“L’ANTICO MENHIR COME LA MAGICA BETULLA! – La scala tramite cui cielo e terra si congiungono a beneficio della vita”

“L’ANTICO MENHIR COME LA MAGICA BETULLA!”
“La scala tramite cui cielo e terra si congiungono a beneficio della vita”

Il mistero delle tacche intagliate sugli spigoli di numerosi menhir a pilastro squadrato del Salento

[estratto da un mio studio più esteso]

Sulla sinistra Menhir ”La Cupa I” e particolare del Menhir, in agro di Scorrano – foto al menhir scattate da Oreste Caroppo il 3 giugno 2007. Il Menhir è chiamato “La Cupa I” per distinguerlo da un secondo menhir omonimo presente nella medesima contrada rurale, in feudo di Scorrano entrambi, nella contrada detta “La Cupa”, da cui traggono il nome. Sulla destra immagini di Betulle bianche tratte da internet.

 

Una grande quantità di interessanti menhir salentini a pilastro squadrato, sono stati intaccati sui loro spigoli, con la realizzazione di tacche tagliate quasi a mo’ di gradini in taluni casi più evidentemente, per probabilmente, ritengo, (questa è una delle ipotesi interpretative che faccio dopo averne scartate altre), riti di ascesa su di essi, nella simbologia del menhir quale scala-albero sacro, di congiunzione tra cielo e terra.

Vedi qui queste due foto del Menhir Aia della Corte a Lequile.

Dal link 1: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/8/86/Menhir_Aia_della_Corte_a_Lequile.jpg

Al Link 2: http://www.duepassinelmistero.com/pietre8.jpg foto con ottima visione delle tacche sugli spigoli, a volte accennate, ma qui evidentemente sagomate a mo’ di gradino a base persino piatta per un miglior appoggio del piede, abbracciando il menhir e cominciando dal basso per ascenderlo, e salire verso il cielo sulla e per mezzo della sacra pietra! (Interessanti anche i petroglifi visibili, una croce, e un foro circolare cieco, osservabili sul menhir). Magari anche aiutandosi nell’ascesa con una corda annodata chiusa, entro cui far passare il tronco del menhir e il busto di colui che ascende nel senso letterale e simbolico-mistico di colui che sale in alto, dal cielo alla terra. Un uso della corda in tal maniera che si osserva ancora usata per salire sui fusti delle palme e non solo in diversi paesi del mondo. Interessante una verifica del tutto nei menhir con un esperimento di archeologia sperimentale, per meglio capire se e come quelle tacche potessero aiutare in tale operazione di scalata del monolite eretto. Alcune tacche sugli spigoli addentati, intaccati, rivelano talvolta una forte natura di potenziale sagomatura pro gradino di scala, perché piatte nella parte basale, proprio come necessario per poggiarvi la punta del piede. Per spiegare quei casi in cui le tacche, a volte anche piuttosto fitte, sembrano partire molto dal basso, dove un loro a mo’ di gradini può apparire improbabile e superfluo, si devono considerare: il riuso nel tempo dei menhir che accorciati per varie vicissitudini continuavano ad essere eretti se possibile, come anche l’ipotesi che potessero talvolta essere fatti prima dell’innalzamento della pietra squadrata, senza molto tener conto di quello che sarebbe stato poi, una volta eretti, il piano basale, che veniva a dipendere dalla profondità della buca di fondazione scavata. Tacche, che non mancavano certo quando già presenti prima dell’ operazione di innalzamento, di avere anche un uso utile per fissare le corde atte allo spostamento ed innalzamento del menhir, fase molto delicata per evitare rotture; e poi negli anni e secoli a venire continuarono ad essere usate, (talvolta realizzandone anche altre di nuove ad hoc lungo spigoli e facce, o riprendendone di vecchie), per assicurarvi nastri decorativi, e/o corde legate a vari usi, dall’attacco di animali, a veri e propri usi civico-sociali-religiosi del menhir come palo gogna o patibolo, o addirittura come vero e proprio palo di crocifissione, come “cruce”, termine non ebraico, ma di origine mediterranea e latina (nominativo sing. “crux”; genitivo sing. “crucis”), che sposterebbe in tal caso l’origine del nome “cruce” dei menhir salentini anteriormente al sopraggiungere e diffondersi della religione cristiana che tese a cristianizzare i menhir apponendovi su di essi, materialmente in sommità, e/o in simbolo inciso e/o dipinto, la croce e/o vari altri simboli religiosi cristiani.

Ma qui in foto, altrettanto bene si possono osservare queste tacche a gradino sugli spigoli del menhir rappresentato in tutto il suo corpo e in un particolare nelle foto a sinistra, è il Menhir La Cupa in feudo di Scorrano (provincia di Lecce), nel basso Salento. Sulle sue facce poi si osservano interessanti petroglifi a coppelle che formano, linee, quadrati, croci, ecc. Tutto un mondo quello dei vari petroglifi, segni e fori, scavi e tagli sui menhir ad oggi quasi del tutto gravemente ignorato nello studio di questi testimoni del passato, i menhir, vissuti dal territorio e dalla sua popolazione nei secoli. Un mondo e una ricchezza che ho scoperto di recente, ad un’ analisi più dettagliata e ravvicinata delle superfici dei menhir salentini e che invoca ulteriori studi, analisi e censimenti che son certo non tarderanno a giungere dai tantissimi nostri appassionati e giovani studiosi salentini! Petroglifi del menhir stesso, un rettangolo verticale, cristianizzato da croci prossime e trasformato in croce, che ho scoperto e ipotizzato sul Menhir Vicinanze I a Giurdignano, decori a coppelle trapanate o scalpellate a motivi omogenei e fitti (Menhir Pezza-Cutura tra Giuggianello e Palmariggi), a file di coppelle, ed altre composizioni più complesse, croci fatte da 4 coppelle ai vertici, uniti o meno da due segmenti incisi, uno verticale e uno orizzontale; croci di innumerevoli fattezze, rettangoli includenti un cerchio, coppelle più rade, motivi lineari, segmenti incisi, (che ho battezzato “petroglifo del raggio di sole”), epigrafi di varie epoche, lettere, cifre numeriche, altri simboli, fori ciechi circolari, fori passanti circolari, fori rettangolari (forse piccoli loculi per idoletti?), sagomature della testa con tacche scanalate, con canalette, macro coppelle, bacinelle, talvolta sagomati a punta, a piramidone sbozzato, talvolta addirittura a mo’ delle cretesi “corna di consacrazione” (vedi i salentini Menhir del Manfio in agro di Ruffano, e il Menhir Croce di Marrugo, nei pressi di Serrano-Carpignano salentino), ecc. ecc. sempre questo nell’ambito delle osservazioni dei menhir a pilastro squadrato salentini, gli obelischi del Salento!
Quante delle croci incise son di epoca cristiana, quante di epoca e culture precedenti, quando il simbolo della croce era già diffuso e presente tra le genti del Mediterraneo?! E poi quanti altri petroglifi semi-consunti da scoprire, quanti significati da decodificare. Il quadrato simbolo solito della terra, il cerchio del cielo, la piccola coppella sulle pareti forse simbolo degli astri, a realizzare con più coppelle rappresentazioni di costellazioni e del cielo stellato, forse tutto a richiamare e propiziare, in una possibile chiave di lettura che qui avanzo, la massimizzazione dell’adesione cielo-terra del menhir, aniconica rappresentazione esso stesso del dio, del divino, affinché terra e cielo lo utilizzino per sposarsi, per congiungersi, affinché siano invogliati e magicamente costretti, per magia simpatica, a farlo lì e ovunque, per il benessere del cosmo e dei viventi, a prendere dimora nella pietra eretta. Questa una delle possibili coesistenti molle archetipe, più o meno consce, agenti alla base dell’erezione dei menhir, a fondamento della loro religione ed impulso religioso, una molla che si sposa con mille altri significati che trovavano tra loro coerenza nel menhir, e legati all’utilizzazione del territorio e alla comunicazione di messaggi, (il cippo come segnacolo), più o meno impliciti tra gli uomini tramite il menhir. E così altri macro-fori nel menhir dal significato forse astrale (forse anche archeoastronomico, dato l’orientamento caratteristico delle facce maggiori di tanti menhir a pilastro squadrato salentini), o forse antropomorfo, a richiamare parti del corpo dal valore simbolico, come la bocca, l’occhio, la vagina, ecc., nel verso della teo-antropo-morfizzazione del menhir, (antropo, l’ uomo che come l’albero ed il menhir ha posizione eretta, e vive in statura verticale tra cielo e terra, all’ interfaccia tra i due … quanta importanza biologica ebbe ed ha tutto questo nella genesi di tutto questo mondo onirico-religioso, che pare ad oggi, prettamente umano!!!)
Così ricchissima di scoperte da questo nuovo punto di vista la visione del basamento e delle aree prossime al menhir, dove si ritrovano, scavi, cavature, grotticelle artificiali e non, coppelle, bacinelle, tombe, ecc., tutto riconducibile ai riti e credenze legate al menhir, vissuto e integrato, come vero e proprio elemento identitario e comunque utile per vari fini, anche i più prosaici, dalle comunità locali, che tramandandosi leggende sui megaliti, ne hanno conservato anche così antichi significati oggi ridecodificabili dall’analisi mitologica attenta di questo patrimonio etnografico legato al megalitismo salentino, e un bene culturale immateriale importantissimo e assolutamente da non perdere, ma da raccogliere e conservare gelosamente quanto i megaliti stessi e ogni dato sugli stessi.

“Tantate” è un termine dialettale salentino, che ho raccolto nel gallipolino (fonte: dall’amico e studioso Cesare de Salve), e che è usato per indicare le tacche con funzione di gradino intagliate nei blocchi di pietra.

La concezione-valenza simbolica del menhir anche quale scala tra cielo e terra, accomuna questi betili (i menhir), in un interessante parallelismo, che qui faccio, ai riti di ascesa sulla sacra Betulla, albero sacro dalle forti, attribuitegli, valenze magiche, nelle ritualità sciamaniche euro-asiatiche, per il bel colore bianco della sua corteccia, per la sua eleganza, per le foglie che divengono color oro in autunno, i suoi rami penduli come di energie che ri-scendono dal cielo alla terra e risplendono di verdi foglie con la primavera.
Un albero sotto cui nasce preferenzialmente il fungo Amanita muscaria, simbionte della betulla, il bellissimo Ovulo malefico, dal cappello rosso punteggiato di bianco, talvolta persino piegato a calice che raccoglie l’acqua della pioggia o della condensa notturna, e stelo bianchissimo. Un fungo usato proprio dagli sciamani per i suoi effetti psicotropi, per indurre viaggi mentali, ritenuti, viaggi nel mondo degli spiriti con valenze mantiche, divinatorie.

 

Anche l’Ovolo malefico (Amanita muscaria) simbionte della Betulla bianca (di cui qui vediamo il tronco) forma talvolta i micologici “cerchi delle streghe”

Un albero, la Betulla bianca (Betula alba pendula), ancora nei secoli scorsi presente nelle foreste di Puglia come relitto botanico dell’ ultima Glaciazione paleolitica in aree rifugiali dallo speciale microclima, come sembrano attestare dei resti pollinici, (e persino le associazioni fito-sociologiche presenti sul Gargano ed in Daunia come quelle note in epoca storica recente nel cuore del basso Salento), e poi, a sgombrare ogni dubbio, le segnalazioni di autorevoli botanici che ancora nell’ottocento la ritrovavano ormai rara ma ben vegeta sul Gargano.

