gionata † (prima del 1163 – dopo il 1179) [Fonte Kamp, Kirche und Monarchie…, vol. 2, pp. 714–723.]
  • Lucio † (1182 – 1185) [Documentato da: Cronotassi, iconografia e araldica dell’episcopato pugliese, Bari 1984, p. 262.]

Scopro cercando nella letteratura in rete solo un altro vescovo con il nome Gionata, egli fu in carica nella diocesi di Concordia-Pordenone suffraganea del Patriarcato di Venezia da prima dell’aprile del 1180 fino al 13 settembre 1187 data della sua morte.

In particolare riportiamo dalla cronotassi dei vescovi della Diocesi di Concordia questi dati in merito al periodo di carica vescovile dell’omonimo Gionata e del suo predecessore:

  • Gerardo † (prima del 1177 – 1179 o 1180)
  • Gionata † (prima di aprile 1180 – 13 settembre 1187 deceduto)

In una bolla di papa Urbano III del 12 marzo 1186 al vescovo Gionata vengono elencati per la prima volta tutti i possedimenti e le proprietà sotto la giurisdizione dei vescovi concordiesi, tra cui quaranta pievi.

Concordia Sagittaria è nella città metropolitana di Venezia, in Veneto dunque.

Nasce allora l’interrogativo data anche la buona coincidenza ad incastro quasi perfetta delle date dei loro munus e proprio la correlazione tra Otranto e Venezia se non si tratti della stessa persona, un vescovo che fu spostato da Otranto a Venezia, che ipotizziamo sia la sua città o zona natale presso cui magari aveva sempre cercato, chiesto e sperato di poter tornare su mandato papale. Questa l’ipotesi che lascia ipotizzare l’analisi dei dati prosopografici fin qui considerati.

Venezia sua città natale ipotizzata sulla base della sua richiesta, che ipotizziamo qui, di inserire nel mosaico idruntino San Marco privilegiatamene e il suo correlato simbolo del leone, (lasciando poi magari certa libertà compositiva all’esecutore materiale del mosaico il presbitero Pantaleone, (forse autoctono grecanico della zona, come qualcuno pensa dato il nome diffuso nella forma contratta Pantaleo ancora oggi in Salento, o forse di origine veneziana), o interagendo fortemente con lui anche per altre scelte in merito al progetto musivo, e non sappiamo con che manovalanze, qualcuno ipotizza normanne dato lo stile naïf di tante figure nonché, possiamo aggiungere, per alcuni motivi che pure si ritrovano in chiese medioevali francesi.

Fonti su cui approfondire: quei due vescovi omonimi coevi e cronologicamente ben successivi nei loro mandati in luoghi diversi, emersi proprio dal confronto delle fonti, sono lo stesso vescovo o solo una coincidenza? Al momento non lo sappiamo, ma abbiamo ora almeno una pista interessante di indagine che prima non avevamo.

E comunque al di là di tutto, visto che non abbiamo documenti che ci dicono che il vescovo Gionata sia morto a Otranto, se appena scompaiono le notizie di presenza di Gionata a Otranto ricompare un vescovo omonimo in altra diocesi italiana, e poi in questa seconda diocesi egli muore alcuni anni dopo (quindi immaginiamo che fosse ormai anziano), questo non è già un elemento interessante da approfondire, tanto più se si tiene conto della rarità al tempo del nome Gionata negli elenchi dei vescovi?

Ipotesi e fortissime suggestive coincidenze, e oltre ad ora non possiamo andare.

 

Ricapitoliamo presentando anche un inquadramento storico della questione:

DA DOVE VENIVA L’ARCIVESCOVO GIONATA COMMITTENTE DEL FAMOSO MOSAICO PAVIMENTALE DELLA CATTEDRALE DI OTRANTO?
Il vescovo Gionata di Otranto è in carica a Otranto sappiamo fino almeno al 1179.
Non abbiamo per lui ad Otranto date di decesso.
Un vescovo omonimo si insedia nella diocesi veneziana di Concordia nel 1180, e lì poi muore nel 1187.
La diocesi di Concordia-Pordenone (in latino Dioecesis Concordiensis-Portus Naonis) è una sede della Chiesa cattolica in Italia suffraganea del patriarcato di Venezia.
Data la misteriosa scomparsa di Gionata da Otranto, misteriosa chiaramente per la lacuna delle fonti, ho cercato vescovi con il nome Gionata in quel periodo, per scoprire se mai fosse sostenibile l’ipotesi di un suo trasferimento in altra diocesi.
Il nome Gionata è praticamente rarissimo negli elenchi dei vescovi, ciò nonostante ho ritrovato proprio un vescovo del medesimo nome Gionata che arriva alla diocesi veneziana di Concordia, compatibilmente con la fine cronologicamente parlando del mandato nell’arcidiocesi di Otranto del vescovo Gionata che commissionò il famoso mosaico per il quale ho ritrovato tantissimi elementi proprio di influenza culturale e religiosa veneziana, persino forse la raffigurazione del solo San Marco con i suoi iconici leoni anziché la rappresentazione dei quattro Evangelisti insieme, persino elementi fortemente veneziani nel nome del presbitero mosaicista Pantaleone.
Da qui l’ipotesi che si tratti della stessa persona:
che il vescovo Gionata provenisse proprio da area veneziana, e che giunto a tarda età chiese di essere trasferito in una diocesi nella sua terra di origine veneziana;
dopo aver fatto comunque a Otranto gli interessi anche dei mercanti veneziani, veneziani che forse anche finanziarono in parte i lavori per la realizzazione del mosaico di Otranto che celebrava, per quanto possibile nonostante le maestranze non eccelse (se facciamo il confronto con i mosaici normanno bizantini di Palermo o i mosaici della Basilica di San Marco a Venezia), la figura del medesimo vescovo ma anche la cultura veneziana.

 

