Il mistero del Granchio nello stemma di Botrugno: e se fosse un Granchio d’acqua dolce che viveva nei “Paduli”?!

IL MISTERO DEL GRANCHIO NELLO STEMMA DEL COMUNE DI BOTRUGNO: E SE FOSSE UN GRANCHIO D’ACQUA DOLCE CHE VIVEVA NEI “PADULI”?!

Il mistero del granchio nello stemma del Comune di Botrugno in provincia di Lecce nel cuore del basso Salento. A sinistra lo stemma civico nella versione odierna del Comune di Botrugno. La foto a destra è tratta da questa bella scheda sul Granchio di fiume (Potamon fluviatile) che vive anche nella zona del Matese, il nostro autoctono Granchio d’acqua dolce, al link: https://www.matesenostrum.com/single-post/2017/10/07/Potamon-fluviatile-un-granchio-dacqua-dolce-da-salvare.

 

Nello stemma del comune di Botrugno nel cuore del basso Salento, lontano comunque dal mare dove i granchi sulla costa vivono diffusamente, compare nello scudo al centro un granchio e su un lato un ramoscello di vite con foglie (pampini) e grappoli.

Elementi il granchio e il ramoscello di vite entrambi presenti anche già in un sigillo municipale rinvenuto nell’Archivio di Stato di Napoli, nel Fondo “Voci di Vettovaglie” (busta 139, fascicolo 36, foglio 32, anno 1761), con la scritta interna “Universitas terrae Botrunei“.

Sigillo del ‘700 con stemma del Comune di Botrugno. Screenshot dal sito web ufficiale del Comune di Botrugno. Estratto dall’articolo nel sito web ufficiale del Comune, sullo stemma di Botrugno, “Blasonatura in termini araldici” a cura del Prof. Vito Papa, al link: http://www.comune.botrugno.le.it/

 

Il nome dialettale di Botrugno nel dialetto salentino è Vitrùgna.
<<Il toponimo Botrugno si ritiene derivi dal greco bizantino “botruomai” che significa produrre grappoli d’uva. Potrebbe derivare anche da “Botruoduros” (che ha delle uve). Con chiaro riferimento all’uva e ai vigneti che sorgevano su questo luogo.>> (Tratto dal testo al link: https://it.wikipedia.org/wiki/Botrugno#Origini_del_nome)

Nota: a Maglie, Botrugno è anche noto come ” ‘u paese di caddhuzzi “, dei galli, forse perché era fiorente il loro allevamento soprattutto poi per l’occasione del banchetto a base di gallo, come da tradizione, il giorno della festa di Sant’Oronzo che è proprio il patrono di Botrugno.

 

Granchi di fiume (Potamon fluviatile) che vive nelle acque dolci.

 

Ma se i suoi odierni abitanti non hanno difficoltà nella comprensione della presenza del ramo di vite che era una coltivazione tipica di quel borgo, rappresenta per essi un cruccio, (come dichiara esplicitamente nell’articolo di seguito linkato lo studioso locale Vito Papa), capire il perché della presenza del granchio, e se ne son cercate pertanto varie spiegazioni, da quella astrologica-calendariale essendo il cancro (dal latino “cancer” granchio) un segno zodiacale, a quella allegorica atta a rappresentare forse il carattere degli abitanti, o a voler dare questa immagine come di persone da non stuzzicare troppo se si vogliono evitare nefaste conseguenze.
Fermo restando che non vogliamo ribaltare queste locali ipotetiche interpretazioni datene dagli studiosi locali
(vedi l’articolo al link nel sito ufficiale del Comune: http://www.comune.botrugno.le.it/)
vogliamo però interrogarci su come mai fu scelto per un tale ruolo simbolico un animale che, si è portati oggi a credere, doveva essere poco presente nell’immaginario collettivo degli abitanti di Botrugno, che non è un paese costiero ma un borgo dell’entroterra.
Ma tutto potrebbe essere chiarito se si tiene conto di questi due aspetti:

