Il CERVO a MAGLIE e nel SALENTO tutto e le MERAVIGLIE di una Natura dalla BIODIVERSITÀ ricchissima perduta che si può e si deve fare tornare!

Il CERVO a MAGLIE e nel SALENTO tutto
e le MERAVIGLIE di una Natura dalla BIODIVERSITÀ ricchissima perduta che si può e si deve fare tornare!
Nulla è perduto davvero, se si vuole e si ha Amore per il Bello e per la Vita!

Protome di Cervo, scultura in pietra leccese su portale. Maglie centro storico, Corte Mellone. 7 settembre 2006, foto di Oreste Caroppo.

E’ tra i più tipici animali del Salento, il Cervo (Cervus elaphus) eppure da diversi decenni ormai è stato sterminato da questa terra, con la predazione venatoria senza contegno e la distruzione sconsiderata dei suoi habitat.
Eppure aveva nutrito nei secoli la poesia e il corpo degli uomini di questa terra.

PROVINCIA DI BRINDISI – stemma

Qui ne vediamo una testa di cervo maschio con palchi, una protome cervina maschile, che i Messapi chiamano “brention”, ci dicono le fonti scritte antiche, e a cui si riconduceva l’ etimologia di Brindisi, per la forma del suo porto a mo’ di corna di cervo. Non a caso una testa di cervo maschio con palchi è nello stemma civico di Brindisi, e da qui nell’insegna della Provincia di Brindisi.

Questa bella scultura, che ricorda dei trofei venatori, si trova incastonata come un gioiello sulla chiave di volta dell’arco di una porta di ingresso di una casa in stile gentile in pietra leccese ottocentesca o novecentesca nel centro storico di Maglie.
Un gioiello scultoreo dell’ arte degli scalpellini soprattutto della locale calcarea pietra leccese, che a Maglie vantava un grande maestro nel ‘900, di cognome Macagnano, e zio di mia madre che ne condivide il cognome, “u zi Santu” in famiglia chiamato, lo zio di nome Santo Macagnano.

L’ eco della presenza del cervo nelle foreste salentine nel recente passato compare ancora in una canzone d’ amore salentina a tema venatorio “la Cerva”, link: https://www.youtube.com/watch?v=4uOR_GSJBFE

La città di Maglie era prossima alla foresta del Belvedere e di Cutrofiano; uno scavo archeologico recente in un insediamento di epoca medieovale del VII-VIII sec. d. C., in località Scorpo, nei pressi di Supersano, effettuato dall’ Università del Salento, ha restituito resti ossei di cervo, il tutto documentato presso il Museo del Bosco Belvedere allestito nel Castello di Supersano.
Ma i reperti ossei di cervo con continuità son emersi un po’ in tutti gli scavi archeologici in Salento, e in ogni epoca del passato, dal medioevo, all’ epoca romana e greco-messapica e quindi in quelle protostoriche, come in quelle più antiche del neolitico e del paleolitico. Il Museo di Paleontologia e Paletnologia di Maglie, e un po’ tutti i musei archeologici salentini ne espongono testimonianze.
E l’ espressione artistica in terra salentina ne fu sempre ispirata, dalle incisioni paleolitiche alle pitture in guano di pipistrello di epoca protostorica-neolitica sulle pareti della grotta santuario di Porto Badisco, scoperta il 1º febbraio del 1970 da cinque membri del Gruppo speleologico salentino “P. de Lorentiis” di Maglie, e chiamata proprio per tale lì diffuso soggetto ritratto in maniera stilizzata, la Grotta dei Cervi.
Come non citare i numerosi cervi effigiati dal presbitero Pantaleo tra il 1163 e il 1165 sull’ enorme mosaico pavimentale della Cattedrale romanica di Otranto, dove son raffigurati ora in scene di caccia con arco e frecce ora in altre situazioni naturalistiche, e persino accompagnati da un’ epigrafe in latino: “CERVUS”.
A Maglie nella toponomastica dei secoli passati ricavata dagli archivi il grande professore magliese e studioso di storia patria Emilio Panarese trovò il toponimo “Làfani”, che interpretò come toponimo “griko”, ovvero derivato dal greco parlato localmente in periodo bizantino e successivo come nei tempi più antichi, riconducendolo al nome in greco del cervo che è “elaphi”, un’ eco che ci giunge dagli archivi della passata presenza del cervo nelle nostre contrade; si tratta della toponomastica rurale bizantina, o neogreca magliese, dal ‘400 ai nostri giorni, in cui si riscontrano anche interessantissimi fitonimi, tra cui “Fallò”, dal greco “sughero”, che ricorda la presenza di querce da sughero; “Dafani”, che richiama in nome in greco “daphne” dell’ alloro.
Secondo una tesi etimologica, il paese salentino di Cerfignano deriverebbe il nome da un originario “Cervineanum”, un termine latino toponomastico indicante l’abbondanza di cervi in zona; la sua insegna cittadina raffigura un cervo che si sta abbeverando ad una fonte, con alle spalle un albero di ulivo.