Teniamo conto sempre che era Roma che poteva decidere i vari vescovi.
Teniamo conto dei giochi di diplomazia che Venezia era in grado di sviluppare.
Non dimentichiamo anche l’ambivalenza di rapporti che Venezia tenne con gli altri centri di potere del Mediterraneo, anche con la stessa Bisanzio poteva passare da un anno al successivo da ottimi rapporti a vere e proprie guerre.
Così fu al fianco dei bizantini contro i normanni quando essi conquistarono il sud Italia nell’XI sec. d.C., ma sul finire del XII sec. d.C. entrò addirittura in guerra contro Bisanzio, nonostante i tanti privilegi avuti da Bisanzio proprio durante il conflitto contro i Normanni. Per poi successivamente addirittura dirottare una crociata diretta in Terra Santa verso il saccheggio più che sacrilego della cristiana Costantinopoli (il Sacco di Costantinopoli del 1204).
Ai veneziani non interessava sempre conquistare territori quanto tutelare interessi mercantili in punti strategici delle loro rotte commerciali tramite anche piccoli quartieri con suoi mercanti.
Inoltre non conosco le fonti di questo passo ma spesso nella esposizione online della storia di Otranto in breve vedo che viene presentato il periodo della dominazione normanna come periodo di fulgidi scambi commerciali con Venezia, grossomodo trovo queste parole “Otranto ebbe nei secoli XI e XII d.C. una vita intensa, per i mercanti veneziani, dalmati e levantini che frequentavano il suo porto e per il movimento delle Crociate”. Immagino ci sia qualche fonte. Si aggiunge poi anche l’importanza dei contatti commerciali pure con gli ebrei.
E’ assai diffuso nei siti internet che parlano della storia di Otranto quel trafiletto qui riportato tra virgolette sopra.
Il vescovo Gionata non era certamente un antagonista dei re Normanni, che sono elogiati nelle epigrafi del mosaico, da buon diplomatico ha intessuto con loro ottimi rapporti, e i Normanni nel Sud furono pur sempre vassalli del Papa.
Ma l’influenza di motivi culturali veneziani, sebbene sotto il tratto di manovalanze naif con pochi operai mosaicisti davvero virtuosi, pare altissima in Otranto.
Fermo restando che Bisanzio ha influenzato lo sviluppo artistico medievale di Venezia.
Ma la ricchezza di temi veneziani che troviamo nel mosaico otrantino io lo rimarco come un punto interessante su cui lavorare per cercare di colmare le grandi lacune documentarie d’archivio che abbiamo in merito a informazioni ulteriori sulla genesi di quel mosaico, eccezion fatta per quanto il mosaico stesso ci dice.
Nelle guerre tra Normanni e Bizantini iniziate nel 1050 i veneziani appoggiarono inizialmente i bizantini e ne ottennero grandi vantaggi da Bisanzio in termini commerciali e di espansione della loro potenza.
Ma già negli anni venti del XII secolo i veneziani entrano in collisione con la stessa Bisanzio (la Guerra tra Venezia e Bisanzio del 1122-1126).
La situazione che si innescò da questo primo conflitto chiuso nel 1126 tra Venezia e Bisanzio
innescò un vortice di reciproci sospetti, tradimenti e rivalità tra le Repubbliche mercantili e l’Impero, spesso esplose in veri e propri atti di pirateria, che sfociarono infine nel successivo conflitto combattuto tra Bisanzio e Venezia durante il regno di Manuele I Comneno (imperatore bizantino) e nelle guerre combattute tra Genova, Pisa e Venezia.
Fu questo il quadro politico in cui intanto nascerà il mosaico di Otranto (1163-1165).
Il secondo conflitto tra Venezia e Bisanzio scoppiò poi nel 1171 (la Guerra tra Venezia e Bisanzio del 1171-1175).
Ecco perché è facile che quelli che prima erano nemici siano diventati amici per i veneziani, dato che “il nemico del mio nemico è mio amico” spesso.
Aggiungo anche di valutare l’interesse che poi i Normanni del sud Italia potevano avere per appoggiarsi ai veneziani per traghettare vettovaglie, armi e soldati nonché pellegrini verso la Terra Santa in quel tempo delle Crociate.
Insomma la storia politica a scale di grigio più che a bianco-nero come ci insegnò poi bene Machiavelli!
Il perché di questi interrogativi su possibili legami del vescovo Gionata con Venezia, da cui poi la sorpresa della scoperta di questa omonimia di vescovi successivi l’uno all’altro proprio tra Otranto e l’area di Venezia, parte da un’analisi epigrafica e iconografica di una figura ad oggi problematica del mosaico di Otranto, il “San Marco” qui definito. In questa nuova pista apertasi anche il famoso leone quadri-corporeo del mosaico di Otranto potrebbe correlarsi ad un tetramorfo inneggiante a San Marco, tanto che ritrovo in Istria grossomodo lo stesso simbolo per lo stesso periodo sotto il dominio di Venezia, guardate le immagini in questo articolo mostrate sopra!
“Pantaleone presbitero” da una delle epigrafi medioevali che trattano dell’opera musiva sul pavimento della Cattedrale di Otranto. Qui si legge che era un “presbitero” dalla seconda parola com abbreviazioni.

Di Pantaleone nulla sappiamo in più di quanto nelle epigrafi del mosaico, però siccome c’era un importante monastero detto di San Nicola di Casole con biblioteca poco fuori la città di Otranto, concesso dai Normanni a ordini religiosi preesistenti e di cultura greca-bizantina, i basiliani, si ritiene da parte dei locali studiosi che Pantaleone venisse da lì e fosse grossomodo del posto e che si fosse formato lì all’arte musiva forse anche, acquisendo anche lì stesso una vasta cultura dai testi che lì effettivamente nel tempo vennero raccolti, tanto greci che latini (e che contribuirono poi anche al futuro Rinascimento culturale italiano; diversi di quei testi furono traslati nel ‘400 nella collezione della Biblioteca Marciana proprio a Venezia tramite il Cardinale Bessarione), e riportando poi quella cultura nel mosaico, ma per tutto questo non ci sono dati, sono solo congetture dei locali; così congettura che fosse anche in contatto con la comunità ebraica presente a Otranto come ben noto all’epoca e che anche da questa si fosse fatto ispirare; mentre la Cattedrale di Otranto dove c’è il mosaico era sede arcivescovile all’epoca sotto il potere normanno e legata alla Chiesa latina di Roma e al rito in lingua latina, mentre nel territorio salentino c’era comunque ancora tanta cultura religiosa cristiana greco-bizantina con numerosi luoghi di culto e comunità dove si celebravano la messa e i sacramenti in rito greco; del resto da pochi decenni i Normanni avevano strappato il Salento ai Bizantini, ma non furono del tutto scissi a quel tempo i legami culturali religiosi e diplomatici con Costantinopoli.

Tre inserzioni pavimentali in lingua latina, organicamente inserite nel mosaico, precisano dati essenziali del committente, dell’autore e dell’epoca in cui è stato realizzato il mosaico. La prima posta, all’ingresso della Basilica, indica il nome dell’autore Pantaleone e del Mecenate Jonathan (Gionata); la seconda nel mezzo della Basilica fa sapere che Pantaleone era un sacerdote e caposcuola; la terza, presso l’altare maggiore, fa sapere quanto tempo si è impiegato per eseguire l’opera (1163 – 1165).”
Pantaleone è citato quindi due volte, in due delle tre lunghe epigrafi con testo del mosaico relative a dati
sulla realizzazione della grande opera musiva stessa. Una volta nell’epigrafe di cui sopra ho riportato un frammento con il nome Pantaleone e indicazione di quello che abbreviato dovrebbe essere il suo titolo, un presbitero, e in questa che è all’inizio del mosaico per chi entra nella Cattedrale dal portone principale:
Epigrafe all’inizio del mosaico pavimentale del XII secolo d.C. della Cattedrale di Otranto nei pressi del portone di ingresso centrale.
Traducendola: “Per mezzo dei doni di Gionata, per mezzo della destra di Pantaleone è quest’opera insigne, superando la spesa degnamente”. Da cui capiamo che sebbene presbitero Pantaleone era anche un mosaicista, “la destra” indica la mano, quindi lavoro manuale artigianale artistico in tal caso. Gionata è l’arcivescovo otrantino committente dell’opera. 

Non è che non mi interessino le analisi esoteriche del mosaico idruntino, anzi, ma il mio impegno è stato prima capire il primo livello di quanto raffigurato almeno dal punto di vista semantico nel mosaico e da questo punto di vista c’erano a mio avviso parecchie piste percorse sbagliate da parte degli studiosi. Vi faccio qui solo un esempio e concernente proprio Pantaleone

 

Mosaico pavimentale medioevale di Otranto, XII sec. d.C. tondo nella zona del presbiterio, l’unicorno e la vergine, particolare sulla vergine.