primo il feudo di Botrugno si divide in due grandi zone, una più collinare a terreni di terre rosse e pietrosi con rocce calcaree, terreno di “tustina“, detto, ottimo per la coltivazione della vite, dove l’acqua piovana penetra rapidamente nel sottosuolo grazie alle fessure nei calcari fratturati ed erosi dal carsismo,
e una zona con suoli più bruni detti di “padula” con rocce calcarenitiche, nella vallata detta appunto dei Paduli; i terreni nei Paduli sono meno permeabili, più soggetti all’impadulamento stagionale come il toponimo ben ricorda, percorsi da rivi e fossi, con acquitrini, paludi e con voragini, dove sfociano questi canali, che si aprono nella parte intermedia tra le due zone.

LA RISCOPERTA DEL FRASSINO MERIDIONALE DEL BOSCO BELVEDERE !E della produzione della dolce MANNA SALENTINA, dal…

Gepostet von Oreste Caroppo am Donnerstag, 16. Dezember 2010

La foto soprastante mostra un tipico rivo, una canale nell’area dei Paduli-Bosco Belvedere, tra Supersano e Nociglia, nei pressi della Tenuta Tresca che cade in feudo di Botrugno, scattata alcuni anni fa. Foto di Oreste Caroppo.

 

Aree dove si estendevano foreste anche di piante igrofile amanti dell’acqua, e che furono disboscate intorno all’ ‘800; gli alberi ridotti in carbone, (“craune” in dialetto salentino), dai “craunari“, i carbonai come sono ingiuriati ancora oggi gli abitanti del vicino paese di Nociglia, e le aree dissodate per essere coltivate con tanta fatica dagli abitanti dei paesi vicini che ne ottennero delle “cote”, delle quote, tanto che a Botrugno definirono quella paradisiaca vallata ricca di tanta biodiversità: “maledetti Paduli”.
E si ridusse così l’allevamento del maiale a pascolo brado che si faceva lì nei querceti in cui i maiali mangiavano le ghiande insieme ai più selvaggi cinghiali, tanto che gli abitanti di Supersano per tale economia tipica son ingiuriati ancor oggi “porci“, e quella del cavallo sempre a pascolo brado in quella vasta area forestale nel cuore del basso Salento, attività questa per cui era famosa Cutrofiano che ha un cavallo bruno effigiato nel suo stemma civico e una cui contrada ha ancor oggi nome Cavallerizza.

Quelle paludi erano il regno, e lo sono ancora oggi, di Rospi (smeraldini e comuni), Rane verdi (in greco “bátrachos“), Raganelle, Tritoni italici, ecc.
Ma quanta fauna è andata perduta in quelle opere di distruzione dell’antica macchia-foresta nel cuore del basso Salento, (di cui si son conservate alcune tracce ancora viventi), e a seguito degli interventi volti al prosciugamento anche di interi laghi, come la grande Padula di lago Sombrino, ai piedi della serra di Supersano, lago che sappiamo ospitava nell’Ottocento anche i pellicani.
Una fauna originaria fatta ad esempio, possiamo ben immaginare, anche di Tritoni crestati (Triturus carnifex – documentati ancora alle Cesine), di salamandre di specie ancora ritrovabili nella Penisola italiana, dell’Ululone bombina dal ventre giallo appenninico di cui si hanno passate segnalazioni nel sud Salento nelle aree umide di Ugento in località Torre Mozza o anche a Brindisi nell’in parte umido Bosco dei Lucci detto (come lessi in un articolo – dato da verificare).

Video al link: https://youtu.be/nWe7V7ClmqI, sull’anfibio che condivide gli stessi habitat del Granchio di fiume nelle gravine murgiane tarantine e scomparso dal basso Salento, e per cui da reintrodurre.

Ora quest’ultimo anfibio citato vive ancora nella pozze che si formano lungo le gravine delle Murge tarantine, dove pure vivono ancora i Tritoni italici. E’ un piccolo rospo chiamato Ululone per il suo particolare verso.