La magia di Villetta Barrea (AQ)P.s.: condividiamo la foto perfavore facciamo crescere la pagina 😊

Gepostet von Paesi d'Abruzzo am Dienstag, 3. Oktober 2017

 

Nella faune pleistoceniche dell’hinterland di Maglie anche il Cervo (Cervus elaphus), il Daino (Dama dama) e il Capriolo (Capreolus capreolus) documentato dai reperti ossei fossili emersi: http://www.rhinoresourcecenter.com/pdf_files/128/1285887325.pdf

In uno scavo archeologico sulla sponda orientale del Salento, a Porto Cesareo, in località Scalo di Furno, è stata scoperta un’ area sacra dove, negli scavi archeologici condotti, si sono ritrovati resti di sacrifici di cervi. Su un coccio, (un frammento fittile di vaso), lì trovato, è inciso il nome “Tana”, in alfabeto messapico, nome che rimanda forse alla dea Diana, o alla dea Atena.

 

Rhyton apulo a figure rosse terminante a testa di cervo/capriolo. Sul collo un’aquila che afferra per la testa un cervo ( IV sec. a.C.). Dal link: http://www.rilievo.poliba.it/studenti/aa00/stragapedeG/F7.html

Nell’ opera “Racconti Meravigliosi” presente nel corpus aristotelico, si racconta che presso i Peuceti, che vivevano nel centro della Puglia, vi era un santuario dedicato alla Dea Artemide (Diana per i romani), in cui l’eroe acheo Diomede dedicò alla dea la spirale (“elica” in greco) bronzea, assai famosa in quei luoghi, recante l’iscrizione di dedica “Diomede ad Artemide”; si favoleggiava che l’eroe l’avesse posta, tale spirale, al collo di una cerbiatta, e che fosse poi cresciuta insieme ad essa.

Il Cervo un animale totemico.

Palchi di Cervo dagli scavi archeologici di Roca Vecchia in Salento (teche del museo mostra nel Castello di Acaja), ma anche scorrendo nell’album resti di Capriolo, Cinghiale e di Cervo anche nella variante dal palco palmato (che potrebbero ricordare i palchi di Daino ad un occhio non esperto), e resti di Capre tipo forse selvatici Egagri Kri-kri mediterranei:

Sopra corno di un Cervo nella variante normale.

 

A Roca Vecchia sono emerse anche corna di Cervo (Cervus elaphus) di una varietà fenotipica detta palmydactyloceros (Cervo dal palco palmato).
 
da cui riportiamo il seguente screenshot:
A Roca Vecchia sono emerse anche corna di Cervo (Cervus elaphus) di una varietà fenotipica detta palmydactyloceros (Cervo dal palco palmato).
Lo apprendiamo in questo studio dell’Università del Salento al link.

 

 

Cervo nobile dal palco palmato. Cervo comune europeo anche noto come Cervo nobile o Cervo rosso (Cervus elaphus), con la variante fenotipica del palco palmydactyloceros (o palmidactyloceros), cioè che ricorda quasi una mano umano con dita. Foto dal link. Una variante fenotipica del Cervo tanto che era attestato in Salento a Roca anche in Età del bronzo accanto alla variante normale dal palco non palmato.

 

Secondo una leggenda l’Abbazia di Santa Maria di Cerrate risalente al XII sec. e che ospitò un gruppo di monaci basiliani, venne fondata dal normanno re Tancredi d’ Altavilla, Conte di Lecce, a cui apparve alla vista in quel luogo un’ icona della Madonna in una cavità ipogea. Il conte stava inseguendo una splendida cerbiatta durante una battuta di caccia nella Foresta di Lecce che si estendeva anche nell’ area di Cerrate, e questa si rifugiò fin dentro una grotta nella quale entrato il re trovò l’ immagine affrescata della Madonna, che si mise a venerare decidendo di erigervi lì l’ Abbazia. All’ interno non è forse un caso che sia stato scelto di effigiare negli affreschi, la scena di Sant’ Eustachio Placido martire e il miracolo coinvolgente un cervo che si racconta nella sua agiografia: il ricco, vittorioso generale romano di nome Placido, benché pagano, era per sua natura una persona spinta a fare grandi beneficenze, la leggenda racconta che un giorno (100-101 d.C.) andando a caccia, inseguì un cervo di rara bellezza e grandezza e quando questi si fermò sopra una rupe volgendosi all’inseguitore, Placido potette ben vedere che l’ ungulato aveva tra le corna una croce luminosa e sopra la figura di Cristo che gli dice: “Placido perché mi perseguiti? Io sono Gesù che tu onori senza sapere”, riavutosi dallo spavento, quel generale dell’ imperatore Traiano decise di farsi battezzare prendendo il nome di Eustachio o Eustazio e con lui anche la moglie e i due figli con i nomi di Teopista, Teopisto e Agapio. Conversione che gli fu causa di un terribile martirio.

