Il CAMALEONTE SALENTINO, il mitico fiabesco “FASCIULISCU” della tradizione magliese, da tutelare con i suoi habitat e ridiffondere in natura massimamente! Contro ogni meschino tentativo di demonizzazione da razzismo verde di questa specie comunque iper-mediterranea!

Il CAMALEONTE SALENTINO, il mitico fiabesco “FASCIULISCU” della tradizione magliese, da tutelare con i suoi habitat e ridiffondere in natura massimamente!

Contro ogni meschino tentativo di demonizzazione da razzismo verde di questa specie comunque iper-mediterranea!

La specie: il Camaleonte mediterraneo (Chamaeleo chamaeleon Linneus, 1758) è una specie di Camaleonte presente in Europa.

Il Camaleonte mediterraneo (Chamaeleo chamaeleon)

E’ presente in natura anche in Salento, sud della Puglia, dove vi si riproduce spontaneamente, non a caso trattandosi di una specie perfettamente mediterranea come rimarca anche il suo nome comune; ne è stato ritrovato un nucleo selvatico negli anni passati nella contrada Arneo, l’ ultima vasta contrada salentina ad esser stata selvaggiamente disboscata nel Salento, denaturalizzata dall’ uomo, e per questo ancora con alcuni interessanti relitti floro-faunistici da salvaguardare e ridiffondere.
Si tratta di una specie diffusa in maniera ormai frammentaria in diverse località dell’ Europa meridionale: in Grecia, Penisola Iberica (come in Andalusia), ex Jugoslavia, Bosforo, Creta, Puglia, e alcune segnalazioni di questa specie europea anche in Sicilia e a Malta, e nei decenni passati anche in Sardegna, Friuli e Delta del Po!!!

[Nota successiva alla scrittura di questo articolo: una significativa popolazione di Camaleonti mediterranei è stata recentemente segnalata anche nel sud della attuale regione Calabria, vedi questo articolo dell’ ottobre 2015 al link  http://www.famedisud.it/camaleonti-mediterranei-in-calabria-un-gruppo-di-studenti-li-ha-scovati-in-un-uliveto-del-reggino/]

Vive poi la medesima specie anche nell’Asia sud-occidentale e nel Nord Africa.

A rischio di estinzione da scongiurare assolutamente attraverso il suo ripopolamento e ricostruzione dei suoi habitat mediterranei, che ben deve essere attuata dagli enti preposti alla tutela della biodiversità originaria euro-mediterranea!
Tale diffusione selvatica della specie ancor oggi, a macchia di leopardo purtroppo ormai, è comunque una possibile prova ulteriore, se ve ne fosse bisogno, dell’ autoctonato di questa specie selvatica in Europa meridionale nel passato, quando la sua diffusione era con tutta probabilità ben più omogenea. Ma oggi, il paradosso: tale rarità, e gli occasionali rinvenimenti, la perdita della memoria storica naturalistica, portano talvolta taluni, come accaduto nel Salento, a gridare all’ alloctonato e alla specie aliena da “sterminare”, al ritrovamento di un così importante assolutamente innocuo ed importante vivo fossile vivente dell’antica fauna euro-mediterranea! Immaginate che assurdità, si rinviene qualcosa dal passato, ancor vivo, e invece di gridare “evviva, ergo massima cura, tutela e impegno ambientalista”, si rischia di scatenare follie sterminatrici eco-suicide!

E quand’anche l’uomo avesse contribuito nei secoli con i commerci, più o meno volontariamente, a favorirne la diffusione, quand’anche fosse introduzione o paleointroduzione antropica, che fai? Ti accanisci contro questa presenza o la valorizzi e ne accogli la presenza con spirito di meraviglia? Ovviamente la seconda!

E poi come può meravigliare la presenza di un rettile così discreto di un genere dalla maggiore diffusione nella vicina Africa, che tanti dimenticano è un continente vicinissimo all’ Europa e che bagna tante coste mediterranee!? E lo stesso Salento è geologicamente connesso alla zolla-placca tettonica africana, geologicamente parlando. Come può meravigliare tale fauna odierna, quando i nostri progenitori sapiens incontravano in Europa, e rappresentavano sulle pareti delle nostre grotte in epoca paleolitica, leoni, elefanti e rinoceronti, che molto probabilmente i nostri stessi progenitori contribuirono ad estinguere localmente!!!?

Nel centro storico di Lecce è persino ben rappresentato questo nostro Camaleonte in un antico fregio in locale pietra leccese sul prospetto di una casa!

Questa la foto del Camaleonte scolpito a Lecce, scoperto, fotografato e pubblicato dall’ amico e studioso, Sandro d’Alessandro: qui in link http://cerbi.ldi5.com/IMG/jpg/bip26f024.jpg (e di cui segnalo anche un suo studio proprio dedicato al Camaleonte nel Salento http://www.criptozoo.com/it/criptozoologia/dossier/criptidi-terrestri/item/114-il-camaleonte-nel-salento-una-realt%C3%A0-tra-storia-e-leggenda).

 

Proprio a Lecce una rappresentazione scultorea in pietra leccese assai naturalistica del comune Camaleonte mediterraneo sullo stemma di Palazzo Lanzilao, XVII sec. Più precisamente possiamo dire che è un basilisco-camaleonte, in quanto scultura assai naturalistica nella rappresentazione del camaleonte ma con due evidenti orecchie fantasiose rispetto al camaleonte e bargigli da gallo più propri del mitico basilisco. Proprio nel Salento la documentata presenza importantissima di questa specie, il Camaleonte mediterraneo (Chamaeleo chamaeleon Linneus), trovato oggi anche nel sud della attuale regione italiana chiamata Calabria (segnalazione del 2015), e il tentativo ancor più recente di definire tale presenza “aliena” come se andasse per questo eliminata dalla presenza in selvatico – è il pericoloso razzismo verde della Falsa ecologia!
Una tale presenza, importante de facto, quale sia l’ origine delle attuali popolazioni di questa specie comunque mediterranea, comunque conosciuta nei secoli passati in provincia di Lecce (vedi foto), comunque presente nella tradizione locale attraverso la figura mitica del basilisco (o “fasciuliscu“, ben identificato con il Camaleonte), importante come quella della Foca monaca nel nostro mare, già da sola basterebbe, se non basta la tutela della salute umana, per fermare l’uso dei pesticidi che nuocciono a questa specie insettivora. (Didascalia redatta il 2 ottobre 2018, successiva al testo dell’articolo qui riportato). Questa foto invece è al link http://www.famedisud.it/camaleonti-mediterranei-in-calabria-un-gruppo-di-studenti-li-ha-scovati-in-un-uliveto-del-reggino/ dove si rimanda per essa al sito Salentoacolori.it.