 

questa figura umana in un tondo vicino all’unicorno la leggevano gli studiosi locali del ‘900 come se vi fosse raffigurato lo stesso Pantaleone, come se lì fosse raffigurato un monaco basiliano con tonsura (?), Pantaleone il presbitero mosaicista ergo, che si sarebbe voluto raffigurare in autoritratto accanto a quell’animale, l’Unicorno, letto da quegli studiosi come allegoria di Cristo … io invece da analisi iconografica propongo tutt’altra lettura, che sia quella figura umana una vergine non Pantaleone, qui un mio articolo in merito: “OTRANTO: è una VERGINE fanciulla che accarezza l’UNICORNO, non il monaco Pantaleone! Studi sul mosaico medioevale del XII sec. d.C.“.

Ora chiaramente la rappresentazione di un solo Evangelista e proprio di San Marco in posizione tanto preminente elevata e proprio in una chiesa all’imbocco dell’Adriatico grande golfo di importanza vitale strategica per la Repubblica Marinara di Venezia che ha in San Marco fanaticamente il suo sommo protettore, comporterebbe uno stravolgimento radicale dell’interpretazione dell’intero mosaico otrantino e della sua storia.
E difatti seguendo questa pista nuova interpretativa della figura qui proposta tanti precedenti enigmi appaiono chiarificati, come la gran presenza di leoni nel mosaico di Otranto e il famoso enigmatico fino ad oggi leone tetramorfo quadricorporeo che guarda caso ho ritrovato proprio in ambiente veneziano e sulla stessa Basilica patriarcale di San Marco in Venezia e che dal punto di vista simbolico propongo di interpretare come una leonizzazione dell’intero tetramorfo associato in ambiente cristiano agli Evangelisti, con velata affermazione da parte veneziana della superiorità di San Marco sugli altri tre Evangelisti.
Per non parlare poi della figura di Pantaleone nome assai legato a Venezia e che quindi viene così spostato dal baricentro creduto fino ad oggi per la figura in San Nicola di Casole dagli studiosi locali a Venezia invece, senza con questo volere cancellare l’influenza possibile del cenobio casulano sull’opera, come anche altre influenze, ad esempio della locale comunità ebraica, in poche parole quell’humus culturale locale in cui sorgeva l’arcidiocesi di Otranto.
Fino poi ad approfondire la figura del vescovo Gionata negli archivi diocesani italiani per il quale viene qui proposto un indizio intrigante di legame con la terra veneziana.
Per poi comprendere meglio tante similitudini nei temi e nella composizione del mosaico idruntino con mosaici medioevali di ambiente veneziano.
A Otranto un certo tratto assai naif per molte figure ha reso la sua esegesi assai tortuosa.
Ma il riconoscimento della figura di San Marco nel mosaico di Otranto rappresenterebbe una chiave di volta che apre lo scrigno ermeneutico dell’opera sino ad oggi chiuso.
Non mancherebbero poi come visto nelle immediate vicinanza del qui presunto San Marco anche dei leoni, e il leone è un suo tipico simbolo.
Quello dove è seduto il personaggio in oggetto qui di analisi, e per cui ho proposto di leggervi San Marco, sembra più un trono come quello che sovente appare con cuscino nell’iconografia degli Evangelisti.
Nell’iconografia degli Evangelisti inoltre il loro Vangelo rispettivo non appare sempre e soltanto in forma di libro, talvolta compare in forma di rotolo come sopra mostrato con dovizia di immagini.
Questa figura qui in oggetto di analisi era stata interpretata a mio avviso in maniera assai complicata cercando di trovare ora nel Vecchio Testamento, ora addirittura nel Ciclo Bretone la sua collocazione.
Chi l’ha letta nel Vecchio Testamento vi ha voluto vedere Nembrot il gigante che secondo la Bibbia fondò il regno di Babel (Babilonia) e ne fu il primo re; fu colui che volle costruire, per raggiungere il cielo, la Torre di Babele in Sennaar, ma Dio, confondendo i linguaggi dei lavoratori, vanificò il folle disegno. Nembrot è perciò considerato negativo esempio di superbia e di rivolta contro Dio. La grandezza della figura del “MARGUACIUS” otrantino ubicato nella parte sommitale del mosaico della navata destra e tra figure di esseri giganteschi come Atlante e Golia, ha portato questi studiosi a vedervi un gigante anche in “MARGUACIUS”, ma la Torre di Babele è ubicata in tutt’altra zona del pavimento a mosaico di Otranto, nella navata centrale e assai distante dal “MARGUACIUS”. Non si comprende perché dare tanta esaltazione in una posizione così prominente ad una figura che dovrebbe essere negativa per i Cristiani come Nembrot, né si coglie alcun legame tra il nome Nembrot e sue varianti con “MARGUACIUS”. Per gli studiosi che hanno seguito questa pista, poiché il poeta Dante (Firenze, 1265 – Ravenna, 1321) nella sua Divina Commedia porrà nell’Inferno Nembrot, si è arrivati a immaginare una diretta influenza del mosaico idruntino su Dante, sebbene non vi siano ad oggi testimonianze di un passaggio di Dante da Otranto. 
C’è addirittura chi ha cercato di attingere al Ciclo Bretone, vedendo Mordred nel “MARGUACIUS” otrantino; persino il gigante Davide e il piccolo Golia sotto di lui che sono sulla destra per chi guarda il “MARGUACIUS” vengono letti in tal prospettiva: Golia come l’uccisore di Re Artù e il piccolo Davide come Ginevra moglie di Artù, sebbene la figura del profeta Samuele poco sotto da sola poteva bastare a vedervi lì Davide. Inoltre il piccolo Davide a Otranto sembra proprio nell’atto di tirar una pietra con la fionda che ha in mano verso il gigantesco Golia come da racconto biblico. Anche la figura di Re Artù poi non è nello spazio della navata destra, ma è nel mosaico nella navata centrale.
Hanno complicato assai le cose in questi tentativi ermeneutici.
Quella di Nembrot possiamo dire che è versione ufficiale ad oggi, io invece ho letto quel “MARGUACIUS” alla grika maniera: MARGUACIUS/MARCUAGIUS/MARCU-AGIUS cioè in greco-latinizzato “San Marco” e da lì si apre un mondo nuovo interpretativo di tantissimo
Leggendo quel nome dividendolo in due parti come “San Marco”, “Marco Santo” in greco, si semplifica assai tanto e si scoprono meglio tutti i legami del mosaico otrantino con l’ambiente veneziano. Persino per Pantaleone il mosaicista, tipico nome veneziano, persino loro agnome “i pianta leoni” son detti i veneziani per l’ostentazione ovunque del leone di San Marco loro simbolo, con San Pantaleone venerato e le cui reliquie sono custodite in una chiesa a Venezia a lui dedicata. Tanto veneziano è il nome Pantaleone che ne deriva la loro maschera tipica nella commedia dell’arte “Pantalone”.