Richiamano la presenza in passato dei cervi probabilmente anche altri toponimi salentini come ad esempio il Bosco di Cervalora nell’entroterra di Frigole nei pressi di Borgo Piave in feudo di Lecce, relitto dell’antica Foresta di Lecce, un bosco di lecci e altre piante della locale macchia mediterranea.

Lo studioso Giovanni Perdicchia mi informa che “C’è una zona chiamata ‘cervo’ o ‘cervi’ e si trova a Specchia (Specchia Preti) attestata già a partire dalla fine del cinquecento. Si trova sopra la collina.”

Poco distante da Specchia Preti vi è il comune di Presicce che ha un cervo nel suo stemma civico:

 

Stemma civico del comune di Presicce (Lecce).

 

Incredibilmente ricca di flora e fauna era qualche secolo fa la terra salentina; in particolare con riferimento qui al comprensorio dell’Arneo, poi oggetto di interventi di prosciugamento delle paludi e di dissodamento dei terreni, il botanico Martino Marinosci di Martina Franca, (conosciuto per la sua importante opera pubblicata postuma intitolata “La Flora Salentina”, che descrive la presenza in quell’epoca nel Salento ancora forestato di numerose specie oggi presenti in aree garganiche, appenniniche e della Pianura Padana), all’inizio dell’Ottocento, giunto dal mare a San Pietro in Bevagna, narra che: “gli animali selvaggi sono qui copiosi fino ad Arneo… I lepri, le volpi, le viverre [dovrebbero essere i furetti], i daini, le melogne [tassi] vi sono da per tutto. Abbondano pure i lupi, i lupi cervieri [linci, varietà locali delle specie europee, la Lynx lynx o la Lynx pardinus], gl’ istrici o porcospini e tanti altri, come i gatti selvaggi, le faine, le puzzole [la puzzola europea], le donnole, le lontre, i conigli, le talpe, i topi, i sorci, i moscardini, i ricci, gli scoiattoli [per un principio di prossimità immaginiamo delle varietà proprie del centro e meridione d’Italia della specie Sciurus vulgaris], i cervi e caprioli e potremo a detti quadrupedi aggiungere cheiropteri, come l’orecchiuto e la nottola, come pure gli anfibi e quadrupedi ovipari, come le numerose e varie testuggini, i rospi, le lucertole… oltre poi innumerevoli serpenti, come le serpi, le vipere, i colubri.” (Vedi di Fulco Pratesi e Franco Tassi “Guida alla Natura della Puglia Basilicata e Calabria”, Oscar Mondadori, seconda edizione 1986).

Il Lupo-cerviero o Gatto-pardo in Salentola Lince che ancora nell' '800 viveva in Terra d' Otranto.Con il nome di "…

