GHIANDE e farina di ghiande, una risorsa alimentare dimenticata da recuperare in Terra d’Otranto!

Ghiande e farina di ghiande, una risorsa alimentare dimenticata da recuperare in Terra d’Otranto!

 

Ghiande con cupole dalle Querce Vallonee, contrada Pecurara in feudo di Scorrano; area del Parco naturale dei Paduli; novembre 2012. Foto di Oreste Caroppo

 

Due son le specie di quercia viventi in Salento di cui è noto l’uso nell’alimentazione umana anche nei secoli passati:

-) la Quercia Vallonea (Quercus macrolepis), chiamata “falanida” nel dialetto salentino, (“balanos” in greco vuol dire ghianda), dalle enormi ghiande e enormi ricci delle loro cupole, con grandi foglie dal margine profondamente dentato che seccano nella stagione fredda. Si narra che le ghiande venissero mangiate anche abbrustolite come si fa oggi in sud Italia per le Castagne;

Foglie di Quercia Vallonea (Quercus macrolepis) – Salento

 

-) la Quercia Virgiliana (Quercus virgiliana) detta anche “Quercia castagnara” per la commestibilità delle sue ghiande come commestibili son le castagne; produce ghiande non grandi e la foglia è relativamente grande e a margini lobati; le sue foglie seccano nella stagione fredda.

 

Foglie di probabile Quercus virgiliana, tra Montesano Salentino e Ruffano. Data dello scatto la mattina del 23 dicembre 2019. Foto di Oreste Caroppo.

 

Foglie di possibile Quercia amplifolia – Salento, feudo di Botrugno, zona Tenuta Tresca. Foto di Oreste Caroppo.

 

Non a caso nelle aree del cuore del basso Salento dove ancora vivono diversi esemplari di Quercia Virgiliana, insieme ad altre specie quercine, alcune di esse anche molto simili a questa, lì dove esisteva una vasta foresta relitta ancora nell’ ‘800, il Bosco Belvedere, oggi l’area è nota come Parco dei Paduli anche dal diffuso toponimo in loco “”Paduli” (da palude), una antica masseria in agro di Supersano si chiama “Masseria Spaccaghiande”, probabilmente vi producevano la farina dalle ghiande raccolte dalle locali querce.

E inoltre lì vi son anche Castagni veri e propri e produttivi, ad esempio nella contrada omonima “Castagna” ai piedi della Serra di Supersano.

Non mi meraviglierebbe scoprire che anche altre specie di quercia, delle tante specie viventi in Puglia, producono ghiande comunque commestibili, eduli per l’uomo dopo opportuno trattamento.

Tutte erano sfruttate comunque per l’allevamento del Maiale allo stato brado nei querceti, ed erano anche fonte alimentare per i selvatici Cinghiali (recentemente meravigliosamente tornati nel basso Salento, evento meritevole di festeggiamenti!), selvaggina non meno importante per l’alimentazione in Terra d’Otranto.

Il ghiandàtico (o glandàtico) (s. m. dal lat. mediev. glandaticum, der. del lat. glans glandis «ghianda») era una tassa di origine feudale (detta anche escatico), dovuta per poter condurre maiali o altre bestie a pascere nei boschi.

Nel Bosco Belvedere nel cuore del basso Salento, si legge in vecchi catasti che vi pascolassero i “neri”, e lì data l’abbondanza di ghiande vi erano sia cinghiali selvatici, sia un fiorente allevamento di “porci” (maiali domestici) allo stato brado. Gli abitanti del paese di Supersano che era nella foresta Belvedere son per questo ingiuriati ancora “porci“. Troviamo che i cinghiali o certi loro esemplari in alcune regioni italiane son ancora chiamati “neri”, e nel sud Italia in diverse regioni “nero” indica razze di maiali, (e il maiale altri non è che la forma addomesticata del cinghiale, medesima specie Sus scrofa), dal mantello scuro.

 

Maiale “nero”, razza diffusa nel centro e sud Italia. Qui in Abruzzo, allevamento nei boschi.

 

Fiorente nei querceti di Fragno di Martina Franca è ancora oggi l’allevamento brado del maiale.

 

Gli anziani della regione Etolia Acarniana nella Grecia Occidentale vicina al Salento ricordano che in passato le ghiande della Quercia Vallonea, in Grecia anche vivente, (tanto che la specie ha tra i suoi sinonimi scientifici anche il nome Quercus graeca oltre a Quercus macrolepis ed altri sinonimi come Quercus ithaburiensis subsp. macrolepis) venivano abbrustolite come castagne e mangiate, e di questo uso pare si tramandi anche in Salento, dove però negli ultimi secoli la Quercia Vallonea era stata sfruttata soprattutto per ricavare tannino dai suoi tessuti vegetali, come dalle cupole e ghiande, per produrre tannino per la concia delle pelli, uso cui anche erano destinati, pare, i Castagni.