Ma ecco, secondo punto che qui poniamo all’attenzione, in quelle gravine vive ancora protetto in quei profondi e umidi canaloni carsici il Granchio di fiume detto, una specie di granchio d’acqua dolce che troviamo nel centro e sud Italia, il cui nome scientifico è Potamon fluviatile.
Vedi articoli ai link:
-) http://www.tarantonatura.it/pagine/Granchio%20di%20fiume.htm
-) http://www.argonauti.org/forum/topic.asp?TOPIC_ID=6892
Vediamo e leggiamo come ben vivono anche lungo canali dagli argini terrosi, e anche dall’elevato carico organico, ad esempio sono stati visti numerosi addensarsi a pasteggiare su carcasse di pecora o cane galleggianti. Hanno dunque anche una importante funzione spazzina nella catena alimentare.

Si può ancora incontrare in boschi della provincia di Bari:

Quando sei nel bel mezzo di un bosco ed incontri lui! 😍Potamon fluviatilePurtroppo classificato come "prossimo alla minaccia" sulla lista IUCN a causa della riduzione degli habitatProvincia di BariMaggio 2019

Gepostet von Natura di Puglia am Freitag, 10. Mai 2019

Qui recentemente documentato da un breve video in un bosco nella provincia di Bari un Potamon fluviatile.

 

“Un tempo diffuso in molti paesi del bacino del Mediterraneo, compreso il Nord Africa e la penisola Balcanica. Oggi si rinviene solo in Grecia, Albania, Croazia, Malta e Italia.”
(testo tratto dall’articolo al link: https://www.matesenostrum.com/single-post/2017/10/07/Potamon-fluviatile-un-granchio-dacqua-dolce-da-salvare)

E’ allora altissimamente probabile fosse presente nei fossi e canali, chiamati anche rii o rivi, dell’area dei Paduli, sovente a tortuosi meandriformi margini terrosi, nelle “funtane” (le sorgenti dei rivi), e nelle doline umide delle voragini,
e che in tempi passati la sua presenza abbia influenzato l’immaginario della gente del luogo che si avventurava nella foresta paludosa di Bosco Belvedere, (detta anche, o la Silva, o la Macchia-Foresta, o l’ ‘Oscu, vari nomi a seconda della zona, ecc.), per la caccia al cinghiale, che si racconta si svolgeva anche con imbarcazioni nella foresta allagata, o per la raccolta del miele, di legna, funghi, tartufi, frutti selvatici, altre piante eduli o per vari usi, altre attività venatorie, e chissà se anche pesca, ecc.

Il basso Salento poi è praticamente al centro dell’areale di distribuzione in Mediterraneo di questa specie, l’anomalia sarebbe proprio la sua assenza in passato non la sua presenza nei Paduli.
È presente infatti oggi in Albania e in Grecia al di là del Canale d’Otranto, e già in Terra d’Otranto nel territorio tarantino e quindi in Lucania e nord Puglia, ecc.

Cartina con in rosso l’areale di distribuzione attuale del Granchio d fiume (Potamon fluviatile). Immagine al link.

Chissà che non sia ancora presente nei vasti Paduli nascosto in qualche fosso qualche gruppo di Granchi di fiume? Un tempo nelle paludi salentine abbondavano le lontre, e la lontra si nutre anche di granchi di fiume. Lontra che negli anni recenti dalla Lucania è già tornata nell’area dei fiumi del tarantino. Nell’ ‘800 la lontra era segnalata in Salento ai laghi Alimini di Otranto.

E allora forse se con la vite nello stemma civico rappresentarono la parte collinare del territorio di Botrugno adatta alla coltura della vite, forse con il granchio rappresentavano la parte valliva palustre del territorio, il tutto sotto il simbolo buonaugurale di una stella nella cielo?

Famosa è la comunità di Granchi di fiume che si è insediata nell’area archeologica dei cosiddetti Fori Imperiali di Roma provenendo dal vicino fiume Tevere. Trovano rifugio all’interno delle antiche canalizzazioni dei Mercati di Traiano ai Fori Imperiali.