 

RIPORTO DEI MIEI LACERTI SEMPRE IN MERITO A ULTERIORE RIEPILOGO:  In epoca normanna sicuramente i veneziani erano abbastanza presenti a Otranto perché Otranto era un porto importantissimo per la sua posizione strategica, soprattutto perché da Otranto si può controllare lo stretto, il Canale d’Otranto che se fosse stato sbarrato ai veneziani per gli interessi di Venezia avrebbe comportato un immenso danno. Se non potevano avere basi in Salento dovevano assicurarsele sulla sponda opposta del Canale d’Otranto, nelle Isole Ionie greche come Corfù. Pare che Otranto fu conquistata dai Veneziani nei primi del cinquecento, leggo questo dato storico qui, ora però torniamo al tempo dei Normanni a Otranto all’epoca del mosaico idruntino, qualche secolo prima, all’XII sec. d.C. Cosa sembra emergere dal mosaico? Una devozione per San Marco strana e possibili simboli leonini di influsso veneziano. A questo punto ho approfondito la figura dell’arcivescovo Giona, mi sono chiesto, siccome fu un gran megalomane nella commissione e realizzazione del mosaico per inneggiare a sé stesso, se dà tanto spazio a Venezia in termini simboli più o meno velati, come mai lo fa? Vuole ingraziarsi i Veneziani della zona? O è proprio lui veneziano ed è stato mandato a partire da Venezia tramite la Chiesa a Otranto per poter consentire pur sotto il Regno Normanno una privilegiata presenza dei veneziani a Otranto, pur restando Otranto normanna? Giochi diplomatici di potere tra Venezia e la Chiesa di Roma?