 

E nel Salento, il Camaleonte è un animale ammantato di tante leggende!
Alcuni esemplari recentemente ritrovati, mi hanno raccontato, pare siano stati definiti da cittadini locali, di cultura “grika“, cioè greco-salentina, “dracuddhi“, draghetti, traducendo dal dialetto grecanico salentino. Un termine greco, “drago”, frequente e di lato impiego nel regno dei rettili. Non solo, secondo una interpretazione etimologica, il termine greco “dragon“, deriverebbe da una radice significante proprio vista, occhio, guardare, e nel Camaleonte proprio la vista e le particolarità del suo sguardo sono elementi che affascinano e colpiscono molto l’ osservatore attento.
Ma il Camaleonte salentino era, con ogni provabilità, anche il mostruoso mitico “fasciuliscu“, della tradizione basso salentina, ed in particolare del magliese. Si diceva, raccontavano le nonne di Maglie (città nel cuore del basso Salento), fosse un piccolo mostro che, diceva la gente, nasceva dall’uovo deposto eccezionalmente da un gallo, che notoriamente in quanto maschio non depone le uova come la sua femmina, la gallina. Tale essere mostruoso e dalle piccole dimensioni con il suo sguardo terribile era in grado di uccidere gli animali, solo puntando i suoi occhi negli occhi delle sue vittime, si riteneva, motivo per cui se si osservavamo strane, difficilmente spiegabili altrimenti, morti di animali domestici, anche di grandi dimensioni, si immaginava fosse nato un “fasciuliscu” e si doveva andare alla ricerca del mostruoso piccolo essere per ucciderlo e fermare così la moria. A volte, in alcune varianti, si racconta che ipnotizzasse le vittime, le “fatasse”, con lo sguardo. Si riteneva fosse solito nascondersi sotto “le pile”, le grandi vasche scavate in blocchi unici di pietra diffuse nella civiltà contadina salentina e talvolta sollevate da terra su dei sostegni, poste in cortili e masserie. A volte viene descritto come avente un solo occhio, e come somigliante grosso modo ad un mostruoso “purginu“, il pulcino appena nato dall’uovo.
E’ infatti “fasciuliscu” una corruzione locale salentina del nome dell’antico temibile “basilisco” dei bestiari antichi, simbolo oggi del paese griko di Sternatia (Lecce) nella sua iconografia fantastica ibrida di serpente-gallo. Termine di origine greca, “basilisco”, che vuol dire piccolo re; era ritenuto il “re dei serpenti”, da cui il suo nome greco. Del mito del basilisco abbiamo già attestazioni di epoca romana, ed è meraviglioso osservare come, con continuità culturale ininterrotta, il mito popolare sopravvissuto nella città di Maglie del “fasciuliscu” conservi elementi delle leggende sul basilisco riportate per iscritto già in età romana e poi nel medioevo.
L’identificazione con il Camaleonte, pur nelle aggiunte mitico-fiabesche, è più che certa!
La conformazione della testa dell’animale, il Camaleonte è un rettile, a mo’ di corona, o meglio di mitra, da cui l’appellativo di re dei serpenti, dei rettili. La sua cresta da cui l’associazione con la cresta del gallo. La presenza nel mito del basilisco dell’elemento dell’uovo, e il Camaleonte depone le uova, come in genere ogni rettile. La commistione con uccelli, il gallo, e anfibi, il rospo in particolare, che talvolta coverebbe secondo i bestiari medioevali l’uovo deposto da un anziano gallo, da cui nascerebbe il basilisco; la raffigurazione mitologica del basilisco che innesta elementi morfologici del gallo per la testa e del Camaleonte, (ad esempio la coda e il busto del basilisco son quelli del Camaleonte), e che affonda anche le sue ragioni nelle vicinanze ben visibili, e filogenetiche tra anfibi, rettili e uccelli, osservabili nel Camaleonte; e poi il discorso nei bestiari dello sguardo e del fiato mortale del basilisco, ben traducono a mio avviso la caratteristica del Camaleonte di fulminare le sue prede con lo sparo della lunghissima lingua retrattile ed appiccicosa con cui cattura e porta fulmineamente alla bocca le sue prede, solitamente insetti.

Un video con la specie di camaleonte del Salento anche per vedere l’eiezione della sua lunga lingua retrattile:

 

Siamo nella genesi dei miti anche spesso di fronte a forme di tentativi proto-scientifici di spiegazione dell’ osservazione naturalistica.
E poi l’incedere lento del Camaleonte senza fuggire via, (sperando di passare inosservato, mimetizzato ad eventuali suoi possibili predatori), come quasi di chi non ha alcun timore, come un re coraggioso; lo sguardo del Camaleonte quasi unico tra gli animali superiori, e dalle suggestioni misteriose, con i suoi bulbi oculari che possono ruotare indipendentemente l’uno dall’altro, un aspetto che pare quasi conferire all’animale il magico potere di destabilizzare ed ipnotizzare la sua vittima; elemento della intensità dello sguardo che spiega anche la variante fiabesca magliese del “fasciulisco” con un solo fatale occhio.

AMIAMO IL NOSTRO CAMALEONTE SALENTINO!

SPERO DI POTER VEDERE NASCERE NEL SALENTO INTERE RISERVE OASI NATURALI DI TUTELA E RIPOPOLAMENTO CON OGNI CURA SCIENTIFICA DEL NOSTRO CAMALEONTE, (per poi da lì poter passare ad una sua ridiffusione in tutto il territorio)!

BASTA SPERPERI IN INUTILITA’ VERGOGNOSE CHE PARLANO DI BIODIVERSITA’ NEL SALENTO MA CHE IN REALTA’ SON SOLO VORAGINI INUTILI DI SPECULAZIONE, GLI ESEMPI, TANTISSIMI… a cui è ora di dire BASTA!