La famosa invasione dei granchi a Roma.Lo sapevate che nel centro di Roma, all’interno delle antiche canalizzazioni dei…

Gepostet von Focus am Montag, 4. Dezember 2017

Vedi anche in merito l’articolo al link: http://www.romasotterranea.it/i-granchi-dei-fori-imperiali.html

Plinio il Vecchio scrive sul Granchio di fiume, il Pesce siluro e il Castoro nella sua opera ”Storia Naturale” – screenshot

Plinio il Vecchio, grande autore romano, racconta alcuni usi medicamentosi che venivano fatti a partire dai granchi di fiume, (“cancri fluviatiles” scrive nella sua lingua, il latino).

(Vedi al link: https://books.google.it/books?id=3dA85lLubooC&pg=PA1023&lpg=PA1023&dq=granchio+di+fiume+plinio+storia+naturale&source=bl&ots=IdKYkTh67q&sig=ACfU3U2enQvxfa-aCUKKAyQks35LDfPFQw&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwjMoOe54bvmAhXPesAKHfTDDw4Q6AEwAXoECAgQAQ#v=onepage&q=granchio%20di%20fiume%20plinio%20storia%20naturale&f=false)

 

Sinonimi scientifici dal punto di vista tassonomico di Potamon fluviatile per il Granchio di fiume sono:

Potamophilus edule
Potamon edule
Potamon edulis
Thelphusa fluviatilis
Cancer fluviatilis

Ne deduciamo da quell’aggettivo “edule” che venivano mangiati, sono commestibili!
Infatti il Granchio di fiume è stato raccolto fin dall’antichità come fonte di cibo.

(Vedi questa scheda zoologica sulla specie: https://it.qwertyu.wiki/wiki/Potamon_fluviatile)

Il Galateo, pseudonimo di Antonio de Ferrariis, (Galatone, 1444 – Lecce, 1517), umanista, medico, grande studioso del territorio, della storia e della natura, autore di una monografia sulla Japigia (o Giapigia), mostra di conoscere bene il granchio di fiume che dunque alla sua epoca era cibo particolarmente comune e facile da trovare nella Penisola italiana, in un suo testo dedicato al male della gotta, consiglia infatti tra i cibi da assumersi, da chi ne è affetto nel verso di lenire questo problema, proprio i granchi di fiume, “cancri fluviatiles” scrive nel suo testo in latino.

Screenshot dal testo al link:

Dall’opera sulla gotta del Galateo (Galatone, 1444 – Lecce, 12 novembre 1517), un passo in cui cita il Granchio di fiume come ottimo alimento – screenshot. Qui lo screenshot di una pagina del suo testo dove pure leggiamo della manna che ne viene consigliata,
e questa viene prodotta dall’albero del frassino Orniello che cresce anche proprio sulla Serra di Supersano dove vi è la cripta bizantina affrescata della Madonna detta proprio di “Coeli-manna” in latino, di Celi-manna, titolo originale, cioè della manna che viene dal cielo; la manna un alimento biblico miracoloso del Vecchio Testamento che viene
legata qui alla Madonna che è figura del Nuovo Testamento, probabilmente proprio per benedire la produzione di manna dagli alberi che lì si faceva.
Nei pressi della cripta vi è ancora una vecchia ceppaia con tanti polloni di Orniello.
Ma nell’area dei Paduli-Bosco Belvedere cresce anche un’altra specie di frassino che viene utilizzato anche per la produzione di manna in Sicilia ancora, come l’Orniello, si tratta del Frassino meridionale (Fraxinus angustifolia).
Il Galateo inoltre cita in latino il “Veratrum nigrum” come pianta medicinale, che ha nome comune “falso elleboro”, e che invece è stato qui in italiano scorrettamente tradotto come “elleboro”; (una specie di elleboro, l’Elleboro fetido nell’Ottocento cresceva ancora nel Bosco Belvedere).
Cita poi anche una pianta esotica tra le piante ad uso medico da poter utilizzare: una specie di “Cassia”.
Ad essa il Galateo si riferisce con il nome “Siliqua egyptica” o “Cassia”, in questo secondo testo che linko leggo che essa non veniva dall’Egitto come dice il nome ma “dal Brasile”, quindi comunque dal Sudamerica; testo del 1730 di Giacinto Gimma: al link.
In ogni caso vi è una specie di Cassia che è coltivata in qualche giardino del Salento oggi, mi riferisco alla sudamericana Cassia corymbosa e che andrebbe maggiormente diffusa.

