Il GRANCHIO BLU in MEDITERRANEO è un “alieno”? Non proprio, ma UN RITORNATO FOSSILE VIVENTE a ben studiare la storia naturale!
Il GRANCHIO BLU in MEDITERRANEO è un “alieno” come gridano taluni? Non proprio, ma
UN RITORNATO FOSSILE VIVENTE
se vogliamo guardare con apertura mentale alla storia naturale!
W L’ANTROPOCENE CON QUESTI STUPENDI RITORNI!
BENTORNATO E BEN GRADITO PER LE SUE CARNI EDULI
IL 12 agosto 2023, l’attivissimo Simone Casati, che ho la fortuna di seguire su Facebook, e che il presidente del Museo Paleontologico Scienza della Terra del Gamps di Scandicci, particolarmente specializzato nella paleontologia marina della Toscana, ha scosso il mondo naturalistico italiano e non solo divulgando una notizia di grandissimo interesse scientifico e storico naturale, che tanto fa riflettere sulle dinamiche e meraviglie della Natura.
Vediamo qui direttamente il suo post facebook:
Seguono mie riflessioni
E’ questa una di quelle notizie dal respiro positivista che non piacciono agli odierni abietti razzisti verdi professionisti del biocidio, che infatti subito hanno tentato di sminuire la cosa con mille distinguo da arrampicata sugli specchi, ma l’ondata di interesse e meraviglia è stata comunque tsunamica, un terremoto sconquassate proprio nel mentre lo spregevole regime scientista della Falsa ecologia stava tentando in Italia di aizzare un acritico insensato ascientifico odio contro questa specie meravigliosa tanto ben diffusasi negli ultimi anni nelle lagune costiere italiane, Salento incluso, questo per spillare i soliti finanziamenti pubblici per piani di biocidio e cancellazione eradicante di quelle che invece sono praticamente gratuite risorse naturali per tutti, come ora il bel, buono al sughetto e non solo, grande Granchio blu. Spettacolo vivente anche per il nostro paesaggio ad incremento della sua biodiversità, non decremento!
Un post pieno di saggezza naturalistica che vi ho messo sopra anche in screenshot mentre metto di seguito le sue due foto di corredo.
Il Portunus monspeliensis H. Milne-Edwards 1860 era un crostaceo decapode marino appartenente alla famiglia Portunidae, vissuto tra i 55,8 e i 12,7 Ma (milioni di anni fa); i suoi fossili sono stati rinvenuti in Europa, in Austria e Ungheria risalenti al Miocene, in Italia all’Eocene.
E’ praticamente molto simile all’oggi ritornato in Mediterraneo Granchio blu
che guarda caso tassonomicamente appartiene alla medesima famiglia Portunidae.
La somiglianza tra quei fossili trovati in Italia (Sardegna) e gli odierni granchi blu è impressionante, non solo frutto di convergenza evolutiva ma di strettissima parentela genetica pertanto!
Possiamo ben dire pertanto che il Granchio blu de facto è un fossile vivente!
Per la correttezza dell’informazione teniamo conto che la specie del Granchio blu ha colonizzato già almeno dal 1901 le coste atlantiche europee e solo dopo da lì il Mediterraneo: sicuro sicuro che son sempre le acque di zavorra delle navi (come si afferma nei media) e non anche le correnti oceaniche a favorire queste migrazioni?
In ogni caso l’arrivo in Europa data almeno al 1901 dalla letteratura scientifica, allora la prima segnalazione in natura sulle coste atlantiche francesi di un esemplare vivo del sapido Granchio blu!
Così ho commentato con entusiasmo il post del presidente del museo paleontologico di Scandicci:
“STUPENDO POST
GRANDISSIMO
W la Natura!
Abbasso i professionisti del biocidio razzisti verdi della Falsa ecologia che non sanno minimamente nulla di Storia naturale o se ne sanno mistificano per il loro interesse speculativo assassino.”
Simone Casati ha aggiunto sull’argomento un altro simpatico post il 13 agosto 2023 sempre su Facebook, con una foto di un ulteriore esemplare fossile di Portunus monspeliensis e con il commento “A caccia della paleovongola”,
così con una vena di ilarità sulla polemica che si sta sviluppando in Italia proprio nei medesimi giorni estivi sulla diffusione della specie del Granchio blu nelle aree lagunari venete nel nord Adriatico dove fiorente è l’economia della raccolta delle vongole, vongole molto gradite troficamente al Granchio blu.