Nota tratta da internet: “Nella terra salentina il Camaleonte è stato segnalato nella penisola italiana, per la prima volta, in Puglia, il 5 settembre 1987 da Roberto Basso; sito di ritrovamento furono le campagne di Nardò, in provincia di Lecce. La scoperta suscitò non poche perplessità e diffidenze fra gli erpetologi.
Successive ricerche portarono all’individuazione di un’area estesa (un rettangolo di circa 50 x 20 km), sempre sul versante jonico dove la specie è diffusa e nota ai contadini, che anzi lo ricordano “da sempre”; basti dire che – per la sua stranezza e presunta pericolosità e comunque in accordo con l’atavica avversione dell’uomo agricoltore per tutto ciò che è rettile e selvatico – se lo trovano, puntualmente lo uccidono, o lo uccidevano (va registrata oggi un’acquisita sensibilità in seguito agli appelli, alle informazioni corrette e ad un’opera di divulgazione naturalistica).”

[Nota aggiunta in seguito alla prima redazione dell’articolo: a sostegno comunque dell’autoctonato del Camaleonte in sud Europa citiamo questo studio di Krystal A. Tolley ed Anthony Herrel edito nel 2014 dall’Università della California, qui al link https://www.researchgate.net/publication/260157264_Fossil_History_of_Chameleons, nel quale si riferisce di fossili ritrovati in Spagna e risalenti all’Olocene di Camaleonte mediterraneo (Chamaeleo chamaeleon) indistinguibili dai Camaleonti mediterranei che lì ancora vivono, nonché vi rimarchiamo la segnalazione fatta nello studio di resti fossili di taxa di Chamaeleo risalenti al Miocene ritrovati nell’Europa centrale.]

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Sempre da internet riporto questi frammenti presi da alcuni siti sulla presenza del Camaleonte in Sicilia:

-) “Il Camaleonte è comune nel Parco dei Nebrodi e in quello delle Madonie”, un dato quello qui virgolettato preso da questo link, è un forum dove un utente scrive:

su Wikipedia trovo queste info …

I camaleonti in Sicilia e Sardegna

Presenze abbastanza accertate sono quelle in Sicilia e Sardegna.Come si vede sull’erpetologia di Arnold & Burton

« Il camaleonte comune (Chamaeleo chamaeleon) è diffuso in Sicilia dall’inizio dell’Impero Romano: è stato introdotto in quella che allora era la Trinacria da Creta e forse dal Peloponneso, in cui ci sono opere che lo raffigurano, ma in cui non è mai stato segnalato »

Il camaleonte è comune nel Parco dei Nebrodi e in quello delle Madonie, oltre che in varie oasi.
I primi avvistamenti non documentati in Sardegna risalgono all’Ottocento, mentre il primo con foto al 1944 (un esemplare fotografato da un soldato italiano)

-) “la segnalazione di un Camaleonte risale al 1832 quando un esemplare venne trovato a Palermo, nelle falde di Monte Pellegrino. Si trattava di una femmina pronta a deporre le uova”,

“in Sicilia un secondo Camaleonte nel 1868 venne rinvenuto a Catania nel giardino dei Padri Paolini”,

sovente in Sicilia si son creduti giunti con carichi di legname come per il ritrovamento a Palermo, sul finire degli anni novanta, di alcune Agama agama notate in via dell’Arsenale quasi all’angolo con piazza Giachery. Un “lucertolone”, avvisarono gli abitanti del posto che venne osservato per alcune settimane. Quel sauro africano aveva trovato qualcosa di simile al suo habitat: un muro alto e fessurato (simile, perciò, ad un ammasso roccioso) che fa da confine tra via dell’Arsenale e la sottostante area portuale adibita a deposito. La particolarità della specie consisteva sia nell’abito dei maschi (testa rossa e corpo bluastro) ma anche per la particolare abitudine alimentare che si era instaurata. Una signora che abitava proprio in quel posto osservava “i lucertuluni” arrivare in via dell’Arsenale e dirigersi verso i contenitori dell’immondizia. Qui trovavano abbondante cibo consistente, nel loro caso, soprattutto in pomodori e lattughe. L’Agama di via dell’Arsenale fu osservata per diverse settimane ed alcune femmine, a quanto sembra, arrivarono a deporre le uova. Poi, con il sopraggiungere dell’autunno e l’abbassarsi delle temperature, tutti i “lucertoloni”, morirono. Il clima di Palermo, nonostante la nota mitezza, era per loro troppo freddo. (Dati tratti da questo link un articolo su Camaleonti e “lucertoloni” di Sicilia trovati ma secondo l’autore mai acclimatati lì).

I Camaleonti mediterranei in Salento sopportano invece benissimo gli inverni!

 

-) C’è non poca confusione sul Camaleonte in Sicilia al nostro tempo, vediamo però questa raccolta di segnalazioni ottocentesche certe da “Il Naturalista siciliano” organo della Società siciliana di scienze naturali, 1890, al link.

 

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Nota: per ulteriori approfondimenti rimando al mio post su Facebook da cui è tratto questo articolo e ai suoi commenti, al link https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10200590661959069&set=a.1888805429917&type=3&theater

 

Oreste Caroppo       7 febbraio 2013

 

 

AGGIUNTE SUCCESSIVE

 

-) Segnalo anche questo mio articolo che si intreccia con il discorso del basilisco-camaleonte; dentro anche il rimando ad ulteriori articoli in merito a vecchie storie del basilisco proprio nel territorio di Nardò: l’articolo dal titolo “Cosa è il “MOSTRO DI SQUINZANO”?!

 

-) Qualche altro dato qui nel paragrafo “Il Basilisco (il Camaleonte teratomorfizzato)?” nel mio articolo dal titolo “Il “Bestiario” del mosaico medioevale di Otranto: approfondimenti su alcune creature raffigurate (mostri, animali, piante, ecc.)“.