 

Il Galateo li avrà comunque mangiati nella sua epoca, non sappiamo dove in Italia dato che viaggiò per la Penisola, fu a Napoli, Venezia, ecc. oltre che nella sua natia terra salentina, ma ci dice che ne conosceva l’uso alimentare e li considerava un buon alimento.

Per cui perché non ipotizzare che i Granchi di fiume se fossero presenti in passato nei Paduli costituissero anche una fonte alimentare per i cittadini dei dintorni?

Il nomignolo ingiurioso “mangia-racani” dato ai cittadini di Lequile fa immaginare che gli abitanti approfittassero della presenza delle paludi nel loro territorio, (che è nella cosiddetta Valle della Cupa – toponimo “cupa” che vuol dire probabilmente luogo concavo che tende ad impaludarsi), per cibarsi anche di rane presenti in abbondanza. Anche le paludi erano ovviamente fonte di approvvigionamento alimentare per i salentini in passato. I salentini approfittavano di ogni risorsa commestibile che la terra offriva e che veniva scoperta come edule.

Di certo questa antica memoria dei granchi acqua dolce che qui stiamo ipotizzando per Botrugno, andò perduta, tanto che nel sito del comune leggiamo che talvolta in certe rappresentazioni artistiche in città il simbolo comunale del granchio diventa uno scorpione con aggiunta della coda,

Stemma di Botrugno nella rappresentazione artistica nella Chiesa parrocchiale del paese, qui non con granchio ma con scorpione.
Scorpione genere Euscorpius, Bosco Sant’Elia in feudo di Scorrano, anno 2013.

forse perché lo scorpione restò animale più familiare ai locali e infatti lo si trova ancora oggi nelle aree dei Paduli, ad esempio famosa è la presenza di Scorpioni sotto le pietre lungo un sentiero ombroso umido e muschioso ai margini del bosco di Sant’Elia in feudo di Scorrano, una popolazione di scorpioni questa fatta oggetto anche di approfondimenti da parte di ricercatori universitari.

Guardando la rappresentazione artistica dello stemma che compare nella Chiesa parrocchiale di Botrugno, mi chiedo se l’artista abbia voluto sviluppare un parallelismo e continuità concettuale tra coda dello scorpione e coda della stella cometa? E se sì perché? In ogni caso in merito lo studioso locale Vito Papa è perentorio: <<l’elemento principale  [dello stemma] è un animale, che va identificato con il granchio(e non con uno scorpione, come in alcune manipolazioni successive al sigillo)>> (Estratto dall’articolo sullo stemma di Botrugno “Blasonatura in termini araldici a cura del Prof. Vito Papa)

Il cruccio dello studioso di Botrugno Vito Papa per la comprensione del perché un granchio nello stemma del suo paese dell’entroterra salentino non era peregrino, ad esempio qui vediamo come una città greca in Sicilia ubicata sulla costa, Akragas, metteva il granchio sulle sue monete, ma era una città dove i granchi si vedevano sempre perché città costiera!

 

COINS. Ancient Greek. Sicily, Akragas (c.470-430 BC), Silver Tetradrachm, AKRACANTOS (the last five letters retrograde), eagle standing right, rev crab, 17.05g.

 

Nel vernacolo della zona, anche a Maglie, i granchi, e si conoscono oggi solo quelli di mare, sono chiamati “caure“. (Vedi articolo al link: http://www.dialettosalentino.it/cara.html)

Da una rapida ricerca con Google maps vediamo come in Terra d’Otranto il toponimo legato ai termini “granchio” o “cauro” compare sempre in località dove i granchi son facilmente visibili e in particolare in località costiere:

Da Google maps toponimi in Terra d’Otranto legati ai termini ”granchio” o ”cauro”.