STUPENDE LEGGIADRE BETULLE BIANCHE PENDULI (Betula alba L. varietà pendula Roth., ma anche chiamata suoi sinonimi,…

Publiée par Oreste Caroppo sur Mardi 17 avril 2012

Una pianta che ridiscende dai monti del sud Italia, dove ha nuclei relitti oggi purtroppo sempre più rari, nelle cicliche epoche di glaciazione. Grazie a questi moti ancora nell’ ‘800 viveva sul nostro Gargano … poi in pochi decenni, non certo la natura, ma l’ uomo industrializzato, l’ha fatta sparire anche da quel nostro promontorio apulo!

 

In quella Puglia terra ricca in passato di selve dalla ricchissima biodiversità appennico-balcanica-mediterranea, che annoverava anche nel cuore del basso Salento, innumerevoli grandi frassini, castagni, tassi, carpini bianchi (Carpinus betulus), e querce di tantissime specie, sempreverdi, caducifoglie e semi-caducifoglie, e pare persino faggi e abeti bianchi, ancora nell’ ‘800 (Vedi il testo del 1974 “La Vallonea, natura ed arte” del dottore forestale e naturalista Raffaele Congedo, in merito alla foresta chiamata bosco Belvedere); e con tutta probabilità anche ancora in epoca storica, platani orientali, ecc. ecc. ecc. In quella Puglia terra ricca in passato di selve dalla ricchissima biodiversità appennico-balcanica-mediterranea. Dopo i selvaggi antropici disboscamenti avvenuti in Puglia, oggi la Betulla bianca la si può rinvenire relitta ancora sui monti calcarei del vicino Cilento.
La betulla, il “vituddu” in dialetto del sud Italia, era usata per costruire recipienti con la sua corteccia flessibile, per produrre una pece, un bitume (termine che pare derivi proprio da “betulla”), usato in epoca arcaica per fissare al paletto di legno le punte delle frecce in selce o ossidiana, e dalla quale fessurando il tronco, si raccoglieva in recipienti ad esso fissati con corde, un liquido, linfa alimentare e medicamentosa.
Sulla betulla lo sciamano-stregone, (come ben racconta anche lo studioso Mircea Eliade nel suo libro del 1957, intitolato “Miti, sogni, misteri” – e per la cui conoscenza di questi passi ringrazio l’amica e studiosa Maria Grazia Giorgino che me ne parlò quando gli esposi la mia tesi sull’interpretazione delle tacche sugli spigoli dei menhir salentini), intaccava l’albero ai lati nel suo tronco scavandovi delle tacche-gradino, (proprio come quelle che oggi vediamo sugli spigoli dei menhir salentini a pilastro squadrato per salire su di essi probabilmente), talvolta in un numero di tacche dalla valenza magica.
La presenza delle bacinelle, rettangolari o quadrate a fossa, o circolari a coppella, (e persino canalette talvolta), in testa, anche ad alcuni dei più alti monoliti megaliti salentini a pilastro squadrato, (come di tanti cippi squadrati piccoli e medi), invita a ritenere che una ritualità fosse connessa all’uso di quelle cavità e scanalature. Il fatto che alcune di quelle bacinelle siano delle vere e proprie coppelle concave, e che vi siano talvolta persino più coppelle collegate da canalette, sembra implicare riti coinvolgenti proprio dei liquidi. [Presenta in sommità scavate due coppelle, una grande centrale e un piccola laterale congiunte da un piccolo canaletto, il Menhir Pezza–Cutura in agro di Giuggianello, posto nei pressi di un tumulo-piccola “specchia” sepolcrale di massi e terra, e dove si racconta la leggenda di un “umbra”, un fantasma, che uscirebbe dal tumulo quando si passa da lì, dalle adiacenti stradine, per seguire le persone per un breve tratto, e si raccomanda di non voltarsi a guardar quell’essenza spirituale dell’Ade, quando ne si avverta la presenza al paesaggio, poiché proprio tal gesto potrebbe essere fatale – un eco mitologica popolare dalle suggestioni richiamanti i miti di Orfeo! Si tratta di un bel cippo squadrato e tozzo, con una parete fittamente decorata a microcoppelle, e su cui fu incisa anche una croce greca. Nei pressi del tumulo si osservano consunti frammenti di ceramica grezza, marrone a cuore nero, riferibile ad epoche protostoriche].

Lo stesso termine “betilo”, che si usa ed uso spesso per chiamare il menhir, deriva attraverso il greco, dall’ebraico “betel”, dove vuol dire “casa del dio”, e compare nella Bibbia in un passo in cui proprio si correla simbolicamente una pietra eretta, nel luogo chiamato “casa di dio”, “Betel”, ed unta poi, dopo la sua erezione, d’olio, (uno dei tanti liquidi come l’acqua, il vino, la birra, il sangue, il latte, l’idromele, il miele, ecc., nelle libagioni e unzioni che coinvolgono i betili nella tradizione mondiale), un luogo definito nella bibbia “Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo”, dove colui che eresse lì quel cippo aveva sognato, come la Bibbia racconta, la notte prima dormendo in quel luogo, una scala elevata tra cielo e terra, posata al suolo ma la cui fine era nell’alto cielo, dalla quale scendevano e salivano angeli di Dio, figure dunque simboliche messaggere e portatrici di queste potenze divine. Nel sogno Dio poi gli parlava, promettendogli la terra sulla quale stava dormendo ed un’immensa discendenza e che tutte le famiglie della terra saranno benedette in lui e nella sua discendenza. Tutto ciò in perfetta correlazione con i valori profondi della religiosità archetipa betilica!

Riti di libagione dunque da praticare in corrispondenza del menhir e sulla sua sommità, e o altri riti, di offerta o apposizione di qualcosa sul menhir, come ramoscelli d’olivo e altre piante; come le composizioni di rami d’olivo e foglie di palma, “la palma” chiamate, che ancora su certi menhir cristianizzati in “osanne”, o “sannà” detta anche localmente nel Salento, litiche colonne cristiane, si appongono il giorno della Domenica delle Palme. E guarda caso spesso anche in questi riti cristiani moderni si scalava l’ osanna spesso a nude braccia e piedi, e senza l’uso di scale, e il menhir con quella composizione verde tornava ad essere l’antico albero dei più ancestrali culti arborei!
Riti, libagioni, offerte, ecc. intorno ai sacri cippi, decori con nastri, ecc. delle sacre stele, e particolari architettonici di quest’ultime, anche particolari epigrafici, sono descritti dalle numerosissime scene con raffigurazioni di stele, delle più diverse tipologie, anche proprio a pilastro squadrato, dipinte sui vasi apuli a figure rosse prodotti in Puglia in epoca messapica (tanti di quei cippi ritrovati poi anche dall’archeologia in siti messapici e apulo-messapici). Tutto a testimoniare una continuità e ricchezza, che va da epoche neolitiche sino alla nostra contemporaneità cristiana, e che ci permette di parlare di una “religione betilica salentina della colonna” di fondo, mai interrotta e sempre vivissima e operante attraverso ogni religione storica affermatasi nel corso del tempo!

E quanta valenza aveva poi anche l’acqua piovana raccolta lassù, sulla bacinella? In qui megaliti in cui tanto forti erano anche le valenze falliche, una simile acqua sarebbe stata immaginata, forse, come carica di potenza creatrice, lo sperma con cui il dio cielo-sole, fecondava la terra, l’acqua della pioggia, che cadendo al suolo realizzava il miracolo della germinazione dei semi nella terra, accolti al suo interno dalla dea madre-terra, il miracolo della germinazione del verde mondo vegetale, diveniva acqua ancor più santificata sul menhir, a suo contatto, raccolta in esso, carica di tutte le cosmiche energie che confluivano e si univano nel betilo, acqua santa pagana, che lo sciamano-stregone-sacerdote-capo della comunità, forse, saliva a raccogliere! Forse. Ma le ipotesi sul perché del rito di ascesa possono essere tante altre, ed è necessario formularle in queste prima fasi di studio.

Sul menhir si poteva salire apponendovi una scala in legno, e di certo anche così si fece, ma come nel caso dello sciamano sulla betulla, è il contatto con l’albero sacro, e quindi con la pietra del betilo, dell’officiante, del sacerdote del rito pagano, che massimizza la valenza del rito stesso, per il contatto diretto, corporale dell’officiante che diventa attore protagonista del rito, e che si carica di “carisma” al contatto con il betilo stesso, messaggero tra cielo e terra, ed esso stesso dio-uomo.
Il contatto del betilo è raffigurato anche in questo vaso apulo a figure rosse, in cui si vede un giovane e una donna ai lati di una stele proprio della tipologia a pilastro squadrato, e la ragazza che la sta accarezzando (anfora panatenaica dalla cerchia del Pittore di Tarporley – Gruppo di Ruvo 892 – 380-360 a.C., link:
http://progettocultura.intesasanpaolo.com/it/opere/anfora-panatenaica-10)

 

Vaso apulo a figure rosse, anfora panatenaica dalla cerchia del Pittore di Tarporley – Gruppo di Ruvo 892 – 380-360 a.C. Dal link.

 

Toccare il betilo, come l’albero sacro, portava bene, e per contatto quest’energia poteva essere divulgata … oggi ancora nelle feste religiose cristiane salentine, quanti fedeli toccano le statue con la mano e poi la portano sulle labbra, per un bacio, quasi a fagocitare quell’energia divina, incamerarla antropofagamente, teofagamente, o vi strofinano fazzoletti che poi portano a contatto dei figlioletti, o di altri lontani che per vari motivi non son potuti andare a pregare nei pressi della santa statua. E c’è chi sostiene di sentire fluire energie nei pressi dei megaliti salentini e al loro contatto ancor più, avverte quasi dei formicolii, tanto forte è ancora la suggestione da essi indotta pur nel più moderno dei fanerantropi!

Quando il cippo è stele funeraria il contatto stabilisce un magico contatto energetico col defunto.

Un’ amica mi ha raccontato di aver letto di un rito magico propiziatorio di fertilità ancora in epoca recente praticato in alcuni paesi del Nord Europa caratterizzati dalla presenza del fenomeno megalitico dei grandi menhir: le le donne giunte in prossimità del momento sfregavano il loro organo sessuale esterno sulla pietra divaricando le gambe, tanto che nel corso del tempo questa pratica in alcuni specifici menhir ha portato all’usura levigante di alcuni loro spigoli. Un rito magico di facile comprensione se si tiene conto dei valori del menhir e in particolare della sua simbolica natura fallica.
Qui poi citare questo rito è ulteriormente interessante perché mostra il valore magico del contatto del corpo con il menhir, ed è questo un concetto importante nello sviluppo delle speculazioni raccolte in questo post.