 

-) Molto ricca di storie sul basilisco è poi anche in Salento la zona di Nardò, dove più in particolare era chiamato “vasiliscu”, che non sarà forse un caso ma è anche l’area dove maggiore è la presenza di camaleonti oggi liberi in natura: in questo articolo dal titolo “Le uova dei Galli e il Basilisco” su www.fondazioneterradotranto.it si racconta una storia popolare secondo cui una masseria nell’agro di Nardò , che si chiamava Tagghiutisu, venne letteralmente abbandonata perché vi era nato un basilisco a causa della incauta massara che si era dimenticata di uccidere un gallo prima che superasse il settimo anno di età, età oltre la quale i galli potevano deporre uova da cui potevano nascere i basilischi. La creatura causo una moria inarrestabile degli animali e uomini che incappavano davanti ad essa; con il suo sguardo il basilisco poteva paralizzare o uccidere istantaneamente le sue vittime; il suo fiato era letale: “è muertu ca l’ae sfiatatu ‘nu vasiliscu!”.  

 

Melchior Lorck: Basilischus (basilisco), Radierung, 1548.

 

-) Uno studio genetico del 2016 ha mostrato maggiori parentele di tre Camaleonti salentini di Arneo prelevati in feudo di Nardò nel 2015 con quelli del Mediterraneo orientale, e dei Camaleonti del sud della Calabria odierna (dove sono stati scoperti da Antonino Marcianó e collaboratori) con i Camaleonti sempre della medesima specie dell’Africa centro-settentrionale e del Mediterraneo occidentale, ciò rispecchia aspetti tipici della biocenosi salentine assai ricche di elementi in comune con le biocenosi del Mediterraneo orientale e di quelle siciliane e calabresi che mostrano elementi in comune con le biocenosi proprio dell’Africa centro-settentrionale prossima e del Mediterraneo occidentale, tutto ben rispecchiando aspetti geografici e legati alla storia geologica e antropica di questi territori. I risultati di questo studio però sono stati da taluni strumentalizzati per demonizzare i Camaleonti in Italia come tutti frutto di recentissima introduzione, alieni che potrebbero mettere a rischio la fauna locale, il solito becero ormai razzismo verde della Falsa ecologia, nel mentre non si capisce più quale sia questa fauna locale a detta di questi! Qui in questo mio post facebook del 2017 tutta la mia indignazione e critica quando vidi che nero su bianco tentarono di demonizzare i nostri camaleonti con la solita tiritera xenofoba dell’animale alieno dannoso.

Perché le nostre Vallonee se si fa uno studio genetico da dove pensi che arrivano? Dal Mediterraneo orientale. Lo studio della flora e fauna del Salento rivela una strettissima dipendenza con le biocenosi orientali, e non mancano anche presenze più proprie del Mediterraneo occidentale data la ubicazione del Salento al centro del Mediterraneo. Avrebbe meravigliato il contrario anche relativamente al Camaleonte! Così invece Sicilia e sud della Calabria mostrano elementi di biodiversità che parlano di ovvie maggiori relazioni con il nord Africa. E di fatti le popolazioni di Camaleonti del Sud della Calabria si inseriscono geneticamente in queste relazioni. Anche lì avrebbe stupefatto il contrario. Pertanto le conclusioni tratte dallo studio genetico sono state tendenziose nel verso di un razzismo verde contro i camaleonti italiani (sempre comunque non dimentichiamo stessa specie, ribadiamolo proprio per non confondere mistificatoriamente le persone come si cerca nella affabulazione falso-ecologiste! Camaleonti calabresi e salentini appartengono alla stessa specie, sono pertanto interfertili tra loro, Chamaeleo chamaeleon). Se dovessimo applicare le stesse conclusioni che in quello studio hanno vergato nelle sue ultime righe contro i camaleonti paventando un loro danno per la fauna locale, che non si sa più bene quale sia, la Lucertola campestre (Podarcis siculus) forse per loro, dovremmo giudicare le Vallonee e le Sughere un pericolo per gli autoctoni Lecci … basta per favore con questo razzismo verde avvilente! Da erpertologi competenti a maggior ragione dobbiamo pretendere competenza e saggezza non forzature mistificanti nel verso delle odierne demonizzazioni che fanno comodo ai piani speculativi di biocidio!
Ed è così che scoperti dai naturalisti negli anni ’80 in Arneo, salvati dalla loro elusività-mimetica, gli attacchi subiti a causa di miopi dagli sguardi culturalmente ristretti hanno tarpato le ali alle necessarie operazioni di valorizzazione, salvaguardia, ripopolamento e diffusione nella Penisola salentina di questi Camaleonti, per creare altri nuclei di salvaguardia in natura! Così invece di procedere ad un ripopolamento di Testuggini di Hermann in Salento, se non si ribalta subito il paradigma, finisce che in questo ribaltamento dei valori, con la scusa della loro tutela, si vada a sterilizzare speculativamente la bella presenza pare anche delle Testuggini marginate in allevamenti pugliesi … quando poi basta andare nella vicina isola di Corfù e si trovano in natura Testuggini di Herman, greche e marginate insieme … senza problemi. Ma qui imperversa troppo troppo razzismo verde spesso persino fomentato senza neppure vere basi! E le conseguenze nel paesaggio sono visibili a tutti …
Il Camaleonte comune mediterraneo è una specie mediterranea, ergo l’anomalia vista la loro distribuzione un po’ ovunque sulle coste del Mediterraneo sarebbe la loro assenza non il contrario! E così sono ricomparsi anche nel sud della Calabria. E vi erano notizie di loro presenza anche in Sicilia, e qui persino nell’ ‘800, segnalazione di individui osservati in natura e anche di esemplari importati dalla vicina “Barberia” (Maghreb) e poi scappati, vedi questa raccolta di segnalazioni ottocentesche certe da “Il Naturalista siciliano” organo della Società siciliana di scienze naturali, 1890, al link. I Camaleonti comuni mediterranei sono oggi a Malta, sono a Creta, sono nella Penisola iberica, nel Nord dell’Africa, in Medio Oriente, ecc. Qui da noi in Salento dimostrano di saperci vivere benissimo, è il loro habitat pare proprio, vi vivono e si riproducono perfettamente in natura, perfettamente acclimatati. Qui possono essere giunti miriadi di volte pertanto, sia tramite uomini volontariamente o accidentalmente, sia con ponti di terra in periodi di abbassamento del livello del mare, sia su zattere di alberi caduti nei fiumi e trasportati dalle correnti marine, come forse giunsero le iguane sulle Galapagos isole vulcaniche emerse dalle acque dal lontano continente americano. Insomma la questione dal mio punto di vista è questa: siamo nel loro areale mediterraneo? Sì! Se non ci fossero andrebbero introdotti! Ma ci sono e vanno accolti massimamente quale sia stato il loro ultimo vettore, senza insostenibili razzismi verdi! Abbiamo in Salento querce del mediterraneo orientale (Vallonea, Fragno, ecc.) e querce del mediterraneo occidentale (Sughere), le apprezziamo tutte! I Camaleonti sono sia nel Mediterraneo orientale che in quello occidentale, e noi siamo al centro!
Nulla sul Salento è davvero autoctono a ben vedere, se pensi che la “pietra leccese” si è depositata in fondo al mare … questa riflessione dallo studio della storia geologica da intrecciare con quella biologica solo per dire che i concetti di autoctono ed alloctono hanno il loro interesse nello studio della storia naturale, ma vanno gestiti senza fondamentalismi o si finisce per non dare la giusta importanza a quello che intanto abbiamo ed è sul territorio adattato e riproduttivo come appunto questi meravigliosi camaleonti!