 

Lo stemma odierno di Botrugno è una resa “artistica” di un originario sigillo del settecento, si legge nel sito web ufficiale del Comune di Botrugno, nell’articolo già più volte citato sopra, sigillo in cui, come si può osservare dalla sua foto, il granchio stilizzato rappresentato non aveva la

Sigillo del 1761 con stemma del Comune di Botrugno
Disegno zoologico di Potamon fluviatile (Thelphusa fluviatilis è un sinonimo) – Granchio di fiume

conformazione delle due zampe più inferiori a palette natatorie, come invece per il granchio raffigurato oggi nello stemma diffuso in tempi odierni dal Comune, per il quale evidentemente l’artista nostro contemporaneo incaricato si è liberamente ispirato per sua scelta ad un mediterraneo granchio di mare nuotatore, specie pur presente in Mediterraneo e che si caratterizza proprio per la caratteristica forma delle due zampe inferiori conformate a palette. Pertanto l’effige originaria settecentesca del granchio nello stemma-sigillo di Botrugno, dove le zampe inferiori non avevano forma di palette, era più simile ad un granchio trovabile sugli scogli della costa o lungo i fiumi e in paludi della Lucania, Puglia e della stessa Terra d’Otranto.

Solitamente negli stemmi delle insegne civiche dei paesi di Terra d’Otranto troviamo proprio raffigurati elementi tipici della natura del territorio, selvatica e domestica, e così ad esempio pini domestici ad ombrello, palme da dattero (la cui presenza in Salento è già attestata nei secoli passati), grandi querce, lecci, addirittura interi boschi (pensiamo al caso di Supersano che aveva una grande quercia nel suo stemma e che sostituì nel 1971 con la rappresentazione nello stemma di un intero bosco di alberi tipo abeti, se la quercia derivava da un enorme quercia caducifoglia a foglie lobate e ghiande peduncolate presente all’ingresso del paese da Cutrofiano in zona “Ponte” lungo il canale detto “Muto” abbattuta all’inizio del 1900, il bosco si richiamava all’intera foresta Belvedere che si estendeva anche nell’agro di Supersano che pure in gran parte tra ‘800 e ‘900 era stata abbattuta; entro lo scudo araldico dello stemma attuale vi sono anche un grappolo di uva con pampini e dei rametti di olivo con olivo per indicare le due principali colture del territorio nel ‘900), lupi (questi ritornati recentemente, come la loro preda d’elezione i cinghiali e i maiali inselvatichiti, in Salento, presenze da apprezzare, sfruttare e non eradicare, anzi), serpenti, cervidi questi oggi scomparsi in Salento ma ben attestati nei recenti secoli passati (cervi, daini e caprioli), cavalli, scorpioni (il simbolo della provincia di Taranto è uno scorpione), delfini, pesci, torri, colline, specchie di massi, il Sole, ecc.
Alcuni toponimi ad esempio quello della città di Racale, alcuni soprannomi ingiuriosi come quello dei cittadini di Lequile chiamati “mangiaracani“, ci richiamono alla presenza delle rane in aree paludose, che venivano anche mangiate. Gli abitanti di Manduria sono ingiuriati con l’epiteto di “mangiacani“.
Troviamo anche animali fantastici negli stemmi comunali come ad esempio il basilisco nel caso di Sternatia, ma un’indagine cripto-zoologica ci porta ad avanzare l’ipotesi non peregrina che sia stato ispirato dalla presenza del Camaleonte comune mediterraneo già da diverso tempo nel territorio Salentino, dove ancora vive nella zona costiera di Nardò, e come fa pensare una rappresentazione naturalistica barocca proprio di tale Camaleonte nel centro storico di Lecce.
Non mancavano nel territorio neppure gli asini ovviamente, e l’ingiuria degli abitanti di Botrugno era “ciucci” (asini).
Al di là del valore metaforico, tali nomi ci ricordano in queste ingiurie paesane le creature e aspetti tipici un tempo e forse ancora oggi dei territori: per i magliesi ad esempio la ” ‘ngiuria ” era “passaricchi” (passeri); per gli abitanti di Cannole “cuzzari” (cozze-lumache), tanto che oggi ne tengono una famosa fiera estiva detta della “municeddha“; “zucari” è il soprannome degli abitanti di Bagnolo del Salento, tale nomignolo fu affibbiato a loro per via dell’artigianato locale delle “zuche“, oggi scomparso, corde intrecciate con alcune fibre che nascevano spontaneamente lungo le rive dei laghi Alimini; “sacare“, il nome del serpente cervone, la ingiuria per i cittadini di Casarano che hanno il serpente anche nel loro stemma civico; “cucuzzari” (coltivatori di zucche) ai cittadini di Cursi; “porci” (maiali) anche ai cittadini di Muro Leccese; ecc.. (vedi articolo al link: http://gion1947.blogspot.com/2009/09/i-soprannomi-degli-abitanti-del-salento.htmlhttp://gion1947.blogspot.com/2009/09/i-soprannomi-degli-abitanti-del-salento.html)
Cuccuascia“, la civetta, è il nome di un quartiere di San Cassiano di Lecce, ma la civetta è anche nello stemma civico di Galatina, ecc.

