OTRANTO: la scoperta dei Re Magi nel mosaico medioevale della Cattedrale e il mistero della coppa Graal
La scoperta dei Re Magi nel famoso mosaico medioevale pavimentale della Cattedrale di Otranto
la loro enigmatica nudità ma non del tutto inconsueta nella loro iconografia
e il mistero della Coppa graalica
dalle ricerche e studi di
Oreste Caroppo
Tra le più misteriose figure sfuggenti ai vari tentativi ermeneutici sino ad oggi del medioevale famosissimo mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto vi è quella del giovane nudo con coppa in mano nello spazio dell’abside nei pressi dell’altare.
La sua è una preziosissima coppa, una coppa d’oro o raffigurata musivamente come se fosse intarsiata di oro e con pietre preziose di vari colori incastonate, come a simular smeraldi, lapislazzuli, ametiste e rubini.
In un precedente mio articolo mi ero dedicato ampiamente all’analisi della figura musiva nuda con coppa nell’abisde percorrendo una lunga disanima dell’ipotesi che potesse trattarsi di Perceval e il Graal dal ciclo arturiano.
Dopo aver analizzato la singola figura del giovane con coppa aurea tempestata di pietre preziose ho alzato la visuale per guardare il contesto figurativo in cui si inserisce e da lì è stata possibile una migliore decodifica iconografica i cui risultati finali da quel lungo lavoro in progress li riporto in maggiore focus qui di seguito.
(Nota: da qui il testo è il medesimo dell’articolo precedentemente citato, testo con immagini qui estrapolato per focalizzarne meglio l’attenzione in correlazione allo specifico titolo del presente articolo)
Vediamo allora un complesso di tre giovani di cui fa parte il portatore di coppa, degli altri due di uno non si vede la parte superiore del corpo coperta/distrutta da lavori successivi e nei suoi pressi una macchia marrone che non si capisce se un altro contenitore che porta anche questo secondo ragazzo o un elemento vegetale, non è ben definito, in ogni caso ha un colore più simile ad altri elementi vegetali prossimi che alla coppa-Graal; il terzo ragazzo è visibile in tutto tranne che nella parte finale di un braccio proteso in avanti, porta forse anche lui una coppa, uno scrigno? Non lo sappiamo per i danneggiamenti avvenuti. Si vede bene il suo viso, è simile a quello del ragazzo che porta quella che abbiamo chiamato una sorta di Coppa graalica e ha pure lui gote rosse, capelli corti ed è sbarbato. Tutti e tre son nudi. Il primo da sinistra sembra in piedi, gli altri due come inginocchiati, ma in realtà danno l’idea quasi di essere sospesi in aria. Sono lo stesso personaggio ripreso in tre fotogrammi come in una sequenza filmica diretto verso una meta dove consegnerà il Graal-calice eucaristico? O è un corteo? Le altre figure vicine danno un senso di moto alla scena.
Chiediamoci ora: nell’ipotesi che si tratti di tre soggetti distinti visti insieme e nello stesso momento quale suggestione della cultura cristiana o pagana può aver funto da ispirazione?
Si noti allora la presenza di una stella nel cielo, i due in avanti sembrano quasi inginocchiati e l’ultimo pare avere il braccio proteso per offrire un qualcosa a chi sta davanti a loro e verso cui guarda ma che non vediamo più, sempre che ci fosse qualcosa altro raffigurato dove vi è la fascia del transetto. L’incompletezza narrativa e il taglio netto della scena dei tre giovani nudi lascia immaginare che in origine vi fosse dell’altro raffigurato davanti a loro. Ma era raffigurato nel mosaico o su altro supporto? Le figure del mosaico dell’abside oggi visibile sono disposte come a cornice intorno allo spazio per l’altare privo di mosaico, e anche con raffigurazione di semplice cornice musiva, idem le figure musive del presbiterio rispetto al transetto terminano con una cornice. Ma è probabile che nel transetto nelle aree laterali in continuità con l’abside vi fosse altro pavimento musivo poi forse danneggiato più rapidamente dal frequente passaggio dei presbiteri e poi del tutto rimosso.
Una stella nella parte opposta è nel cielo sopra l’imbarcazione da cui Giona viene gettato in mare, ma qui dove la stella compare nello spazio vuoto tra il fanciullo con coppa e quello che segue, essa è solo decoro per horror vacui o ha il significato preciso di astro nel cielo dal valore semantico per le altre figure prossime?
Vedremo che tale stella potrebbe avere valore semantico per la figura dell’antropo-asino in metamorfosi (rimando sotto per ulteriori approfondimenti).