Non si può perseverare, come vorrebbero taluni, nel continuare a chiamare alloctona una specie che ha colonizzato quasi tutti i paesi del Mediterraneo, e vi si è assai acclimatata. Quello studio genetico del 2016 sopra citato mostra le parentele come ovvio tra i camaleonti mediterranei e permette di capire le parentele più strette e ricostruire la loro irradiazione, guarda caso mostra proprio quei legami forti del Salento con l’Oriente mediterraneo come del Sud Calabria con il Nord Africa e il Mediterraneo occidentale, il discorso è speculare per la botanica, volenti o nolenti, mostra anche la grande variabilità genetica delle popolazioni di Camaleonte in Medio Oriente mediterraneo cosa appunto da attendersi essendo il ponte terrestre più costante nel tempo per la diffusione dal Nord Africa dei Camaleonti in Mediterraneo, Africa area rifugiale per i Camaleonti durante le sferzate delle grandi glaciazioni che cancellarono le popolazioni di Camaleonte europee presenti in Europa nel Terziario prima delle glaciazioni quaternarie.

Quel modo di guardare alla questione porterebbe anche a definire alloctona la Vallonea in Salento essendo il Salento una delle ultime propaggini occidentali del suo areale prettamente orientale, e così per la Sughera che al contrario ha in Salento il suo limite orientale rispetto ad un areale che è prettamente occidentale.

In Salento poi cosa può essere autoctono? Nel Miocene si depositò in mare la nostra tipica “pietra leccese” roccia sedimentaria, ergo una buona parte del Salento era sommersa al tempo,

eppure nel Miocene, e questo deve fare molto riflettere, specie di camaleonti del genere proprio anche Chamaeleo vivevano già in Europa, documentazioni paleontologiche si hanno in Grecia e addirittura in Repubblica Ceca, vedi questo studio scientifico del 2016 “First description of a fossil chamaeleonid from Greece and its relevance for the European biogeographic history of the group“!

La vera domanda che devi porti invece è: se non sono definibili alloctoni i Camaleonti presenti nel Miocene in Europa (Grecia, Repubblica Ceca, ecc.), rispetto all’Africa, e all’epoca la loro diffusione non potette certo avere l’uomo come suo vettore, e giunsero sin nel cuore dell’Europa, perché lo dovrebbero essere oggi i Camaleonti ben presenti in Sud Italia ben più prossimi all’Africa della Repubblica Ceca? E’ una domanda che serve per riflettere! Riflettere con saggezza naturalistica, il genere Chamaeleo c’era in Europa quando il clima era più caldo nel Terziario prima delle grandi glaciazioni quaternarie, e negli interglaciali quali quello in cui siamo le temperature medie globali tornano a salire, i ghiacciai si ritirano e dalle aree rifugiali in Africa i camaleonti Chamaeleo ritornano passando dai ponti di terra come il Medio Oriente o con ogni altro vettore, al nostro tempo anche il vettore uomo, parte della natura anche lui, e ricolonizzando l’Europa dove possono.

 

Fossili dal Miocene all’Olocene di Camaleonti in Europa e attuale loro presenza in Europa. Screenshot tratto dal seguente studio scientifico del 2016 “First description of a fossil chamaeleonid from Greece and its relevance for the European biogeographic history of the group“. Che dire? L’anomalia oggi sarebbe state se non ci fossero più!

 

-) Qui a questo link in forum.criptozoo.com trovo un importante estratto dall’articolo del professor Franco Tassi, che ho l’onore di conoscere, pieno di riflessioni sagge e segnalazioni storiche sui Camaleonti in sud Italia e Sicilia: è tratto da bibliografia “Animali misteriosi” di Franco Tassi, Stella Mattutina Edizioni, viaggio tra gli enigmi della criptozoologia con il patrocinio del Gruppo criptozoologia Italia collana ecologia di frontiera ottobre 2019, che anche mi onora anche di una citazione in questo passo:

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Uno studioso tedesco, chiamato Grohmann nel 1832 nel mese di ottobre rimase meravigliato di una sua scoperta che avvenne mentre che percorreva le nude pendici del Monte Pellegrino nei dintorni di Palermo. Egli s’imbatté in un curiosissimo animaletto che non tardò a identificare come una femmina del camaleonte, rettile assai noto e diffuso in buona parte dei territori circummediterranei e orientali. Dapprima, credendo si trattasse di una speciale forma locale, egli ne diede la descrizione sotto il nome di camaleonte siculo, ma poi sorse il dubbio che fosse stato importato accidentalmente dall’Africa settentrionale, a bordo di qualche nave da carico. Più tardi, il Biundi Giunta descrisse un altro camaleonte trovato nel luglio1863 a Catania, nel giardino dei frati di San Francesco di Paola, mentre il naturalista Minà Palumbo attestò che un nobile di Cefalù, suo conoscente, ne aveva allevato uno proveniente dal Continente nero, che poi fuggì senza essere più ritrovato. In Sicilia, c’è chi giura che ancora oggi gli strani rettili si incontrano ancora in alcuni giardini ricchi di vegetazione lussureggiante. Così scrivevo sulla Guida alla Natura della Sicilia nel lontano 1974, quando quasi nulla ancora si sapeva del camaleonte nel sud d’Italia. Il direttore del Gruppo Criptozoologia d’Italia Franco Tassi scrive: << Ma poi, perlustrando l’isola e le regioni meridionali, e raccogliendo qua e là notizie frammentarie, incominciò a farsi strada in me l’idea che quel simpatico animale fosse ben più diffuso di quanto non si credesse>> . Il criptozoologo e naturalista Franco Tassi continua scrivendo: << Non sembrava un caso di fortuita o clandestina immissione, ma piuttosto di una presenza di lunga, anzi forse di lunghissima data. E poi, perché mai nelle altre penisole e isole del Mediterraneo dalla Spagna a malta, dalla Grecia a Creta il camaleonte, qualunque fosse la spiegazione della sua più o meno antica provenienza, veniva a buon diritto accolto nella lista zoologica delle specie locali, mentre in Italia sembrava un vero sacrilegio anche il solo nominarlo?
L’opinione accademica, erpetologica, istituzionale e mediatica era ferrea: si trattava di inserimento recente, e comunque accidentale, sentenziava nel 2000 una nota rivista ambientalista; mentre nel 2005 un diffuso mensile internazionale ribadiva trattarsi di esemplari introdotti, che non fanno parte di popolazioni naturalizzate acclimatate>>.
Continua Franco Tassi: <<Affermazioni superficiali, gabellate come spesso avviene per verità assolute, contro ogni buon principio di indagini scientifica. E poi rivelatesi del tutto sbagliate>> .
La gente locale, del resto, ben sapeva dei camaleonti presenti negli agrumeti siciliani, nelle macchie salentine e forse anche lungo la punta dello stivale, ma nessuno dei sommi specialisti, blindati nel loro sdegnoso scettiscismo voleva ascoltarla.
Il criptozoologo Franco Tassi scrive ancora: <<Si trattava dunque d’un vero caso criptzoologico a due passi da casa [Roma], che non poteva non incuriosirmi e appassionarmi>>.
Franco Tassi si è impegnato a fare un indagine sulla esistenza di questa specie e scrive: <<Così visitai il piccolo, ma interessante museo di Calimera (Lecce), apprendendo che il direttore Roberto Basso aveva rivelato la presenza del camaleonte, e ne aveva difeso con impegno la sopravvivenza nell’ambiente naturale fin dal 1987, trovando un validissimo sostenitore nel Pretore di Nardò Angelo Sodo. Inoltre le prove di un’antica presenza si moltiplicavano, tra le raffigurazioni del draghetto sui bellissimi palazzi in pietra del barocco Leccese segnalatemi dall’amico forestale Sandro D’Alessandro, e le leggende del mitico fasciuliscu raccolte dal giovane Oreste Caroppo, uno dei naturalisti del Salento più attenti alle tradizioni locali.
Il Camaleonte-basilisco è scolpito al centro sopra l’elmo.
Nel frattempo, stava emergendo una verità clamorosa, ancora oggi sconosciuta a molti. In Europa non si rinviene, come si credeva, soltanto la specie classica. cioè il camaleonte comune o mediterraneo (Chamaeleo Chamaeleon), ma vive anche l’affine e distinto camaleonte africano o basilistico (Chamaeleo africanus), la cui presenza è stata ormai definitamente accertata in Grecia, in una ristretta zona nel poco esplorato Peloponneso>>. La prima specie è tipica delle zone aride e steppose, la seconda invece legata agli ambienti piuttosto umidi.  Le nuove acquisizioni scientifiche portano dunque a riconoscere che la fauna europea comprende senza dubbio non una sola, ma due specie di camaleonti.  Due singolari rettili presenti non accidentalmente, ma da antichissima data, che si riproducono regolarmente, e secondo qualcuno potrebbero addirittura essere indigeni, rappresentando piccoli nuclei relitti di più ampia diffusione passata.  Un mistero biogeografico, che forse ulteriori indagini genetiche potrebbero aiutare a risolvere: ecco perché una serie di individui ben conservati, provenienti dal Mezzogiorno, è stata affidata da tempo ai migliori specialisti, che stanno ora effettuando tutte le opportune analisi.
Anche se una conferma dirimente potrebbe venire, un giorno, soprattutto dalla paleontologia.  La comoda ipotesi spesso circolante , che la sua presenza sia frutto di recenti immissioni ad opera di profughi dalla Libia, o di turisti distratti e sconsiderati, oppure di incoscienti allevatori di rettili, sta ormai perdendo consistenza. A portarlo in Italia furono allora, in tempi lontani, Egizi, Ellenici, o Saraceni, Pirati o Repubbliche Marinare?  E se si trattasse invece di inattesi nuclei relitti accantonati in zone di rifugio, discendenti da una specie che nella preistoria viveva spontaneamente nel Continente Europeo? Qualunque sarà la risposta definitiva, va comunque riconosciuto che il nostro camaleonte non per questo vanterebbe minor diritto di essere considerato italiano ed europeo. Come nel caso di tanti immigrati di antica provenienza, sia vegetali (Cipresso, Pino domestico e altre archeofite, che animali come: istrice, sciacallo, tortora dal collare orientale, carrabo morbilloso, e di molte altre creature viventi uomo compreso, che per terra e mare si sono sempre spostate, introdotte, insediate, consolidate e diffuse, il camaleonte fa ormai parte, a pieno titolo, della straordinaria Natura d’Italia e della sua ricchissima fauna.
Una volta accertata la presenza prolungata, e non certo recente, del Camaleonte nel Mezzogiorno, occorreva organizzare una costante raccolta di informazioni, stabilendo gli opportuni contatti, creando una rete di collaboratori e verificando con attenzione ogni segnalazione. Era quindi giunto il momento di costruire a Roma, presso il CENTRO PARCHI INTERNAZIONALE, un piccolo gruppo di studio e ricerca: e nel dicembre 2008, con l’intervento personale diretto e telematico dei principali interessati, nacque quindi ufficialmente il GRUPPO CAMALEONTE. Per lanciare meglio l’iniziativa, un’ottima occasione venne offerta dal primo convegno di natura Mediterraneo, tenuto il 20 e 21 marzo presso la Selva di Paliano nella provincia di Frosinone, sul tema Le specie aliene nel Mediterraneo. Qui presentai una documentata relazione dal titolo un po’ provocatorio: “Lince, camaleonte e foca monaca: fratelli alieni d’Italia? Tre enigmi da risolvere: immissioni, ritorni o ricomparse?”, che non mancò di suscitare un certo scalpore.