Forte è la comune simbologia con i “pali della cuccagna”, immancabili nelle fiere e sagre salentine ancora del secolo scorso, un palo ligneo, questo senza tacche ma anzi unto di grasso, per aumentare la difficoltà dell’ascesa, e appunto di ascesa senza scala, abbracciando il palo tronco ligneo! Il palo della cuccagna aveva in sommità, nel punto più prossimo al cielo, una ruota, simbolo solare, pendente di ogni ben di Dio alimentare ad essa legato. A gara tra loro, uomini o gruppi d’uomini tentavano di scalarlo per raggiungere quei premi ed impossessarsene. Beni simbolo dei doni che porta l’albero sacro ed il betilo litico, la fertilità e la ubertosità di messi, campi, mandrie, natura tutta!
Beni che nelle leggende popolari vengono materializzati nelle simboliche sembianze dell’ “acchiatura”, un tesoro, o singolo oggetto di valore, che è spesso, (oltre che insiemi di ori, monili, gioielli, monete e preziosi), costituito da una gallina d’oro con sette o dodici pulcini d’oro. La chioccia con molti pulcini, quale maggiore simbolo di fertilità! Ed in più d’oro, il metallo prezioso associato al Sole, e alla sua potenza, per il suo colore. 7 o 12 numeri magici. Come magici i numeri, il sette in particolare, (di cui parla nel suo sopra citato testo, lo studioso Mircea Eliade), delle incisioni o tacche gradino, o dei rami dell’ “albero cosmico”, talvolta la betulla, tal’altra il frassino, l’abete, ma anche la quercia, nelle concezioni antiche euro-asiatiche; come sette le incisioni sulla sacra colonna “asse del mondo”. Il 9 anche altro numero magico, tre volte la trinità, che è il numero delle tacche-gradino intagliate dallo sciamano, in alcune località euro-asiatiche, sul tronco della sacra betulla, trasformata in pilastro della capanna aperta al centro in sommità verso il cielo. La capanna, quale utero della terra condensatore di energia cosmica sotto l’alto betilo-albero che lo sciamano ascende salendo dalla terra-capanna e uscendo fuori verso il cielo tramite quel tronco ben più alto della capanna, per poi ridiscendere giù. Tutto all’ insegna del viaggio sciamanico tra cielo e terra, che fa dello sciamano il ricucitore degli opposti, l’operatore semi-divino della sintesi, il guaritore, il conoscitore dei misteri della natura e delle sue leggi, ma anche il propiziatore della fertilità del cosmo.
Riemerge quel simbolo forte, l’albero cosmico del bene e del male e della conoscenza, che è il motivo centrale del grande mosaico pavimentale medioevale della Basilica di Otranto, intorno a cui mille simboli e storie dell’umanità e del cosmo tutto si intrecciano, sviluppano, e trovano interconnessione e unità pur nella loro molteplicità!

Nella “cuccagna” salentina inghirlandata di nastri prima della competizione, del rito meglio dire, seppur apparentemente popolarizzate e sotto una scorza folkloristica banalizzante, troviamo agoni antichi e la religiosità betilica in tutto il suo vivo splendore, e il palo della cuccagna riappare quale è, albero sacro, asse del mondo, “axis mundi”! Una tradizione a cui tornare a dare più rispetto anche e soprattutto estetico-culturale! Una tradizione antichissima da rinobilitare come merita, restaurandola dalle patine pagliacciate di modernizzazione, che la incrostano e sfigurano, poiché apposte senza averla compresa in tutta la sua profondità!

Concezioni magico-religiose e culti arborei molto arcaici ed archetipici che ancora permangono forti in diverse località pugliesi e lucane, più o meno cristianizzati, e che si fondono e confondono con le concezioni e i culti betilici legati ai menhir.
Così ancor oggi in certe località salentine il giorno della Domenica delle Palme la benedizione delle Palme avviene sotto una “sannà”, che talvolta è proprio un arcaico menhir cristianizzato, e nel rito tradizionale si prevede persino spesso il contatto del ramo d’olivo (e delle foglie di palma) con la “culonna”, la “cruce” (“stavrò”, “staurò” in griko, il dialetto grecanico salentino) (alcuni, questi, dei locali nomi dei menhir), con la “sannà”; in una sorta di fustigazione della colonna, del menhir, da taluni preti interpretata come volta a scacciare i demoni (gli antichi dei pagani negativizzati dai cristiani) dal menhir arcaico. Ma tale contatto ovviene anche nei riti che si svolgono in alcuni paesi in corrispondenza di “sannà” di fattura interamente e ben nota come cristiana, e con la volontà rituale di santificare i ramoscelli proprio nel contatto con la santa colonna, (simbolo anche della roccia e della croce, e quindi anche della fustigazione e della crocifissione di Cristo, del Cristo stesso dunque!). E’ quello quindi il contatto tramite cui il carisma divino condensato nel menhir dall’unione terra-cielo simbolica e sessuale che realizza, simula e propizia il menhir-colonna, sorta quasi di “parafulmini mistico”, il betilo, (unione che è la ierogamia sacra della coppia cosmica, cielo-terra, dio padre-dea madre, da cui tutto, e la vita è concepita discendere), passa magicamente al ramo che diviene amuleto conduttore di quella carica fertilizzante e apotropaica per scacciare il male e portare il bene e la prosperità ovunque, e che come tale viene usato! In tale rito di benedizione cristiano-pagana, (poiché parrebbe trattarsi di un arcaico rito pagano di fertilità per le colture, poi cristianizzato), non solo l’acqua benedetta cristiana, che richiama forse persino quell’acqua piovana sacra raccolta sul menhir, conferisce potere vivificante al ramoscello, ma anche il contatto con la pietra, il rito del contatto!
Un legame dunque anche del menhir con i riti di fertilità dell’olivo, coltura diffusa nel Salento sin da epoche antichissime; terra consacrata alla Dea Atena da antichissimi santuari, la dea protettrice dell’ olivo. Come sin da epoca messapica almeno, sappiamo che nel Salento erano presenti piante da dattero, tanto che i loro datteri ritrovati in scavi archeologici. Ma al menhir si collegano riti per la fertilità non solo dell’ olivo e delle altre colture e piante, ma anche degli animali, e riti di guarigione di questi, come riti di fertilità e guarigione per gli uomini taluni giunti persino sino ai nostri giorni in Salento e in tutta la Puglia, prevedenti il contatto con la mano della “culonna”, e/o il rito della “turniata”, (come chiamato nel sud Italia), consistente nel compiere e/o far compiere dei giri, di solito tre in senso antiorario intorno al pilastro.

Nella pietra è il dio del cielo, vi è disceso, la infonde, e così la madre terra, che è essa stessa roccia della terra. E il menhir non è né maschio né femmina, ma entrambi, e può avere ora gli uni, ora gli altri attributi, ora entrambi senza distinzioni, femmina, maschio, androgino (un’ androginia simbolo di ierogamia, di unione degli opposti in vista e per permettere la rinascita delle vita); è la casa del divino, e tutto è archetipicamente volto, anche i petroglifi incisi talvolta a propiziare questa sua essenza e a trarne beneficio dal mistero che nel sito del menhir si compie. Il mistero della trinità che dalla coppia genera il terzo, la vita di un terzo, la vita del cosmo!
Il menhir pertanto, nella sua più semplice forma, è puro “betilo”, pura “casa del dio”, rappresentazione aniconica del dio, o meglio del divino, divino esso stesso e suo contenitore, sua arca, che evolve, può evolvere verso forme sempre più iconiche della divinità, o dell’antenato divinizzato in un culto degli avi, con abbozzati tratti somatici, ad esempio del viso, in rarissimi menhir pugliesi, o nelle invece ben più diffuse statue-stele antropomorfe calcolitiche, e poi nelle statue-stele antropomorfe dell’età del ferro in Puglia ancor più ricche e dettagliate nei particolari e decori e petroglifi vari; quindi evolvere verso l’ Erma classica, il pilastro sacro sagomato in sommità con la rappresentazione della testa-busto del dio, e infine verso la statua a tutto tondo del dio.

Pietra eretta, monolitica quella del menhir anche per non creare discontinuità in questo flusso di energie divine propiziato dal menhir che svetta nel cielo e penetra nella terra dove è scavato il suo basamento, talvolta nella stessa roccia, come in un atto di unione sessuale fallo-vagina, come l’albero che espande la sua chioma nel cielo e le sue radici nella terra … e il “sancta sanctorum”, l’ utero di rigenerazione era la grotta, artificiale o meno, nel ventre della Madre terra (fecondata dal fallo solare-menhir, quasi un raggio di Sole del dio del cielo, un suo fulmine numinoso pietrificato), la fossa, una buca, presente spessissimo nelle vicinanza di tantissimi menhir Salentini. Primo fra tutti il Menhir di San Paolo di Giurdignano, con persino una scaletta intagliata nella roccia lo sperone roccioso del banco affiorante (“monte” in dialetto) su cui è eretto, che richiama il concetto di menhir come scala ancora di più, e nella grotticella scavata nel ventre del “monte”, persino poi affrescata, non solo la figura del santo omonimo, ma al suo fianco la tela del ragno, della “Taranta”, così fortemente legata alla cultura magico-pagana del Salento e ai suoi riti del Tarantismo, che con la figura di San Paolo la chiesa tentò di cristianizzare. Ai suoi piedi son scavate poi delle tombe a fossa; quale luogo di maggiore rigenerazione e speranza per la rinascita dalla morte del defunto?! Da questi riti e usi la presenza di monili, corredi funerali, e antiche offerte ritrovabili ai piedi dei menhir e il cui ritrovamento rafforzò il concetto comunque magico-archetipo dell’ “acchiatura”. (

Vedi per una foto del complesso del Menhir San Paolo, URL da facebook:

Menhir San PaoloGiurdignano 19 settembre 2016

Publiée par InOnda WebTv sur Lundi 19 septembre 2016

La Croce cristiana, in legno, è simbolo per eccellenza dell’ “axis mundi” e dell’albero sacro, tanto che si associava teologicamente all’Albero del Bene e del Male, (o della Vita, o della Conoscenza), presente nel Paradiso terrestre (il biblico Giardino dell’ Eden). La Croce elevata tra cielo e terra è un betilo essa stessa, e non è un caso che tra i simboli corollario, strumenti della crocifissione nella Passione di Cristo, vi sia proprio la scala, che esprime l’archetipo pertanto del betilo quale scala divina tra la dimensione terrena-materiale e quella celeste-spirituale che congiunge!

