TARANTISMO e PERDITA DEL PRIMUS e della VERGINITÀ – alla ricerca del vero profondo riMorso della Tarantata

TARANTISMO e PERDITA DEL PRIMUS e della VERGINITÀ

“la Sacra Sindrome”
alla ricerca del vero profondo riMorso della Tarantata
quale il vero paradiso psichico di felicità perduto?

Foto: istantanea in bianco/nero durante un rito di tarantismo al suono dei tamburelli in Salento nel ‘900, tratta da internet.

 

Un viaggio nei misteri e segreti più profondi del tarantismo come del neo-tarantismo!

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Premessa: ho raccolto tutta una serie di miei approfondimenti, studi e teorie formulate sul VALORE BIOLOGICO E PSICOLOGICO DELLA VERGINITÀ FEMMINILE, attraverso la biologia, la scienza evoluzionista, la psicologia, la storia umana, l’ antropologia, mitologia ed etnografica, la politica e le religioni, in due miei post facebook intersecati tra loro a partire da temi e questioni appositamente provocatori, ma poi nei fatti non tanto gratuitamente provocatori, al fine di scatenare, come è stato, accesi dibattiti, e prevedibili scontri dialettici, anche molto coloriti, nel corso dei quali nei miei commenti ho inserito i miei approfondimenti sul tema; qui i link dei due post, ricchi anche di altri interessanti contributi da parte di tutti, e sempre aperti a nuovi commenti:

link Post 1 : https://www.facebook.com/oreste.caroppo.9/posts/10210626498688715

link Post 2 : https://www.facebook.com/oreste.caroppo.9/posts/10210685938094663

Dopo aver letto questo testo di seguito, per chi volesse approfondire la questione, rimando pertanto a questi due link di post facebook sopra.
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Il corpo di considerazioni esposte nei post indicati nella premessa ritengo siano importanti anche per poter capire quali erano alcuni dei principali quadri psicopatologici che vedevano poi diventare nel Salento alcune donne le cosiddette “tarantate”; “tarantata” un concetto legato alla creduta-affermata avvenuta puntura, morso da parte di un ragno. “Pizzicate dalla Taranta”. In prevalenza ed esser ritenute vittime della Taranta da curare con i precisi riti del tarantismo erano donne.
Nella ricerca delle origini psicologiche del fenomeno del tarantismo, ad oggi, ha pesato non poco la non piena conoscenza nella moderna cultura occidentale del corpo di questioni legate all’ approfondimento del femminile qui invece esposte intorno al tema del valore della verginità femminile.
Gli studiosi che si sono avvicinati nel ‘900 al fenomeno del tarantismo, per studiarlo e comprenderlo, sono stati frenati nell’ approfondimento in particolar modo dalle censure del femminismo occidentale moderno, agenti in loro più o meno consciamente.
Tante canzoni popolari salentine legate al tema della “pizzicatura” della Taranta hanno profonde allusioni invece proprio al rapporto sessuale, per esempio troviamo in una famosa canzone popolare del locale genere detto proprio “pizzica”, la frase “pizzichi le caruse, a mezzu l’ anche”, chiara allusione agli organi sessuali, lì dove è presente l’ imene. (Vedi l’ intero testo della canzone in basso, da cui è prelevata questa frase).
Ma dove per dei limiti culturali e psicologici non eran riusciti a giungere subito gli studiosi, a cause delle inerzie sul loro pensiero causate dai neo-tabù del femminismo novecentesco, può arrivare ed è arrivata invece l’ arte che è più libera di dar sfogo alle intuizioni, così nel film di qualche anno fa intitolato “Pizzicata”, anno 1996, girato nel Salento, e ambientato sempre in Salento al tempo della seconda guerra mondiale, dedicato al fenomeno del tarantismo, che era ancora ben presente nella prima metà del ‘900, film del famoso regista salentino Edoardo Winspeare, la giovane protagonista, una contadina che era stata impressionata tempo prima dalla visione di alcune tarantate nel rito del tarantismo in esecuzione, diventa essa stessa tarantata, ovvero comincia ad avere delle crisi psicopatologiche, una catatonia, che porta i suoi parenti e conterranei a curarla con i codificati riti medico-popolari della Taranta; vedono accanto a lei in quello stato catatonico un ragno (la “Taranta”), come normale quando si vive o si lavora nei campi o nei loro pressi in Salento, e pensano che sia stata pizzicata da quello; fatta questa diagnosi delle credute cause del suo male, la trattano e la fanno curare come una tarantata. In verità tutte queste sue crisi iniziano dopo che la giovane ragazza ha perso il suo primo amore, il suo Primus con il quale aveva avuto i primi rapporti sessuali e comunque i primi orgasmi, e accanto al quale era felicissima e sprizzante salute. Il suo amato viene ucciso per gelosia dall’ uomo cui ella era stata promessa dai suoi genitori, e al quale viene poi data in sposa. Il suo promesso sposo era comunque giovane anch’ egli e abbiente, un ricco proprietario terriero della sua zona; non per questo lei lo amava, o riuscì ad amarlo dopo la perdita del primus, il suo vero carnale primo uomo, cui aveva donato il suo “cuore”.
Interessante, in questa nuova chiave di lettura del fenomeno, anche l’ interpretazione del concetto della pizzicatura del ragno come simbolo di rapporto sessuale ed in particolar modo di primo rapporto deflorante sverginante. La “pizzicata” che diventa “tarantata” dopo il morso del ragno che affonda nelle sue carni i suoi cheliceri, diventa quasi posseduta dal ragno, come la donna viene posseduta anche psicologicamente dal pensiero del suo primo amore che si imprinta in lei se questo riesce ad essere il suo “primus” senza confusioni.
Interessante è la possibile rilettura, in questa nuova chiave, anche del titolo che l’ antropologo Ernesto de Martino, (Napoli, 1908 – Roma, 1965), diede al suo libro di studio sul fenomeno del Tarantismo nel Salento, lo chiamò: “la Terra del Rimorso”. Sebbene nel testo non si penetrano i concetti relativi al valore della verginità femminile e ai complessi psicologici che vi ruotano intorno nella mente-animo femminile, è interessante come un intuito inconscio dello studioso abbia invece posto tutti questi contenuti fondamentali per la comprensione dell’ impulso al tarantismo, in estrema sintesi, nel titolo stesso della sua importante e nota opera: “la Terra del rimorso”; un titolo con un doppio senso legato al presunto “morso” della taranta come evento scatenante, e ad un “rimorso”, il continuo tornare del pensiero del “morso”, in una consapevolezza tormentosa e dispiaciuta per una dimensione infranta, un paradiso perduto dell’ animo, che non può tornare! Infatti nelle “tarantate” gli effetti del presunto “morso” non svaniscono quasi mai, si da uno sfogo con il rito, ma periodicamente il ricordo del “morso”, gli effetti del “morso” passato ritornano e serve un altro rito, e poi un altro rito e un altro rito a dar sfogo; uno sfogo in cui, in una nuova danza sfrenata ritmata dai battiti violenti e decisi sulla membrana sottile del tamburello, un tamburello suonato da un uomo o più uomini a suonar più tamburelli intorno alla donna tarantata, essa simula e dissimula al contempo quel rapporto sessuale appagante con il primus perduto che non tornerà più a curare davvero il suo profondo male interiore!
La perdita del primus può essere un evento fortemente traumatizzante, in potenza, per l’ animo femminile che si trova costretto a riorganizzare la sua vita e cercar nuovi punti di riferimento esterni, una volta venuto meno quello fondamentale che era divenuto psicologicamente il primo, tanto che in certe circostanze questa avvenuta mancanza può dar luogo a situazioni problematiche di crisi interiore quali molto probabilmente quelle che per la maggior parte poi in Salento nei secoli e decenni passati alimentavano il fenomeno delle “tarantate”.
Sebbene quindi oggi sia venuta meno la ritualità che identificava quelle donne come tarantate, ciò non vuol dire che non esistono più le medesime universali problematiche psicologiche esistenziali nelle donne, solo che esse trovano oggi sfoghi differenti, dal rito del tarantismo puro di un tempo all’ interpretazione odierna in altri quadri medici e/o sociali e con altre terminologie, che per quanto potenzialmente corrette nel descrivere le sintomatologie peccano sempre della lacuna eziologica qui invece espressa. Ciò può guidare oggi verso una migliore anamnesi di tanti casi.
Non escludiamo certo qui il contributo nella nascita della ritualità del tarantismo proprio dell’ effetto del veleno iniettato da alcuni ragni viventi nel Salento nei loro morsi che spingevano all’ agitazione, ma ciò che abbiamo qui approfondito è come poi tale ritualità permise di dar sfogo a complessi di tipo differente da quelli legati alla mera pizzicatura di un aracnide.
Continuando in questa interessante nuova lettura, o meglio in questo nuovo livello di comprensione dei riti del tarantismo, tanti altri suoi elementi possono essere rivalutati nell’ ambito di una valenza sessuale, sulla scia degli insegnamenti della psicologia freudiana applicata al tarantismo. Così ad esempio nel rito del tarantismo la tarantata è spesso vestita di bianco proprio come nello stesso territorio si veste di bianco la sposa durante la cerimonia nuziale, e così nel rito vediamo muoversi e danzare la tarantata su una superficie delimitata e coperta da un lenzuolo bianco che è stato appositamente steso per terra, esattamente come il lenzuolo bianco è un elemento caratteristico del tàlamo nuziale su cui viene steso, e sopra cui i coniugi “giacciono” e “consumano il matrimonio”, forme verbali queste tra virgolette con cui si indica il primo rapporto sessuale dopo il rito del matrimonio, cui l’ usanza popolare voleva la donna giungesse rigorosamente vergine. E ancora nei secoli passati nel rito del tarantismo si osservava la comparsa di una spada e/o di un pugnale, chiaramente un simbolo fallico maschile, (armi capaci di ferire e far fuoriuscire sangue), che poteva essere imbracciata dalla stessa tarantata, e ancora la comparsa di una bacinella di acqua o comunque dell’ elemento acqua che non è difficile collegare anche alla dissimulazione del coito sempre con valenza simbolica, ecc.
Così anche il ballo tradizionale salentino, legato comunque alla più vasta ritualità – religione, quasi possiamo dire, cultura pagana popolare cristianizzata – della Taranta, ovvero il ballo chiamato non a caso “pizzica pizzica”, è un ballo di corteggiamento tra un uomo e una donna, che si svolge nello spazio della “ronda”, il cerchio di persone, tra cui i musicisti dato l’ immancabile ritmo delle percussioni dei tamburelli, altri pretendenti e curiosi; “ronda” simbolo anche più in generale della società che assiste, regolamenta e partecipa.
Uno dei simboli in quel ballo del buon corteggiamento riuscito, ovvero del fatto che la donna apprezza il corteggiamento fattole dall’ uomo, (corteggiamento nelle forme ritualizzate del ballo tradizionale, in cui non è previsto il contatto diretto corporale uomo-donna, ma solo sguardi tra la coppia di coreuti, espressioni, movenze allusive al più, un leggero sfiorarsi al massimo), è siglato quando la donna consegna a lui, o meglio consente a lui di prendere nelle sue mani il fazzoletto; fazzoletto-velo che la donna regge invece tradizionalmente tra le sue di mani durante il ballo, in alcuni passaggi facendone anche una sorta di svolazzante bandiera richiamante l’ attenzione, in altri una sorta invece di barriera, stendendolo tra le due mani e frapponendolo in aria nello spazio tra lei e lui. Per il fazzoletto, sovente scelto proprio di coloro rosso sangue porporino, anche in questo caso, quel velo di tessuto può essere ben letto come simbolo dell’ imene, e quindi la sua consegna come simbolo della volontà della donna sedotta di donarsi a lui, di farsi togliere i veli, di svelarsi e donarsi poi in disparte nuda agli occhi del solo vincente corteggiatore.
Non è un caso dunque se la tradizione oggi vede durante i balli della “pizzica pizzica”, in Salento, nelle occasioni di festa popolare, alternarsi nella stessa ronda i balli della, tradizionale sempre, cosiddetta “danza delle spade”, dove invece sono solitamente due maschi a simulare un duello tra loro in forme coreutiche di arte marziale codificate dalla tradizione; ma in quel contesto il simbolo che ne viene così rappresentato è quello della rivalità tra i maschi per poter corteggiare liberamente le donne, e accoppiarsi quindi con loro. Il parallelismo con i simili comportamenti etologici con il medesimo fine di tanti altri mammiferi è evidentissimo.
Significativo ricordare come nello stesso film “Pizzicata” di Edoardo Winspeare vi sono proprio scene di “pizzica pizzica”, durante le quali cresce il sentimento di amore tra la giovane protagonista e il suo primo amante, e anche lì proprio poi la “danza delle spade” tra il giovane amante e il promesso sposo della donna, che geloso sfida quel suo rivale con quel duello rituale in quel contesto dopo aver compreso il feeling, espresso nel ballo, tra quel ragazzo e la sua promessa sposa.
Come si giunge pertanto attraverso la tradizione, che raccoglie e conserva nel corso dei secoli, a questa sinfonia di simboli e pratiche altamente significative e socialmente importanti?
Attraverso l’ operato degli archetipi universali agenti negli uomini in ogni loro manifestazione, fin anche nell’ espressione artistica, quale in questo caso quella cinematografica, che diventa rivelatrice tanto quanto, se la si legge correttamente, un buon testo di ricerca scientifica libera da pregiudizi impastoianti e frenanti nella corretta comprensione della realtà! Tanto forte il lavoro pianificatore degli archetipi che quando nel ballo ad esempio compaion donne nella “danza delle spade”, o a ballare la “pizzica” non son rigorosamente un maschio e una donna, si sente inconsciamente che si tratta di stortura, che manca qualcosa, che la magia non è completa, e si avverte consciamente una mancanza di suggestione, perché il rito coreutico pretende il rispetto delle sue profondissime arcaiche efficientissime leggi!