Ma la stella ci suggerisce il paragone con una tipica iconografia cristiana, quella detta della Adorazione dei Magi persiani, e i Magi sono rappresentati nell’iconografia più consueta sempre in numero di tre.
I Re Magi sono anche chiamati Re Saggi.
Abbiamo dunque delle similitudini possibili con l’iconografia della Adorazione dei Magi propria dell’Epifania.
Il tema dei tre Magi e della loro adorazione compare già nei primi secoli del cristianesimo: in particolare un affresco delle catacombe di Priscilla a Roma, riconducibile al III secolo d.C., mostra l’arrivo dei tre sapienti; parafrasando per immagini il racconto evangelico: “Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono.”
Anche le testimonianze scolpite sugli antichi sarcofagi paleocristiani presentano questi personaggi, ciascuno con un dono in mano, in cammino verso la stella, vestiti di mantelli corti e di un cappello frigio che identifica la loro provenienza da Oriente.
Interessante anche questo reperto rinvenuto in Calabria:
La possibilità di avere un recipiente dorato, i tre personaggi, quelli più innanzi inginocchiati, la stella nel cielo. E’ anche compatibile il fatto che siano tre giovani i Magi, come mostra l’iconografia nell’Evangelario di Matilde di Canossa manoscritto nell’ultimo quarto dell’ XI secolo d.C.
Sarebbe anomalo che i tre Magi siano stati raffigurati a Otranto senza copertura del capo (ne discuteremo meglio comunque in seguito), senza corona come nella loro consueta iconografia o senza berretto frigio che essi invece portano sul capo nelle più antiche loro raffigurazioni paleocristiane ad indicarne la provenienza dal mondo persiano. Nelle loro rappresentazioni più antiche comparivano in fila indiana senza alcun legame diretto con il presepio, diretti o genuflessi davanti alla Madonna e al Bambino.
Sempre a Ravenna, ma in San Vitale, i Magi sono raffigurati sia in un rilievo che adorna un sarcofago marmoreo del V sec. d.C.:
sia, sganciati da qualunque contesto (o a simbolica identificazione dell’imperatrice bizantina Teodora con Maria), sulla balza del vestito di Teodora nei mosaici del catino absidale del VI secolo, riprendendo, presumibilmente, il fregio marmoreo di cui si è appena detto:
Secondo una tesi suggestiva, l’immagine dei Magi o di uno di essi, inginocchiati davanti alla Madonna e al Bambino, deriva dalla tradizione imperiale romana che raffigurava i barbari vinti nell’atto di rendere omaggio all’imperatore vittorioso, e se così ancor meno anomala parrebbe questa loro rappresentazione sulle vesti sontuose dell’Imperatrice bizantina.
E dunque persino nell’abside di una chiesa di Ravenna, come nell’abside la scena del corteo di giovincelli con coppa a Otranto.
E dunque se anche a Otranto tale possibile Adorazione dei Magi nel catino absidale, allora vi era una Madonna con Bambino assisa in trono nello spazio del transetto verso cui essi si rivolgono? Secondo le iconografie dell’ “Adorazione dei Magi” più antiche San Giuseppe poteva anche mancare, o comparire accanto al trono sul quale stavano Maria con il Bambino.
Era a mosaico anche tutto il transetto oggi spoglio, o le sole porzioni di esso in continuità con il mosaico dell’abside? O vi era una qualche statua della Madonna con Bambino? Immaginando una Madonna in trono con Bambino raffigurata in mosaico nello spazio antistante del transetto possiamo anche grossomodo capire dove vi era il bambin Gesù incrociando le direzioni tracciabile degli sguardi dei due giovani Magi di cui è sopravvissuto il viso.
In quel tempo ancora la scena dell’Adorazione dei Magi non era collegata al presepio, come sarà in ambiente cattolico con San Francesco d’Assisi qualche decennio dopo, con l’arte gotica e dal tempo del pittore Giotto.
Ancor fino al XII secolo e nell’arte romanica le varie rappresentazioni mostravano i Magi spesso come cortigiani devoti all’imperatore, quasi delle figure pagane, piuttosto che i personaggi nell’iconografia che si affermò successivamente, quando “i Magi iniziarono ad essere interpretati e raffigurati come le personificazioni delle tre parti del mondo allora conosciuto: Gaspare, quello più anziano, l’Europa, Baldassarre l’Asia e Melchiorre, raffigurato come un giovane uomo di colore, l’Africa. Solo durante [il Tardo Gotico e] il Rinascimento si evidenzia la maestà dei Magi, rappresentati con vesti sontuose e in genere accompagnati da un folto seguito di persone e animali” (passo tratto dal link).