A quel punto, fatta questa ipotesi di lavoro, ho immaginato, entrando nella possibile psicologia del personaggio, un Giona divenuto ormai anziano che chiede di tornare nella sua amata area veneziana di origine dopo aver per diversi anni ricoperto il ruolo vescovile a Otranto, ciò sempre se non fosse morto prima a Otranto. Intanto non ci sono dati di una sua morte a Otranto. Guardando allora negli elenchi dei vescovi di nome Gionata in Italia on-line, me ne sono usciti solo due, uno il Gionata di Otranto e un altro proprio di una diocesi veneziana omonimo. Ho guardato allora le date del loro mandato e queste quasi perfettamente sono in sequenza temporale. Il Gionata vescovo in zona veneziana muore poi lì a Venezia pochi anni dopo, forse segno questo di una sua anzianità già a inizio mandato. Mi sono chiesto allora: non sarà lo stesso Gionata che troviamo a Otranto che fu trasferito di nuovo in area veneziana dove morì qualche anno dopo?
Questo è il punto dei dati e delle ipotesi al momento.
Non è comunque poco perché tante cose sembrano bene incastrarsi, tutto a partire con coincidenze, piuttosto strane/rare altrimenti, dal ritrovamento di quel possibile San Marco effigiato nel mosaico idruntino.
Molto interessanti queste visioni di geopolitica credo vadano battute assolutamente. La mia pista esposta si sta sviluppando solo a partire dalla decodifica del possibile San Marco nel mosaico, che come tale sarebbe anomalo con quasi tutto quanto sin ora creduto sull’opera, e da lì con quasi metodo investigativo alla ricerca di altri indizi. Certo è che nella geopolitica un tale San Marco (senza rappresentazione dei altri Evangelisti) e poi il trionfo assoluto del suo leone nell’opera musiva porterebbe ad una inedita pista veneziana a Otranto.
SPUNTI DAL CONFRONTO CON IL MOSAICO DI BRINDISI
Si è sempre finora utilizzato il mosaico di Otranto per spiegare alcune caratteristiche del mosaico pavimentale medioevale della Cattedrale di Brindisi semplicemente perché questo è successivo in ordine di tempo, fu realizzato infatti nel 1178, quindi 13 anni dopo quello otrantino, su commissione del locale vescovo di Brindisi Guglielmo e presenta molti elementi di similitudine con quello idruntino; ma in realtà presenta anche alcune differenze la cui analisi può essere altrettanto importante per meglio comprendere con percorso contrario alcune caratteristiche del mosaico otrantino.
Così ad esempio tra le principali differenze vediamo che nel mosaico brindisino compare la raffigurazione di scene delle saghe del ciclo carolingio che attingono anche a più fonti letterarie sia francesi che tedesche e italiane di quel vasto ciclo letterario medioevale.
Non vi compaiono Evangelisti come San Marco, e addirittura neppure leoni nonostante i numerosi animali rappresentati, mentre i riferimenti al ciclo di Carlo Magno (detto anche “materia di Francia”) prendono il posto di quello che nel mosaico otrantino è tratto invece dal ciclo arturiano.
Nella scelta possiamo vedervi, pur nell’emulazione di fondo del mosaico otrantino, una volontà di distinzione e caratterizzazione.
Leggiamo che nel XII secolo ben quattro vescovi brindisini furono di origine francese, da qui possiamo capire il perché la scelta di distinguersi da Otranto optando per la “materia di Francia”, i racconti epici di Carlo Magno e i suoi Paladini.
Da questo confronto possiamo allora avvalorare l’ipotesi che invece il vescovo otrantino Gionata committente anni prima il mosaico idruntino fosse di area proprio veneziana.
Tornando al mosaico brindisino i nomi dei protagonisti delle scene del ciclo carolingio compaiono in francese quasi con un certo rigore filologico, benché la cattedrale romanica brindisina che ospitava il mosaico avesse un’epigrafe marmorea bilingue scritta sia in latino che in greco come maggiormente coerente con la cultura del territorio. Tale particolare è probabilmente spiegabile considerando che il disegno che funse da modello per queste scene avesse nomi francesi, fedelmente ricopiati dalle maestranze coinvolte nella stesura musiva.
Ciò ci avvalora l’idea che le anomalie della figura di San Marco nel mosaico di Otranto, che ne hanno poi reso difficile fino ad oggi la decodifica siano da attribuire alla copia di un modello iconografico bizantino in caratteri greci che fu poi non tradotto ma soltanto traslitterato in caratteri latini, come del resto sopra ampiamente discusso e analizzato.
Dal mosaico pavimentale della Cattedrale di Brindisi disegno di scene raffigurate su di esso e relative al ciclo carolingio tratto dall’articolo al link.
IL COINVOLGIMENTO DEGLI STUDIOSI VENEZIANI SULLA IPOTESI DI UNA PISTA VENEZIANA IN MERITO ALLA REALIZZAZIONE DEL MOSAICO DI OTRANTO
Ho dunque chiesto un parere agli studiosi della storia e cultura di Venezia tramite gruppi facebook dedicati all’argomento. Trovo molto interessante il dato di cui si favella fornitomi da Roberto Monegato curioso indagatore della storia di Venezia che riporto: “tieni presente un particolare: dovunque arrivassero i Veneziani la primissima cosa che facevano era “piantare il leone”, la tradizione del “piantà el leon”; infatti uno dei sopra nomi più vecchi dei Veneziani è “piantaleoni” da questo Pantalone tipica maschera Veneziana“. 
E’ un dato qui suggestivo se consideriamo che l’esecutore incaricato dall’arcivescovo Gionata di realizzare il mosaico idruntino si chiamava o era chiamato Pantaleone!
Dobbiamo anche a questo punto leggere alla lettera cosa ci dicono le epigrafi del mosaico in merito ai suoi step di realizzazione.
Da esse si comprende che l’arcivescovo Gionata, (che alcuni indizi mi hanno fatto pensare fosse di area veneziana), diede incarico a Pantaleone (che gli studiosi delle epigrafi del mosaico ci dicono fosse un presbitero) di lavorare sul mosaico nel 1165, non è citato invece Pantaleone nella prima epigrafe di inaugurazione dei lavori musivi nel 1163.
Se quindi Pantaleone giunse dopo quali parti realizzo? Viene da pensare che la ricchezza di rappresentazioni del leone sia da legare a lui.
In ogni caso l’opera musiva non è soltanto il leone, il leone comunque simbolo anche di San Marco.
Una tale opera musiva non poteva coinvolgere solo una persona, o due includendo Gionata come progettista committente, certamente ci fu un coinvolgimento grosso non solo di manovalanza locale, e non, ma anche degli ambienti intellettuali teologici della diocesi di Otranto, ed è qui che possiamo immaginare il contributo degli ambienti culturali greci del monastero di San Nicola di Casole; contributo quest’ultimo che possiamo vedere ad esempio nella mano di Dio Padre che spunta dal cielo e che benedice alla greca Noè.
Immagine linkata qui non copiata dal bel sito, al cui articolo correlato qui rimando, di “Salento a Colory“.
Ma su Pantaleone non possiamo al momento dire se fosse o no locale, se orbitasse o meno intorno al monastero di Casole.
Il nome Pantaleone nella forma contratta Pantaleo è molto diffuso in Puglia. E’ un nome di origine greca che letteralmente vuol dire “tutto leone”. San Pantaleone era particolarmente venerato a Bisanzio e nella sua area di influenza (come la Puglia). In alcuni paesi del Salento si venera ancora oggi San Pantaleone, il 27 luglio a Martignano (in provincia di Lecce) si festeggia il patrono Pantaleone e si attende il miracolo della liquefazione del suo sangue in una bolla; San Pantaleone si festeggia anche a Parabita (Lecce) nell’ultima settimana di luglio; a Salve nel Capo di Leuca una cripta è detta di San Pantaleone per la presenza di un affresco bizantino che si ritiene raffiguri il Santo; a Surbo (Lecce) troviamo una chiesa detta di San Pantaleo.
Ma dobbiamo considerare che era anche molto diffuso a Venezia il nome Pantaleone, che anche Venezia risentiva fortemente dell’influsso bizantino e che forte era la venerazione proprio per San Pantaleone in quella Repubblica marinara!
A Venezia il nome Pantaleone si legava anche al concetto di Leone di San Marco simbolo cittadino, tanto che Pantaleone diventa quasi sinonimo di Veneziano per l’abitudine dei veneziani di mettere il simbolo del leone nei luoghi in cui andavano!
“Piantavano il leone”! Il mosaico otrantino è insolitamente pieno di leoni!
Riporto da Wikipedia alla voce “nome Pantaleone”: “Deriva dal nome greco Πανταλεων (Pantaleon), composto da παντός (pantos) o πάντα (panta), rispettivamente il genitivo e l’accusativo/nominativo di παν (pan, “tutto”), e λεων (leon, “leone”). Il senso complessivo può essere interpretato come “del tutto leone”, “forte/valoroso come un leone” o “leone in ogni cosa”. In passato era assai comune anche a Venezia, dove si trova l’antica chiesa di San Pantalon: il nome, nella forma vernacolare Pantalón, era talmente diffuso che diventò, tramite un processo deonomastico, sinonimo di “veneziano” e più tardi, quando la sua popolarità era ormai scemata, prese anche il senso di “sciocco”, “uomo tardo”, e per lo stesso motivo il nome venne attribuito alla celebre maschera della commedia dell’arte Pantalone; in Francia, il nome delle maschera passò ad indicare il tipo di vestito che indossava, detto pantalon, da cui sono nati, col tempo, gli odierni pantaloni“.
QUALCHE DATO SUL CULTO DI SAN MARCO NEL SALENTO
C’è una tradizione popolare che vorrebbe che San Pietro sia sbarcato insieme a San Marco a San Pietro in Bevagna
Forse a tale narrazioni si legga nell’entroterra salentino la venerazione di San Marco come patrono della città di Cellino San Marco appunto chiamata.
A conferma della caratterizzazione delle comunità veneziane con leoni e dediche a San Marco consideriamo il caso di Lecce dove i veneziani edificarono in piazza Sant’Oronzo la chiesetta di San Marco con statua del leone marciano sulla porta.
Vi è poi una grande e antica devozione per San Marco in Ruffano con una cripta del XII sec. con un suo affresco dedicata a lui, una cappella, un largo e una festa con fiera annuale in suo onore.
A Caprarica di Lecce il giorno di San Marco si tiene una fiera in un largo dedicato come la fiera stessa al Santo. Nella Cappella della Madonna del Carmine della città si mostra un quadro che rappresenta il Santo seduto intento a scrivere su un rotolo il suo Vangelo con un leone a fianco. E’ usanza ungersi le orecchie con dell’olio quel giorno, la credenza religiosa e popolare vuole sia benefico per le orecchie ed il senso uditivo. Del resto San Marco è il protettore dell’udito.