Mi sono posto in passato proprio nello stesso punto di vista di fronte a questi affascinanti “conquistatori della natura” valutando se in qualche modo la loro riaffermazione in area Europea/Mediterraneo non si potesse leggere in qualche modo come una sorta di ritorno
ho così scoperto ad esempio con piacevole meraviglia, eureka, che il Loto sacro d’acqua (Nelumbo nucifera) che si è diffuso in Italia negli ultimi secoli in alcuni laghi e fiumi appartiene a un genere già presente nel Terziario in Europa prima della glaciazione del Quaternario.
Lo stesso ho scoperto per l’Ailanto, il suo genere Ailanthus viveva in Italia nel Terziario prima delle grandi glaciazioni del Quaternario.
Idem per lo straordinario Kudzu, il suo genere (Pueraria) già presente in Europa (Balcani) nel Terziario prima delle grandi glaciazioni del Quaternario.
E così i Castori euroasiatici che sono tornati nel centro e nel sud Italia, vi vivevano già nel Pleistocene e nei secoli passati!
I Procioni vantano antenati in Europa nell’Oligocene.
W L’ANTROPOCENE CON QUESTI STUPENDI RITORNI!
Ma lo capite che siamo usciti dalle grandi glaciazioni che hanno ridotto grandemente la biodiversità europea e mediterranea?
Oggi, grazie all’interglaciale in cui siamo e grazie all’uomo che comunque fa parte della Natura, tante specie, spesso parenti o discendenti di antiche specie presenti in loco come fossili, sono tornate ad incrementare la biodiversità europea.
Aprite un libro di paleo-botanica europea sul Terziario prima delle grandi glaciazioni del Quaternario se non mi credete!
E in tutti quei milioni di anni quelle piante autoctone allora ed autoctone ancora oggi in Europa non sono state estinte da tutte quelle altre che furono spazzate via dalle glaciazioni trovando ricovero in aree rifugiali in altri continenti estesi a latitudini tali da permettere loro di trovare nicchie ecologiche climatiche congeniali.
Pensiamo ad esempio al Ginkgo biloba (sinonimo: Salisburia adiantifolia) che viveva in Italia (nei testi di paleobotanica magari trovate nascosto il suo genere sotto il sinonimo che lo indicava: Salisburia), estinto dalla glaciazioni in Europa e sopravvissuto in Asia, da cui poi è stato reintrodotto dall’uomo.
Chi si oppone a questi arrivi in realtà difende il deserto non le specie autoctone.
È un fissista e una persona che ha paura della vita!
APPENDICI
“SPECIE ALIENA INVASIVA”??
URGE CAMBIO DI TERMINOLOGIA PER UN ECOLOGISMO PIÙ INCLUSIVO E MENO “RAZZISTA GREEN”!
Coloro che gestiscono siti internet naturalistici e parchi naturali devono ovviamente intervenire per modificare le terminologie utilizzate e che sono state particolarmente affermate negli ultimi tempi. Bollare una specie “invasiva” vuol dire effettuare già una discriminazione contro di essa, è “razzismo verde”, non è biologia, non è scienza che che se ne dica e per quanto possano essere d’accordo il 99,999% degli scienziatih della ipeurania fantasmagorica comunità scientificah.
Studiare le caratteristiche di una specie in un territorio, la sua storia di arrivo ed affermazione rispetto a quel territorio è scienza. L’arrivo di queste specie è comunque un fenomeno naturale più o meno favorito dall’uomo, e la scienza studia i fenomeni.
Affermare invece che quella specie vada eradicata dal territorio, questo no non può essere scienza, questa è politica della peggiore specie.
È lo stesso discorso che vale anche per tante specie autoctone che per interessi di biocidio speculativo con pesticidi erano state bollate come “malerbe”. Ora giustamente ci sarebbe indignazione generale se in un sito naturalistico scientifico dovessimo osservare una critica bollatura di qualche specie come “malerba”, ma ancora tanti benpensanti acritici non si stanno rendendo conto che lo stesso schifo c’è quando vediamo bollare una specie presente comunque e vivente nel nostro territorio come “aliena invasiva”.
Si deve tornare pertanto a terminologie sì descrittive della natura esotica di queste specie, ma non negativizzanti discriminatorie.
Specie esotiche fino a poco tempo fa, perché non si può continuare a bollare una specie presente nel tempo e naturalizzata come esotica all’infinito, prima o poi essa diventa autoctona, bisogna pur farsene una ragione, è stato così per tante delle specie che oggi consideriamo autoctone nel corso della storia geobiologica, c’è stato un tempo in cui anche i loro antenati sono stati esotici nel nostro territorio.