Degli animali li abbiamo anche volendo nella possibile scena della Adorazione dei Magi a Otranto in analisi, ma se letti tutti come correlati ai tre fanciulli possibili Magi sarebbe un corteo assai insolito, persino con draghi. C’è l’asino, e ciò ci richiama alla mente l’asino della grotta del presepio, ma è assai un asino insolito, una figura teratomorfa uomo-asino. Non ci sono cavalli con loro, il cavallo più vicino è nella scena della caccia al cinghiale, non ci sono cammelli/dromedari, anche se un camelide ci sarebbe in un tondo del presbiterio.
Ci sono le scimmie ma di più diremo in seguito su di esse.
E poi ché iconografia dalla libera interpretazione? Nudi, interamente nudi, questo sì che è insolito nella raffigurazione dei Magi … oppure non del tutto?
Si trovano infatti miniature a volte con i Magi mostrati nudi mentre dormono o sono comunque a letto, ma semicoperti da lenzuola e con corone identificative sulla testa, vediamo questa miniatura ad esempio:
Non è facile trarre altre possibili informazioni dal mero studio iconografico. Spazio magari rimane per ipotesi sui valori allegorici di quanto raffigurato a Otranto nell’abside in merito ai Magi.
Certo forte è per noi la curiosità legata al quesito: se e quanto l’iconografia dell’Adorazione dei Magi possa aver influenzato nello sviluppo dell’idea nei romanzi del medioevo del Corteo del Graal.
Nell’iconografia dell’Adorazione dei Magi compaiono a volte coppe, spesso con coperchio talvolta senza, altre volte si vedono rappresentati dei cofanetti nelle mani dei Magi come loro doni.
A tal proposito citiamo la diatriba su cosa indicasse il termine Graal nelle sua prima apparizione, se un calice, una coppa, un ciborio-pisside, un piatto o un vassoio. Di certo era il nome valido per un recipiente, magari anche un nome generico ma poi trasformato nel nome proprio di un oggetto elevato a specialità ed unicità.
Notiamo come il nome di uno dei Re Magi sopra compare nella sua variante Patisar (vedi immagine sopra).
Vi sono filoni di studi, che non ho approfondito, che rintraccerebbero nei Magi e nella Persia elementi del mito del Graal, non li ho approfonditi tali studi, ma diventano interessanti queste convergenze dal percorso cui ci ha condotti l’analisi attenta del mosaico idruntino.
Ma veniamo anche alla questione del nome del fanciullo eroe del Graal impegnato più in un percorso di conoscenza non solo del mondo esterno a lui ma anche del suo mondo interiore.
Perceval, Perçeval che diventa anche Parzival, Parsifal.
Le assonanze con il mito greco le troviamo con l’eroe Perseo o con la divinità femminile Persefone,
ma possiamo trovarle anche proprio con il toponimo Persia del ritenuto luogo di provenienza dei Re Magi.
Sul filone di studi che cerca in Oriente semi della leggenda europea medioevale del Graal segnalo questo video-conferenza “Convegno Studi Julius Evola“.
Restando in questo filone di ricerca dei contributi possibili da Oriente alla genesi del mito del Graal mi piace anche qui per completezza citare la Coppa d’oro di Babilonia a cui accenna lo studioso otrantino e amico il professor Francesco Corona (nel suo libro “La Triplice via del fuoco nel mosaico di Otranto“), come “primo esempio di Graal Veterotestamentale“, ne scrive di questo proprio nel passo dedicato alla descrizione del giovane nudo ed in piedi che compare nell’abside con una preziosa coppa in mano.
L’Antifona al Magnificat dell’Epifania canta: “Tre prodigi celebriamo in questo giorno santo: oggi la stella ha guidato i Magi al presepio, oggi l’acqua è cambiata in vino alle nozze, oggi Cristo è battezzato da Giovanni nel Giordano per la nostra salvezza, alleluia”. In quello stesso giorno non mancano quindi a livello liturgico i riferimenti anche al vino. E quando parliamo di vino in ambito cristiano il riferimento forte è al calice eucaristico e quindi in ambito più esoterico al Graal.