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Titolo della canzone popolare sopra accennata:

“Pizzica di Santu Paulu”

Il suo testo:

Ah i Santu Paulu meu de le tarante
Pizzichi le caruse, a mezzu l’ anche

E santu Paulu meu te le tarante
pizzichi le caruse tutte quante

Santu Paulu meu de Galatina
Famme ‘na grazia a mia ca’ sun la prima

Santu Paulu meu de Galatina
Fammela ‘ccuntenta’ sta’ signurina

Ahi Santu Paulu meu de li scurpiuni
Pizzichi li carusi li pantaluni

Ahi Santu Paulu meu de li scurpiuni
Pizzichi li carusi, a li cujuni

E Santu Paulu meu de Galatina
Lassatila ballare sta signorina

Ahi Santu Paulu meu de Galatina…
facitece ‘na grazia, ‘sta mattina…

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(Testi tratti dal mio post del 27 settembre 2016, e miei commenti ad esso, al link: https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10210820626301784&set=a.1888805429917&type=3&theater)

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È la mia una lettura nuova che tocca quella che ritengo sia una delle principali patologie psichiche femminili che trovavano spazio nella codificata e socialmente accettata ritualità del tarantismo.
Patologia da perdita del primus, di cui tutti siamo oggi testimoni di innumerevoli casi nella quotidianità, se ben guardiamo, ma che addirittura,
tanto forti i tabù odierni di un esasperato sbilanciato femminismo,
come tanto forte dall’ altro lato l’ orgoglio maschilista da non volere pensare di non potere più essere amati pienamente da una donna che ha già amato davvero un altro,
che non è più persino riconosciuta quella come una patologia legata a quella causa di abbandono forzato o voluto da parte del “primus”.

Per carità, ci sarà chi supera anche facilmente quel trauma, ma quante ragazze invece cadono in depressione, hanno vere e proprie crisi da richiedere il ricovero ospedaliere, ed altro, fino al suicidio, ma guai a collegare il tutto all’ importante imprinting sentimentale dei primi rapporti col primo ragazzo in un legame poi per varie ragioni rottosi, da cui il trauma e la depressione sfociante in patologie comportamentali psichiche somatiche varie. Infelicità per sintetizzare.

Si c’era saggezza antica in passato, altro che tabù dell’ orgasmo femminile in una società patriarcale maschilista, assolutamente no! Se così fosse stato non si sarebbe certo mai consentito un tale rito con un tale ballo sfrenato e persino talvolta pubblico, probabilmente capace anche proprio di far raggiungere orgasmi alla tarantata.
Tutt’ altro!
La crisi dalla difficoltà semmai di raggiungere un tale pieno appagante orgasmo quale quello con “il primo amore che non si scorda mai”, e che perduto genera il vero “rimorso”.
Sulla lettura del tarantismo ad oggi, nelle sue recenti tesi interpretative ha forse troppo pesato il fardello delle ideologie novecentesche, quelle socialiste della lotta di classe, quelle femministe della lotta di generi!
È il tempo di riconoscere i pregiudizi, far tesoro di tutti i livelli di interpretazione possibili e sempre giusti, per carità, quando l’ Homo giudica l’ Homo, e tornare a cercare anche comprensioni più libere da pastoie ideologiche forzate, in versi di lettura pertanto più naturalistici!

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Un’ amica mi ha scritto che anche solo sentir parlare di verginità le dà fastidio.

La mia risposta: Il procedimento corretto, quando qualcosa ci dà un fastidio profondo, è chiedersi ed indagare perché ci dà fastidio. Solo così si arriva alla verità, se la si vuole trovare, anche se la strada è “fastidiosa”.
È l’ applicazione del famoso motto dei savi greci: “conosci te stesso!”
Io l’ ho applicato per capire, ne parlo nel testo anche, perché sentiamo a pelle ad esempio anomalo, se nella “danza delle spade” si mette a gareggiare una donna, come se due maschi o due donne ballano la “pizzica”. Lo possono fare ci mancherebbe, magari quando uno insegna all’ altro, o per altri motivi, ma se la cosa suscita un senso di anomalo, di ridicolo, è chiedendosi perché, il perché che si rivelano gli archetipi universali in tutti noi! E non è certo per intolleranza o omofobia ideologica!!!
La verginità femminile è un concetto concreto anche, non l’ abbiamo inventato noi, noi semmai apparteniamo al tempo che ha tentato suo malgrado di amputarlo del tutto quel concetto, censurarlo in un non scritto ma fortissimo tabù, censura causa di una grande nevrosi nella nostra civiltà occidentale. Nevrosi utile ad andare avanti, ma non nella piena conscia chiarezza della verità.
La Scienza, se è scienza, deve affrontare con coraggio anche la strada del “fastidio”.

P.S. La sua risposta ancor più infastidita: ecco in azione il tabù-censura di cui parlavo! C.V.D. Come Volevasi Dimostrare .

Un’ altra critica giunta da un’ altra ragazza è stata che questo scritto appare molto freddo, effettivamente quando voglio esprimere emozioni si percepisce il tono poetico dei miei scritti, quando invece voglio sviluppare analisi scientifiche lucide effettivamente cerco la massima freddezza in termini di indipendenza da possibili pregiudizi insiti in noi, un po’ come quando si sviluppa un teorema matematico, la cui bellezza poi successivamente non manca di suscitare meraviglia e quindi emozione comunque!

Alcuni commenti di alcune lettrici sono stati: “bella foto ma testo ridondante”.

Ho cercato soltanto di far parlare la bella forte e effettivamente strana scena nella foto, strana per chi non conosce il fenomeno Salentino del tarantismo.

Diciamo più che altro che può essere empaticamente “fastidioso” il contenuto del testo, penso sia il termine giusto; “ridondante” invece vuol dire ripetitivo, e non c’è un solo concetto che venga ripetuto una volta nel corso del testo senza che ogni volta siano aggiunti nuovi dati.
Ecco ridondante forse è perché nell’ aggiunta di dati continuamente si richiama un concetto di base che forse dà fastidio.

La scoperta che accresce il sapere comincia là dove comincia ciò che il mondo degli uomini ignora…
… o vuole tentare di ignorare!

sul discorso della simbologia dell’ acqua cui la donna è molto legata, è lei preposta forse non a caso ad attingere l’ acqua dal pozzo, vedi forse anche il vaso funebre della trozzella a lei associato a corredo nella Messapia; il geroglifico egizio della donna come bacinella di acqua, se ben ricordo; le acque che “si aprono” prima del parto, ecc.

Le conseguenze psicologiche, ben note ritengo di dedurre dagli antichi pensieri, miti e costumi, che invece ho voluto focalizzare son quelle di un fenomeno umano di imprinting da primo orgasmo nella donna, fenomeno che io ipotizzo esistente e mai ad oggi scientificamente indagato prima, funzionale evolutivamente alla solidità sentimentale, di cui ritengo si ha traccia anche nel noto detto popolare italiano: “il primo amore non si scorda mai“, e ad una lettura logica: un amore che non si scorda come amore è un amore che dura comunque per sempre!
Piccolo aneddoto: una anziana zitella magliese, venuta a mancare poco tempo fa, portava ancora, sebbene anziana, al petto sempre l’ effigie del suo primo caro amore in un cammeo, benché da decenni lontano e sposato con altra donna, e pur lei gli rimase tristemente fedele per sempre rifiutando ogni altro successivo pretendente…

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Sul discorso della simbologia dell’ acqua cui la donna è molto legata, è lei preposta forse non a caso ad attingere l’ acqua dal pozzo, vedi forse anche il vaso funebre della trozzella a lei associato a corredo nella Messapia; il geroglifico egizio della donna come bacinella di acqua, se ben ricordo; le acque che “si aprono” prima del parto, ecc.