(Dedica di questo mio studio di correlazione tra i riti del menhir e quelli coinvolgenti la betulla all’amica Silvana Bissoli, grande artista che proprio sul legno di betulla spesso disegna i nostri ulivi tanto legati ai menhir salentini da antichi culti pagani confluiti nel cristianesimo, dedico questo scritto)

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APPROFONDIMENTI

 

IL FONDAMENTALE SOGNO DI GIACOBBE PER CAPIRE I MENHIR

 

Icona sul biblico Sogno di Giacobbe. Dal link.
Non credo esista migliore e più sintetica chiave di lettura per comprendere in profondità le valenze psicologiche, religiose e rituali del menhir del sogno di Giacobbe, raccontato nella Bibbia nel libro della Genesi. Giacobbe, nipote del patriarca Abramo che era suo nonno; Giacobbe che sarà chiamato poi Israele, eponimo degli Israeliti, una grande progenie che da lui deriverà e prenderà il nome: ebrei israeliti. Egli si addormentò in un luogo all’ aperto e prese una pietra come suo guanciale; lì sognò che proprio in quel medesimo luogo si levava una scala tra cielo e terra e lungo la quale tra il cielo e la terra salivano e scendevano angeli, quindi ebbe dalla voce del Signore Dio dei messaggi: Dio gli parlava, promettendogli la terra sulla quale stava dormendo ed un’ immensa discendenza benedetta.
Quando Giacobbe si svegliò prese quella pietra che aveva usato come guanciale la eresse in verticale conficcandone al suolo la base, praticamente facendone un menhir, e la unse con l’ olio.
Quel luogo da allora prese il nome di “Betel” che vuol dire in ebraico “casa di Dio” e che giustamente è stato utilizzato a partire dalla Bibbia per designare i menhir chiamati betili, dalla grecizzazione “bethilos”, dall’ ebraico “betel”.
E dunque si comprende la simbologia forte archetipo-simbolica del menhir quale scala tra cielo e terra attraverso cui passano le carismatiche luminose energie divine, grazie-carità, raffigurate dagli angeli, e che lì stesso in quei luoghi con betili eretti risiedono come fosse loro casa, potenze divine lì presenti e immaginate anche condensate all’interno del betilo stesso, reso perciò esso stesso divino, energie che danno fertilità al territorio e alla gente.
Simbologie che ovviamente si integrano immediatamente con quelle magico-sessuali della menhir come fallo di unione-coito tra la terra femminile e il cielo maschile, dalla cui unione magicamente lì realizzata attraverso il betilo-scala ne deriva la fertilità e benessere per la vita terrestre, che non bisogna mai dimenticarlo si svolge proprio all’ “interfaccia” biosfera tra questi due opposti, cielo e terra, poi associati alla coppia di opposti divina femmina-maschio.
Anche il rito dell’ unzione del menhir con liquidi sacri si ritrova nel meraviglioso biblico sogno di Giacobbe.
Liquidi che han poi anche la valenza magica di sperma divino fecondante, come l’ acqua piovana, o liquidi prodotti dalla vita come il latte, l’olio, la birra, il vino, il sangue, ecc.
Quindi l’ aspetto verticale della congiunzione terra-cielo associa ancora i menhir all’ albero e allo stesso uomo dalla postura verticale, che ne condividono pertanto le valenze magiche.
 Nel sogno di Giacobbe nella Bibbia, legato al sacro bethilos, gli angeli che gli appaiono salire e scendere dalla scala elevata tra la terra e il cielo, paiono una rappresentazione dell’energia divina che fluisce tra questi due opposti attraverso il bethilos-scala a beneficio dei viventi.
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Al di là della possibile diversa etimologia mi colpisce come “betulla” e “betilo” siano due termini tanto assonanti nel nome come nelle loro valenze simboliche per l’uomo.

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La natura verticale di congiunzione tra terra e cielo esalta il valore della monoliticità del blocco che dà maggiore continuità per questo contatto magico.
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DA UN PASSO DI VARRONE UN RITO ITALICO CHE BEN POTREBBE FAR LUCE SUI RITI INTORNO AGLI ANTICHI MENHIR SALENTINI 

SE COSì LA BACINELLA IN TESTA AI NOSTRI MENHIR AVEVA ANCHE LA SIMBOLOGIA DEL MEATO URETRALE ESTERNO SULLA PUNTA DEL GLANDE DEL FALLO

Anatomia del pene maschile nell’Homo sapiens.

Vediamo qui un diffuso rito fallico che coinvolgeva in Italia i crocicchi, e proprio presso i crocicchi, non un caso, sorgono sovente i menhir salentini a pilastro squadrato. Agostino d’Ippona (per i cristiani Sant’Agostino d’Ippona padre della chiesa), la cui principale fonte si presuppone fosse stata un’opera teologica perduta di Varrone scrittore latino (Rieti, 116 a.C. – Roma, 27 a.C.), annota che durante la festa annuale di Liber, il Dio romano identificato con Dioniso e Bacco, veniva portata in processione un’immagine fallica che aveva il compito di proteggere i campi dalla fascinatio, ossia l’incantesimo negativo:

«Stando a Varrone, nei crocicchi d’Italia furono celebrati i misteri di Libero con tanta licenziosità che in suo onore si ebbe un culto fallico, e almeno fosse avvenuto in un luogo un po’ appartato ma in pubblico con sfrenata dissolutezza. Infatti durante le feste di Libero uno sconcio membro virile, esposto con grande solennità su un carretto, veniva trasportato dapprima in campagna nei crocicchi e poi fino alla città. Nel paese di Lavinio si consacrava a Libero un mese intero, durante il quale tutti pronunciavano delle sconce invocazioni fino a quando l’organo fallico non riattraversava la piazza e non veniva ricollocato al suo posto. La più onesta madre di famiglia doveva pubblicamente imporre una corona all’emblema disonesto. In questo modo si doveva propiziare il dio Libero per il buon esito dei semi, si doveva allontanare il malocchio (fascinatio repellenda) e per questo si costringeva una matrona a compiere in pubblico un rito che non si doveva permettere in teatro neanche a una cortigiana se le matrone fossero state presenti.» (https://it.wikipedia.org/wiki/Fascinus)

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Il particolarissimo Menhir Pietrafitta della Scala in contrada Pètrose a Sava!
Foto di Gianfranco Mele. Post facebook al link. Visibile anche qui.
Lo studioso di Sava Gianfranco Mele ha scoperto e documentato uno straordinario cippo del tipo a pilastro squadrato nel quale su una sua faccia è inciso in verticale un grande petroglifo proprio parrebbe di una scala a pioli.

È un ritrovamento a dir poco fantastico e per me di grande valenza sulla base anche di tutti i dati raccolti in questo articolo. Qui un’altra sua foto del lato con sorta di scala verticale incisa al centro di una faccia del monolite.

Quasi, se ce ne fosse bisogno, un C.V.D. un Come Volevasi Dimostrare.

 

Anche questo cippo ha sopra la “coppella” ci informa lo studioso e fa vedere in una foto. Su un altra sua faccia si vede invece incisa sempre una sorta di scala ma meno definita (vedi foto) e una specie di scudo crociato (vedi foto). 

Il cippo infisso al suolo è in feudo di Sava in contrada “Petròse” da LI PITROSI cioè luogo di pietre.

Faccio notare il cippo presenta una scanalatura trasversale come ad abbozzare un glande superiore.

Gianfranco Mele ci informa che: “La contrada Petròse a Sava ha avuto anche un altro nome: Pietrafitta. Lo si ritrova in alcuni documenti catastali e inoltre in una scritta impressa sulla volta dell’ ingresso della antica masseria”
“Pietrafitta” nell’Ottocento fu un termine molto utilizzato per indicare i nostri menhir dagli studiosi salentini.
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La Madonna della Scala a Maglie

Mi piace qui menzionare un luogo di culto antico magliese quello della Madonna dell’Ospedale, si tratta di una chiesa barocca dedicata alla Madonna della Scala e costruita al di sopra e inglobando in parte un’antica chiesetta bizantina di rito greco, di cui ancora resta l’antica facciata originaria con rosone in pietra. Accanto a questa chiesa in origine sorgeva, come è stato possibile ricavare da alcune fonti, una colonna Osanna e inoltre anche una misteriosa grande vasca scavata nel terreno (vedi in merito gli studi dello studioso magliese il grande professor Emilio Panarese).

Trovo interessante osservare come quella chiesa sia dedicata alla Madonna associata al simbolo della scala, simbolo che compare anche scolpito nella Chiesa, la classica scala a pioli, rigida in legno per salire sugli alberi, simbolo che è strettamente connesso a quello della menhir (e quindi della colonna Osanna) attraverso il sogno biblico di Giacobbe: è l’archetipo del menhir che congiunge cielo e terra e nel luogo di tale congiunzione la Chiesa diventa edificio sancta sanctorum casa di Dio (Betel), condensatore di energia divina.

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A Maglie il rito della “Culonna de la Madonna de le Grazie

Il legame simbolico religioso di colonna-menhir e scala ha la sua apoteosi a Maglie, nel cuore del basso Salento, nella bellissima tradizione che si svolge in concomitanza della festa della Madonna dell’Immacolata l’ 8 dicembre di ogni anno, quando la grande Colonna della Madonna delle Grazie, una delle più belle ed eleganti colonne cristiane del Salento e non solo, praticamente una enorme “osanna” (o “sannà”), eco degli antichi menhir, ubicata proprio al centro di un largo incrocio di più strade, nel centro storico del paese, (ubicazione tipica di tanti menhir del Salento in concomitanza di crocicchi, per cui non è possibile neppure escludere che tale colonna abbia preso il posto secoli orsono di un più antico menhir), viene adornata con una corona di fiori, forse con base di alloro, affissa sul suo alto fusto, grazie all’intervento, date le enormi dimensioni della colonna, dei Vigili del Fuoco con i loro mezzi forniti di alte scale; questi oggi prendono in consegna la corona floreale che viene benedetta e lì portata attraverso una piccola processione dalle autorità politiche e religiose del paese con una folla di cittadini, e rimossa la corona lì affissa l’anno prima i pompieri la sostituiscono con la nuova corona con fiori e foglie fresche. La corona chiaramente è un simbolo solare, circolare come il disco solare, e ben comprendiamo la sua valenza simbolica in connessione con il betilo elevato tra cielo e terra: un invito archetipo magico inconscio al Sole a unirsi alla terra in corrispondenza del betilo-colonna per dare fertilità alla terra, fertilità rappresentata dai fiori della corona e dal verde delle sue foglie.
Se non erro, perlomeno in passato, era il sindaco del paese che, come un re-sacro antropologicamente parlando, saliva sulla scala insieme ai vigili del fuoco per apporre lui lì la corona di fiori sulla sacra colonna.

 

A Maglie il rito della “Culonna de la Madonna de le Grazie”. Dal link.

 

Una stupenda tradizione, ancora poco nota ai più e da conservare gelosamente e valorizzare anno per anno.

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La cuccagna a Maglie

Da rimarcare con piacere la ripresa da alcuni anni a Maglie, (città intrisa del fenomeno megalitico sin dalla antichità protostorica e dai culti betilici passati nel cristianesimo), della tradizione del palo della cuccagna durante la festa di San Martino, un rito festoso che partecipa al complesso delle ritualità e simbologie betiliche e che si ritrova in corrispondenza di sagre e fiere anche in altri paesi del circondario come ad esempio Muro Leccese e Corigliano d’Otranto:

https://casapacella.wordpress.com/2015/11/05/ritorna-a-maglie-la-festa-di-san-martino-e-la-tradizionale-cuccagna-2/?fbclid=IwAR11DumsMSw5G17xBMR11vTZFT_RqMTdkDX5u-ME47ZjTJbVrxio-g_l-4Q

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Bandierine rosse con palo a croce apposte anche sulla colonna con statua del Santo nel paese di Lizzanello in provincia di Lecce:

#Lizzanello

Publiée par Leccenews24.it sur Mercredi 19 juillet 2017

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Riporto qui a seguire tutti i miei commenti all’ album di Marcella Invidia: CROCE MONOLITICA (Trepuzzi, Valle della Cupa).
CROCE MONOLITICA
La Croce monolitica di Trepuzzi, da un post su Facebook di Marcella Invidia.