Tra i doni dei magi vi era anche la mirra. La mirra ci richiama alla mente anche la figura nel cristianesimo ortodosso delle mirofore (dal greco: Μυροφόροι, in latino: Myrophorae), ovvero quelle donne (tra cui anche Maria Maddalena; vedi anche per approfondimento questo articolo), che sono menzionate nel Nuovo Testamento, che vennero coinvolte nella sepoltura del corpo di Gesù e che trovarono la tomba vuota a seguito della sua risurrezione. Il termine tradizionalmente fa riferimento alle donne che portarono la mirra alla tomba di Cristo la mattina in cui venne trovata poi vuota da loro stesse. Nel cristianesimo occidentale, le donne alla tomba del Cristo sono indicate solitamente come le tre Marie, anche se esistono altre varianti del nome. Esse sono citate anche nel momento in cui Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo tolgono Gesù dalla croce e lo imbalsamano con mirra e aloe, lo avvolgono in teli di lino e lo depongono nella tomba nuova. (Mt 27,55–61; Mt 28,1–10; Mc 15,40–16,11; Lc 23,50–24,10; Gv 19,38–20,18). Nella loro iconografia esse portano pertanto un contenitore, elementi iconografici questi che ovviamente possono aver ispirato e possono essersi fusi con il simbolo del vaso Graal.
Abbiamo discusso anche in un precedente articolo, (che ci ha condotto alle interessanti conclusioni che qui abbiamo specificatamente riproposto e focalizzato in merito ai Magi nel mosaico idruntino), se ad Otranto, o grazie al mosaico di Otranto, elementi e motivi iconografici dionisiaci classici legati alla coppa del vino vennero rivisitati in chiave cristiana con la fusione di temi eucaristici e del simbolo dell’oro dei Magi nella genesi del simbolo del Graal, simbolo che entrò entro la già sviluppata fiabesca materia arturiana medioevale di provenienza britannica (o di ritorno dalla Britannia, come in linguistica gli odierni latinismi di ritorno dalla lingua inglese all’italiano), e ciò favorito anche dal crocevia, luogo di incontro di genti e influssi, che era Otranto all’epoca delle Crociate epoca in cui fu realizzato il suo immenso mosaico pavimentale, ma anche proprio dalla sua storia “arturiana” pre-medioevale legata ad Artos il Grande re dei Messapi che, incontrandosi al tempo del mosaico con quella fiabesca di ritorno portata da bardi e trovatori nelle terre del sud Italia sotto dominazione normanna, stimolò una sorta di locale confuso revival tra matrice autoctona originaria locale e quella di ritorno contaminata e mutata/modificata nei luoghi poetati. Non escludiamo quindi che Otranto possa poi aver contribuito a delle mitopoiesi medioevali che ebbero in seguito grande fama. Speculazioni queste ultime affascinanti che tali possono restare in assenza di più forti indizi probanti, nel mentre facciamo tesoro dei risultati raggiunti nella decodifica della scena dei tre giovani con offerte e stella nel cielo presenti nel mosaico in cui vi abbiamo riconosciuto l’Adorazione dei Magi, un motivo perfettamente coerente con l’ubicazione della scena qui discussa nello spazio sacro dell’abside e del transetto in prossimità dell’altare di una cattedrale.
Inoltre il mosaico idruntino fu realizzato tra il 1163 e il 1165 e proprio in quegli anni, per la precisione nel 1164, Rainaldo di Dassel, arcivescovo di Colonia e cancelliere imperiale, chiese ed ottenne dall’imperatore del Sacro Romano Impero Federico Barbarossa, di traslare le reliquie dei Magi conservate a Sant’Eustorgio in Milano nel Duomo di Colonia; forse l’eco di questa notizia motivò ulteriormente la scelta della rappresentazione nel mosaico idruntino anche dell’Adorazione dei Magi?
<<La traslazione delle reliquie dei Magi considerati santi dalla Chiesa. Le presunte reliquie dei Re Magi sono conservate oggi ancora a Colonia, nella cattedrale dei Santi Pietro e Maria, appositamente costruita per ospitarle. Giovanni di Hildesheim (†1375), teologo, maestro alla Sorbona e priore di Kassel, raccontò la storia delle reliquie nel Liber de trium regum corporibus Coloniam translatis. Le reliquie erano originariamente conservate nella basilica di Sant’Eustorgio a Milano dove le aveva volute trasportare lo stesso vescovo milanese. Eustorgio, con l’approvazione dell’imperatore Costante, aveva fatto giungere i resti dalla Basilica di Santa Sofia a Costantinopoli dove erano stati portati da sant’Elena, che li aveva ritrovati durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa. Intorno ai resti Eustorgio aveva fatto costruire, verso l’anno 344, la basilica che porta il suo nome. Tutt’oggi, nel transetto destro, si trova lì la cappella dei Magi in cui è conservata una grande arca vuota che reca l’iscrizione Sepulcrum Trium Magorum. Quando il Barbarossa mise a sacco la città portò con sé le reliquie dei Re Magi e le donò all’arcivescovo di Colonia, Rainaldo di Dassel, che era in conflitto con il papa di Roma. Rainaldo di Dassel, nel 1164, trasferì i corpi attraverso Lombardia, Piemonte, Borgogna e Renania, fino a Colonia.>> (dati tratti dal seguente articolo).
