“ARRIVA ZEUS VESTITO DA VIANDANTE!” (Tracce in Salento)

“ARRIVA ZEUS VESTITO DA VIANDANTE!”

(Tracce in Salento)

Dipinto, Zeus ed Ermes nella umile dimora di Filèmone e Bàuci
L’ idea che potesse da un momento all’ altro giungere il Dio Signore dell’ Olimpo Zeus, idea ripresa anche dal Cristianesimo, o ad esso comune, ovvero il precetto di accogliere e dare da mangiare a eventuali viandanti che lo chiedessero o meno, perché sotto le loro spoglie potrebbe nascondersi il Dio Zeus, o poi Cristo, pronto a lodare o punire a seconda del trattamento ricevuto nelle celanti spoglie, è ancora molto diffuso in terra ellenica, dove per la Pasqua si arrostisce l’agnello/capretto all’ aperto affinché come nei sacrifici antichi il fumo salga agli dei, e si accolgono i passanti invitandoli a condividere il pasto.
 
Mi meravigliava non trovar nulla di simile in terra salentina, terra di greci anch’ essa oltre che di genti italiche.
 
Finché mia madre non mi ha raccontato di questa usanza presente decenni or sono ancora in alcune famiglie di Maglie: durante il pasto della famiglia a tavola era usanza del Pater familias iniziare a consumare la pietanza posta nel suo piatto, la sua porzione, a partire dal lato più prossimo a lui lasciando porzioni via via sempre più piccole pertanto di cibo nella parte del piatto a lui più lontana, e si spiegava questa usanza dicendo che in questo modo, se fosse giunto a casa qualche ospite inatteso a pasto già iniziato, si sarebbe sempre potuto offrire a lui la parte integra di cibo, pur già nel piatto, ma non ancora consumata.
 
Possiamo anche citar poi la tradizione molto ritualizzata delle cosiddette “Taulate de San Giuseppe” (Tavolate di San Giuseppe) in paesi dell’ entroterra di Otranto, con l’ uso da parte del capotavola di un bastone-scettro adorno di gigli con cui scandisce i tempi del pasto,
e per le quali mi piace però in un parallelismo ricordare l’ istituzione nel sud Italia dei “sissizi” (in greco antico: τὰ συσσίτια, tá syssítia) erano i pasti comuni consumati dai membri di una comunità più o meno vasta per rinsaldare tra loro alleanze e spirito di comunità, presenti presso gli spartani, li istituì, si riteneva, il mitico legislatore Licurgo, (Sparta da cui deriva la colonia greca della polis magnogreca di Taranto), ma anche presso gli Enotri un popolo del sud Italia peninsulare, anch’ esso con legami con i Balcani secondo le antiche fonti, e istituiti in questo secondo caso dal loro mitico Re Italo, eponimo poi dell’ Italia, un uomo buono e saggio, un legislatore anche lui, raccontano le fonti antiche, che convinse i vicini ad unirsi politicamente insieme, gli uni con le parole, gli altri con la forza!
La loro terra in sud Italia prese l’ originario nome di Enotria, secondo alcuni miti, dal nome di Enotro figlio di Licaone, (a sua volta figlio di Pelasgo) e re dell’ Arcadia; e Zeus, si narrava,fece proprio visita alla sua corte, desiderando accertarsi personalmente della empietà di Licurgo di cui era venuto a conoscenza, prima di scagliare la sua eventuale punizione; travestito da contadino chiese allora ospitalità al sovrano …
(Tratto dal mio post facebook del 24 novembre 2017, al link: https://www.facebook.com/oreste.caroppo.9/posts/10214982427064202)
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Riporto un mito greco antico su Zeus travestito da viandante e l’ospitalità degli uomini:
La leggenda di Filèmone e Bàuci, tramandata nell’ottavo libro delle Metamorfosi di Ovidio.

La favola di Filemone e Bauci è uno di quegli avvenimenti che venivano raccontati per provare che la virtù della ospitalità era ricompensata. Zeus ed Ermes, vagando attraverso la Frigia con sembianze umane, si ritrovarono a litigare. Quegli infatti pensava che tutti gli uomini fossero cattivi Ermes gli propose una sfida: travestirsi da viaggiatori cercando ospitalità nelle case vicine: «Bussando a mille porte, domandavano ovunque ospitalità e ovunque si negava loro l’accoglienza. Una sola casa offrì asilo: era una capanna, costruita con canne e fango. Qui, Filemone e Bauci, uniti in casto matrimonio, vedevano passare i loro giorni belli, invecchiare insieme sopportando la povertà, resa più dolce e più leggera dal loro tenero legame». La coppia si offrì di lavare i piedi ai viaggiatori, e diede poi loro da mangiare un pranzo campestre consistente in frutta, miele e latte. Quando però versavano il vino, questo non finiva mai, per cui iniziarono a sospettare della finta identità della divinità. Sacrificarono l’unica oca che avevano e Zeus ne rimase molto grato.

Dopo il pranzo gli Dei si palesarono: Bauci e Filemone furono condotti sopra un’alta montagna vicina alla capanna e venne loro comandato di guardare all’indietro: mentre Zeus scatenava la propria ira contro i Frigi, videro tutto il borgo sommerso e distrutto tranne la loro povera capanna che venne trasformata in un tempio lussuoso. Zeus si offrì di esaudire qualunque loro desiderio. Filemone e Bauci chiesero solo di poter essere sacerdoti del tempio di Zeus e di poter morire insieme. Furono esauditi e quando Filemone e Bauci furono prossimi alla morte, Zeus li trasformò in una quercia e un tiglio uniti per il tronco. Questo albero meraviglioso, che si ergeva di fronte al tempio, fu venerato per secoli. I nomi di Filemone e di Bauci sono passati in proverbio per indicare due vecchi sposi che passato hanno i loro giorni in un amore reciproco, e ne conservano vivo il sentimento.

 

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