Famoso è in Salento l’enorme esemplare plurisecolare di Quercia Vallonea di Tricase, detto “Quercia Vallonea dei Cento Cavalieri”, tanti son i cavalieri che una leggenda locale vorrebbe un tempo trovarono riparo da un temporale sotto la sua immensa chioma. La più grande Vallonea nota in Italia. E in Italia la Quercus macrolpis la si ritrova solo in Salento dal Capo di Leuca fino a Mesagne, e pare anche fino a Matera.

E sulla strada tra il centro di Tricase e Tricase Porto:

La Quercia Vallonea dei Cento CavalieriL' albero che crea un bosco ed un ecosistema intero! Specie: Quercus…

Gepostet von Oreste Caroppo am Dienstag, 23. Juli 2013

 

Per le coppie di Tricase di buon augurio era la foto di matrimonio accanto al suo grande tronco.

A COLLOQUIO CON GLI DEI IMMORTALILa Quercia Vallonea dei Cento CavalieriSpecie: Quercus macrolepis Apulia…

Gepostet von Oreste Caroppo am Dienstag, 23. Juli 2013

 

Dal Capo di Leuca sino a Mesagne si trovano diversi grandi esemplari di Quercia Vallonea, famoso un grande esemplare nel centro di Corigliano d’Otranto in un angolo ben tenuto, con roccia affiorante, muretti a secco e una casupola con tegole di terracotta vicina, e la Quercia Vallonea di San Sebastiano detta alla periferia del paese di Galatina.

Personalmente ho provato a mangiare i cotiledoni interni, dopo averle decorticate, delle ghiande mature di Vallonea, fresche, ma le ho trovate amare, mentre dolce ho trovato una ghianda di Quercia castagnara.

Ma le ghiande vanno preparate prima di essere mangiate!

Nell’ Isola di Kea nelle Cicladi, nella vicina Grecia, dalla grandi ghiande delle nostre stesse Querce Vallonee son tornati intelligentemente a produrre farina commestibile e con essa biscotti venduti in tutto il mondo e richiestissimi, data anche la peculiarità!

Vedi per approfondimento su questa bella realtà imprenditoriale che riscopre la tradizione e crea paesaggio e rimboschimento il sito dell’ azienda, diciamo, con termine salentino, della masseria: http://www.oakmeal.com/?fbclid=IwAR0oUzwRtMmEyIPr3TjnlIWcxPqD5jzC8VPOeSwbk7KMmsrp9mY_RfDbuuk

Qui un video in merito:

https://www.youtube.com/@marciemayer/videos

Altri video:

Interessante vedere qui come aprono le grandi ghiande per estrarre i cotiledoni eduli: le pongono in verticale su un tavolo di legno di tronco non scortecciato che fa da incudine e battono in testa alla ghianda con un ciottolo duro, eventualmente mettono anche alla base un altro ciottolo più piatto a fare da incudine più dura del legno.

 

Sapevamo anche noi che le ghiande della Vallonee son commestibili ma abbiamo dimenticato in Salento come mangiarle …

Riscopriamo così che per toglier loro il gusto amaro, sbucciate e ridotte in pezzetti, le si devono mettere in acqua e cambiare l’acqua due o tre volte quando divenuta nera di tannini!

Idem si fa in Salento, i bagni prolungati in acqua, per addolcire le olive o i lupini da mangiare.

Erano un cibo immediato importante nel Mediterraneo preistorico e protostorico le ghiande, torniamo nel Salento anche a questa produzione ripropagando da ghianda e piantando anche nuove querce senza togliere nulla delle piante già presenti ovviamente!

 

Idem per le Castagne nei luoghi adatti dell’entroterra per microclima più umido e più fresco:

MATURANO OTTIME CASTAGNE NELLE AREE UMIDE E OMBROSE AI PIEDI DELLA SERRA DI COELIMANNA IN FEUDO DI SUPERSANOSi DEVE…

Gepostet von Oreste Caroppo am Mittwoch, 7. August 2013

Per approfondire sul Castagno in Terra d’Otranto: http://naturalizzazioneditalia.altervista.org/il-castagno-nel-cuore-del-basso-salento-e-sulle-murge-di-terra-dotranto/

Il Castagno, il Faggio e le Querce appartengono alla stessa famiglia tassonomica: le Fagaceae.