CROCE MONOLITICALa forma e la sezione dell’asta verticale della croce hanno tutte le sembianze dei tipici menhir…

Publiée par Marcella Invidia sur Samedi 30 novembre 2013

“La forma e la sezione dell’asta verticale della croce hanno tutte le sembianze dei tipici menhir salentini, per i quali, da molto tempo e in contrasto con l’interpretazione preistorica voluta da alcuni studiosi, sostengo una datazione al periodo medioevale.
Questa interpretazione mi sembra sostenibile sia per i contesti di molti degli esemplari conosciuti, sia per la loro somiglianza con le croci in pietra medievali rinvenuti in altre parti d’Europa. Anche l’altezza del monolite, di 3,5 m., si accorderebbe bene nell’accostamento di questa croce con i menhir salentini.
Inoltre l’esemplare trova un confronto piuttosto simile in una croce monolitica dell’Irlanda nota come la “Kilbroney Cross” e potrebbe essere confrontata con altri menhir a forma di croce conservati a Diso e a Bitonto.
Questa croce, quasi certamente di età medievale, è di enorme valore archeologico e storico.” (Prof. Paul ARTHUR Ordinario di Archeologia Medievale)

Da Marcella Invidia: “Kilbroney Cross. la croce monolitica irlandese cui fa riferimento Paul Arthur” al link http://www.megalithicireland.com/Kilbroney.htm:
E’ il megalitismo salentino arcaico, e presente ancora durate l’Età del ferro, che ha influenzato anche nel medioevo cristiano e anche dopo suggestioni megalitiche nell’ espressione architettonica come nella ritualità cristiana locale.

Il fatto che molti dei nostri menhir siano a pilastro squadrato non è un’anomalia nello scenario megalitico antico mediterraneo: vedi CONFRONTI SUGGESTIVI TRA MEGALITISMO SARDO E SALENTINO

Il ben studiato complesso megalitico sardo di Monte d’Accoddi merita di essere noto ai cultori del megalitismo apulo-salentino.
Vi si osserva lì:
-) una ziqqurat-piramide che ci richama alla mente le nostre “Specchie” salentine;
-) un menhir a pilastro squadrato con coppelle sulla superficie, che ricorda tanto i menhir a pilastro squadrato salentini anch’ essi spesso decorati da coppelle sulle superfici; (nel Salento come in Sardegna si segnalano poi anche menhir-bethilos più informi e non solo dunque a pilastro squadrato);
-) un dolmen-ara, con coppelle, canalette colatoio e fori passanti sul lastrone superiore, anch’ esso tanto evocativo di dolmen salentini:
-) e una misteriosa grande pietra tonda, una sorta di uovo cosmico-omphalos, che richiama alla mente un monumento megalitico poco approfondito nel Salento, che è la misteriosa e scomparsa “pietra tunna” di Lecce, ma anche le arrotondate geologiche “rocce sacre” in feudo di Giuggianello, con coppelle, fori e canalette.

 

E così stele a pilastro squadrato son comuni nell’Età del ferro salentina 
I cippi di Otranto con iscrizioni messapiche (III sec. a.C.).

 

I cippi di Otranto
con iscrizioni messapiche (III sec. a.C.). La dott. Piera Caggia orna le stele con bende colorate secondo i sistemi dell’età antica, noti anche dalle raffigurazioni ritrovate sui vasi apuli a figure rosse.
I cippi di Otranto con iscrizioni messapiche (III sec. a.C.). Ornamento delle stele con bende colorate secondo i sistemi dell’età antica, noti anche dalle raffigurazioni ritrovate sui vasi apuli a figure rosse.
Più giusto dunque rintracciare nelle varie espressioni delle diverse stratificate religioni nel Salento il sostrato megalitico mai smarrito!
Ecco qui un sito megalitico salentino che evidenzia quanto possa essere avventato cercare di porre una cesura netta e a priori tra espressioni megalitiche dalle suggestioni più arcaiche e meno raffinate, e menhir a pilastro squadrato: Zollino, zona Pozzelle
Zollino, menhir a pilastro squadrato e altri megaliti in zona Pozzelle. Vecchia foto tratta dal link.
Si annoverano poi nel Salento anche menhir che si discostano dalla tipologia a pilastro squadrato, vedi il caso sopra del betel triangolare di Zollino che era nei pressi del menhir a pilastro squadrato di contrada Pozzelle che si vede sullo sfondo. qui in questa foto invece 
è questo il Menhir Coppola a Galatone. Una categoria di pietrefitte questa, quella dei betili non a pilastro squadrato, che meriterebbe maggiore approfondimento e ricerca scientifica nel Salento. Menhir infiormi son comuni nel megalitismo europeo e mediterraneo protostorico, dove però, come già detto, non mancano anche menhir dalla forma a pilastro squadrato.
Tornando ai menhir a pilastro squadrato è importante sottolineare come si rinvengano persino a Malta, arcipelago mediterraneo noto per la presenza anche di dolmen immensamente simili a quelli salentini. Esempio di menhir a pilastro squadrato maltese:
Questo un altro menhir a pilastro squadrato a Malta:
Anche questo menhir ha subito una cristianizzazione con l’ incisione di una croce, come avvenuto per tanti menhir salentini, e come tanti menhir salentini son chiamati “Cruce”, così anche questo, ma in lingua locale maltese, è chiamato “la Croce” (“Is-Salib”).
Le generalizzazioni dunque nel fenomeno megalitico salentino, del tipo: tutti i menhir a pilastro squadrato son medievali, o son dell’ età del bronzo, o tutti del ferro, porterebbero facilmente a grossolani errori. Basti solo pensare ai menhir dell’ età del ferro messapici come le stele di Otranto, ben datate da ritrovamenti in strato di tali cippi:
I cippi di Otranto con iscrizioni messapiche (III sec. a.C.)
Le stele a pilastro squadrato (e non solo di questa tipologia) connotano poi la produzione dei vasi apuli a figure rosse di epoca messapica, qui un esempio di raffigurazione di stele a pilastro squadrato su quei vasi (Cratere a volute apulo a figure rosse, 350-340 a.C.) :  
Cratere a volute apulo a figure rosse, 350-340 a.C. Qui raffigurati anche dei nastri di diversi colori con cui si decoravano le stele. Dati ulteriori: Painter of Copenhagen (attr.): Red-figured crater with big masks, c. 340 BCE – side B Matera Museo Nazionale Domenico Ridola. Dal link: http://www.scalarchives.it/web/dettaglio_immagine.asp?idImmagine=0146358&posizione=28&numImmagini=248&prmset=on&ANDOR=and&xesearch=argilla&ricerca_s=argilla&SC_PROV=RR&SC_Lang=ita&Sort=9&luce=
Così, come poter non includere nel novero dei menhir a pilastro squadrato salentino, che ricompaiono in svariate epoche, la pietra cippo che fa da pala per l’ antico affresco della Madonna della Coltura di Parabita, oggetto betilico con sacra icona, venerato e posto al centro dell’altare di una bellissima chiesa neo-gotica a Parabita 
E tanti altri casi simili di icone su cippi a pilastro squadrato nel Salento. Persino un antico affresco di San Vito si legge ancora sulla megalitica pietra forata di San Vito a Calimera, ben lungi dall’ essere un monumento cristiano, eppure iper-cristianizzato con erezione di una chiesetta addosso, realizzazione di un affresco sopra, e integrazione del rito di passaggio attraverso la stessa per propiziare la fertilità nel culto cristiano locale popolare.
Fino ad arrivare a delle colonne “osanna” cristiane relativamente recenti nella fattura, nei paesi salentini, e persino a pilastro perfettamente squadrato a sezione rettangolare (come per molti menhir più arcaici salentini) e monolitiche, in calcare. E’ il caso di questa osanna in pietra leccese presente a Botrugno:
Osanna in pietra leccese presente a Botrugno con statua del patrono San’Oronzo – da Street view di Google Maps. Immagine tratta dal link. Si osservi in sommità il ramoscello d’ulivo benedetto lì posto!
Così sui menhir salentini a pilastro squadrato un po’ troppo frettolosamente le bacinelle scavate in sommità su molti di essi son state liquidate tutte da alcuni, generalizzando, come fossete scavate per infilarvi una croce di legno o di pietra o metallo come certamente per molti avvenne e si osserva ancora oggi (vedi a Gemini e Supersano), per cristianizzarli. Idem avvenne persino in Bretagna su alcuni menhir e non solo lì. E altrove come qui incidendo croci sui menhir. Ma l’attenta analisi della cavità in sommità mostra la natura di bacinelle e canalette di alcune di esse, che lascia pensare a usi rituali, come riti di libagione ed unzione, arcaici o cristiani che siano e che andrebbero indagati. O riti implicanti il fuoco, ecc. In ogni caso queste cavità in sommità implicano un’ analisi più attenta di questi elementi peculiari di molti menhir salentini.
Bacinelle e canalette in sommità al Menhir “Pezza” posto su un crocicchio lungo la strada provinciale Giuggianello-Palmariggi – foto di Oreste Caroppo

Qui in questa mia foto un esempio per me mirabile di bacinelle in sommità su questo menhir posto su un crocicchio, lungo la Giuggianello-Palmariggi, il Menhir Pezza. Accanto si osservano i resti di un tumulo, una piccola specchia a pianta ellittica in disfacimento ormai; i locali raccontano di uno spettro, un’ ombra che uscirebbe in quel luogo al passaggio dei viandanti, e raccomandano di non voltarsi a guardarla (similitudini con i miti orfici) se la si sente apparire alle proprie spalle perché non possa così nuocere. Forse il ritrovamento di ossa di inumati nella specchia e altri reperti funerari ha nel tempo fatto nascere questa leggenda?! Forse specchia manomessa alla ricerca delle “acchiature” dei tesori che portavano tanti contadini a manomettere gli antichi siti archeologici. Tornando al cippo infisso al suolo, questo è un tozzo monolito calcareo di piccola altezza, a sezione quasi quadrata, con due coppelle semisferiche legate da una canaletta, scavate sulla sua sommità piatta. Presenta poi una croce greca (a braccia uguali) debolmente incisa su una sua faccia verticale, centralmente in alto, parete che si connota per una decorazione a microcoppelle fitte, che tanto ricorda alcuni decori a microcoppelle delle grandi pietre calcaree dei templi megalitici maltesi. La natura artificiale di tali decori a micro-coppelle mi è stata confermata anche dal geologico il prof. Paolo Sansò, dell’ Università del Salento, che ha escluso anche lui, il casuale frutto dell’ erosione della pietra calcarea del cippo per spiegare tale singolare aspetto; in ogni caso si tratta di un decoro ben conforme con l’ampia diffusione delle micro-coppelle sui menhir a pilastro squadrato salentini. Quello che connota il menhir Pezza è l’alta densità e vicinanza di queste. Si osservano anche coppelle maggiori scavate sulle superfici laterali del cippo, e alcune tacche scavate sui suoi spigoli. Le coppelle a decoro delle superfici laterali (anche non solo micro-coppelle) si osservano ad esempio su alcuni menhir sardi, come nell’ esempio sopra, del menhir a pilastro squadrato di Monte d’Accoddi. Qui una foto del cippo chiamato Menhir “Pezza” (dal toponimo del fondo prossimo), visto dall’alto, che ho realizzato verso la fine del mese di ottobre 2012. Si osserva piena di acqua piovana la maggiore delle due coppelle superiori.