Poi, come spesso avviene in questi gruppi volontaristici, animati da grande passione ma provvisti di scarsi mezzi e di tempo limitato, ai momenti di intensa attività seguirono lunghi momenti di pausa e di riflessione  In definitiva, avevamo comunque acquisito continue e ripetute conferme della presenza dl camaleonte nelle Puglie e, in particolare, avevamo esaminato diversi esemplari nel Salento; pervenivano frequenti segnalazioni anche dalla Sicilia, soprattutto Orientale, tra cui un individuo imbalsamato nel piccolo museo di Belpasso, inaugurato insieme al Fondo Siciliano per la Natura di Nuccia Di Franco e Luigi Lino; sporadiche indicazioni di significato minore giungevano anche da altre parti d’Italia, Lazio incluso. Ma stranamente, nel Mezzogiorno, Calabria e Basilicata restavano esenti da questa rarità zoologica, nonostante la presenza di ambienti tranquilli e potenzialmente idonei. Fino al momento in cui la bella notizia giunse d’improvviso al Gruppo Camaleonte nell’autunno 2015 dal laureando in medicina veterinaria Antonino Marcianò, capo di Reptile Hunter, una squadra di ricercatori e appassionati, che dall’autunno 2011 esplora infaticabilmente le più remote contrade del Sud. Il camaleonte vive davvero anche in Calabria, tanto silenzioso e nascosto da essere rimasto finora sconosciuto agli scienziati, anche se la gente del posto lo sapeva benissimo da un pezzo. Un caso di ecologia frontiera, degno della migliore criptozoologia.
Ecco, in sintesi, il primo Rapporto del giovane studioso calabrese. Dopo anni di ricerche, il Reptile Hunter Team è felice di confermare la presenza in Calabria del camaleonte comune (Chamaeleo chamaeleon).
Nel corso dell’ultimo ventennio, nell’ambiente erpetologico più volte si era affacciata l’ipotesi della possibile presenza del camaleonte nel Mezzogiorno, ma le sporadiche segnalazioni erano ritenute dubbie dagli esperti, ritenendo che ci si trovasse di fronte a introduzioni accidentali (animali fuggiti a qualche collezionista, o trasportati involontariamente con carichi di legname. In entrambi i casi, si pensava che non sarebbero comunque sopravvissuti all’inverno, e che mai potevano riprodursi nel nostro ambiente naturale. Oggi però siamo in grado di smentire entrambe queste ipotesi per quanto riguarda la Calabria: infatti il 25 Novembre 2015, in un uliveto in provincia di Reggio Calabria, abbiamo rinvenuto una vasta popolazione di camaleonte mediterraneo, riuscendo con grande incredulità in poche ore a censire ben 7 esemplari, di cui ben tre femmine gravide, due maschi adulti e due giovani.  Considerando che la specie raggiunge la maturità sessuale a un anno d’età, e che le femmine depongono fino a tre volte l’anno, con covate che possono superare le 40 uova, valutando il numero degli esemplari censiti, le ben note capacità di mimetismo della specie, la vastità del territorio e il fatto in quel luogo non vi sono predatori numerosi, riteniamo che la popolazione sia costituita da centinaia di individui, che vivono lì tranquillamente da migliaia di anni.
E in effetti io sentivo parlare fin da ragazzo di questo strano animale, ben noto agli anziani della zona. Successivamente abbiamo anche trovato le uova appena deposte, che ora sorveglieremo con discrezione, in attesa della schiusa. Il luogo è tranquillo, e ovviamente va tenuto segreto. L’unico pericolo può essere dato, inutile dirlo, dall’uomo. Con incendi, deforestazione o eventuale raccolta meccanizzata delle olive. Ci stiamo mettendo in contatto con le autorità della zona per ricercare insieme una soluzione che garantisca la sopravvivenza di questa specie, tanto bella quanto delicata. Esplorando appena un frammento della storia naturale di questa affascinante creatura, l’unica certezza raggiunta è che vi sia ancora molto da studiare e da scoprire. Come insegna la zooantropologia, il rapporto tra l’uomo e l’animale può assumere nelle varie epoche, località e culture toni molto diversi. Il camaleonte è stato talvolta ammirato e apprezzato come animale da compagnia, talaltra temuto per superstizione o ucciso senza ragione oppure sfruttato per commercio e proprietà medicinali, o ancora mitizzato come piccolo e misterioso draghetto. Ma bastano poche osservazioni per capire che non è una bestiola qualunque, e che è campione insuperabile in molte specialità, da cui l’uomo avrebbe parecchio da apprendere. In quest’epoca in cui la ricchezza e varietà della fauna rischiano di impoverirsi e scomparire, vittime dell’invadenza di una sola specie particolarmente egoista e aggressiva, è tempo di capire che anche dagli animali più disprezzati e sterminati si potrebbe trarre i migliori insegnamenti. Infatti la nuova scienza che studia le possibili tecnologie ricavabili imitando non solo gli odiati rettili, ma anche i disprezzatissimi insetti e ragni, la biomimetica, ha ancora davanti a sè un campo immenso di esplorazione e applicazione. In altre parole , un sterminata quantità di sfide con cui cimentarsi.
Ci sono tre tappe nella storia di ogni grande scoperta.
Al principio, gli oppositori sostengono che lo scopritore è folle;
in seguito che è sano di mente,
ma che la sua scoperta non ha davvero alcun interesse;
infine, che la scoperta è molto importante, ma che tutti la conoscevano da sempre
Sigmund Freud
Franco Tassi è un grande divulgatore avendo alle spalle una lunghissima esperienza nella zoologia, nella criptozoologia. Ha conosciuto il fondatore della criptozoologia Bernard Heuvelmans e lo ha invitato nel Parco nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise quando era direttore di quest’area protetta. Ha fondato una nuova scienza la socioecologia. Il professore e naturalista Franco Tassi è il direttore e fondatore della criptozoologia in Italia. Di fama mondiale ha dedicato la sua vita nella salvezza delle varie specie di animali tra cui: il camoscio d’Abruzzo, l’orso marsicano, il lupo appenninico, lo scoiattolo meridionale, l’aquila reale, il cervo volante, la rosalia alpina; la reintroduzione del cervo e del capriolo nell’Appennino. Si è dedicato a salvare le foreste secolari. Molto apprezzato come naturalista, ecologista a livello internazionale. Impegnato alla scoperta della lince appenninica. Ha scritto molte riviste e libri su questo felino. Si è impegnato a trovare gli indizi sul camaleonte in Sicilia, in Italia e in Europa. Ha fondato il Comitato Parchi e tanti gruppi di ricerca scientifica volontaria a cui tutti possono appartenere, l’importanza che si è motivati e pieno di passione e contribuire nella ricerca quali raccolte dati, avvistamenti, foto. Tra i tanti gruppi c’è il Gruppo Camaleonte appunto. Chi ha notizie, foto, avvistamenti basta contattare il Comitato Parchi. Il link: https://centroparchi.org/