Allo stesso modo una specie domestica che torni alla natura, che si inselvatichisca non si può continuare a chiamarla “randagia” all’infinito con fare altamente discriminatorio di questo status, prima o poi essa dovrà essere definita semplicemente rinservatichita, ferale, e lo stesso termine di randagio per animali sinantropici non lo si deve utilizzare con fare dispregiativo come oggi invece hanno insegnato i più a fare.
Lo status di randagismo è pur sempre uno status di vita e riproduzione inserito all’interno delle catene alimentari, il randagio mangia esseri nella catena alimentare e a sua volta fornisce cibo con il suo corpo morendo per altri esseri.
Quindi si possono utilizzare per carità termini come neofite o archeofite che in sé non hanno nulla di discriminatorio, si può utilizzare con opportuni distinguo il concetto di autoctona ed alloctona naturalizzata, ma i termini “alieno” e quello di “invasivo” sono discriminatori.
Il concetto di alieno sembra voler escludere la possibilità che una specie prima esotica possa diventare autoctona.
Il concetto di “invasivo” poi addirittura arriva a denigrare il fatto che una specie vivente faccia ciò per cui è maggiormente programmata ovvero affermarsi in un territorio con caratteristiche a lei congeniali. Quindi è veramente un demonizzare la vita e la sua natura più vera, una induzione volta a far temere il vivere e la vita stessa nelle sue varie forme.
Tutto meno che un vero ecologismo che non può che essere inclusivo, tutto ciò praticamente Falsa ecologia in quanto nega la tendenza delle specie a spostarsi con ogni mezzo, uomo incluso, e nega anche implicitamente l’appartenenza dell’uomo alla Natura.
Invece di “invasiva” si può ad esempio utilizzare il termine “esuberante” o “ben diffondente”, o altra terminologia dalle valenze di giudizio positive o neutre.
CONSIDERAZIONI CONTRO LA BIOXENOFOBIA
Il sistema si è fatto furbo e adesso chiama “degrado” non più il cemento o l’asfalto o le cave ma la naturalizzazione spontanea che nei territori avviene tramite le piante presenti che sono talvolta piante esotiche che sono state portate qui da noi dai biologi del passato praticamente a ben vedere.
Le varie ragioni per sostenere i biocidi contro queste specie prese singolarmente possono sembrare ragionevoli, ma questo approccio di RAZZISMO VERDE nel suo complesso sta trasformando le aree protette in luoghi che hanno veramente la puzza ormai dell’ospedale. Cartelli a destra e a manca che demonizzano ora una ora l’altra specie con mille ragioni anche tra loro contraddittorie.
Alle Cesine ad esempio, riserva WWF in Salento, la demonizzazione degli Eucalipti, la demonizzazione del Pino d’Aleppo, la demonizzazione del Pino delle Canarie, eccetera, eccetera.
Si è aggiunta poi persino la demonizzazione dell’autoctono Cinghiale, con tante scuse per dirlo non nostrano.
Secondo me la situazione sta sfuggendo di mano.
Questo sta rendendo le aree protette non più dei luoghi piacevoli.
Il Cinghiale ad esempio contribuisce ad aprire varchi nei canneti di Arundo donax, una canna autoctona persino essa oggi demonizzata in quanto troppo invasiva, ma intanto si trovano scuse per demonizzare il Cinghiale in altro modo.
La prima regola del pronto soccorso è “non nuocere”.
Se si dovesse affermare ulteriormente questa tendenza del RAZZISMO VERDE, diventerà bene che le aree protette siano quanto più piccole possibile, altrimenti andremo incontro a continue eradicazioni fino alla follia che si è recentemente vista nelle isole toscane dove hanno buttato contro i poveri Ratti le esche avvelenate con gli elicotteri.
Per questo ritengo che bisogna un attimo essere calmi con le eradicazioni e riflettere di più e mi piacciono per questo i progetti della rewilding che affermano ad esempio l’importanza di riportare la mega fauna in Europa anziché toglierla come invece sta avvenendo in Italia nelle aree protette dove si giunse pazzescamente a combattere contro il pascolo bovino, dimenticando che lì nel Pleistocene viveva il bovino selvatico Uro da cui discendono le razze domestiche.