Sarebbe alquanto anomalo poi se nel Salento, dove è presente evidente il fenomeno megalitico dolmenico protostorico, fosse assente quello protostorico coevo legato ai menhir, dato che, possiamo dire ovunque, nel Mediterraneo ed in Europa, si osserva il fenomeno megalitico dolmenico protostorico, si osserva quello coevo legato ai menhir, così in Sardegna, Corsica, Penisola Iberica, Bretagna, Irlanda, Scozia, Galles, Inghilterra, ecc. Da dire che persino sui dolmen e tumuli dolmenici (piccole specchie) del Salento, vi erano nei decenni ed anni passati degli scettici sulle loro radici protostoriche, ed erano ritenuti tutti, da questi, “scherzi” di contadini o comunque opera di contadini di epoca recente, o frutto del caso (!), finché lo studio archeologico non ha sgombrato i dubbi degli ultimi irriducibili scettici, e confermando così scientificamente le intuizioni dei più antichi studiosi ottocenteschi dei dolmen salentini! Ecco la scoperta e scavo archeologico cui mi riferisco: http://www.salogentis.it/2013/10/30/archeologia-a-salve-dal-sottosuolo-nuove-importanti-scoperte-per-leta-dei-metalli/ .
Pertanto come in Irlanda e Scozia troviamo dolmen e menhir arcaici, protostorici, e poi croci votive cristiane medioevali realizzate in grandi pesanti blocchi monolitici, che risentono di un chiaro influsso locale megalitico, idem è accaduto nel Salento megalitico, come questo ritrovamento di Trepuzzi della grande croce monolitica mostra! Sbagliato sarebbe poi nell’ indagine dei siti non tener conto di possibili stratificazioni sincretiche di epoche e religioni, con restauro e riadattamento nel tempo di vari monoliti sacri, o loro sostituzione con nuovi più integri, e da un lato ispirati da forme megalitiche dall’altro più sintonizzati con le mode del tempo.
Tutti questi dati e riflessioni per dire che, se da un lato per ogni monumento e contesto serve un’ analisi storico-archeologica, dall’altro dobbiamo aggiungere uno studio storico-antropologico del fenomeno megalitico nel suo complesso, che una terra pietrosa come il Salento, ed anche con roccia calcarea, (come a Malta del resto), facilmente lavorabile, sembra aver espresso sin da epoche molto antiche fino alla nostra contemporaneità. Che cosa vuol dire “fenomeno megalitico”? Vuol dire si uso di grandi pietre per strutture di tipo architettonico, ma in questo contesto, lo utilizzo con riferimento maggiore all’ impiego delle grandi pietre per la realizzazione di strutture dai connotati anche o soprattutto religiosi. Non deve stupire il fatto che anche alcuni dei grandi menhir salentini da un lato chiamati “croci”, evidenziandone il valore religioso, dall’altro erano anche in contemporanea “petre spartifeudo”, “finite”, segnacoli di delimitazione di proprietà, feudi, e forse anche già cippi di centuriazione romana del territorio, tali in origine o divenuti nel tempo. Nelle genti italiche il cippo di confine assumeva forti valenze religiose e magiche ed era oggetto di culti betilici che lo coinvolgevano. Così come la collocazione di tanti menhir su crocicchi stradali li accomuna alle pagane erme greco-latine consacrate al dio Hermes, dio della fertilità dei campi, ma anche protettore dei commerci. E allo stesso modo la loro natura religiosa betilica, pagana prima, cristiana poi, rende i menhir anche al contempo potenziali cippi funerari, e non mancano menhir a pilastro squadrato salentini con tombe ai loro piedi, come il caso delle tombe a fossa scavate nel banco roccioso ai piedi del menhir San Paolo di Giurdignano, menhir associato, dato l’antico affresco del Santo e soprattutto dato il singolare affresco di una ragnatela sulle pareti di una grotta artificiale scavata ai suoi piedi, ai culti del Tarantismo salentino!
Queste riflessioni qui in questo mio scritto in cui sviluppo delle riflessioni atte ad interpretare un elemento diffuso nei menhir a pilastro squadrato salentini, ma mai preso seriamente in considerazione sinora: le tacche che compaiono sugli spigoli, talvolta debolmente, talvolta profondamente incise.
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Tornando alla stupenda Croce monolitica di Trepuzzi
Ed è importante che se ne discuta sulla sua migliore presentazione e ricollocazione! L’ ideale sarebbe una struttura Calvario con tre gradini in pietra, a struttura a piramide, e che funge al contempo da sostegno della parte basale in tale struttura incastonata! Pietra calcarea locale. E opportunamente in un sito dalle caratteristiche rurali, e in bella vista, in un luogo più rialzato. O se non con la struttura Calvario, che è tipica di tante osanne e menhir trasformati in osanna, persino tipica di tante stele messapiche (vedi cippi raffigurati sui vasi apuli a figure rosse), la collocazione menhir-salentino: ovvero incastonata nella roccia o terra nella parte basale. La notevole lunghezza del braccio basale suggerisce una di queste due queste ubicazioni originarie. Questo metallo odierno di sostegno ha la natura evidente dell’anacronismo e della provvisorietà, spero che nessuno possa attribuirgli altra natura! E’ chiaro che va il merito, ci mancherebbe, che per il momento avendola innalzata, alla meno peggio, si è ridata dignità al monumento! Mica nel suggerire soluzioni migliori, si critica chi fa sempre nel giusto verso della nobilitazione del nostro patrimonio, anzi!
Basamento inguardabile, spero sia provvisorio. Merita un contesto suggestivo, di pietra naturale senza asfalto, cemento e altre porcherie hi-tech. Come son in giusta e bella mostra pesaggistica le croci celtiche in pietra in Irlanda solo ad esempio:
E anche lì un sostrato megalitico arcaico ha influenzato lo sviluppo di un’ architettura monumentale cristiana dalle suggestioni megalitiche. Non si dimentichi poi che tutta la cultura cristiana anche nel nord Europa risentiva dei grandi influssi culturali mediterranei e italo-greci in quelle epoche antiche!
Anche le stele Apule e Lucane avevano a volte basamenti gradonati:
“Anonyme, Oreste, Électre et Hermès sur la tombre d’Agamemnon – ~ 350 av. J.-C. Pélikè lucanienne à figures rouges – h. 43 cm – © [Louvre.edu] – Photo H. Lewandowski”. Dal link.

Orfeo, nipote di Caropo, scese sin negli inferi più tetri e paurosi per riprendersi la sua amata, uccisa dal morso di un infido serpente, e lì commosse persino il cuore degli dei con il suo dolore e la sua voce calda e soave … per poi perderla per sempre per il troppo desiderio di riguardarla. Vicino questo menhir salentino si racconta una storia dalle suggestioni simili, un’ anima fantasma, raccontano i contadini, appare talvolta dal tumulo di pietre e terra che è accanto al monolite, e per non esserne da questa in nessun modo feriti, la leggenda prescrive di non voltarsi a guardarla, ma di procedere spediti, se se ne avverte la presenza … Orfeo doveva non voltarsi indietro per riportare sulla terra verdeggiante di colori la sua amata, consessagli, dagli dei commossi, per un secondo tempo, una seconda chance, nel percorso tenebroso sin fuori dal penoso inferno, Ade senza gioia e stimoli alcuni in cui la sua amata metà era finita … ma si voltò in quell’attimo in cui ebbe paura che non lo stesse seguendo, non sentendono il suo velato leggero passo, la vide per una frazione di secondo lì dietro di lui e la perse per sempre, e con lei la sua felicità! La donna tanto amata da Orfeo era una ninfa amadriade (dal greco hamadryás-ádos, composto da háma, insieme, e drys, albero, quercia). Nell’antica religione greca erano le ninfe localizzate nelle querce. Si credeva che ogni quercia fosse animata da un’amadriade. Caropo, era un umile abitante della Tracia, venne a sapere dei complotti che Licurgo tramava, contro il divino Dionisio, il dio del vino. Avvertito la divinità ebbe come ricompensa il trono del regno di Tracia e divenne anche sacerdote del culto dionisiaco.
Discendenza. Ebbe un figlio chiamato Eagro, che a sua volta fu padre del famoso Orfeo. Questo il menhir che scovai nel 1993, durante alcune fanciullesche esplorazioni, cui si collega la leggenda salentina di suggestioni orfiche, e l’ orfismo, antica religiosità misterica incentrata sulla figura mitica di Orfeo, in epoca messapica fu tanto diffuso nel Salento, e i canti orfici ancora si trascrivevano nel medioevale monastero con scrittorio di San Nicola di Casole a Otranto. Il menhir dal toponimo della zona, venni poi a sapere, era chiamato Menhir “Pezza” ed era stato segnalato anni prima sebbene allora come oggi ancora poco noto nonostante la sua ricchezza di decori ed altri correlati elementi betilici di grandissimo interesse. Per approfondimento sul particolarissimo monolite ai piedi della Serra di Giuggianello-Palmariggi, la Collina dei Fanciulli e delle Ninfe poeticamente detta, vedi sopra, o cliccando sulla foto nel commento che segue.

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=350603455080614&set=gm.672942582729288&type=1&theate

Menhir Pezza:

Publiée par Oreste Caroppo sur Jeudi 2 janvier 2014

 

EMOZIONI ORFICHE ANCHE NELLA NOSTRA TERRA Un quadro immaginifico di Orfeo e la sua amata amadriade, che mi è sempre piaciuto tantissimo!

 

Dipinto. Orfeo e la sua amata Euridice che era una ninfa “amadriade”, una ninfa della “quercia” (“dryas” in greco).

 

Euridice che era una ninfa “amadriade”, una ninfa della “quercia” (“dryas” in greco).

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Un altro elemento da aggiungere nella lettura delle varie simbologie dell’ “osanna” l’evoluzione nel cristianesimo salentino del menhir protostorico, e della stele classica greco-romana, è quello della colonna della flagellazione, che compare nel racconto della Passione di Cristo. Del pittore Piero della Francesca, “Flagellazione di Cristo”

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Non escluderei poi certo anche riti legati ai menhir che implicavano l’ uso del fuoco, come su tante are arcaiche.

Per il discorso ipotesi di ascesa del menhir avente funzione di punto sopraelevato di osservazione la escluderei. Più comoda e pratica a tal fine una struttura in legno-torretta, un albero, un tumulo di terra e pietra, poiché l’attività di vigilanza del territorio implicava una certa calma e attenzione e la possibilità poi di entrare visivamente in contatto con altri punti di vedetta. Non tutti i nostri menhir son in ubicazioni belvedere. Viceversa ascendere il menhir abbracciandolo, toccondalo con tutto il corpo, con una certa fatica anche, è parte integrante della ritualità betilica ipotizzata, come l’ ascesa di un albero di solito fatta senza scale!