Le conseguenze psicologiche, ben note ritengo di dedurre dagli antichi pensieri, miti e costumi, che invece ho voluto focalizzare son quelle di un fenomeno umano di imprinting da primo orgasmo nella donna, fenomeno che io ipotizzo esistente e mai ad oggi scientificamente indagato prima, funzionale evolutivamente alla solidità sentimentale, di cui ritengo si ha traccia anche nel noto detto popolare italiano: “il primo amore non si scorda mai”, e ad una lettura logica: un amore che non si scorda come amore è un amore che dura comunque per sempre!
Piccolo aneddoto: una anziana zitella magliese, venuta a mancare poco tempo fa, portava ancora, sebbene anziana, al petto sempre l’ effigie del suo primo caro amore in un cammeo, benché da decenni lontano e sposato con altra donna, e pur lei gli rimase tristemente fedele per sempre rifiutando ogni altro successivo pretendente…

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(In questi miei commenti ulteriori chiarimenti sulla ipotesi che avanzo).

L’ interpretazione dello stato e comportamento della tarantata come solo effetto del veleno del mordace ragno-“taranta” pizzicatore, o effetto dell’ intossicazione da parte di funghi presenti nei campi agricoli, come ad esempio casi di ergotismo, (benché non si possono certo escludere pizzicature e intossicazioni durante i lavori agricoli, come eventi-grilletto nel quadro culturale del tarantismo), non riuscirebbe ad integrare nella complessiva spiegazione del fenomeno tanta simbologia ritualizzata, quale quella che troviamo nel tarantismo, come la strada iatro-psicopatologica consente; sol per citare un aspetto che susciterebbe dubbi, si pensi alla ricorrenza periodica della crisi della tarantata anche per anni e anni. Ciò già basta a sospettare quadri psicopatologici sottesi più che permanenza di veleno nel corpo.

Volendo proprio cercare una causa parassitaria si potrebbe pensare a qualche parassita iniettato col veleno dalla taranta, e che quindi continua a vivere nella tarantata e a dar recrudescenze sintomatologiche periodiche, ma per quest’ipotesi non ci sono ad oggi mi risulta studi confermanti, e al contempo anche questa ipotesi, (come magari quella pure ipotizzabile di una ricorrente allergia scatenata dal primo morso dell’arachide, e ricorrente periodicamente alla ricomparsa nei cicli naturali di un qualche allergene), non permetterebbe di spiegare tutta la simbologia ritualizzata del tarantismo.

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In un parallelismo tra il rituale salentino della “Taranta” e il rituale sardo simile dell’ “Argia”, in cui invece comparivano per la maggior parte uomini, bisogna considerare il fatto che il maschio lì in Sardegna nel rito si vestiva o veniva vestito comunque da donna. Il che mi fa pensare che ciò che è giunto a noi nel ‘900 e lì è stato documentato è il relitto quasi folkloristico di un rituale antico ben più simile al nostro tarantismo in tutto. Lì il ragno Argia, mi ricorda nel nome il nostro Griko “argalio”, il telaio, che si richiama all’arte della tessitura così associata al ragno tessitore.

In Sardegna la censura maschilista patriarcale sul sostrato mediterraneo neolitico matriarcale, (o semplicemente più equilibrato tra maschio-femmina), ha attuato la sua censura vietando alle donne l’antico rito di sfogo dell’Argia, e consentendo che rimanesse per trattare problematiche psicologiche legate ad altri complessi ma di maschi purché nel rispetto del rito consolidatosi fossero vestiti da donne. Un po’ come nel teatro dei secoli medioevali e moderni si vietava in Europa alle donne di rappresentare le parti femminili, ed erano in scena attori maschi a recitare da donne e vestiti da donne per quei ruoli femminili. Ben meno censura maschilista in Salento nel tarantismo!!!

Anche nel tarantismo non mancavano i maschi tarantati, ma le donne erano superiori in numero.

Il fatto di vestire comunque il maschio da donna nel ballo dell’Argia dovrebbe portare ad approfondire quali patologie/problematiche psicologiche portassero dei maschi a ricorrere alla iatro-ritualità dell’Argia. Sarebbe interessante conoscere di più sulla loro psiche e personalità.

Gianfranco Mele ci informa che “Nei verbali della inquisizione orietana [di Oria (Brindisi) in Terra d’Otranto] si legge la storia ( 1700) di un giovane manduriano [di Manduria (Taranto)] che non ha ancora conosciuto i piaceri del sesso. È anche innamorato di una donna che non riesce ad avere. Nel frattempo gli si avvicina una masciàra [una strega] che gli offre la possibilità di conoscere i piaceri carnali. Deve, però, in cambio, essere iniziato ovvero stringere un “patto col diavolo” (con la congrega segreta). In un primo momento il giovane accetta ma poi si pente chiedendo aiuto alla Madonna. Così, non riesce a portare a compimento la congiunzione carnale. Nel frattempo perde definitivamente anche la ragazza di cui era innamorato perché quella si sposa. DA QUEL MOMENTO, diventa tarantato. 
Più in generale, tarantate e tarantati son vittime di un eros represso, e incanalato proprio nel rito del tarantismo e nel ballo. ” li tarantolati stanno nel letto vestiti, per prevenzione fatta da’ parenti, acciò non escano nudi in istrada”, spiegava nel 1697 Paolo Boccone.

Per approfondire: “Un rituale di guarigione in Sardegna: il ballo dell’Argia

E questo video su suggerimento di Gianfranco Mele:

Interessante come si chiamasse il rito dell’Argia in Sardegna “il ballu”, proprio come il sabba in Salento, che era chiamato “ballu” come ha rilevato nei suoi studi Gianfranco Mele.

Il ragno, la salentina Taranta nella terra salentina del dio greco-messapico Taras, come l’ Argia sarda, ben si associa alla donna cui era demandata la tessitura, vedi il mito greco della tessitrice Aracne e la dea Atena (Minerva), tanto venerata in Salento, che la muta proprio in un ragno tessitore, (“aracne” è il nome del ragno in greco), per la sua tracotanza (hybris), diceva infatti di saper tessere meglio della Dea dagli occhi cerulei.

