Suggestioni greco-romane nei tondi del ciclo dei mesi del mosaico medioevale della Cattedrale di Otranto

Suggestioni greco-romane nei tondi del ciclo dei mesi del mosaico medioevale della Cattedrale di Otranto

 

Statua classica dello Spinario – Roma, Campidoglio, Musei Capitolini.

 

Immagine complessiva del ciclo dei mesi raffigurati nel mosaico medioevale pavimentale del XII sec. d.C. della Cattedrale di Otranto:

 

Rappresentazione musiva nei tondi dei vari mesi dell’anno con i tipici simboli e lavori contadini legati alla natura. Particolare del pavimento della navata centrale della Cattedrale di Otranto.

 

Allegoria del mese di marzo

Si rifà a modelli antichi greco-romani la scelta del soggetto raffigurato nel clipeo che nella sezione del mosaico idruntino dedicata alle opere e ai giorni indica il mese di marzo. Vi vediamo infatti il cosiddetto spinario

 

Clipeo del mese di marzo, mosaico pavimentale medioevale della Cattedrale di Otranto.

 

che è un soggetto ispirato dalla statuaria ellenistica e in particolare ad una statua in bronzo molto famosa a Roma detta proprio lo “spinario” o “cavaspina” esposta oggi nei Musei Capitolini, di seguito in foto:

 

Lo spinario capitolino si ritiene sia un pastiche ottenuto assemblando nel I secolo a.C. il corpo ellenistico (III secolo a.C.) e la testa più antica (V secolo a.C.), anche perché i capelli invece di cadere verso il basso stanno aderenti alla testa, come se la figura fosse in piedi. Gli altri soggetti spinari nella statuaria antica in Italia sarebbero derivati da quest’opera.

 

Così come nella statua ellenistica presente a Roma, che era visibile già ai viaggiatori medioevali, il soggetto raffigurato a Otranto è nudo, ha simile capigliatura con boccoli, è giovane ed è intento a togliersi aiutandosi con una sorta di stecca qualche spina dal piede. Non usa strumenti invece per compiere la stessa operazione il soggetto della statua bronzea di riferimento. Altra piccola differenza: lo spinario di Otranto siede su un piccolo semplice sgabello di legno.

Tra altri esempi di raffigurazione del motivo dello spinario nell’arte romanica sempre in Italia possiamo ricordare anche dei bassorilievi in Sant’Ambrogio a Milano nell’ambone della Basilica, lì però i soggetti sono vestiti, non nudi come a Otranto, nudità che troviamo nel modello statuario famoso in Roma.

Al di là dei possibili valori allegorici di tale motivo nell’arte romanica, l’associazione dello spinario al mese di marzo, (che ritroviamo anche per il mese di marzo nei bassorilievi della successiva Fontana maggiore di Perugia del XIII sec. d.C.), ci richiama due motivi uno storico-leggendario legato alla cultura romana e uno agricolo.

Vediamo quello storico-leggendario: si racconta che un fanciullo pastore di nome Marzio partì sfrecciando dalla sua città, Vitorchiano che è nel Lazio settentrionale, per recare a Roma una notizia allarmante: un esercito etrusco stava marciando alla volta della capitale. Durante il tragitto si tolse una spina dal piede sinistro e proseguì. Giunto in Campidoglio fece appena in tempo ad avvertire i Romani del pericolo incombente, perché trafelato ed esausto come era, stramazzò a terra e morì. Meravigliati i Romani per tanta virtù, lo vollero onorare con una statua in bronzo, che non a caso ancora oggi si ammira proprio sul Campidoglio. Il nome del fanciullo Marzio ben si associa a quello del mese di marzo (Martius mensis) che deriva dal nome del Dio Marte, dio della guerra ma anche dio della fertilità della natura e pertanto associabile al risveglio della natura in marzo primo mese della promavera.

Il motivo di connotazione più prettamente agricola può essere trovato con il lavoro dei campi e l’inizio della comparsa di piante annuali dai frutti spinescenti, come il famoso tribolo (Trìbulus terrestris), chiamato eloquentemente in dialetto salentino “azza-pete” (“ausa-pete“), cioè solleva-piede in italiano per ciò che capita per il dolore che si prova d’improvviso quando scalzi, o a suole poco spesse e/o poco resistenti, lo si dovesse calpestare:

 

Frutti spinosi dell’erba strisciante chiamata Trìbulus terrestris.

 

E ancora i frutti di alcune specie di piante annue leguminose del genere Medicago.”Rizzeddhi” a volte son chiamati questi frutti spinosi in vernacolo magliese:

 

 Questo il frutto della Medicago polymorpha.

 

E tante altre specie botaniche spinose.

 

Allegoria del mese di maggio

E’ presentata assisa su un trono la figura (che indossa un abito dal tessuto adorno) che compare nel clipeo che rappresenta il mese di maggio, mese scelto nel mosaico per raffigurare l’esplosione naturale di vita della primavera, (mentre altrove nei medesimi cicli dei mesi medioevale confrontabili ciò è solitamente rappresentato nel mese di aprile); questa figura siede in trono e si regge ai rami della vegetazione attorno,

 

Clipeo del mese di maggio, mosaico pavimentale medioevale della Cattedrale di Otranto. Forse calza ciabatte aperte.

 

come icona di riferimento si consideri la miniatura che si può osservare in un rotolo liturgico, presso l’Archivio del Capitolo metropolitano nella Cattedrale di Bari, risalente al sec. XI, la miniatura mostra una giovane in piedi con il capo adorno di fiori e foglie, vestita di un abito a maniche ampie intessuto, su fondo arancione, di gigli multicolori.

 

Tellus“, miniatura su rotolo liturgico, presso l’Archivio del Capitolo metropolitano nella Cattedrale di Bari, risalente al sec. XI d.C.

 

Accanto alla effigie, che, nel mezzo di un prato, stringe con ciascuna mano un albero, sono rappresentati quattro animali: un cinghiale e un ariete a sinistra, un capro e un cane a destra. E’ correlata al testo che viene intonato il sabato santo prima della benedictio cerei, la benedizione del cero pasquale, si tratta del cosiddetto Exultet della liturgia benventana: “Gaudeat se tantis tellus irradiata fulgoribus…“, in cui si invita la Terra (tellus) a gioire, “Gioisca la Terra irradiata da tanti fulgori e, illuminata dallo splendore del re eterno, senta di essersi liberata dalla tenebra in tutta la sua estensione”.

E’ un’allegoria ispirata quindi a modelli classici latini della Dea Flora e della Dea Tellus.

L’immagine idruntina e quella barese sono poi presentate con medesima frontalità di influsso bizantineggiante e stessa posizione della braccia.

Differiscono per la seduta, la figura barese è in piedi, quella idruntina è assisa in trono sebbene nella raffigurazione parrebbe quasi in piedi anch’essa.

La Dea Tellus nell’arte romana non manca di apparire assisa in trono così come in trono è la figura nel tondo del mese di maggio a Otranto, un ulteriore elemento di influsso classico nel mosaico medioevale idruntino.

 

Dea Tellus – Ara Pacis a Roma,

con vari prodotti della natura attorno incluso il papavero legato all’oppio.

Stessa allegoria della primavera che ritroveremo poi sviluppata secoli dopo nell’arte rinascimentale ad esempio nella “Primavera” di Botticelli:

 

 

Oreste Caroppo

 

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