Gepostet von Oreste Caroppo am Donnerstag, 1. Juni 2017

Nell’ ottocento il naturalista salentino Giuseppe Costa di Alessano descrive la presenza abbondante della Lontra comune (Lutra lutra) nei Laghi Alimini di Otranto. Nel suo testo “Fauna salentina-ossia enumerazione di tutti gli animali che trovansi nelle diverse contrade di Terra d’Otranto” (1871-1874), scrive: “Lontra comune: rara presso le Cesine, Taranto e costa Adriatica, meno rara agli Alimini.”
(Oggi se ne segnala la presenza della Lontra in aree vicine, come nel Fiume Bradano nella prossima Lucania e nell’ area di Taranto!)
Per completare ulteriormente il quadro della meraviglia della natura Salentina nell’ Ottocento riporto anche questi passi tratti da uno studio del professor Aldo De Bernart (da un su articolo intitolato “Supersano romantica”, pubblicato su “Il Nostro Giornale”, anno XI-numero 26, 8 maggio 1987). De Bernart ci riporta i passi scritti dal marchese Carlo Ulisse de Salis Marschilins (1760 – 1818, un naturalista e viaggiatore svizzero) a commento dello spettacolo che gli apparve mirando la piana di Supersano dove si estendeva l’immenso “Bosco Belvedere” ricco di delizie, dal bel balcone della Serra di Supersano, nel cuore del basso Salento. Una foresta di lussureggiante vegetazione, “ricoperta di secolari piante di leccio, di rovere, di quercia, di pino”, in cui allignano “il prugnolo, il corbezzolo, il melo, il pero, la apruzia, la vite selvaggia, il sorbo, il nespolo”, con un intricato sottobosco ricoperto di “marruca” (la leggendaria Spina Christi) e di “vitalbe” rampicanti, come anche di asparagi e ciclamini campestri. Dai profondi canaloni che sfociano in un grande lago vivevano “rane, rospi, salamandre, orbettini, bisce acquatiche, folaghe, gallinelle d’acqua, polli sultani [nota dello scrivente: nei mosaici medioevali del V sec. d. C. della Chiesa di Casaranello a Casarano, si mostrano anatre, pesci, conigli/lepri che mangian uva, colombi, e quello che pare proprio un Pollo sultano], porciglione, germani reali, marzaiola, beccaccini, coccoloni, aironi, gambette, fagiani, starne, pernici, cigni, cicogne e pellicani, [l’ultimo esemplare fu abbattuto nel 1865]”. Il bosco era altresì la tana preferita di “volpi, lepri, conigli, tassi, istrici, ricci, faina, martore, puzzole, lupi, cinghiali [l’ultimo esemplare abbattuto nel 1864]”. In quel territorio ricco anche gli ulivi, i verdi pascoli del Belvedere ospitavano pecore, capre e cavalli, sia di sella che da tiro. In proposito il De Salis scrive nel suo libro di viaggio nel Regno di Napoli “Nei pascoli sopra queste alture e nella foresta di Supersano, sono allevate due razze equine appartenenti al Marchese di Martina e al Duca di Cutrofiano, le quali forniscono buonissimi cavalli da sella e da tiro. Vi sono anche degli armenti ed assaggiai qui una nuova qualità di formaggio fatto di latte di capra, che è davvero eccellente”. E nell’ apprezzamento del signore di Supersano dell’epoca, ovvero il nobile Carafa, il De Salis scrive “tiene en la tierra una cavallerizza del Baron de cinquanta cavallos”.

Il notro pensiero corre pertanto ai bellissimi Cavalli Murgesi dal mantello scuro vanto di Puglia, che a Supersano son ancor oggi allevati dai figli e nipoti dei “trainieri” del recente passato (“lu tràinu” in dialetto locale il tipico carro in legno da trasporto a trazione equina) e corre proprio a Martina Franca, (che è in provincia di Taranto ma un tempo facente parte della Terra d’Otranto), che è il fulcro dell’allevamento del Cavallo murgese ieri come oggi.

Il notro pensiero va pertanto anche alla “Foresta” di Cutrofiano, (città oggi in provincia di Lecce come Supersano ma in passato sempre della ben più vasta Terra d’Otranto), che fu grosso centro di allevamento equino, tanto che la sua piazza principale, oggi chiamata piazza Muicipio, aveva antica denominazione di largo “Cavallerizza”. Ciò mostra quanto i cavalli fossero una componente rilevante dell’economia locale. Non solo, ancora oggi vi è una strada vicinale chiamata sempre “Cavallerizza” verso Collepasso , paese prima chiamato “Colopati”, e che solo nel 1907 si staccò amministrativamente da Cutrofiano. Persino un cavallo scuro è nello stemma civico di Cutrofiano, “le origini dello stemma non hanno certezza storica. Si suppone che abbia avuto origine dal fatto che i Filomarini avevano un grande allevamento di cavalli pregiati. (…) Nel 1484 il casale di Cutrofiano fu ceduto dalla corona Aragonese alla famiglia Del Croce-Capece fino al 1664 quando il feudo fu acquistato dai Filomarini che governarono fino al 1806, anno in cui fu soppressa la feudalità. Questa famiglia si distinse per gli allevamenti di cavalli di razza, molto ricercati nel Regno di Napoli. La razza di Cavalli di Cutrofiano godette di largo prestigio per lungo tempo non solo nel regno di Napoli, ma soprattutto in Inghilterra.” (scrive lo studioso e agronomo Antonio Bruno).  La Foresta di Supersano, macchia-foresta anche chiamata, era la porzione settentrionale del più vasto bosco, la “silva”, che occupava in passato il cuore del basso Salento, complessivamente indicato come Bosco Belvedere, dall’estensione di un toponimo più prossimo a Supersano. A Cutrofiano il legno di quel bosco veniva utilizzato anche per cuocere i prodotti in ceramica realizzati con l’argilla che si ritrova geologicamente lì in situ. “La Foresta di Cutrofiano era ancora demanio nel Quattrocento” (scrive sempre Antonio Bruno).