Aracne – Illustrazione di Gustave Doré per il “Purgatorio” di Dante
Il mito greco antico racconta anche un’ altra interessante versione che lo studioso salentino Gianfranco Mele rimarca nel filone di studi intorno al tarantismo, una versione interessante per i suoi connotati sessuali.
Si tratta del mito secondo cui Aracne e Falance erano due fratelli, da Atena avevano imparato rispettivamente l’arte della tessitura-lanificio, e quella delle armi. Alla fine però ambedue furono castigati dalla Dea dagli occhi cerulei e casta irata per l’incesto che i due compirono. Furono tutti e due trasmutati pertanto in animali, in vipere, serpenti, rettili. Il serpente un animale che psicologicamente freudianamente parlando è un simbolo fallico.
Secondo alcune versioni più lineari con i loro nomi invece, furono mutati:
Aracne per metamorfosi in un ragno (“aracne” in greco) ed il fratello si trasformò in un Falangio, che è sempre tassonomicamente un aracnide, detto anche comunemente Opilione (Phalangium opilio) presente anche nei campi salentini:
 
Opilione falangio (Phalangium opilio)
 
Una versione del mito indubbiamente interessante perché parla di un amore impossibile, vietato socialmente, quello incestuoso tra fratello e sorella, che, se si verifica, data la crescita insieme in famiglia dei fratelli, ha sovente la caratteristica di primo amore.
Come i ragni poi anche i serpenti vipere hanno la caratteristica della simbologia del veleno inoculato penetrando le carni con una puntura rispettivamente con i cheliceri o i denti, la puntura un simbolo fallico-sessuale di coito-penetrazione, e l’ avvelenamento conseguente un simbolo della possessione amorosa sentimentale.
Nella versione più nota del mito di Aracne era abilissima nel tessere, tanto che girava voce che avesse imparato l’arte direttamente dalla dea Atena, mentre lei affermava che fosse la Dea ad aver imparato da lei. Ne era tanto sicura che sfidò la dea a duello. Di lì a poco un’anziana signora si presentò ad Aracne, consigliandole di ritirare la sfida per non causare l’ira della dea. Quando lei replicò con sgarbo, la vecchia uscì dalle proprie spoglie rivelandosi come la dea Atena, e la gara iniziò. Aracne scelse come tema della sua tessitura gli amori degli dei; il suo lavoro era così perfetto ed ironico verso le astuzie usate dagli dei per raggiungere i propri fini che Atena si adirò, distrusse la tela e colpì Aracne con la sua spola. Aracne, disperata, si impiccò, ma la Dea la trasformò in un ragno costringendola a filare e tessere per tutta la vita dalla bocca, punita per l’arroganza dimostrata (hýbris) nell’aver osato sfidare la Dea.
Tanto in quel rapporto incestuoso di Aracne col fratello, (e non penso di sbagliare se dico anche primo amore per lei, come immagino di solito negli incesti sorella-fratello), come in questo interessante caso addirittura del fenomeno del tarantismo persino in un ragazzo divulgato dallo studioso Gianfranco Mele, la questione del primo innamoramento si ritrova, ha la sua carica che si doveva porre in risalto ed indagare di più, come artisticamente lo ha fatto de facto il regista Edoardo Winspeare in chiave artistica nel suo film “Pizzicata“.
Aracne nella sua tela raffigurava “gli amori di alcuni dei, le loro colpe e i loro inganni” quindi mi fa pensare proprio al tema dell’amore tradito o comunque violato, impedito, danneggiato, o infranto che lascia una ferita insanabile!

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Il valore della trance in cui cade la tarantolata nel rito, trance ben praticata già nei più arcaici riti sciamanici (anche con l’ assunzione lì del fungo europeo Amanita muscaria), non è certamente messa qui in discussione, il suo valore terapeutico anche per risanare quadri psicopatologici la scienza medica moderna lo ha soltanto riscoperto con gli studi sull’ ipnosi.
Come il sonno che ha funzioni riorganizzatrici a livello psichico, così la trance con in più in essa la possibilità di una guida esterna.
Credo che evolutivamente la possibilità umana di lasciarsi ipnotizzare sia legata ad un meccanismo sociale per la migliore coesione operativa in situazioni di pericolo dove è bene affidarsi ad ascoltare le regole del capo, senza criticarle, situazioni di emergenza dove un comando giusto o sbagliato è solitamente migliore del caos dell’ indecisione.

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Interessanti anche le immagini di donne danzanti con fazzoletti tra le mani in stato di estasi e tamburelli esattamente come nei riti del tarantismo,

 

Menade

 

queste immagini effigiate sui vasi apuli a figure rosse della Puglia di età classica e riferite certamente alle menadi-baccanti dei culti e riti dionisiaci che furono molto diffusi in Salento in quell’ epoca. A testimonianza del sostrato arcaico da cui attinge la ritualità del tarantismo. 

http://madonnaaaddolorata.tumblr.com/post/94622613319/tempo-

http://magikaroma2punto0.blogspot.com/2016/11/bacchanalia-2.html

 

Tamburelli

 

“Le tarantate ricordavano menadi, baccanti, coribanti e quant’altro nel mondo antico partecipava a una vita religiosa percossa dall’orgiasmo e dalla mania” (“La Terra del Rimorso”, Il Saggiatore, Milano, 1961).

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Abbiamo sopra scritto dell’ “Argia”, che è in Sardegna il corrispettivo quasi mitologico della Taranta pugliese.

Il nome Argia credo sia legato nel Mediterraneo a qualche antico nome indicante o comunque legato ai ragni, se è vero, come è vero, che nel griko ovvero il dialetto grecanico del Salento il telaio si chiama “argalio”, e l’ attività umana della tessitura è notoriamente da sempre paragonata a quella dei ragni che tessono la loro tela, già nel mito greco di Aracne e Atena.
Ma un’ altra curiosa caratteristica dei ragni, oltra alla tessitura, è quella di avere molti occhi, più di tre, e c’è un mostro umanizzato nella mitologia greca che aveva proprio questa caratteristica, quella di avere molti occhi, ed era chiamato “Argo panoptes” dove la parola “panoptes” dal greco vuol dire proprio dai molti occhi. Ma il termine Argo usato in questo contesto mitologico, dato anche il fatto che ci ricorda il nome Argia e l’ argalio non è esotico avanzare l’ipotesi di un’ influenza del ragno sulla genesi del nome di questo mostro mitologico greco antico e sulla sua stessa genesi.
Argo era anche battezzata la nave che diede il nome ai famosi Argonauti in altri racconti mitologici greci, e poiché sulle navi greche si disegnavano occhi apotropaici sullo scafo soprattutto affinché magicamente le imbarcazioni guardassero gli scogli in anticipo per evitare di finirci addosso e naufragare, non è neppure austrusa l’ ipotesi avanzabile di un legame anche del nome di questa imbarcazione con quello antichissimo del ragno dai molti occhi in area greco-mediterranea.

Riflessioni solo iniziali ed ipotetiche da assonanze di suoni e significati tutte queste stimolate dalla vista dei ragni con i loro numerosi occhi.

 


 

Hogna radiata, Valle dell’ Idro ad Otranto, all’ ombra delle canne di Arundo donax, camminava al tramonto su un umido terreno … si è fermato, ha posato per me il tempo necessario per questo scatto prima di camminar via! 2 ottobre 2017. Foto di Oreste Caroppo. Ho la sensazione che stesse pronto a saltarmi addosso per mordermi se mi fossi avvicinato ulteriormente insidiandolo oltre per la foto!

 

Per i salentini non solo un ragno, ma di più, una divinità della Natura in un sentire animistico del cosmo:

la TARANTA!

E già TARAS è nome di un’ antica divinità messapico-greca nel sud della Puglia.

AR Didramma di Taras (Taranto) (g 7,75), coniato nel 280-272 a.C.