Anche a Maglie vi era una chiesa/chiesetta dedicata a San Marco? Scrive il professore Emilio Panarese nella sua monografia su Maglie, edita da Congedo nel 1995, che nei documenti antichi abbondano tra i toponimi gli agionimi, cioè i nomi di santi, che, “testimoniando la presenza di chiesette rurali di piccoli villaggi, ci dicono del culto in prevalenza greco-bizantino nelle nostre terre: S. Vasili o S. Basilio, S. Sofia, S. Martini, S. Stifani, S. Dimitri, S. Venneri, S. Isidero o Isidoro o Sidero o Sìtulu, S. Biasi, S. Giorgio, S. Marco, S. Rocco, S. Donato“. Della antica presenza di una chiesa di San Marco a Maglie, oggi scomparsa, me ne parla Sergio Cezza studioso locale che scrive: “A Maglie vi era la chiesa di San Marco. Dopo i fatti di Otranto del 1480 con l’invasione dei Turchi poi scacciati via dagli Aragonesi gli scambi tra i due ex nemici (Aragonesi e Veneziani) si sono moltiplicati. Per la attestazione della Chiesa di San Marco a Maglie praticamente parliamo tra il ‘500 e fine ‘600. Si trovava dove ora c’è ora il negozio di abbigliamento Candido. Precisamente sul lato rivolto su via Roma. Aveva una scalinata esterna ed era dedicata a San Marco. Così dove ora vi è il palazzo della Banca Popolare, vi era un altra chiesa dedicata a San Pietro. Ambedue caddero insieme alle casette e stradine che all’epoca insistevano nell’attuale piazza. Tra l’altro veniva pure abbattuta la fortezza che occupava l’attuale municipio e Liceo Capece (con annessa un’altra chiesa dedicata a Santa Maria del castello ). Ovviamente questi lavori furono effettuati tra fine ‘700 ed inizio ‘800. Epoca di assetto urbanistico di pianta murattiana-periodo Napoleonico…”. Una vicinanza tra la chiesa di San Pietro e San Marco ora la posso comprendere maggiormente, i due santi si dice sbarcarono insieme in Salento, così almeno si racconta a San Pietro in Bevagna. San Marco si narra accompagnasse San Pietro. Con quei lavori murattiani trasformarono una piazza quindi tanto ricca di chiese in una delle piazze più laiche d’Italia! Al momento per questo dato riportato da Sergio Cezza non trovo conferma della esatta ubicazione della chiesa o chiesetta di San Marco nella monografia su Maglie dello scomparso studioso il professor Emilio Panarese, che pur ci parla di toponimi nel territorio legati a San Marco e sue chiesette rurali. Sono in corso pertanto approfondimenti su questo dato ubicativo; in quei luoghi dove grossomodo Sergio Cezza collocherebbe una chiesa di San Marco in base al ricordo dei suoi approfondimenti, nel ’60o sappiamo invece dal Panarese che vi sorse una chiesa dedicata alla Madonna di Costantinopoli, sulla sua porta maggiore si leggeva che nel 1602 essa era stata eretta in piazza dal popolo magliese; conservava un quadro riproducente le fattezze bizantineggianti dell’Odegitria, assai cara in Maglie ai muratori e alle partorienti, le quali, nel momento del parto, si raccomandavano a lei e mandavano alla chiesa un loro congiunto, perché si suonasse a rintocchi la campana e si recitassero le litanie. Nell’ultimo ventennio dell’ ‘800, dovendosi allargare la via Roma nel punto in cui questa sboccava in piazza con il gradini del suo ingombrante sagrato, la vecchia chiesa venne abbattuta. Ci sarebbe da capire l’origine di un leoncino, non so se stiloforo, scolpito in pietra leccese di antica fattura esposto oggi nel ristorante Belami sempre su via Roma, è un relitto di qualche vecchia chiesa su quella strada? Quale? Un leoncino simbolo di San Marco Evangelista?
In questa raccolta di dati su San Marco in Salento incappo in un vescovo di Otranto di nome Marco. L’arcivescovo Marco prese parte al concilio di Costantinopoli dell’879 che riabilitò il patriarca Fozio e firmò gli atti tra gli arcivescovi Luciano di Durazzo e Arsenio di Lemno. Si trova dunque una sua menzione per quell’anno, Leggo però alla fonte qui linkata che studi recenti collocano il vescovo Marco nella seconda metà dell’VIII secolo (circa 770). Intanto estraggo questo passo da questo testo qui linkato
Il Vescovo Marco di Otranto nel medioevo.
Leggo che nel conflitto con gli Aragonesi per il controllo dell’Adriatico i Veneziani appoggiarono diplomaticamente la conquista turca della Puglia a partire da Otranto nel 1480. “Fonti insospettabili perché veneziane, ci assicurano che il “bailo” veneziano a Costantinopoli, Andrea Gritti, fu incaricato di far sapere al sultano, da parte dei suo governo, che egli poteva a buon diritto impadronirsi della Puglia in quanto tali territori appartenevano d’antico diritto al territorio di Bisanzio del quale egli era signore“.
Leggo che la città di Otranto fu dominata per alcuni anni dei veneziani dopo esser stata liberata dai Turchi grazie alla reconquista degli Aragonesi: essa fu sotto il dominio veneziano dai primi del ‘500 fino alla guerra di Cambrai (1508-1516). Tornò poi agli Aragonesi. Erano stati gli stessi Aragonesi a cedere Otranto e altri porti pugliesi ai veneziani dietro compenso per riassestare le loro finanze.
Da una carta geografica veneziana del ‘500, divulgata dallo studioso Nazareno Valente, dove i veneziani si comprende, dati i centri indicati del Salento, tra cui naturalmente Otranto, erano maggiormente interessati, come prevedibile, ai siti costieri, apprendiamo che l’Adriatico era chiamato dai veneziani “Golfo di Venezia” e il Canale d’Otranto era per loro la “Bocca del Golfo di Venezia”.
Ricordo anche che il pittore Tintoretto glorificò con un suo splendido quadro intitolato “I Veneziani conquistano Gallipoli”, che campeggia sul soffitto della sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale a Venezia, la vittoria dei Veneziani sulla città di Gallipoli che venne occupata nel maggio del 1484 da una loro flotta. Ciò ad ulteriore prova delle continue forti mire veneziane per il controllo della terra salentina. Erano trascorsi appena quattro anni dalla presa di Otranto da parte dei Turchi di Geduk Amhed Pascià. Anche quell’intervento turco si sospetta fosse stato tacitamente approvato dalla Serenissima in antagonismo con la monarchia aragonese e l’avventura gallipolina viene dagli storici descritta come risposta veneziana alla presa di Otranto del 1480, a dimostrazione della capacità di Venezia di difesa del Mediterraneo e della Cristianità contro lo strapotere dei Turchi. Dopo la presa turca di Otranto, del resto, tutto il traffico portuale di Brindisi e Otranto era convogliato nel porto di Gallipoli.
Così mi piace ricordare anche la figura del viaggiatore esploratore ambasciatore e mercante veneziano Marco Polo (Venezia, 15 settembre 1254 – Venezia, 8 gennaio 1324), di lui non sappiamo se si fermò mai nella città di Otranto, ma sappiamo dalla ricostruzione dei suoi viaggi verso la Cina che di certo transitò dal Canale d’Otranto, ciò a rimarcare ancora una volta la enorme importanza strategica di Otranto per i Veneziani.
CONCLUSIONI RIASSUNTIVE
Perché una mia pista di indagine sul mosaico figurato pavimentale medioevale della Cattedrale di Otranto mi porta verso Venezia?
In questo articolo ho esposto tutti gli spunti in merito a questa pista.
In breve:
-) il personaggio posto nella parte sommitale del mosaico della navata destra, a destra per chi guarda rispetto al disco in stile cosmatesco che è al centro di tale navata sempre nella parte sommitale del mosaico, personaggio assiso in trono, ha una strana epigrafe che lo indica, ad oggi inespugnata nell’esegesi del mosaico di Otranto, nella quale ritengo che si potrebbe leggere in greco-latino “San Marco” che in greco latinizzato dovrebbe essere AGIUS MARCUS, mentre nel mosaico nonostante i tanti danneggiamenti leggiamo una sorta MARGUACIUS, tutta la sua iconografia corrisponde a quella possibile di un evangelista (tranne per le scarpe chiuse, la, al momento. incomprensibile epigrafe sul suo rotolo che mostra e l’assenza della aureola che è assolutamente assente in tutti i personaggi che ne avrebbero bisogno come da iconografia standard rappresentati nel mosaico, come i patriarchi o gli angeli o San Disma o i profeti e forse persino Cristo che credo di aver identificato in una immagine – aspetto questo della mancanza delle aureole su cui riflettere già in generale al di là di queste ipotesi della pista veneziana);
-) nello spazio musivo sotto il presunto San Marco c’è raffigurato un enorme Leone che morde un drago con tanto di scritta “Leone”. Ricordo che il leone è il principale simbolo dell’Evangelista Marco, ed è divenuto un simbolo identitario fortissimo per i veneziani così come la figura di San Marco loro protettore già in quel tempo;
-) immediatamente a destra in una cornice dello spazio del presbiterio c’è una protome leonina;
-) il disco in stile cosmatesco che appare nei pressi del presunto San Marco, simbolo del sole raggiante o della sfera celeste, si ritrova simile nei mosaici pavimentali del medesimo tempo nella Basilica di San Marco in Venezia e nel Duomo di Murano (Venezia);
-) subito sotto l’ipotizzato San Maro c’è rappresentato San Samuele che è venerato in un’antica chiesa nello stesso quartiere di San Marco in Venezia e pure rappresentato nella Basilica di San Marco nei mosaici parietali;
-) il misterioso Leone quadri-corporeo del mosaico di Otranto l’ho ritrovato in un bassorilievo sulle facciate esterne della Basilica di San Marco in Venezia e in un decoro di chiese in Istria dello stesso periodo in area di influenza veneziana;
-) le notevoli similitudini con i motivi raffigurati nei mosaici parietali della Basilica di Torcello a Venezia cronologicamente precedenti;
-) il nome Pantaleone del mosaicista di Otranto è un nome perfettamente veneziano; e i veneziani sono ingiuriati come “pianta-leoni”, per la loro caratteristica di rappresentare ovunque possono e ovunque arrivano il leone come simbolo di San Marco, la loro bandiera praticamente;
-) un vescovo dello stesso nome Gionata del mecenate del mosaico di Otranto nell’anno in cui si perdono le tracce di Gionata a Otranto riceve una diocesi nell’area veneziana dove morirà poco dopo quindi forse ormai anziano se la stessa persona che cercava di tornare, una mia ipotesi di lavoro, nella zona di origine dopo una vita di missione lontano da casa per fare gli interessi della Curia romana e sotto banco di Venezia interessata sempre ad un certo controllo del Canale d’Otranto, di vitale importanza strategica per i suoi traffici marittimi, tanto più in periodo Normanno in quel tempo di crociate e pellegrinaggi che facevano fiorire le attività mercantili di quella Repubblica marinara.
L’idea per il momento potrebbe essere quella di un vescovo che si sa aveva dimestichezza con la Curia romana e con la corte Normanna del Sud, che Venezia riuscì a piazzare a Otranto tramite giochi diplomatici a Roma.
 