Di grossi crostacei nell’area dei Paduli oggi potrebbero essere giunti i bei Gamberi rossi d’acqua dolce della Louisiana, avvistati qualche anno fa in un canale a Melissano.

(Vedi articolo al link: http://naturalizzazioneditalia.altervista.org/giu-le-mani-dai-bei-gamberi-rossi-dacqua-dolce-esotici-scoperti-in-italia-nessuno-si-sogni-biocidi-di-estirpazione-ci-sono-e-ci-restano-semmai-si-sfruttano-ma-senza-estinguerli/)
Presenze ovviamente da apprezzare e non demonizzare, fanno parte dei cosiddetti “conquistatori della natura” che connotano la natura del nostro periodo geologico in cui siamo, l’Antropocene, e sono persino commestibili. Per cui si potrebbero anche prelevare ecosostenibilimente senza estinguerli per mangiarli.
Come commestibili sono le Rane e i Granchi di fiume, e quando si dovesse riuscire ad ottenere virtuosamente una loro abbondanza perché no sarebbe bello anche tornare a cibarsene sempre in maniera ecosostenibile, come tipicità gastronomica locale, senza estinguerli in loco.

E magari anche farne degli allevamenti in ambienti dalla valenza paesaggistica!

Dobbiamo impegnarci a non togliere nulla di ciò che è presente, con nessuna scusa, (trattasi di specie autoctone, specie esotiche naturalizzate, specie domestiche inselvatichite, ibridi, ma tutto va sfruttato ecosostenibilmente senza estinguere nulla e favorendo sempre la massima fertilità delle specie), e a reintrodurre le specie scomparse o che potenzialmente potevano essere presenti nel nostro territorio come in questo caso oltre al citato Ululone appenninico dal ventre giallo, già diffuso sulle Murge e in Lucania, (vedi articolo al link: http://www.tarantonatura.it/pagine/Ululoni.htm)

e anche proprio il Granchio di fiume, a partire possibilmente dalle aree più prossime nelle quali esso vive, come le Gravine tarantine, il bacino del fiume Ofanto, il Cervara, il Fortore, o i fiumi della Basilicata.
Tutto questo da associare alle diffuse opere civiche e pubbliche volte in maniera convergente verso la rinascita della foresta Belvedere.
Si potrebbe pensare anche alla realizzazione di un primo laghetto artificiale dove far riprodurre questi granchi in città, oppure in degli acquari coinvolgendo esperti in acquariologia, per poi procedere con le scuole ed enti pubblici alla reintroduzione in natura di queste specie autoctone pugliesi per garantire loro un maggiore areale rispetto all’attuale, in ben prescelti rivi giudicabili idonei.

Posizione difensiva con le chele protese in avanti.