Ad un amico che tra le altre ipotesi aveva anche messo in campo quella dei menhir come punti di vedetta, questo il mio commento: Ma hai fatto benissimo a scriverla, si sta pedendo l’applicazione del metodo scientifico galileiano che passa proprio dalla formulazione di tutte le possibili ipotesi interpretative di un fenomeno, inizialmente, poi da pesare (archeologicamente in questo caso, e non solo archeologicamente), e mettere alla prova tutte per scartarle via via fino a che non restano quelle più probabili e cariche di maggiore verità! Mentre talvolta si creano climi assurdi, negazione di ogni progresso culturale, in cui ai giovani si inculca la paura di esprimere ipotesi strampalate, che magari così potrebbero anche non essere, per paura di una derisione gettizzante! Per questo son almeno inizialmente tollerante verso tuttissime le ipotesi! Viceversa quando alla prova palese dei fatti, ipotesi dimostratesi strampalate del tutto, infondate, vengono affermate fanaticamente, allora l’attacco più forte può avere un senso. La derisione dovremmo averla per chi non formula nessuna ipotesi di fronte a fenomeni ancora non del tutto chiari, o non chiede e non si chiede i perché! Per chi non ha curiosità di sapere e di capire sia ciò che gli altri hanno già capito, sia ciò che ancora non si è compreso! “Degno dei Platani”, avrebbero detto i filosofi greci che sotto le chiome fresche dei platani orientali tenevano spesso le loro lezioni, l’applicazione di questo buon metodo galileiano! 🙂 Colgo l’ occasione per far vedere cosa sono i veri Platani orientali (Platanus orientalis), che magnificienza, alberi da Plinio il Vecchio descritti anche in Apulia, oggi rarsissimi nel sud Italia, ma non così già nella vicina Corfù ed Albania… qui abbiam inquinato tutto con la diffusione di una specie ibrida di Platani in tempi recenti, ma sarebbe bene tornare a piantare questa magnificienza! Qui un esempio con un post facebook ricco di dati anche nei commenti:

 

Lo studioso salentino Luigi Panico ci informa che :”Le tacche lungo gli spigoli di molti menhir salentini, secondo il De Giorgi e il Palumbo erano fatte da ‘monelli e pastori’ per scalare le stele; dopo l’editto di Arles e la cristianizzazione di queste pietre con l’apposizione della Croce, il giorno delle palme si usava legare a queste ramoscelli d’ulivo ( tradizione rimasta per molti di questi in auge sino a qualche anno fa) e verosimile quindi che queste tacche servissero ad agevolare questa operazione.”

L’elemento singolare e che sui menhir a pilastro squadrato salentini le tacche gradino sugli spigoli siano molto comuni. E’ indubbio che siano state utilizzate o riutilizzate anche per il rito pasquale dell’apposizione del ramoscello d’olivo il giorno della Domenica delle Palme. Ma mi chiedo perché privilegiare una tale compromissione del monolito, (sempre e comunque sacro, una volta cristianizzato, o se nato già come cristiano), all’ uso di una scala a pioli di legno da appoggiare alla bisogna, di certo scale trovabili con facilità in loco nel mondo contadino? Dato che questa pratica dell’ ascesa dell’ osanna (o colonna votiva del Salento) a nude mani, per l’apposizione di ramoscelli d’olivo e palme (o bandiere votive – vedi la colonna di San Vito a Lequile) l’ho registrata anche come consuetudine recente nei paesi salentini, non ovunque certo (a Maglie il sindaco oggi sale con la scala dei pompieri sulla altissima barocca colonna della Madonna delle Grazie, per appendere al suo fusto una annua corona di alloro), ho ipotizzato che questo sia traccia di un rito più arcaico (o di un archetipo) che implicava e dava valore all’adesione corporale alla pietra, come all’ impresa muscolare quasi agonistica, come nella scalata di un albero sacro… archetipi rimasti nel gioco del palo della cuccagna ancora praticato in alcuni paesi salentini durante alcune festività (vedi a Muro Leccese, Corigliano d’Otranto, ecc.), tradizione da rivalorizzare in chiave più profonda pertanto e con maggiore cura estetica-paesaggistica! Palo della cuccagna assolutamente da non banalizzare, come avvenuto nei recenti decenni passati!

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Di tale scalata per apporvi il ramoscello d’olivo sul menhir-sannà, cui potevano servire le tacche-gradino sugli spigoli, ne tratto diffusamente nel testo ricchissimo di spunti! Il punto è chiedersi perché il ramoscello sul menhir, quali tutti i possibili motivi archetipici e religiosi, e poi perché in un mondo contadino, dove di certo non mancavano le scale in legno per salire sugli alberi, si intaccava la pietra per ascenderla a mani nude! Importante la convergenza sull’ ipotesi della loro natura prioritaria quali tacche-gradino.

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 Il paragone che ho fatto alla base, prima di avventurarmi nell’osservazione delle superfici dei menhir più dettagliata, fu con l’arte rupestre della ben nota Val Camonica, dove sulle più invitanti superfici rocciose, dopo le iniziali più arcaiche incisioni, se tali massi restavano a vista, su di essi si continuava ad incidere per generazioni e generazioni, fino a incisioni dei secoli moderni con persino motivi moderni. Quella sui menhir sarebbe rientrata in tale tipologia artistica, l’arte rupestre, ed essendo diversi menhir rimasti in piedi per secoli e secoli alla vista delle genti, e i più di tenero calcare facilmente scalfibile, era ben probabile che su di essi non vi avremmo ritrovato petroglifi di una sola epoca, ma potenzialmente di tutte le epoche in cui svettarono alla vista dei passanti. E così pare riscontarsi già in una loro analisi superficiale.

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Μάλια Κρήτης – Βαίτυλος ( μετεωριτόλιθος) στον ιερό περίβολο του ανακτόρου.A strange baetyl-like feature in the…

Publiée par Ancient Greek Civilization – Αρχαία Ελλάς sur Mardi 20 août 2013

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Gli stessi archetipi nel salentino palo della cuccagna, come nel menhir-sannà della Puglia del sud

 

A Highgate Wood (Londra) la danza attorno al Maypole (o albero di maggio) per celebrare il solstizio d’estate secondo la tradizione scandinava – foto di Francesca Mattesi pubblicata sulla pagina facebook Nordic Beauty nel 2017.

 

Da Francesca Mattesi: “Oreste questa è una foto scattata da me oggi ad Highgate Wood (Londra). Ritrae la danza attorno al Maypole (o albero di maggio, purtroppo non ben visibile in foto ma e’ al centro del cerchio) per celebrare il solstizio d’estate secondo la tradizione scandinava.” 

 

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Da Maddalena Jeanpaul Belmondò: “Aggiungo l’asherah un palo sacro eretto nei luoghi di culto cananei per onorare la dea madre ugaritica Asherah, consorte del dio El: http://it.wikipedia.org/wiki/Asherah_%28palo_sacro%29

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Chissà se quel monolite nel film di Stanley Kubrick “2001: Odissea nello spazio” del 1968, non fu ispirato dai menhir salentini, che più di altri menhir del mondo son solitamente a perfetto pilastro squadrato, o se entrambi pescano in tempi diversi nel medesimo archetipo universale presente nell’ uomo!?
Fotogramma dal film di Stanley Kubrick “2001: Odissea nello spazio” del 1968.
“Tratto dal racconto The Sentinel (1948) di Arthur C. Clark – che l’ha sceneggiato col regista, l’ottavo film di Stanley Kubrick rappresenta tutt’oggi la vetta della sua opera e uno dei capolavori assoluti della storia del cinema. Lolita e StranamoreTramite la metafora del monolito, che appare ogni volta che l’evoluzione compie un passo in avanti (è Dio? O una forza aliena? O ancora, un simbolismo dell’evoluzione stessa?), il film ripercorre l’esistenza degli esseri umani dalla preistoria, in una metafora della ciclicità dell’esistenza e dell’universo.”

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ABADIR o BETILI

OMPHALÒS
Βαίτυλοι, antichissimi feticci fatti con pietre di forma conica, innalzati come altari alle divinità nei luoghi più disparati, venivano asperse con vino, sangue e in modo particolare con olio di oliva.

http://www.miti3000.it/mito/mito/greca_a.htm?fbclid=IwAR11DumsMSw5G17xBMR11vTZFT_RqMTdkDX5u-ME47ZjTJbVrxio-g_l-4Q

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Fiume dai mille linga 

In questo fiume che alimenta la famosa città di Angkor Wat in Cambogia, nel tratto a monte del fiume, sul suo fondo roccioso, in tempi antichi sono stati scolpiti dei linga, dei falli, e delle yoni, delle vulve, associate ad essi, e l’ acqua scorre bagnandoli e da lì scende verso la città!
Linga-Yoni. Santuario di Cat Tien, provincia di Lam Dong, Vietnam
National Museum of Vietnam History
Quale migliore esemplificazione degli archetipi sessuali e magici che connotano il pensiero religioso universale, e il culto dei bethili?!
L’ acqua così si arricchiva di magica energia vivificante secondo un pensiero religioso ancestrale e probabilmente universale per l’ uomo, e apportava così maggiore benessere alla città dissetandola! 

Questa simbologia orientale di Yoni e Linga vista dall’alto come cerchio in un quadrato mi ha ricordato delle foto che mi mandò un ricercatore sul campo, curatore del sito internet Ankale, fatte da lui nella zona di Arneo, foto di alcuni cippi a pilastro squadrato infissi nel suolo (se antichi scampati allora agli interventi agricoli di riforma fondiaria che incisero profondamente su quei luoghi negli ann ’50 del ‘900), e sulla base delle quali e di altri rilievi che lui aveva svolto, iniziammo a porli, con uno scambio di mail, in un possibile quadro interpretativo con delle ipotesi iniziali che lui raccolse in questa pagina web. Non ho purtroppo però mai fatto ancora un sopralluogo per vederli di persona.

In particolare qui consideriamo quella che dal nome della masseria più vicina fu chiamata Pietrafitta Il Console.

 

Pietrafitta Console, Arneo, lato a Sud vista del petroglifo – dal sito Ankale. E’ nelle vicinanze della Masseria “Il Console”, toponimo usato anche dal ricercatore per indicare il cippo, in contrada “Sarparea” in feudo di Nardò. Immagine al link.

Dati della pietrafitta: altezza 100 cm, larghezza faccia principale 40 cm, faccia laterale 40 cm, materiale pietra calcarenitica chiamata in loco “tufo” o “carparo“, orientamento facce larghe E-O. Il monolite ha sezione quadrata, sul lato est e nord sono incisi dei petroglifi, è conficcato visibilmente nel banco roccioso, nei resti di un muretto a secco.

Forse vi erano incise anche delle croci e una grossolana L capovolta (simbolo fallico?), ma da verificare! Ancora nella cultura romana era segno buon augurale rappresentar falli, scolpiti o disegnati, ovunque, in luoghi pubblici, privati, sacri e non. Ciò qualificherebbe quel cippo come palesemente legato al culto fallico e della fertilità della Terra, dei campi.

Sul lato Sud, quello più esposto al Sole durante il dì, c’è, parrebbe, un cerchio all’interno di un quadrato; rappresentazione del Sole, il cerchio, e del cielo secondo una universale e diffusissima simbologia, così come il quadrato è invece rappresentazione della Terra? Simbologie cosmiche legate a culti di fertilità associati al cippo di confine o assunto in seguito come pietra “finita” di confine?
Un cerchietto iscritto al centro di un quadrato, la sintesi perfetta, eloquentissima, della più profonda semantica del menhir comunque.

 

Pietrafitta Console, Arneo, vista dall’alto e orientamento delle facce – dal sito Ankale.

 

Pietrafitta Console, Arneo, vista da Nord-Ovest – Immagine dal sito web Ankale. Interessante anche il basamento attorno di rocce affioranti forse con coppelle scavate su di esse.

 

Pietrafitta Console, Arneo, vista da Sud – Immagine dal sito web Ankale.