Nel testo che descrive il Salento dei secoli ‘500 e ‘600, “Descrizione, origini e successi della provincia d’ Otranto” del filosofo e medico vissuto a cavallo tra cinquecento e seicento Girolamo Marciano di Leverano (Leverano, 1571 – Leverano, 1628) con aggiunte del filosofo e medico seicentesco sempre Domenico Albanese di Oria, leggiamo: “Animali quadrupedi selvaggi: Caprii, Cervi, Cignali cioè porci selvaggi [nota dello scrivente: in alcuni catasti dei secoli scorsi si parla dei “neri” che pascolavano nel Bosco Belvedere, dovevano essere così chiamati i cinghiali o incroci di cinghiali e maiali domestici, o una razza a mantello scuro di maiali; il noto toponimo “Porcarizza” rimanda probabilmente a quell’ importante allevamento di maiali ubicato nel bosco per cui era famosa Supersano], Damme, Daini, Istrici, Grinacei cioè Ricci, Faine, Gatti selvaggi, Lepri, Lupi, Lupi Cervieri, Martore, Mustele cioè Donnole, Talpe cioè Toponi, Tassi cioè Melogne, Topi di casa, Topi di campi, Topi Moscarelli, Testuggini, Testuggini salarie, Viverre cioè Furetti, Volpi.”

L’Arvicola bruzia (Microtus brachycercus) osservata nell’hinterland di Maglie:
Lo stemma del comune di Martignano in provincia di Lecce raffigura, sin dal ‘500, la martora, un agile e astuto mammifero, un tempo comune nelle contrade salentine.
Probabilmente quello del comune di Martignano in provincia di Lecce rappresenta uno stemma parlante, stemma che cioè trae i suoi simboli da tentativi etimologici del toponimo. Sebbene non è detto che il toponimo “Martignano” derivi da “martora” ma forse entrambi i nomi derivano da radici comuni, la scelta dell’animale effettivamente ha un valore identitario in quanto sappiamo dagli zoologi dell’ ‘800 che la martora era diffusa in Salento in quei tempi in cui la copertura forestale primigenia era assai più preservata.
La MARTORA (Mustela martes) che viveva nel Salento!

 

Scriveva lo zoologo Giuseppe Costa di Alessano, nella sua opera intitolata “Fauna Salentina, ossia enumerazione di tutti gli animali che trovansi nelle diverse contrade della Provincia di Terra d’ Otranto”
(Lecce, Tipografia edit. Salentina 1871-1874, nella “Collana di opere scelte edite o inedite di scrittori di Terra d’Otranto”, vedi pagina 15) della Martora che viveva in tutta la Terra d’Otranto!

“Martora – Mustela martes Lin. – Mustela comunis Cuv. Dice trovarsi, benché rara, ne’ boschi di Gionosa, di Martina, di Arneo; ne’ luoghi macchiosi presso Otranto, ed in qualche altro luogo. Io però non posso ciò assicurare, non avendola ocularmente ivi osservata.”

La Martora è un predatore delle foreste europee ghiotto di Scoiattoli. Se c’erano le Martore allora c’erano anche le sue tipiche prede, viene da pensare, gli scoiattoli Sciurus vulgaris nelle varianti meridionali. Probabilmente più elusivi? Sappiamo che nel sud Italia gli Scoiattoli del meridione possono vivere anche nelle pinete costiere quindi figuriamoci se il Salento non gli accoglieva in passato. C’è in merito la citazione degli scoiattoli, sopra già ricordata, nell’elenco di animali visti a San Pietro in Bevagna in Arneo nella prima metà dell’Ottocento dal botanico Martino Marinosci di Martina Franca, elenco pubblicato dal professor Franco Tassi e da Fulco Pratesi nella guida naturalistica della natura di Puglia, Calabria e Basilicata pubblicata da Mondadori nel 1986

Nell’opera dello scienziato Cosimo De Giorgi pubblicata nel 1884 intitolata “Cenni si Geografia fisica della Provincia di Lecce” (Provincia che all’epoca andava dai territori di Laterza e Martina Franca fino a Leuca includendo Brindisi e Taranto, grossomodo quella che fu la Terra d’Otranto che in più aveva inglobato anche Matera in passato) egli ci dice della presenza al tempo di qualche cervo nella zona di Ginosa “più raramente il cervo. Appena qualcuno di questi s’incontra nei boschi di Ginosa che confinano con quelli della limitrofa Basilicata, dove è detto volg. caprio.