Il ragno tessitore di tele, come ben rivela il mito greco antico di Aracne, è legato alla dea greca Atena (Minerva per i romani), Dea dell’ Ulivo tanto venerata anche nel Salento antico, terra dove fiorisce l’ Ulivo;
terra di “stiare”, dove mi ha molto affascinato questo dato etnografico rilevato dalla studiosa salentina Tania Pagliara, il racconto di una anziana donna che postasi al centro di una stanza a cupola ruotava la mano nel cielo come a far ruotare un pomo, e lanciava il suo malefizio, secondo una formula tramandata da nonna a nipote nel tempo, dicendo “comu lu ragnu sutta la terra gira la rota, cusì ..”, la maledizione lanciata ed esplicitata nel prosieguo di questa formula per il magico incantesimo possa nel tempo a venire abbattersi sulla odiata invidiata vittima, un ragno che par immaginato come colui che muove gli ingranaggi di un cosmo fatto a sfera, che tesse la rete della realtà che si dipana nel tempo;
terra del ballo forsennato delle “tarantate”, donne che si credon possedute dal ragno che le ha pizzicate, penetrate nelle carni con i suoi aculei, e dal cui veleno iniettato in esse prima del dileguarsi via dell’ aracnide, “veleno” per il loro corpo e per la loro anima, non possono più guarire, e per poter continuare a vivere devono ballare come estatiche menadi ossesse al ritmo del tamburello suonato da maschi intorno a loro, stese inizialmente intorpidite su un come nuziale lenzuolo bianco, per “scazzicarle” e condurle a ritmo battente nell’ orgasmico dimenarsi;
terra del sessuale corteggiamento coreutico del ballo tarantella della cosiddetta proprio pizzica-pizzica!

Nello specifico questo grosso ragno appartiene alla famiglia dei cosiddetti Ragni lupo, (Lycosidae),
in un terra boscosa e di Lupi un tempo anche, come ben ricorda, solo ad esempio, il nome romano Lupiae dell’ odierna città di Lecce.
Benché ogni ragno finiva per essere identificato con la mitica Taranta in Puglia, della famiglia dei Ragni lupo, due son le specie cui sovente si correlavano gli episodi di tarantismo: la Lycosa tarantula (nome comune italiano Tarantola) e la Hogna radiata (nome comune italiano Falsa tarantola), anche perché ragni dal morso doloroso a causa dell’ azione meccanica dei loro cheliceri.
Gli amici entomologi ed entomofili, come leggerete nei commenti, vi hanno individuato in questo grosso esemplare che ho fotografato la specie: Hogna radiata.

A queste due specie dal morso non pericoloso, è da aggiungere anche il Latrodectus tredecimguttatus, comunemente noto come Malmignatta, o Vedova nera mediterranea, la cui puntura può essere effettivamente più fastidiosa; è un ragno anche presente nel Salento, fermo restando che son animali che se non stuzzicati difficilmente possono rappresentare un pericolo per l’uomo, e vanno rispettati come tutta la biodiversità selvatica e domestica, autoctona ed esotica del territorio.

Femmina di Latrodectus tredecimguttatus


Questo, come un po’ tutti i grossi ragni, in realtà senza molte distinzioni, venivano popolarmente identificati con la mitica Taranta in Salento!

La tela del ragno, nell’ iconografia consueta, nell’ affesco di San Paolo delle Tarantate, (santo cristiano che raccontano gli Atti degli Apostoli sopravvisse senza alcun effetto al veleno di una vipera che lo morsicò a Malta e per questo associato popolarmente al tarantismo nella religione popolare cristiana salentina), nella cripta scavata sotto il Menhir di San Paolo appunto battezzato in agro di Giurdignano.

Menhir San Paolo, Giurdignano. Sorge su uno sperone roccioso entro il quale è stata scavata la cripta di San Paolo.+Alessandro+

Publiée par "Mondo SALENTINO" sur Vendredi 16 octobre 2015

 

cripta sottostante al menhir 2009

Publiée par Filippo Montinari sur Dimanche 22 avril 2012

 

Tra gli animali che entravano nel fenomeno del tarantismo, anche in realtà gli scorpioni.

Piccolo scorpione del genere Euscorpius, Bosco Sant’ Elia in feudo di Scorrano, anno 2013

 

Nell’ affresco di San Paolo dei Serpenti anche detto, protettore contro il morso per cui degli animali velenosi, nella chiesetta di Vereto (Patù nel Capo di Leuca) vi compare effigiato anche lo scorpione

URL a questo post facebook:

Vereto Chiesa della Madonna de Varitu, particolare affresco in incasso murale di San paolo de li serpentiAggiungi una didascalia Particolare Scorpione

Publiée par Francesco De Marco sur Dimanche 7 mars 2010

Vereto, chiesetta della “Madonna de Varitu”, particolare affresco in incasso murale di “San Paolo de li serpenti”

Particolare da questo affresco (vedi in basso a destra):

Foto dello studioso salentino Michele Bonfrate dal link

 

Qui un mio album di foto con ulteriori  dati e dettagli su questo affresco: https://www.facebook.com/oreste.caroppo.9/media_set?set=a.10218791977220575&type=3

 

Lo Scorpione è nello stemma della Provincia di Taranto

 

Segnalo questo interessante studio sui ragni, scorpioni e fenomeno del tarantismo: http://www.antidotumtarantulae.altervista.org/?fbclid=IwAR3wIVUxftNDUtLxjejGz8zjBSsCHaY3iKAzr4gfYQMwTcTE0G4UGKu2IbU

 

(Dal mio post facebook del 2 ottobre 2017 al link: https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10214543878540763&set=a.1888805429917&type=3&theater)

 


 

Riporto ad approfondimento una interessante discussione con lo studioso Gianfranco Mele:

Gianfranco MeleTarantate = Menadi mancate in quanto MAI iniziate. Coloro che continuano la tradizione delle Menadi sono le masciàre e i masciàri nei riti e bei balli masciàri, che si svolgono con modi, ritualità, caratteristiche ed esiti diversi da quelli delle tarantate.
Oreste CaroppoL’ iniziazione … è vero un rito importante tra le streghe lucane e immagino anche pugliesi. Ne incontrai, per caso, una giovane ipertatuata una volta a Policoro e mi disse di esser stata iniziata e prescelta perché nata settemina, ti risulta una predilezione per le nate premature?
Gianfranco MeleSi è un clichè ricorrente in tutta la stregoneria di ogni luogo.
Le Menadi ( masciàre) inoltre, nei loro riti danno sfogo alla sessualità accoppiandosi in orge segrete e di gruppo. Le tarantate la esprimono soffocandola al tempo stesso, nel e con il loro rito.
Oreste CaroppoIl riferimento al ragno che “gira la rota” pronunciato in un incantesimo malefizio da una strega mi fa pensare anche alla ruota che era attributo della dea greca Nemesi custode dell’ ordine cosmico, che veniva spesso rappresentata con una mela e una ruota (a volte con una spada). Il nome Nemesi deriva dal greco νέμεσις (némesis), νέμω (némō, “distribuire”), significa dunque dea distributrice della Giustizia, del Fato, intesa come Giustizia Compensatrice o Riparatrice!
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Riporto qui alcuni interessanti testi dello studioso di Sava (Taranto) Gianfranco Mele dal suo post del 25 novembre 2015 al link: https://www.facebook.com/photo.php?fbid=1129704130373382&set=a.101585826518556&type=3

Segnalo di Gianfranco Mele anche il suo recente libro: https://www.libreriauniversitaria.it/magia-salento-mele-gianfranco-spagine/libro/9788894347562

 

TESTO di G. Mele:
“SOPRA TUTTE LE BRUME, SOPRA A TUTTI I ROVI”
1704, Francavilla Fontana. Caterina viene introdotta al “ballo” e alla congrega

14 agosto 1704. Caterina Patrimia di Francavilla Fontana confessa (sembra, spontaneamente) presso la Corte del Capitano di Giustizia di Francavilla di aver avuto rapporti col demonio. Il Capitano di Giustizia rimette gli atti alla curia del Vescovo di Oria, Tommaso Maria Francia.
Il 17 agosto Caterina rende una deposizione presso la Curia Vescovile di Oria.