Leggete l’articolo all’interno di questo mio post facebook: “SI TORNI AD ALLEVARE BUFALI MEDITERRANEI AGLI ALIMINI”
Occorre guardare anche l’intersezione tra i vari “problemi” che intersecandosi potrebbero non apparire più come problemi, anziché valutare e risolvere drasticamente ogni presunto “problema” per volta. Così ad esempio ci sono i Cinghiali alle Cesine, ma ci sono oggi anche tanti Lupi, i lupi sono la soluzione all’eccesso di Cinghiali. Se invece si guarda troppo singolarmente ci sarà chi dirà che vanno eliminati i Lupi, le scuse non mancheranno anche lì, e invece i Lupi erano sono la soluzione al Cinghiale senza bisogno di eradicare i Cinghiali.
Per questo si deve anche riflettere sulla filosofia di approccio in generale.
Oggi si sta affermando anche con i media di mainstream un continuo “al lupo, al lupo” contro mille specie con mille ragioni, e la fiaba dell’ “al lupo, al lupo” ci insegna come non sia l’approccio giusto.
Quando si entra in certe aree protette oggi ascoltando alcune guide si ascoltano tante di quelle demonizzazioni su tutte le specie che il turista incontra lì che la domanda che sorge spontanea è “ma allora perché questa è un’area protetta, se qui dentro non va bene nulla?!”
Ricordo una mia escursione estiva in un’area protetta tra Molise e Abruzzo qualche tempo fa dove ebbi questa sgradevole sensazione.
Così si demonizza per certe aree palustri italiane il Falso indaco come qualcosa da cancellare completamente, con tantissimi fondi pubblici e presentandolo come se fosse solo un problema.
Ecco invece l’approccio che mi piace:
qui un approccio saggio che non parla di interventi di estinzione della pianta da noi: “Poiché l’esperienza dei progetti di protezione ambientale insegna che è molto difficile e costoso eliminare completamente gli amorfeti spontanei (di Falso indaco il cui nome scientifico è Amorpha fruticosa – Nel Padule di Fucecchio è conosciuta come “Gaggìa” ed è stata introdotta per la produzione delle damigiane artigianali – n.d.r.: pianta che produce anche cannabinoidi come la Cannabis sativa), la migliore opzione per contenere la loro propagazione è lo sfruttamento ciclico: come pianta mellifera per l’apicoltura durante la primavera, come fonte di foraggio in estate (solo le foglie, mentre il tronco e i polloni possono essere tossici), raccolta dei semi in autunno (usi medicinali o alimentazione di pollame) e infine come biomassa da cippato in inverno, utilizzando la tecnica della ceduazione breve (short rotation coppice) con cicli da due a quattro anni.
Nel caso del recupero di terreni degradati o marginali, l’amorfa dovrebbe essere la coltura preparatoria durante due o tre anni per gli avvicendamenti successivi, per la sua capacità di dissodare e fertilizzare i suoli poveri.”
Alcune guide ambientali sono ormai diventate insopportabili fino addirittura ad arrivare a chiederti di utilizzare l’app scaricabile per fare da delatore alle specie esotiche che incontri. Per questo ho molto più piacere adesso alle escursioni senza guida.
Le Nutrie ad esempio si mangiano si possono mangiare, e hanno favorito anche in un certo modo la stessa diffusione dei Lupi e oggi dello Sciacallo dorato che si nutrono di Nutrie, l’approccio giusto è quello, non invece certi progetti di cattura delle Nutrie e loro sterilizzazione.
Così anche si possono mangiare i Gamberi rossi della Louisiana, i pesci Siluro (comunque europei), il Granchio blu che c’è agli Alimini.
Mi piacciono gli approcci che integrano l’uomo per contenere queste specie particolarmente conquistatrici.
Non mi piacciono invece gli approcci di totale demonizzazione come se delle specie, che alla fine fanno quello per cui sono programmate trovando condizioni adatte, siano il grande problema dell’ambiente.
Inoltre bisogna anche riflettere su un aspetto di cui si tace:
se c’è tanta più CO2 in atmosfera a causa delle attività industriali, essa funziona come un fertilizzante per le catene alimentari, e tutta questa esplosione di vita di alcune specie non è un male a priori, la fertilità non lo è mai un male, ma tanto più se c’è bisogno di ridurre tramite questi cicli viventi potenziati i quantitativi di CO2 in atmosfera, che vengono così stoccati nelle biomasse vegetali e animali.
Vediamo così ad esempio che anche negli altri paesi del mondo specie che qui consideriamo autoctone vi si sono diffuse proprio in questi decenni, quindi il fenomeno non è semplicemente di arrivo di alloctone ma anche di espatrio di autoctone.
E in questo gioco complessivo non è vero che l’arrivo di una alloctona abbia a priori comportato una estinzione se nel frattempo quella alloctona si è diffusa altrove.