La lettura come Adorazione dei Magi della scena musiva qui analizzata ci sembra rispondere precipuamente per il momento meglio di ogni altra ipotesi al principio del rasoio di Occam.
Serie di immagini per confronti di Adorazione dei Magi:
La Natività in Otranto
Affresco murario con data 1677 nella cripta della Cattedrale di Otranto, vi è raffigurata la Natività con adorazione dei pastori. Qui una sua foto di Rita Paiano pubblicata su Facebook:
Una Natività è affrescata anche sulle pareti in corrispondenza della navata centrale della Cattedrale di Otranto. La mostriamo qui tramite una foto sempre di Rita Paiano e pubblicata su Facebook:
Rita, grande cultrice dei beni culturali di Otranto, ci spiega a commento che “questo affresco della Natività si trova nella navata centrale della Cattedrale, al di sotto del pulpito ligneo. Credo sia antecedente al 1480 avendo letto che non era stato distrutto dai turchi poichè avevano rispetto per le immagini della Madonna. Purtroppo si è scritto molto poco sugli affreschi presenti in Cattedrale, avendo il Mosaico catalizzato l’attenzione degli studiosi.“.
Qui vediamo una foto dell’interno della Cattedrale di Otranto, il pulpito ligneo compare sulla destra:
Ricordo che la Cattedrale di Otranto costruita nell’XI secolo d.C. fu consacrata a Santa Maria Annunziata, non stupiscono allora tante raffigurazioni della Madonna negli affreschi relitti sulle pareti, come neppure la possibile qui ipotizza originaria raffigurazione almeno in progetto della Madonna nel mosaico pavimentale del XII secolo d.C.
Una natività dipinta nel 1542 da Donato Bizamano pittore di origini cretesi ma operante ad Otranto nella prima metà del Cinquecento. Si notano sullo sfondo montagne, una città cinta da mura con una chiesa al centro con alto campanile, e la cavalcata dei Magi, mentre delle rovine classiche sono in primo piano; al centro una pastore con il suo gregge e il suo cane che suona la zampogna nei pressi di una vera di pozzo. Qui una foto dell’opera dallo studioso Mario Cazzato che l’ha divugata su Facebook:
Il ramo poco fronzuto/bastone cui si appoggia l’uomo dalla suggestiva “Coppa graalica”
Il personaggio più integro dei tre possibili Magi nel mosaico di Otranto afferra un bastone o virgulto o ramo poco fronzuto. Nel caso lo volessimo leggere come bastone ricavato da un ramo allora potremmo considerare come simbolo del viaggio intrapreso proprio dai magi a partire da Oriente seguendo la stella verso Betlemme:
Un bastone da viaggio in tal caso assai compatibile con la simbologia-iconografia dei Magi costruibile sulla base dei racconti dei Vangeli che narrano del loro essersi messi in cammino.
Non è facile dire con certezza cosa essa sia essendo lì i personaggi caratterizzati dalla presenza di altri motivi vegetali dalle forme in punta grossolanamente gigliate che possono essere ideali prolungamenti delle chiome dei tanti alberi del mosaico idruntino o motivi vegetali a sé, come a sé sono nell’abside il “ricino” di Giona o le possibili palme di Ninive (vedi per approfondire l’articolo “Il ‘Bestiario’ del mosaico medioevale di Otranto: approfondimenti su alcune creature raffigurate (mostri, animali, piante, ecc.)); non mancano tanti “fanciulli” o per lo meno rappresentati come fanciulli che si reggono ai rami degli alberi nel mosaico idruntino.
Ricordiamo a tal fine ad esempio la coppia primigenia di Adamo ed Eva nella scena raffigurata nella navata centrale che lì vede nel Paradiso terrestre forse mentre si nascondono tra i rami dopo il peccato compiuto secondo il libro della Genesi.