Caterina ha 45 anni, è sposata con Paulo Pascharello e ha tre figli. Dei tre figli, una è gravemente ammalata. Caterina ripone le sue speranze di guarigione della figlia in una compaesana con la quale è entrata in amicizia, Antonia Donativa: poiché correva voce che la Donativa “fosse stregha”, Caterina pensa che Antonia possa guarire la figliola.
Così Caterina si ritrova, a suo dire, coinvolta tra le streghe. Con Antonia si reca al “ballo” dopo essere stata unta con un “oglio negro e puzzolente”.Caterina e Antonia si recano al ballo “cavalcando come cavalcano gl’ homini, con le gambe pendenti d’una parte e dall’altra dui montoni grandi et alti di colore bianchi e negri”.
Il “ballo” si tiene presso il Convento dei Cappuccini di Francavilla (luogo ricorrente anche in altri racconti come scenario degli incontri e delle celebrazioni). Colà giunte, le due donne si uniscono nel ballo “insieme a molti uomini e donne, parte dei quali erano ignudi come noi”. Il ballo si svolge “al suono di un tamburello”.
Successivamente le donne si recano sotto “un albero grandioso di noce, ov’era seduto un grande personaggio”. Quest’uomo chiede a Caterina di consegnargli l’anima e il corpo in cambio della salute per la figlia. Caterina accetta e firma un patto “per soli dieci anni e non più”, usando il suo sangue come inchiostro.
Dopo il contratto si tiene un banchetto a base di pasta, carne, insalata, pane e vino. Poi si ritorna a ballare, e a questo punto, riferisce Caterina, “il detto mi conobbe carnalmente, e questa è stata la mia vita per lo spazio di dieci anni”.

La fonte è (chiaramente) il Tribunale del Santo Officio di Oria,.Fondo Sortilegi e Stregonerie ai tempi del Vescovo Tommaso Maria Francia. Il mio è un riassunto, le parole virgolettate sono quelle degli atti.

(Gianfranco Mele)


 

Ancora sul Tarantismo

 

Anche nell'arcaico ballo salentino della Pizzica-pizzica il simbolo del cerchio, oltre a quello sotteso del ragno, la "…

Publiée par Oreste Caroppo sur Dimanche 28 décembre 2014

 

Riporto dal testo e miei commenti dal mio post facebook del 29 dicembre 2014 al link: https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10205761973878635&set=a.1888805429917&type=3&hc_location=ufi 

 

Anche nell’arcaico ballo salentino della Pizzica-pizzica il simbolo del cerchio, oltre a quello sotteso del ragno, la “Taranta”, pizzicante e così inducente al salto e al ballo!

Molto interessante quanto osservato dalla danzatrice e coreografa straniera Nelly Quette, nel suo discorso durante la cerimonia di premiazione per il Premio Amor Loci “Gino Cantoro” 2014, tenutosi quest’anno a Novoli, il 21 dicembre, e commemorante il grande ambientalista salentino di cui il premio porta il nome.
Un premio consegnato quest’anno anche a Nelly per le sue ricerche e documentazioni fotografiche, (foto preziose realizzate alcuni decenni or sono), sul fenomeno megalitico salentino, e studi più in generale sulla cultura salentina.

Nelly ha osservato come numerose antiche danze europee e non solo, vedono sovente la partecipazione di ben più di due persone formanti cerchi roteanti. Ad una valutazione semplicistica, ha detto, il ballo della pizzica-pizzica potrebbe invece esser visto come privo di questo elemento simbolico del gruppo e del cerchio. Assistendo ad un ballo di pizzica-pizzica, da osservatori occasionali, non ci si accorge però, ha fatto notare, della forte presenza dell’elemento circolare semplicemente perché, apparentemente in maniera passiva, l’osservatore fa egli stesso parte del gruppo costituente il cerchio, in quella che prende il nome dialettale di “ronda”, che rimanda etimologicamente proprio alla forma tonda circolare. Si chiama “ronda” infatti la circonferenza formata da persone, spettatori, musicisti di tamburelli ed altri strumenti tradizionali, cantori e danzatori in attesa del loro turno, ruoli nei quali si alternano a volte le stesse persone, che viene invocata dai danzatori medesimi a gran voce gridando “ronda, ronda!”, prima di poter iniziare all’interno la tradizionale danza della “pizzica pizzica”, come anche quella della pizzica-scherma, più nota come “danza delle spade”; un confronto quest’ultimo competitivo e marziale ritualizzato tra maschi, a differenza della pizzica-pizzica che è invece un seducente ballo di corteggiamento ritualizzato tra un uomo e una donna.

 

La “ronda” è un cerchio di persone che resta fisso, non rotante, come in altri balli, mentre i movimenti anche rotatori son eseguiti dalle coppie danzanti al suo interno.

 

Il concetto delle persone riunite in cerchio mi ha ricordato anche queste famosa foto che immortala un gioco dei bambini africani che siedono in terra formando un cerchio con i loro piedi, una forma come di Sole raggiato formata dalle persone.

 

Un ulteriore importante contributo di approfondimento ci giunge in merito da Mariella Salierno dello “Specimen Teatro”; una compagnia teatrale con baricentro nel Salento fortemente impegnata nella ricerca antropologica, etnografica e musicologica, estesa al sud Italia e non solo, e che collabora anche nell’attività artistica-culturale con Nelly. Mariella Specimen Teatro Salierno ci ha inviato un testo scritto dal marito, l’attore Salvatore Gervasi, nel 2011, dove si mette in evidenza anche il valore simbolico della pizzica-pizzica che si affianca a quello prettamente sociale-relazionale, dato che nelle cerimonie del ballo nascevano amori, relazioni, coppie, come anche rivalità e conflitti tra pretendenti.
Un valore simbolico-rituale dove nella danza si rappresentava e propiziava l’ unione feconda per la terra della coppia cosmica Terra-Sole; Terra legata alla Dea Madre Terra, rappresentata dalla sacerdotessa, dalla donna, e Sole legato al Dio Padre, rappresentato dal sacerdote, dall’uomo. La comune coppia maschio-femmina che incarna quella Sole-Terra. L’ incontro e il moto ciclico della coppia umana copia e spera di indurre magicamente con la simulazione questo incontro relazionale equilibrato tra gli astri, e questo moto tutto al cosmo, perché si perpetui nel tempo permettendo così la continuità della vita che a tali moti e cicli della natura si dimostra fortemente legata!
Una concettualità in parte conscia in parte archetipa che ritroviamo alle radici del culto ancestrale degli alberi e del bethilos-omphalos-axis mundi, il menhir incontro propiziato di Terra e Cielo(Sole) dai valori energetizzanti e fecondi!