 

Oreste Caroppo       14 novembre 2018

 

ALLEGATI

Aggiunte successive, leggete sempre anche i commenti di questi miei seguenti post facebook a tema:

post sulla commestibilità delle ghiande di Vallonea e di Quercia castagnara:

 

 

 

 

 

Sulla commestibilità delle ghiande di Leccio riporto di seguito il testo di un articolo magnifico dello studioso Fabio Fanelli dal titolo “Pane di Ghiande” del 2015 che estrapolo dal sito www.agugliastra.it a cui rimandiamo anche per le belle foto presenti a documentazione ed. Tutte le ghiande si mangiano ma per quelle di Leccio non direttamente come invece per le ghiande di Vallonea e Quercia Castagnara. Ecco qui il pane di ghiande di Leccio fatto nella Ogliastra in Sardegna. Dovremmo prima o poi farlo anche noi in Salento!!! Certamente immagino tale metodo è estendibile alle ghiande delle altre specie di Querce.

«Il Pane di Ghiande

Tra magia e tradizione il pane di ghiande ha rappresentato per lungo tempo un alimento della vita ogliastrina, sostituendo il pane d’orzo e di frumento consentendo di superare lunghe e frequenti carestie, era diffuso in tutta l’Ogliastra ma soprattutto a Talana Urzulei e Baunei. Di questo pane hanno memoria solo gli anziani che ricordano d’averlo consumato fino circa un sessantennio fa. Nei testi che descrivono l’Ogliastra del passato sono spesso riportati diversi metodi per la preparazione di questo pane, ma tutti sono accomunate dagli stessi ingredienti: ghiande (Quercus ilex), ceneri di vitigno e argilla.

Nel libro dal titolo “Città e villaggi della Sardegna” dell’Ottocento, l’Angius descrive con queste parole questa antica arte: “L’arte di questo panificio di ghiande è contenuta ne’ seguenti semplici procedimenti, sbucciamento delle ghiande, bollimento delle medesime in acqua schietta, ribollitura delle medesime già ammollite per la prima operazione in acqua, cui si appropriò la viscosità d’un’argilla rossa, con cui fu mescolata, versamento sopra il vaso bollente d’una lissivia fatta con le ceneri del sarmento o del leccio. Allora la ghianda stracotta precipitava al fondo della caldaia, e quindi quella pasta si forma in tavolette dalle quattro alle sei once e se ne fa tanta quantità che possa bastare per sei mesi”.
Pane di ghiande di Leccio in Ogliastra.
Le ricerche condotte da Agugliastra, cercano di riassumere i punti comuni di questa antica tradizione e di chiarire gli aspetti più controversi. Le ghiande, precedentemente sgusciate e fatte asciugare, venivano versate in un sacco di pelo di capra, detto “sa taxedda de pistadorgiu”, e sbattute su pietra (su un gradino o sul muro), sino a quando non si otteneva la completa asportazione della pellicola che ricopre il frutto. Le ghiande, ora venivano messe a bollire in acqua e successivamente cotte in una liscivia (si tratta di una soluzione liquida), ottenuta filtrando l’acqua di cottura attraverso uno strato di argilla, ricca di ferro, e di cenere di vitigno. La cenere serviva a togliere l’aspro e l’amaro del tannino delle ghiande, e l’argilla dava il glutine necessario a legare l’impasto.
Secondo altre fonti, l’argilla veniva mescolata insieme alle ghiande con dell’acqua fredda e successivamente versata in un pentolone di rame “su caddargiu”, che conteneva parte delle ghiande sbucciate, la cottura durava circa sei ore durante le quali si aggiungevano delle ceneri di vitigni per facilitare la cottura. Al termine della cottura si ottenevano due tipi di pane: in un primo tempo le focacce dall’aspetto di torrone nero, chiamato lande destinato agli uomini adulti, e in un secondo momento le focaccine simili a polenta scura, chiamate fitta adatte per gli ammalati, anziani e bambini.
Molti, ritengono che il pane di ghiande avesse un alto valore nutritivo e una notevole azione rinfrescante. Le analisi chimiche, condotte su del pane di ghiande fatto preparare a Baunei (nel 1957 e 1984) e riportate dalla rivista Studi Ogliastrini, evidenziano la presenza nel pane di un elevata percentuale di materiale inorganico (argilla e ceneri), pertanto si ritiene che questo pane non avesse un elevato valore nutritivo per via delle ceneri e dell’argilla con cui veniva preparato. Se questa fosse la composizione del pane più consumato, gli ogliastrini potrebbero essere considerati geofagi (mangiatori di terra).»

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