Questo Gionata vuole celebrare la sua figura a perenne memoria inaugurando nel giorno di Pasqua del 1163 l’inizio del mosaico.
 
Nel 1165 nelle epigrafi si dice che assegna i lavori a Pantaleone. Stando alla lettera delle epigrafi dovremmo pensare che Pantaleone ha cominciato a lavorare sul mosaico due anni dopo l’inaugurazione e inizio lavori dello stesso.
 
Chi era Pantalone e da dove venisse non si sa.
 
Di veramente greco bizantino nel mosaico la rappresentazione frontale dei patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe pur rappresentati senza alcuna aureola, la frontalità della figura di Alessandro Magno nella sua ascesa al cielo, quella della allegoria del mese di maggio e la mano del Sommo Dio benedicente alla greca Noè.
Greco anche sarebbe il titolo di santo (AGIUS) per l’eventuale San Marco. Ricordo però che riferimenti alla ascesa di Alessandro Magno al cielo li troviamo già all’interno della Basilica di San Marco in Venezia nella famosa Pala d’oro commissionata a Costantinopoli.
 
Il mosaico idruntino ha poi grandi somiglianze con i mosaici pavimentali figurati del tempo di gran parte d’Italia, inclusa anche l’Italia settentrionale. In esso ritroviamo quel lessico dell’arte scultorea romanica Europea del tempo dove anche non mancano tanti riferimenti alla classicità.
 
Fu solo Pantaleone e Gionata a decidere cosa mettere nell’ampio mosaico?
 
Il mosaico è ispirato dal principio dell’horror vacui, e se quindi vi collaborarono anche maestranze e monaci locali non è escluso che i contributi di idee anche di altri potessero trovare spazio tra i motivi principali a cui è dedicato il maggiore spazio.
Perché dico che l’inaugurazione poteva essere avvenuta proprio nel giorno di Pasqua?
Per la mia proposta di interpretazione della ad oggi enigmatica epigrafe “PASCA” sulla base della sua ubicazione rispetto all’epigrafe di inaugurazione e al suo contenuto.
Propongo anche rispetto alla doxa recentemente diffusa che il presbitero mosaicista Pantaleone si sia autoritratto nel suo mosaico accanto all’unicorno, che quella sia semplicemente una vergine con cappellino e non un monaco con tonsura, data anche la similitudine cromatica della parte superiore del capo con il suo vestito interno e non con la sua pelle del viso e mani, e ancora in perfetta sintonia con l’iconografia e leggenda della vergine che solo lei poteva attrarre e accarezza l’unicorno presente nei bestiari medioevali ai quali tanto deve l’ispirazione per tanti elementi del medesimo mosaico.
CONSIDERAZIONI FINALI E SINTESI
Venezia pare complottò contro la città di Otranto, che era sotto gli aragonesi, al tempo dell’arrivo delle truppe turche sul finire del XV sec. d.C.
Ora immaginate che beffa sarebbe se il ritenuto più importante simbolo identitario salentino e otrantino, il vastissimo e ricco di dettagli mosaico pavimentale medioevale nella Cattedrale di Otranto, fosse stato commissionato da un vescovo a Otranto di provenienza veneziana!
L’arcivescovo otrantino del XII secolo sotto la cui volontà fu realizzato il mosaico della Cattedrale si chiamava Giona, come leggiamo sul mosaico.
Ora un vescovo di nome proprio Giona compare in area veneziana, dalle mie ricerche, proprio quando di quello otrantino si perdono le tracce archivistiche a Otranto. Che si tratti del medesimo soggetto che abbia voluto tornare nella sua area natia ormai anziano dopo aver fatto sottobanco gli interessi di Venezia nella Otranto all’epoca sotto i Normanni magari con il beneplacito di questi e della Chiesa romana?
Otranto sempre punto fondamentale strategico per i veneziani per il controllo del Canale d’Otranto che è l’ingresso al vasto golfo che chiamiamo Mare Adriatico e su cui si affacciava la repubblica marinara di Venezia.
Inoltre il nome dell’esecutore del mosaico otrantino è Pantaleone, come si legge sul mosaico.
Ma spoglie di San Pantaleone (originario dell’Anatolia) sono conservate secondo tradizione e particolarmente venerate a Venezia in una chiesa a lui dedicata!
Pantaleone è un tipico nome veneziano, sia nel senso che è molto diffuso come nome proprio e ciò proprio in seguito alla venerazione del Santo omonimo, tanto che ne derivò il nome di una famosa maschera veneziana (Pantalone), sia poiché è diventato una sorta di agnome etnico dato ai veneziani con il significato mutato di “pianta leoni” in quanto ovunque andassero i veneziani erano soliti apporre il simbolo del Leone, legato come Leone Marciano a San Marco Evangelista delle cui reliquie i veneziani divennero particolari veneratori e custodi dopo l’avventuroso trafugamento delle ritenute sue spoglie da Alessandria d’Egitto nell’anno 828 d.C.
Lo vediamo anche a Lecce in Piazza Sant’Oronzo con la statua del Leone Marciano sulla facciata della Chiesetta di San Marco del XVI secolo costruita dalla fiorente colonia di veneziani a Lecce in un’area di notevole centralità commerciale.
Giona, arcivescovo otrantino non di poco conto, (che era in contatto con la curia romana e che si fa citare nel mosaico insieme al re normanno del tempo), quindi di origine veneziana secondo questa ipotesi, chiamò un artista veneziano, sempre secondo questa ipotesi, (magari anche uomo di chiesa), il misterioso Pantaleone, a realizzare la sua grande opera musiva a Otranto celebrativa indirettamente della grandezza dell’arcivescovo assai megalomane (tanto da far porre il suo nome nei pressi della figura del saggio Re Salomone sul mosaico).
Capiamo così perché tantissimi leoni compaiono effigiati nel mosaico otrantino, persino uno enorme quadri-corporeo nella navata centrale sino ad oggi assai enigmatico, ma che nelle mie ricerche ho scoperto essere presente proprio anche a Venezia, con un bassorilievo sulle pareti esterne della Basilica di San Marco, e sempre in bassorilievo in altri luoghi religiosi nell’area del Nord Adriatico sotto il controllo di Venezia all’epoca.
Si spiegherebbero ancora meglio in tal modo i tantissimi influssi dell’arte musiva di area veneziana-veneta che si possono ritrovare copiosi nel mosaico di Otranto come riporto ed evidenzio con confronti nei miei articoli.
Non solo, c’è un’immagine che non ha avuto sino ad oggi alcuna chiara spiegazione, e che si trova nella parte sommitale del mosaico della navata destra: un personaggio in trono come sovente su simili troni sono effigiati proprio gli Evangelisti nell’iconografia del tempo, e con legenda che parrebbe “MARCUAGIUS”.
In essa io vi ho letto un “MARCUS AGIUS”, che in un greco latinizzato altro non è che “San Marco”. Inoltre il personaggio ha in mano un cartiglio aperto come sovente nell’iconografia degli Evangelisti, e poco sotto di lui compare un enorme “leone” di ottima fattura con tanto di epigrafe, e anche una testa di leone nello spazio prossimo della navata centrale.
Se davvero fosse lì rappresentato di tutti gli Evangelisti solo l’Evangelista Marco protettore di Venezia allora ancor più la tesi che qui espongo sarebbe supportata!
Nei miei studi e ricerche sul mosaico idruntino inoltre ampiamente sconfesso il dogma, che è stato imposto da certa esegesi recente, secondo cui in esso non sarebbe rappresentato nulla del Nuovo Testamento. Anche proprio questo dogma potrebbe aver impedito di leggere correttamente in quella figura l’Evangelista San Marco.
Al di sotto della figura del qui presunto San Marco nel mosaico di Otranto appare effigiato il profeta Samuele come ben indica una legenda musiva. Potrebbe apparire anomala la vicinanza tra un personaggio del Nuovo Testamento (San Marco) e un personaggio del Vecchio Testamento (Samuele), seguendo però la qui aperta “pista veneziana” scopriamo che non solo Samuele appare anche nei mosaici della Basilica di San Marco a Venezia, ma che nella parte più antica della città di Venezia, il sestiere di San Marco come chiamata quella area, si erge oltre alla Basilica di San Marco anche un’antica chiesa edificata intorno all’anno 1000 d.C. detta Chiesa di San Samuele, che prende proprio il nome dal personaggio biblico Samuele perché, secondo la tradizione, al suo interno ne sono conservate le reliquie!
L’influenza di Venezia pertanto nella storia di Otranto anche nei secoli precedenti al 1480 potrebbe essere assai più predominante di quanto fino ad oggi creduto.
Nei paesi balcanici che si affacciano sull’Adriatico e Ionio molto forte è il riconoscimento dell’influsso veneziano nei secoli ed è spesso oggi localmente motivo di orgoglio per i locali; fu certamente idem anche nella sub-regione italiana sul Canale d’Otranto la Penisola salentina, come la storia ben rivela, ma in termini di cultura identitaria salentina è come si sia voluto sminuire nel nostro tempo l’importanza di tale presenza e influenza.
APPENDICE
PRESO DALLA MIA TEORIA DI UNA PISTA VENEZIANA PER L’INTERPRETAZIONE DEL MOSAICO PAVIMENTALE MEDIEVALE DELLA CATTEDRALE DI OTRANTO A SEGUITO DEL MIO RICONOSCIMENTO LÌ DI SAN MARCO
mi incuriosisce ritrovare in Puglia le tracce diffusissime della presenza veneziana.
Così da Bari la Chiesa di San Marco dei Veneziani nel centro storico, qui alcune mie foto scattate lì il 19 dicembre 2022 a sera.
Con l’immancabile simbolo del Leone Marciano lì a Bari scolpito nel rosone.
Segnaposto: Str. S. Marco