“Non vanno dimenticate le figure della pizzica-pizzica che ci
riportano al rito solare!
(…)
La danza conserva il carattere delle ritualità dedicate al
Sole e alla Madre Terra: il cerchio, il corso celeste antiorario, l’offerta al centro del cerchio… l’innamorato (il sole) corteggia la sua amata
(la terra ). … E’ lei con il suo sguardo schivo a condurre la danza! Lui con
gesti e figure virili continuamente la incalza e la corteggia! Danzatore e
danzatrice non si sfioreranno mai, danzano uniti solo dal filo sottile dello sguardo!
I partecipanti alla ‘ronda’ hanno formato un cerchio intorno
ai danzatori, sono protagonisti essi stessi della rappresentazione e in
comunione con i danzatori presenziano al rito. Come nello spazio sacro delle
antiche ritualità i partecipanti portano un’offerta anche la nostra comunità-ronda porta i danzatori-offerta.” (Salvatore Gervasi, CERCHIO CORALE – SPECIMEN – 2011).

E non è un caso che ricompaia celato nella “pizzica-pizzica” il simbolo del ragno, della “taranta” pizzicante e tessente la tela. Un’ interessante testimonianza etnologica è stata documentata a tal proposito dalla studiosa di antropologia Tania Pagliara nel nord della provincia di Lecce. Da una locale anziana esperta di arti magiche, “fatture” e “malocchi”, Tania ha raccolto questo rito: posta al centro dello stanza, dove passa l’ideale asse della cupola, l’anziana facendo roteare nel cielo la mano come a girare un globo, richiamava a voce “lu ragnu”, così chiamato, “ca sutta la terra gira la palla”, (come le vittime insetti che caduti nella sua rete-tela il ragno avvolge nella sua seta facendole roteare sospese in aria tra le sue zampe), e intanto la donna, quasi come fosse una “striara”, una “macara”, lancia i suoi malefici contro i malcapitati. Una ritualità tramandata in poche famiglie, racconta Tania Pagliara, dalla nonna alla nipote.

Immagine: uno stupendo dipinto del grande paesaggista europeo Jean Baptiste Camille Corot (1796 –1875), intitolato “La mattina della Danza delle Ninfe”, che tanto ci richiama alla mente le leggende, trasmesse nelle fonti antiche greche e romane, leggende di origine messapica e forse anche pre-messapica, proprio delle ninfe danzanti presso le grotte, gli ulivi e le rocce sacre megalitiche, e proprio del Salento, (la terra italica, del sud Italia divenuto anche in parte magno-greco, originariamente anche chiamata Calabria).
Un pittore che se potessi sostituirei subito a tutti gli attuali e futuri amministratori del Salento, perché nei suoi dipinti ritroviamo quelle che erano le atmosfere non solo di Francia, la sua terra natia, ma anche del sud Italia ancora in epoca ottocentesca, prima dei grandi interventi di disboscamento post-unitario delle foreste primigenie, e di selvaggio prosciugamento degli acquitrini pittoreschi ed esplosivi di biodiversità; tutti questi elementi paesaggistici importantissimi che occorre in gran parte e diffusamente, con progressista saggezza pubblica e privata, ripristinare oggi per un vero reale e concreto Progresso materiale e culturale insieme!


 

Dalla studiosa Francesca Mattesi:

il suggerimento di “questo video che racconta la storia interessantissima del tamburello nel mondo antico e di come le donne ne fossero esperte suonatrici. Uno strumento cosi’ importante in epoche passate.”

Sempre da Francesca Mattesi “La storia del tamburello e soprattutto del Dad (il tamburello tipico del medio oriente) si perde nella notte dei tempi.Sicuramente una storia da riscoprire e rivalutare. Guardate questo video. Si tratta del Daf Festival in Kurdistan (parte est), e sono solo donne”:

 

Da Francesca Mattesi: “a proposito di Taranta aggiungo questo meraviglioso documentario del 1962 a cura dello sceneggiatore e regista Gianfranco Mingozzi”:

 

Da Francesca Mattesi: “e molto simile al Tarantismo c’è il ‘Male di San Donato’ come documentato in un altro favoloso documentario a cura di Luigi di Gianni nel 1965″:

 

 


La PIZZICA PIZZICA salentina, il ballo che rinnova la Creazione!

Dal mio post fecbook del 26 settembre 2016 al link: https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10210821374040477&set=a.1888805429917&type=3&hc_location=ufi

”Pizzica pizzica”,agosto 2007, Casarano. Foto di Oreste Caroppo

 

“All’ inizio Eurinome, Dea di Tutte le Cose, Signora degli spazi sconfinati, emerse nuda dal Caos e non trovando nulla di solido per posarvi i piedi divise allora il mare dal cielo e intrecciò sola una danza sulle onde.
Eurinome danzava per scaldarsi, e danzava con un ritmo sempre più selvaggio, che generava il vento e accendeva il desidero (fondamento di ogni creazione).”

Queste le immagini suggestive dei primi passi del mito cosmogonico della creazione attribuito ai Pelasgi, popolo arcaico mediterraneo pre-ellenico stanziato in Grecia e non solo. A Otranto evocati dal bastione detto romanticamente dei Pelasgi.

E proprio questo mito mi ricordò questo scatto, facendomi dimenticare ogni cosa, quando mi apparve tra gli altri scatti di quella serata. Era l’ agosto del 2007, a Casarano nel basso Salento durante una festa popolare in cui si ballava, durante uno spettacolo coreutico-musicale, la tradizionale “Pizzica pizzica” della Puglia del sud.

Fiumi di parole non potrebbero meglio descrivere la mia personale poetica della bellezza di questo solo istantaneo fortuito scatto.

Nella Natura l’ apoteosi di ogni bellezza, per l’ uomo, non può che essere quella della dea danzatrice e creatrice Eurinome, Signora degli spazi sconfinati abitatrice delle ampiezze come nell’ etimologia del suo nome, come ampie e sconfinate le emozioni che lei sola può trasmettere.

 

Su EURINOME E L’UOVO UNIVERSALE dal poeta e studioso di mitologia Robert Graves (1895-1985), nel suo saggio sulla mitologia greca (“I Miti Greci”) dove narra di un interessante mito cosmologico, il mito della creazione secondo i Pelasgi, popolazioni preelleniche della Grecia, al link: http://spiritodiluce.blogspot.com/2014/11/eurinome-e-luovo-universale.html?fbclid=IwAR1UnARwWqpQCUoX_TX5RdL1y7Ls73EnMR4pIhP-tvokg1WFDDNzR8PKFMs

 


 

Per approfondire rimando a questo mio altro articolo in questo mio stesso sito web, dal titolo “Disvelato il più grande mistero dell’Amore femminile – il passaggio EVA-LILITH terrore per ogni maschio!”, al link: http://naturalizzazioneditalia.altervista.org/disvelato-il-piu-grande-mistero-dellamore-femminile/

 

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