E’ interessante osservare come a differenza della rappresentazione nel mosaico di Adamo ed Eva con maggiori caratteri di dimorfismo sessuale nel presbiterio dove si mostra la scena della consumazione del frutto proibito, qui nella navata centrale essi appaiono senza troppi particolari differenzianti, nudi come fossero fanciulli senza distintivi caratteri sessuali, solo forse un cenno ad una maggiora lunghezza dei capelli di Eva; uno stile semplice quindi questo ed immediato, lo stesso che è stato seguito per la rappresentazione dei presunti Magi.
Estendiamo lo sguardo alle figure prossime ai tre Magi ipotizzati nel mosaico di Otranto
I tre giovani nudi con offerte e in posizione di adorazione, prostrazione e omaggio dei doni, lo spazio antistante a loro danneggiato proprio dove sarebbe stata necessaria una ulteriore figura a completamento degli elementi essenziali della scena della Adorazione dei Magi, (e cioè la Madonna in trono con bambin Gesù, o il ricovero di Betlemme della Natività con la Sacra Famiglia, ma stando al tempo del mosaico di Otranto più la prima), la presenza della Stella nel cielo connotano, sembrerebbe inequivocabilmente, il tutto come la rappresentazione dell’Epifania del Cristo Gesù con i Magi.
Questa nuova chiave di lettura proposta che riesce a spiegare insieme diversi elementi del mosaico dell’abside può essere usata per stabile se anche altre immagini prossime possono essere incluse e spiegate nella rappresentazione della Adorazione dei Magi. Adorazione che comunque si inserisce sempre come quasi tutto nel mosaico pavimentale medioevale della Cattedrale di Otranto tra le fronde di alberi ed è così che spieghiamo anche quegli elementi vegetali che compaiono anche a fine di horror vacui in questa scena musiva dell’Epifania scoperta.
Appare così innanzitutto con una visione d’insieme la necessità di scindere la scena di Sansone che lotta contro il Leone sulla sinistra e di ispirazione vetero-testamentale dalla scena a destra della Adorazione dei Magi di ispirazione neo-testamentale.
Paiono doversi riferire alla scena dei Magi (il corteo di tre giovani nudi e con una coppa o con più recipienti) nell’abside figure prossime come le due scimmie, quella sorta di antilope e la figura dell’asino antropomorfo (o creatura come ripresa nel corso di una metamorfosi uomo-asino che fa pensare all’ “Asino d’oro” l’opera di Apuleio scrittore in lingua latina vissuto nel II sec. d.C.).
Ci dobbiamo allora rifare all’iconografia nella storia dell’arte del corteo dei Magi in adorazione e vedere se troviamo lì delle similitudini con quanto in Otranto.
La metamorfosi asino-uomo nei pressi dell’Adorazione dei Magi
Per quanto concerne l’asino si tratta di un animale che ritroviamo insieme al bue nel presepio con statuette rappresentante la Natività con la Sacra Famiglia, che fu ideato da San Francesco d’Assisi nel 1223 divenendo poi una diffusa tradizione cattolica natalizia; l’asino ed il bue erano associati all’immagine del bambinello Gesù deposto provvisoriamente dopo la nascita in una mangiatoria e riscaldato dal calore emesso dai corpi nonché col fiato di un bue e di un asinello (entrambi animali a sangue caldo) lì nella loro stalla che aveva dato rifugio alla Sacra Famiglia a Betlemme. Ma quali sono le fonti di un asino ed un bue associati alle prime ore di vita Gesù?
Esse son ben precedenti a San Francesco (Assisi, 1181/1182–Assisi, 1226). Il testo che cita un bue e un asino vicino alla mangiatoia (mangiatoria citata dal Vangelo di Luca e da quello di Matteo) in cui fu sistemato Gesù appena nato è il Vangelo dello pseudo-Matteo, un vangelo apocrifo, cioè non riconosciuto dalla Chiesa ufficialmente. Fu scritto in latino pare tra l’Ottavo e il Nono secolo; esso in gran parte riprende quanto scritto in altri due Vangeli apocrifi, il Protovangelo di Giacomo e il Vangelo dell’infanzia di Tommaso. Nella parte in cui è descritta la nascita di Gesù, il testo è però un po’ diverso da queste sue fonti. Il capitolo 14 infatti dice: «Tre giorni dopo la nascita del Signore nostro Gesù Cristo, la beatissima Maria uscì dalla grotta ed entrò in una stalla, depose il bambino in una mangiatoia, ove il bue e l’asino l’adorarono. Si adempì allora quanto era stato detto dal profeta Isaia, con le parole: “Il bue riconobbe il suo padrone, e l’asino la mangiatoia del suo signore”. Gli stessi animali, il bue e l’asino, lo avevano in mezzo a loro e lo adoravano di continuo.».