«La costruzione è attribuita dal Beatillo al 1002-1003, per celebrare la liberazione di Bari dai Saraceni ad opera del doge di Venezia Pietro Orseolo II. In realtà questa notizia è, per alcuni storici, controversa. Più probabilmente l’edificio, di cui recentemente è stata riscoperta una sottostruttura bizantina, databile al X secolo, è stato in periodo imprecisato adoperato dalla colonia dei Veneziani, residenti a Bari per ragioni prevalentemente commerciali. La prima menzione documentata risale a una pergamena del 1187: una bolla dell’arcivescovo Rainaldo a favore del vescovo di Cattaro, ove, tra i firmatari, compare un Maione, abbas sancti Marci (abate della chiesa di San Marco).» (dati tratti da https://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_San_Marco_dei_Veneziani).

A Copertino nel Castello si ritrova una cappella detta Cappella di San Marco cinquecentesca e internamente interamente affrescata.
La mia teoria sul mosaico di Otranto in questo articolo.

Non nego contributi locali innestati nel mosaico, ma evidenzio dei grandissimi influssi veneziani in esso, e forse persino nel suo committente (noto dalle epigrafi del mosaico) e direttore/esecutore (noto dalle epigrafi del mosaico) dei lavori.

Sul mito di Re Artù del ciclo bretone (che nel mosaico otrantino appare come “REX ARTURUS”) mi piace proporre invece una innovativa pista messapica: http://naturalizzazioneditalia.altervista.org/artu-lantico-re-di-un-regno-italiano-la-cui-leggenda-conquisto-la-britannia/

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P.s.: ringrazio il Professor Francesco Corona per i suoi stimoli culturali che mi hanno portato a riprendere e divulgare questa interpretazione cui ero giunto anni fa nei miei personali percorsi di approfondimento, speculazione e ricerca sul mosaico otrantino.
Oreste Caroppo

2 commenti su “San MARCO nel mosaico medioevale della Cattedrale di OTRANTO? Omaggio a Venezia? Legami sottesi tra Otranto e quella Repubblica marinara?

  • Aprile 6, 2021 alle 9:42 am
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    Segnalo la collocazione del mosaico di san Marco indicata come mancante: San Marco Evangelista in un mosaico parietale, immagine dal Web (provenienza non trovata) ..
    Si tratta della figura di san Marco rappresentata nell’abside della Basilica (dietro all’altare maggiore) che raffigura nell’ordine San Nicola (per inciso altro collegamento fra la Puglia e Venezia, qui rappresentato come patrono dei naviganti e quindi figura importante per i veneziani), San Pietro nell’atto di consegnare il Vangelo a San Marco, San Marco (l’immagine in questione) e Sant’Ermagora (patrono di Aquileia) nell’atto di ricevere a sua volta il Vangelo da Marco.
    Con questa rappresentazione la Serenissima vuole sottolineare il primato di Venezia su Aquileia, sede storica del patriarcato, che Venezia vuole soppiantare in tutti i campi: politico, economico, culturale, ecclesiale. Marco (cioè Venezia) riceve il Vangelo da Pietro e lo porge a Ermagora (Aquileia) che quindi risulta dipendente da Venezia, senza poter accampare diritti di sorta su quest’ultima (vedi concilio di Mantova 827 in cui Aquileia vuole vedere riconosciuta la sua supremazia su Venezia. Non è un caso che le spoglie di san Marco arrivino a Venezia l’anno successivo….).

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    • Aprile 8, 2021 alle 1:56 am
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      Ti ringrazio tanto, sono dati molto interessanti, e l’analisi del mosaico di Otranto mi ha portato a tanti confronti anche ovviamente con Aquileia.

      Commento molto interessante e pertinente.

      Rispondi

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