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-) Le segnalazioni in Salento negli ultimi anni sempre nell’area di Arneo e soprattutto feudo di Nardò e poi nei pressi di Pagani (Pagani è una frazione di Nardò) sono state numerose, trovate nei commenti del mio post facebook base per questo articolo i dati e documentazione, foto e video, in merito ad esse.

Riporto qui i bei post facebook del grande professore Piero Medagli botanico dell’Università del Salento di fine agosto 2022 con cui ha comunicato il ritrovamento da parte della biologa Fabiana Musardo di più esemplari nel suo podere in Arneo:

 

 

Sono molto contento per questo bel post e per questa importante segnalazione.
Da alcuni anni i nostri Camaleonti sono fatti oggetto da parte di alcuni di una brutta campagna di demonizzazione con la solita accusa dell’origine esterna al Salento, senza dimenticare che anche la nostra specie giunse in Europa dall’Africa, a quanto sembra dagli attuali studi paleontologici e paletnologici.
Parenti degli attuali Camaleonti erano invece presenti in Europa già nel Terziario prima delle grandi glaciazioni del Quaternario.
È una specie mediterranea come ci ricorda anche il suo stesso nome volgare, la vera anomalia sarebbe se non ci fosse da noi, ma per fortuna c’è ed è il momento di darne massima valorizzazione.

Non uno ma addirittura una coppia in amore:

 

 

Spero che siano in Arneo in una proprietà di Fabiana Musardo in maniera tale da saperli al sicuro, affinché diventi o continui ad essere come sin ora è stata un’oasi di ripopolamento per tutto il territorio!
Siamo in zona Arneo credo. Tutto questo mi riempie di gioia!!!

P.S. altro aspetto di speranza: sono questi Camaleonti mediterranei su rami d’Olivo verdi, quando in teoria a sentire certe posizioni di qualche anno fa oggi in Salento non ci sarebbe più dovuto essere un solo pollone di Olivo verde, invece … ! Diamo forza e fiducia alla Natura senza eccessive supponenti intromissioni!

 

-) Ma negli anni ’80 del ‘900 quella del Camaleonte in Salento parrebbe una riscoperta, leggiamo di un esemplare repertato a Gallipoli nel giugno 1951: “Preserved specimens are now housed in Museo di Storia Naturale, Venice, as follows: MSNVE-24030, one specimen, June 1951, Gallipoli (Lecce), found in a warehouse of a former pharmacy on 20 October 1988” da “The common chameleon Chamaeleo chamaeleon in southern Italy (…)” in Italian Journal of Zoology, pubblicato nel 2016.

Quindi già negli anni ’50 camaleonti nel gallipolino-Arneo a giudicare dal dato sopra? Teniamo conto che invece la campagna militare italiana in Libano si è svolta nel 1982-1984 e la leggenda metropolitana o meno vorrebbe che la presenza degli attuali Camaleonti liberi riproduttivi in Salento derivi proprio e soltanto da un militare di ritorno dal Libano che da lì si era portato dei camaleonti poi sfuggitigli nei pressi di Nardò …
Nello studio precedentemente citato leggiamo “Older museum specimens also refer to Gallipoli (Lecce Province), but were not supported by recent findings.”, cioè traducendo dall’inglese “campioni musealizzati di Camaleonti più vecchi rispetto agli anni ’80 sono anche riferiti a Gallipoli ma non sono stati supportati da recenti ritrovamenti”, lo studio si è limitato così ad analizzare il DNA di tre Camaleonti trovato nel 2015 a Nardò. Forse si tratta dei Camaleonti presenti nelle collezioni scientifiche dei licei della città di Gallipoli? Vedi il seguente articolo “Collezioni didattiche scientifico-tecnologiche in provincia di Lecce – un patrimonio da conoscere e valorizzare“.
Camaleonte, Liceo Ginnasio “Quinto Ennio” a Gallipoli (Lecce). Quello che sembra un corno sul muso forse è un qualcosa messo per tenergli aperta la bocca e favorire l’ingresso della soluzione conservante anche all’interno. Azzardo sia scritto in corsivo “Chamaeleo vulgaris” sinonimo scientifico di Chamaeleo chamaeleon, proprio il Camaleonte comune mediterraneo.
Quello che sembra un corno sul muso forse è un qualcosa messo per tenergli aperta la bocca e favorire l’ingresso della soluzione conservante anche all’interno. Azzardo sia scritto in corsivo “Chamaeleo vulgaris” sinonimo scientifico di Chamaeleo chamaeleon, proprio il Camaleonte comune mediterraneo.
Interessanti campioni di Camaleonti sono nelle collezioni scientifiche salentine. Mi limito qui in aggiunta dalla collezione dell’Istituto tecnico “Costa” di Lecce, da “Collezioni didattiche scientifico-tecnologiche in provincia di Lecce – un patrimonio da conoscere e valorizzare“:
Gabinetto scientifico Istituto tecnico “Costa” a Lecce. Screenshot da

a questo esemplare di Camaleonte imbalsamato:

Camaleonte imbalsamato, Istituto “Costa” a Lecce.

 

Per il momento non conosciamo la provenienza dei due esemplari di camaleonte mostrati sopra dal Liceo Ginnasio di Gallipoli “Quinto Ennio” e dall’ Istituto tecnico di Lecce “Costa”.

 

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