L’asino che ritroviamo a Otranto nell’abside è però alquanto particolare, vi vediamo una sorta di metamorfosi asino-uomo nei pressi dei Magi a Otranto.
La mutazione in asino, che talvolta nel secoli passati era considerata operata da “masciari“, maghi stregoni, che si potevano mutare anche in altre creature come cani, gatti, ecc., è una trasformazione che ricorda l’opera romanzo magico-fantasioso, forse iniziatico, intitolato “L’Asino d’oro” di Apuleio. I Bestiari medievali, debitori di Apuleio e della sua opera, sottolineano l’ottusità, l’ostinazione e la lussuria dell’asino, ma anche la sua docilità. Lussuria che derivava come concetto probabilmente dall’enorme fallo che caratterizza l’asino come animale, e mi piace anche ricordare il valore simbolico dionisiaco dell’asino presente nel corteo (il tiaso) del dio Dioniso in antichità nella cultura greco-romana antica. Non si può escludere quindi un influsso da parte de “L’Asino d’oro” di Apuleio per questa raffigurazione in Otranto. Non dimentichiamo qui la presenza in Otranto di una importante biblioteca medioevale al tempo nel monastero fuori porta di San Nicola di Casole dove si studiavano e copiavano anche testi classici in greco e latino.
Il concetto della natività con l’asino dai Vangeli apocrifi, il concetto di magia legato anche solo per assonanza ai Re Magi, la Stella di Betlemme che richiama per associazione anche gli astri del cielo associati ad Iside, possono essere stati degli elementi, possiamo ipotizzare ora in assenza al momento di adeguati confronti iconografici per questa figura misteriosa, che hanno portato ideatori e mosaicisti di Otranto nel medioevo ad una fusione di suggestione con l’asino di Apuleio qui in chiave di redenzione, la venuta del Cristo, l’Epifania che scioglie gli incantesimi e il Male, migliora gli uomini e tutto ciò simboleggiato in chiave allegorica dall’asino di Apuleio che ritorna uomo; un’ipotesi di lettura allegorica.
Ed ecco quella che pare una scena di metamorfosi uomo-asino o viceversa, con Asino quasi di colore dorato, nel mosaico pavimentale del XII sec. d.C. della Cattedrale di Otranto nella zona dell’abside, nei pressi dei tre fanciulli o comunque giovani con coppa/graal/calice eucaristico/scrigno dei Magi e con rappresentazione vicina di una stella, effigiata come in altre zone del mosaico o per horror vacui a fini decorativi, o per indicare il cielo (come è nella scena musiva del volo di Alessandro) o forse con riferimenti celesti ad Iside (la stella Sirio o la Luna?), o come stella dei Magi a indicare Betlemme o anche come raffigurazione di Iside che compare nel romanzo di Apuleio e dove dei riti in suo onore sono fatti con opportuni astri nel cielo notturno.
Lucio, il protagonista, è caratterizzato da “curiositas”, la quale risulta un elemento positivo, ma non avendo accortezza nel suo esercizio fa scattare la punizione: metamorfosi in asino, animale considerato suo malgrado stupido ed utile solo nel trasporto di grandi carichi. Lucio però mantiene l’intelletto umano, e per questa ragione nel titolo dell’ opera è definito l’asino d’oro, e possiede comunque un punto di vista privilegiato perché osserva gli uomini nei lori gesti quotidiani.
C’è chi vi ha visto un asino danzante. Più che danzante a me sembra la contorsione di un corpo nella metamorfosi, quella dell’Asino d’oro di Apuleio. C’è stato chi lo ha considerato un antropomorfo stabile, io vedendo che un piede è equino e l’altro antropomorfo pensavo da questa asimmetria ad una istantanea di una metamorfosi.
Questa metamorfosi in corso è rappresentata in un luogo del mosaico assai conclusivo di ogni percorso simbolico che in esso necessariamente deve portare all’altare, che è sancta sanctorum di quel tempio cristiano nel piano dove si estende tale opera musiva immensa. Limitandoci qui ad una analisi iconografica lasciamo ad altri magari una più profonda lettura allegorica in seno al pensiero teologico cristiano.
In merito alla antropizzazione dell’Asino che è in Apuleio compare un’altra immagine nel mosaico di Otranto degna qui di nota, ovvero quella di un asino arpista nel mosaico del presbiterio: un asino eretto sulle zampe posteriori intento a suonare un’arpa.