Scrive inoltre lì il De Giorgi “la sola varietà del cinghiale (volg. puercu selvaggiu) va scomparendo dai nostri boschi. Anche il porco domestico è spesso effigiato negl’idoletti in terra cotta e nei crepitacoli messapici, con gli stessi caratteri della razza diffusa oggi nelle nostre contrade.”

Caprii e Cervi son indicati separatamente nell’opera di Girolamo Marciano. Forse egli con “caprii” distingue i caprioli? Elenca anche Daini e Damme e questi due nomi dovrebbero essere sinonimi grossomodo (Il Daino, nome scientifico Dama dama Linnaeus, 1758., è conosciuto anche con il termine arcaico di damma o dama).

Forse il De Giorgi vuol indicare allora proprio la presenza del Capriolo nei boschi di Ginosa, e usa il termine Cervo per indicare più in generale la famiglia dei Cervidi cui il Capriolo appartiene?

Leggiamo inoltre in questo articolo dello studioso locale Stefano Bello intitolato “La riscoperta del bosco perduto di Mesagne” del 21 marzo 2022:

“Fino ad alcuni secoli fa il Salento era ricco di foreste e la provincia di Brindisi, con parte del tarantino orientale, rientrava in quella che era denominata la Foresta Oritana, un vasto territorio caratterizzato da un alternarsi di centri abitati, pascoli, coltivi e grandi boschi”.

 

Boschi tra Cellino e Mesagne, da una cartina del 1812.

Nel territorio vi era un grande bosco chiamato “Voscu”, toponimo che rimane in Bosco Colombo. nell’ ‘700 padre Serafino Profilo descrisse quel bosco; riportiamo dall’articolo di Stefano Bello: “Serafino Profilo descrisse di maestose querce delle diverse specie locali quali Lecci, Roverelle, Farnetti, e probabilmente vi erano anche le Sughere, le Vallonee ed i Fragni, inoltre era popolato da cinghiali, caprioli, altra selvaggina, e sicuramente non mancavano i lupi. All’ombra del sottobosco scorrevano le fresche acque che alimentavano le sorgenti di Malvindi, ancora oggi esistenti ma meno attive rispetto a quel tempo, anche in mancanza della copertura boschiva.” verso il 1880 i grandi disboscamenti che colpirono il Salento non risparmiarono neanche il grande Bosco di Mesagne, che scomparve quasi del tutto intorno agli anni ’50 insieme ad altri boschi più piccoli come quello di contrada Caposchiavo, Casacalva ecc.

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Agli inizi degli anni ’70 venne effettuata nel Parco Nazionale d’ Abruzzo la reintroduzione dell’ europeo Cervo (Cervus elaphus), che era scomparso nel territorio protetto. Pensiamoci di fronte a queste immagini all’ importanza della RINATURALIZZAZIONE che oggi varie pastoie burocratiche ma soprattutto ideologiche falso-ecologiche ostacolano! Erano scomparsi da lì come dal Salento, e per reintrodurli cosa solitamente più saggia reintrodurli a partire dalle aree più vicine in cui la medesima specie ancora esiste usando esemplari giudicabili sovranumerali, cosa di più ovvio e saggio e naturalistico e scientifico! Pensiamo alla demonizzazione oggi del Cinghiale! Perché? Tutta questione di propaganda, c’ era il cinghiale in Italia in Appennino come in Puglia, la popolazione era scesa, poi si è ripresa e pare anche grazie al contributo aggiuntivo di cinghiali di stessa specie sempre ma introdotti dai Balcani, stessa identica specie degli italici (Sus scrofa), ma ne han montato un caso pro-biocidi. Le stesse striscianti correnti in realtà potendo demonizzano persino i cervi con simili scusanti, ecco perché occorre essere vigili e presenti in queste questioni oggi dove si addensano mille eco-speculazioni purtroppo non per fare e aggiungere, come negli anni ’70 che dei saggi decisero di reintrodurre nel Parco d’ Abruzzo, ma per togliere biodiversità comunque presente e come tale una ricchezza della natura e della storia dell’ uomo da difendere!

 

 

 

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A beneficio degli appassionati qualche mio appunto trascritto dal testo ottocentesco sulla fauna del Salento dello zoologo Giuseppe Costa.

Consultai da piccolo (nel 1995) nella comunale biblioteca Francesco Piccinno di Maglie che conserva testi vetusti, (in quanto anche biblioteca pubblica addirittura dal 1666), il libro di G. Costa di Alessano, intitolato “Fauna Salentina, ossia enumerazione di tutti gli animali che trovansi nelle diverse contrade della Provincia di Terra d’ Otranto” Lecce, Tipografia edit. Salentina 1871-1874, nella “Collana di opere scelte edite o inedite di scrittori di Terra d’Otranto”;

dagli appunti che presi riporto tal quali questi spunti ricopiati allora che richiedono una certa esegesi (anche si segnala una nuova specie di toporagno battezzato Crocidura otrantina, per approfondire in merito vedi l’articolo “Quel misterioso “TOPO VOLANTE” del SALENTO!? Forse il Topino panciabianca!”):

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Martora (?) = vive presso di noi.