 

Molto molto interessante questo petroglifo a spina di pesce, a colonna vertebrale o a sistema di canalette e coppelle o albero inciso sul cippo “petra spartifeudo” di contrada Fichella. Scrive Fernando Cancelli “È un cippo squadrato che si trova nel feudo di Leverano, in località Fichella. È posto su una piccola specchia [un cumulo di pietre]; secondo alcune persone anziane del posto, delimita i confini dei territori dei comuni di Leverano, Copertino e Nardò. Quei segni, secondo altri, potrebbero essere il frazionamento dei terreni circostanti, o “stadi” unità di misure antiche; sorta di pietra miliare.”

 

Erano degli erosi segnacoli di confine monolitici a pilastro squadrato, come evidenziato anche da tracce di ideali linee di confine segnate in sommità, ma anche sacralizzati da croci incise, e con altri glifi interessanti, come in particolare ricordo qui su una faccia verticale un cerchio disegnato in un quadrato. Sul lato Sud, quello più esposto al Sole durante il dì, di uno dei cippi c’è un quadrato inciso, e al suo centro parrebbe anche inciso un cerchio; il cerchio rappresentazione forse del Sole, e del cielo, secondo una universale e diffusissima simbologia, così come il quadrato è invece rappresentazione sovente della Terra con i 4 punti cardinali; simbologie cosmiche legate a culti di fertilità?!
Un cerchietto iscritto al centro di un quadrato, come nella simbologia anche orientale di Yoni e Linga, è la sintesi perfetta eloquentissima della più profonda semantica del menhir nel percorso di interpretazione che ho intrapreso di questi manufatti.

Mi piace citare qui anche questo petroglifo inciso su un alto menhir a pilatro squadrato del Salento, il Menhir della Lete detto, che è nel feudo di Galugnano di Lecce.

 

Tra i vari graffiti presenti sul Menhir a pilastro squadrato detto della Lete a Galugnano di Lecce, alto più di 4 metri, una data, il 1551, incisa sulla sommità del menhir, che ne fornisce una datazione minima e la “Triplice cinta sacra”. Foto dell’ingegnere Gianni Carluccio. Dal link.

 

Mi riferisco al graffito in basso nella foto. Parrebbe a questa prima analisi visiva della foto la cosiddetta “Triplice cinta“, attestata in luoghi di culto cristiani del Gargano:

 

 

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Segnalo questo ottimo articolo con quella logica interpretativa di chi ha colto la chiave di decodifica di miti e tradizioni: http://www.stregadellemele.it/main4.asp?pag=fallo&fbclid=IwAR0P-idwqYJA5jB6CR0J9bClXfDYXxvOer1IJGsDFYUmzWAcJ-2anRV21wQ

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Interessante in merito ai crocicchi, dove sovente erano ubicati i menhir, questo post di Gianfranco Mele, che ci ricorda che in Terra d’ Otranto: “Il Cane, animale sacro ad Ecate, e tutt’ uno con essa, era rispettato e sacralizzato, e si usava lasciargli della carne ai crocicchi, i luoghi magici e sacri ad Ecate stessa, habitat prediletto di tutti i misteri e gli esseri legati alla dea.” Cani liberi dunque risorsa di biodiversità e cultura da conservare, serbatoio genetico anche per lo sviluppo delle varie razze canine!

IL CANE Animale sacro ad Ecate, e tutt' uno con essa, era rispettato e sacralizzato, e si usava lasciargli della carne…

Publiée par Gianfranco Mele sur Vendredi 5 janvier 2018

 

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IL RITO ARBOREO BETHILICO IN SUD ITALIA

Ad Accettura, in Basilicata, tagliano degli alberi che portano ed innalzano al centro della città nel giorno della Pentecoste, festa legata fortemente al legame Terra-Cielo se si pensa che per la cristianità è la festa che ricorda la discesa dal cielo di un potere miracoloso che investi gli apostoli.

 

Ad Accettura, in Basilicata, rito dell’albero del maggio.

 

Ma si tratta di una festa dove il cristianesimo ne rappresenta solo una componente. E’ in gran parte una festa pagana, e che si svolge con modalità simili anche in altre comunità della medesima Lucania e della regione Calabria. Una festa dove ogni minimo particolare dall’ uso dei possenti buoi, di razza podolica pugliese per trasportale l’ albero, fino ad ogni altro aspetto ritualizzato della tradizione può trovare comprensione del suo valore simbolico alla luce della Teoria T-S.
Nel bethilos stesso, nell’ albero sacro, che diviene qui palo innalzato dall’ uomo, e non solo venerato in quanto presenza naturale, e che realizza l’ unione Terra-Cielo, si realizza in esso stesso il matrimonio tra due alberi di specie diverse! Nel caso di Accettura, quello basale un alto dritto (fallico) Cerro, una specie di quercia che perde le foglie in inverno, e quello innestatogli sopra invece un più piccolo ma frondoso Agrifoglio, albero che resta sempreverde in inverno e che nella festa che cade in primavera si celebra la rinascita della natura! L’ Agrifoglio avendo conservato le foglie in inverno come il Vischio son piante magiche di rinascita, che han potere vegetale, e anche per questo tra le piante per gli addobbi delle feste natalizie che sol volte a propiziare la risalita nel cielo del Sole e quindi la correlata primavera!

Chi vuol per falsa ecologia cancellare le tradizioni con scuse effimere non vede che la sacralità che le circonda consente qui ad esempio che siano ben allevate le mucche podoliche pugliesi, degne rappresentanti dell’ Uro il bue selvatico europeo da cui discendono, e anche il bosco, fonte di vita e alberi per la festa ben curato e rispettato perché sempre fornisca eccellenti alberi degni della festa, e di una dignità che conferisce magico potere di benessere al paese e alla sua comunità!

Così di fronte a queste feste vivissime e arcaiche rido se penso che vi è chi si scervella e immagina esperimenti di archeologia sperimentale per capire come i popoli antichi abbiano potuto costruire ed innalzare menhir … basta vedere cosa fanno ancora oggi queste comunità e tutto per tradizioni senza l’ uso di strumenti tecnici moderni, e poi come per il menhir scavano anche una buca in terra in cui andrà il basamento del “maggio”, il palo rituale!

Vi vediamo poi anche come nelle simbologie del palo della cuccagna, uomini che scalano il lungo pelo, il sacro bethilos, acquisendone prestigio!

Un patrimonio del Sud Italia questo, ambientale e culturale, da conoscere e apprezzare maggiormente!

Vedi questo articolo al link: http://www.erodoto108.com/accettura-la-perfezione-del-maggio/?fbclid=IwAR25FK1n6oIPDU4HGpuQBitslCjlJCHIfN6vhjNV1kchPfoIZjVsp0eRpGA

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La tradizione della “Torri umane”
Torri nel complesso coniche, che avvicinano l’ uomo al Cielo, si compongono a Irsina, un paese della provincia di Matera, in occasione della celebrazione della festa della Madonna delle Pietà nel largo della Cattedrale, son chiamate in vernacolo locale “u’p’zz’cantò”,
 
e il valore simbolico di bethilos umano è facile da capire; per le loro costruzioni partecipa tutta la comunità e gareggia, ciò rinsalda lo spirito di comunità e si realizzare questo simbolico monte, questa scala tra Cielo e Terra apportatrice di magico benessere per la comunità, come l’ albero sacro, ma in questo caso umano.
La tradizione religiosa-popolare delle torri umane si trova anche in altri paesi; qui in foto vediamo il caso della Catalogna:
La tradizione religiosa-popolare delle torri umana si riscontra in diversi paesi; qui in foto vediamo il caso della Catalogna. Immagine tratta dal link.

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LA FESTA DEI CERI A GUBBIO NEL CENTRO ITALIA

La Festa dei Ceri a Gubbio in Umbria, Italia centrale. Immagine tratta dal link.

 

Stessi archetipi e motivazioni simboliche, religiose e sociali possono essere facilmente rintracciati nella Festa dei Ceri a Gubbio (Umbria, Italia centrale), dove enormi pesanti strutture colonnari in legno dette “ceri”, con statue di santi in sommità vengono innalzati e portati anche velocemente in processione da differenti squadre in agone tra loro. La Festa si svolge il 15 maggio.

(Essa ci da modo anche di capire il valore di bethilos dei ceroni e fiaccole anche nelle più normali processioni e nel loro uso nei vari riti religiosi, cui si aggiunge a rafforzamento il valore solare del fuoco-calore).

Per approfondire sulla Festa dei Ceri: https://it.wikipedia.org/wiki/Festa_dei_Ceri

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La Fòcara di Novoli

Qui al bethilos si aggiunge la coerentissima simbologia solare del fuoco, la pira montagna che prede fuoco con fiamma sollevata dalla Terra al Cielo, Fòcara di Sant’ Antonio abate a Novoli (Lecce), gennaio 2017: 

 

Fòcara di Sant’ Antonio abate a Novoli (Lecce), gennaio 2017. Immagine tratta dal link.

 

 

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Il cippo-menhir e anche proprio il cippo a pilastro squadrato anche compare nella cultura classica apula come in quella ellenica. Mi piace ricordare qui anche questo bassorilievo classico detto dell’ “Atena pensante” trovato sull’Acropoli di Atene, scolpito nel marmo pentelico e riconducibile al 470 a.C., oggi è conservato nel Museo dell’Acropoli di Atene.

 

Bassorilievo classico detto dell’ “Atena pensante” trovato sull’Acropoli di Atene, scolpito nel marmo pentelico e riconducibile al 470 a.C., oggi è conservato nel Museo dell’Acropoli di Atene.

 

Non mi è possibile dire se l’ usura, danneggiamenti nel tempo, o originali particolari scultorei, ma è comunque suggestivo vedervi quelle tacche sugli spigoli di quel raffigurato cippo presso cui è in riflessione la Dea.

 

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Sannà o Osanne, il menhir nella versione cristiana in Terra d’ Otranto

Un album fotografico in merito di Gianfranco Mele:

Publiée par Oreste Caroppo sur Lundi 1 octobre 2018

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RACCONTI DI CIPPI CON ICONE ANCHE A CASARANO (LECCE), da Mezzina Tommaso qui tra i commenti:

8 Aprile: processione di Maria SS. della Campana, compatrona di #Casarano (LE) foto: Mezzina Tommaso

Publiée par FESTE PATRONALI DI PUGLIA sur Mercredi 11 avril 2018

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Rimando qui per interessanti dati e ipotesi sul legame tra menhir e acqua: https://www.facebook.com/oreste.caroppo.98/posts/1105670452920338

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Dal salentino Alessandro Romano un suo post facebook:

La prima volta che entrai in casa del grande studioso salentino Alfredo Calabrese, fra tutte le meraviglie che ha…

Publiée par Alessandro Romano sur Samedi 10 novembre 2018

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Testi tratti dal mio post facebook del 10 aprile 2013, e dai miei commenti ad esso nei giorni e anni successivi, al link:  https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10200997182601831&set=a.1888805429917.111969.1534895340&type=3&theater – invito ad approfondire leggendo lì i miei ulteriori numerosi commenti)

 

APPENDICE: gli enigmatici simboli dipinti in calce bianca distintivi dei trulli dello stile Alberobello in Valle d’Itria

 

 

APPENDICE: un confronto tra i menhir salentini a pilastro squadrato infissi nella roccia affiorante e la spada nella roccia del mito di Re Artù

 

 

Oreste Caroppo       anno 2012 e aggiunte successive

 

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