 

E questo non solo nei Paduli ma anche per altre aree umide salentine adatte, e penso ad esempio al fiume Asso che a partire dai Paduli dove nasce si dirige verso Nord verso le contrade di Arneo.

Fiume Asso sotto la pioggia

Gepostet von Oreste Caroppo am Samstag, 21. Dezember 2019

 

Idee qui semplicemente embrionali per la loro maturazione civica nel futuro prossimo!

 

Riporto un estratto dalle prime righe di questo interessante articolo scientifico dal titolo “Disjunct distribution of the Mediterranean freshwater crab Potamon fluviatile — natural expansion or human introduction?” del 2008 al link, dove si analizza la distribuzione del Granchio di fiume, presente in Grecia anche nell’isola di Corfù (isola i cui rilievi si possono talvolta ammirare all’orizzonte dal basso Salento), in Albania (anch’essa visibile dal basso Salento e distante meno di 75 km), Croazia e Malta, e in Italia dalla Sicilia e Calabria (dal basso Salento si vedono anche i monti della Sila e del Pollino), fino all’Appennino Tosco-Emiliano, includendo la Basilicata e in Puglia le aree murgiane tarantine delle gravine. Il basso Salento pertanto si trova comunque al centro di questo complessivo areale di questa specie pur se oggi frammentato. Persino dunque al di là dell’origine dello stemma in questione, il Granchio di fiume si mostra, da tutti questi dati, come una specie legata nel passato ben più paludoso al basso Salento con enorme probabilità.

 

Potamon fluviatile, uno studio sulla sua diffusione naturale oltre 10000 anni fa tra Balcani e Italia attraverso proprio il Canale d’Otranto.

 

Incrociando vari studi si conclude che la sua diffusione è avvenuta naturalmente, oltre 10000 anni fa senza il contributo umano, dai Balcani verso l’Italia passando proprio dal Canale d’Otranto, per poi subire oggi rarefazioni che spiegano l’attuale areale complessivo in macro aree che paiono come disgiunte e non continue. Ulteriori dati pertanto a favore di una sua antica presenza anche nel basso Salento!

 

All’interno della villa comunale di Lecce (antica Lupiae) decenni or sono si racconta ci fosse una gabbia con dentro una Lupa viva in quanto simbolo della città. Oggi non c’è più bisogno di avere un Lupo in cattività come simbolo identitario in quanto per fortuna i Lupi sono tornati in Salento in libertà.
 
Ma sarebbe bello avere a Botrugno in qualche luogo-villa-giardino comunale uno stagno con questi Granchi di fiume, sia per il loro valore comunque identitario (del granchio in generale e tanto più del Granchio di fiume data la distanza dal mare di Botrugno), sia da utilizzare come base per diffondere nelle aree umide intorno al paese questa specie pugliese di crostaceo d’acqua dolce. Collaborando e coinvolgendo a tal fine acquariofili e zoologi di enti regionali e statali per procurare le coppie di partenza, da allevamenti che allevano espressamente questa specie o da parchi naturali con il coinvolgimento dei loro enti di gestione.

ASSOLUTAMENTE DA RISCOPRIRE E RIDIFFONDERE! In Puglia è interessante rilevare come esista una varietà di uva da…

Gepostet von Oreste Caroppo am Montag, 15. Februar 2016

 
Così come per il valore identitario della Vite sarebbe bene diffondere maggiormente i pergolati nel paese come un tempo, con cultivar di varietà tipiche territoriali come per esempio l’uva detta “minna de vacca“, ecc.
 

Oreste Caroppo       17 dicembre 2019

 

 (Testi e immagini tratte dal mio post facebook al link)

 

 

Il mistero del granchio nello stemma di Botrugno in provincia di Lecce nel cuore del basso Salento. Una delle foto, quella in alto a destra, è tratta da questa bella scheda sul Granchio di fiume (Potamon fluviatile) che vive anche nella zona del Matese, il nostro autoctono Granchio d’acqua dolce, al link: https://www.matesenostrum.com/single-post/2017/10/07/Potamon-fluviatile-un-granchio-dacqua-dolce-da-salvare.

 

 

 

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