Donnola = idem.

Faina = idem.

Canis lupus = idem.

Foca = idem.

Lepre timido = idem.

Coniglio selvatico = idem anche se raro.

Lontra comune = rara presso le Cesine, Taranto e Costa Adriatica, meno rara agli Alimini.

Istrice crestato = comune specie presso Otranto e nel bosco di Ginosa.

Sus scrofa = trovansi non raro nello stato Selvaggio nei boschi della provincia. Possediamo ancora le due razze della varietà di questa specie, ossia del porco domestico; cioè quelle al pelo lungo e l’altra pelo scarso e rossiccio. Il tipo viene chiamato “ciglale” e “puercu selvaggio” ed anche “sulurinu”.

Cormorano = raro.

Pellicano = idem.

Cignus olor = si segnala l’uccisione 3 individui (che per la precisione furono predati il 26 e 28 / novembre / 1857 ai Laghi delle Cesine.

Cignus musicus = cigno Selvaggio, si segnala l’uccisione di un esemplare adulto di femmina avvenuto il 26 / gennaio / 1860.

Tritone crestato = presente da noi anche se raro (Cesine).

Leucisco (Leuciscus alba) = pesce comunissimo nelle acque stagnanti dette “Pisculuse” in vicinanza del mare presso Gemini.

Lesbia di Sardegna (Lesbia caleritana) = palude di Acaya e nel canale Zoccato di San Catal.

Lesbia gialla = idem.

Coluber elaphus (Cervone comune fino a 3,40 m, forse il boa di Plinio) = comune.

Coluber atratus (Scorsone) = comune.

Biscia, Coluber atro-virens = comune.

“Topo selvatico (…) vien riconosciuto in Lecce ed in quasi tutta la provincia col nome di “surge ulateu”, supponendo che esso di salto giunga sulla spiga, benché per altro la maggior lunghezza dei piedi posteriori gli concilli la facoltà.”

“Crocidura otrantina. [Nome scientifico dato dallo zoologo suo padre a questa nuova specie di Toporagno] Crocidura hydruntina O. G. Costa
(…)
Siccome è stata essa per la prima fiata da me scoperta e descritta da mio signor padre [ndr. Oronzo Gabriele Costa] nelle monografie delle nostrali specie di Mammiferi, ec.
(…)
In provincia è molto rara. Un individuo adulto maschio ne ho trovato presso Otranto in un potere non lungi dal mare in aprile 1843. Un altro ancor piccolo forse non ha ancora compiuto il mese ne trovai in novembre 1845, in un vasto fondo sativo presso Borgagne; ed altri individui ne ho raccolto presso Malandugno nel 1851 niuno però ben sviluppato come il primo. – Niuno altro prima di me scoperta avea questa specie. riceve essa quasi generalmente il vernacolo nome “surge ulateu” e gli si suole dare la caccia con gli stessi strumenti che si adoperano pe’ campajouoli”

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Oggi abbiamo una visione omologata appiattita e standardizzata del mondo vegetale in Salento ispirata soprattutto da mode commerciali vivaistiche omologanti e vale questo anche per gli interventi forestali bio-poveri purtroppo ancora. Il paesaggio vegetale invece non era così, il Gargano incontaminato nel nord della Puglia e le caratteristiche vegetali dell’ antica Foresta Belvedere nel cuore del basso Salento ci mostrano e insegnano come le associazioni vegetali cambiavano di luogo in luogo a seconda delle caratteristiche microclimatiche anche a distanza di pochissimo spazio, e non necessariamente in presenza di montagne; basta una collina, un ruscello, una dolina, un acquitrino, un lago, una fiumara, un piano, una vecchia cava, suoli ora profondi ora rocciosi, una duna, ecc., e la natura mostrava tutta la sua incredibile varietà conservando tanto piante, e non solo, di climi più caldi tropicali quali quelli del Miocene, tanto piante e animali di climi più freschi quali quelli delle epoche glaciali del periodo Quaternario.

Qualche anno fa sul giornale uscì la notizia di un grande cervo maschio dai grandi palchi abbattuto da un auto su una strada del Salento in provincia di Lecce, non si seppe mai se era un cervo errante giunto da solo errando dall’ Appennino a ricolonizzare questa sua terra antica, o se fosse scappato da qualche villa o giardino in cui era allevato. Bene vengano quindi zoo con ampi recinti naturali dal grande valore didattico e conservazionistico, e privati o enti legati al pubblico che allevano Cervi e altri animali selvatici europei e mediterranei in ampi spazi naturali, (come Daini, Caprioli, Capre selvatiche egagri kri-kri, Mufloni, Scoiattoli selvatici delle varietà autoctone del meridione d’Italia, ecc. ecc.), nel Salento, per iniziare nel verso della diffusione di questi animali in Natura come un tempo, in tal caso fughe accidentali non sarebbero un dramma ma una benedizione, invece abbiamo politiche che vanno in versi assurdi totalmente opposti!

E da questi spunti e racconti di una natura meravigliosa quale messaggio e impegno trarne, se non comprendere come fondamentale è avviare una piena politica pubblica e privata di RINATURALIZZAZIONE razionale e intelligente del nostro Salento, del restauro paesaggistico ricostruttivo del pittoresco a 360° e dei suoi beni culturali materiali e immateriali nel principio del “dov’ erano e com’ erano”, in cui non togliere ma aggiungere alberi, altre piante e animali, da far ripopolare, da recuperare e reintrodurre dai siti più prossimi pugliesi, appenninici, balcanici, ecc., in cui ancora han trovato rifugio, rispetto alle devastazioni qui compiute solo e soltanto dall’ uomo a suo danno! Altrove in Europa grandi e sagge opere di rinaturalizzazione si fanno e come!
Paesaggio in cui inserire le attività e opere umane d’ogni tipo trasformandole in elementi di esaltazione del pittoresco, non di degrado del bello estetico storico-naturale e della salubrità.
Tutto il resto o quasi in tema di “ecologia”, e di condotta e politica ecologica sono secondarietà, quando non anche e solo prese in giro speculative!

 

Un Cervo, o forse un Capriolo (si direbbe oggi che i suoi palchi son stati, parrebbe, semi-distrutti), scolpito in pietra leccese, e ammirabile nella chiave di volta di un arco sulla facciata di un’ abitazione alla periferia di Cursi (Lecce) sulla via per Bagnolo del Salento, foto di Oreste Caroppo del 30 aprile 2016.
Il Capriolo (Capreolus capreolus) era un animale, come il Cervo, diffusissimo nei secoli passati in Salento come raccontano numerosi fonti, oggi sopravvive sul Gargano nella Foresta Umbra da cui dovrebbe essere assolutamente reintrodotto, magari a partire dalle aree naturali dei Laghi Alimini, insieme al Daino (Dama dama, che viveva in Salento già in epoca paleolitica come ben attesta la paleontologia ed era allevato in ville gentilizie boscose nel basso Salento ancora fino ad alcuni decenni or sono). Idem reintroduzione degli Scoiattoli del sud Italia che nei primi dell’ ‘800 ancora si segnalavano anche in Salento. Ossa di Capriolo di epoca Messapica son emerse nelle fosse sacre bothroi scavate nella piazza di Vaste (Poggiardo – Le): https://www.academia.edu/1114270/La_fauna_dei_Bothroi_di_Vaste_e_sue_implicazioni_cultuali

 

Trofeo di caccia – testa di Capriolo

 

Fischietti di una volta… Cervo – De Donatis Vito? – Cutrofiano (LE) – 1976 – n° 2457

Gepostet von Museo dei Cuchi – museo del fischietto in terracotta di Cesuna am Sonntag, 15. Januar 2012

Caratteristico fischietto in terracotta a forma di cervide, realizzato nel 1976 a Cutrofiano (Lecce). Dato il mantello con delle macchie e i palchi piuttosto pieni che ramificati credo che l’ispirazione per questo fischietto sia proprio un Daino, (che comunque come il Capriolo e il Cervo è pur sempre un Cervide). Gente del luogo mi ha detto che fino a non molti anni fa vi erano ancora magnificamente allevati i Daini all’interno del Bosco Chiusa di Vallone (fonte Lucio Meleleo di Cutrofiano, dove è nato nel 1959, e che ben li ricorda lì), altri mi han detto che erano allevati anche nel Bosco Dolce ubicato tra Cutrofiano e Aradeo. E’ possibile che l’ispirazione sia venuta all’artista-artigiano dalla visione di quegli ungulati nei boschi posti nei pressi di Cutrofiano. Fischietto esposto nella collezione del Museo dei Cuchi – museo del fischietto in terracotta di Cesuna.

 

 

(Testo tratto dal mio post facebook, cui si rimanda per ulteriori dati nei commenti, al link:  https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10208305415183078&set=a.1888805429917&type=3&permPage=1)


      Oreste Caroppo       1 dicembre 2015  (e aggiunte successive)

 

 

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