Nell’arte scultorea dal XII al XIV secolo l’asino ricorre frequentemente. Lo troviamo in un capitello del XII secolo sul portale della chiesa di Meillet (Francia), nella cattedrale di Rouen dove è raffigurato con l’arpa fra le zampe, sulle torri della chiesa di Saint-Denis, a Chartres, Nantes, Nevers, Strasbourg. Lo troviamo anche su un capitello a stampella del XIII secolo della cattedrale di Bitonto, dove è messo in evidenza il suo fallo smisurato. L’asino musicante vuol significare “l’assurdità”. Già nel XII secolo, il poeta e monaco francese Filippo di Thaun scriveva che i presuntuosi sono incapaci e insulsi come «gli asini a suonare l’arpa». Un asino ricordiamo fu poi cavalcato da Gesù nel suo ingresso a Gerusalemme acclamato dalla folla, ma compare anche nell’iconografia dell’episodio della Fuga in Egitto legata all’infanzia del Cristo e narrata nei Vangeli apocrifi; si rappresenta Maria con il bambino seduta sul dorso di un asino guidato da Giuseppe che si dirigono verso l’Egitto. Alla nascita di Gesù, i Magi venuti dall’Oriente, seguendo la Stella, sostano a Gerusalemme da Erode il Grande, chiedendo dove trovare il neonato “re dei Giudei”. Erode, temendo che il bambino cercato dai Magi possa essere una futura minaccia al suo trono, cerca di ucciderlo e poiché non conosce la data precisa della sua nascita, né chi sia questo bambino, ordina di uccidere tutti i bambini della zona sotto i due anni, nella speranza di uccidere potenziale Re dei Giudei. In sogno un Angelo appare a Giuseppe, lo avverte del pericolo e gli ordina di portare Gesù e sua madre in Egitto.
Non solo, la metamorfosi di un uomo in asino e viceversa ci richiama come suggestioni nella letteratura greco-latina antica ad Apuleio come detto ma anche ad un’altra opera intitolata “Lucio o l’asino“, un breve romanzo greco erotico del I-II secolo d.C. pervenutoci fra le opere del filosofo e scrittore in lingua greca Luciano di Samosata vissuto nel II secolo d.C., oggi quell’opera è ritenuta apocrifa; il suo autore viene spesso indicato, di conseguenza, come “Pseudo-Luciano”. Gli eventi narrati nel romanzo presentano delle evidenti correlazioni con quelli del successivo Asino d’oro di Lucio Apuleio (il cui protagonista anche si chiama proprio Lucio); è oggetto di discussione se lo Pseudo-Luciano sia stato fonte di Apuleio, o se entrambi abbiano attinto a una fonte precedente, forse un romanzo perduto di Lucio da Patrasso. Autori omonimi del protagonista evidentemente attratti da spunti autobiografici o di identificazione con lui.
Vediamo il contenuto di quest’opera: <<La vicenda si svolge in Grecia: il giovane Lucio si reca a Ipata, in Tessaglia, attratto dalla rinomanza magica della città. Qui viene ospitato dall’avaro Ipparco e sua moglie, la quale è una maga potente, dedita a pratiche occulte. Lucio, essendo molto interessato alle arti magiche chiede alla serva della casa, Palestra, di farlo assistere a una magia della sua padrona. Assisterà quindi a una particolare pratica: il trasmigrare dell’anima da un corpo all’altro. Una notte Lucio, nascosto dietro l’uscio della porta, è presente alla magia che inizia con il far incenerire due granelli d’incenso, questo procedimento viene accompagnato da una formula e, dopo questa, Lucio vede la maga prendere da uno scrigno un olio con cui cosparge interamente il suo corpo nudo, ha poi inizio la trasformazione in corvo. A quel punto anche lui prova il desiderio di volare nel corpo di uccello, ma Palestra, involontariamente, fa cospargere Lucio dell’unguento sbagliato, facendolo invece trasformare in asino, pur mantenendo la sensibilità e i pensieri umani. L’antidoto per tornare alla forma umana è mangiare delle rose. Non potendo farsi riconoscere, Lucio viene rapito assieme ad un altro asino e il suo stesso cavallo da un gruppo di ladri. Tenta invano di fuggire, sarà poi venduto ad un fornaio che lo userà coma asino da lavoro alla macina, in seguito cambierà diversi padroni, prima un ortolano poi dei cuochi. Lucio si trova poi a Salonicco, preda di un mercante che cercherà di esibirlo come animale ammaestrato e una donna lo affitterà per passarci la notte (zooerastia). A quel punto il suo padrone organizza a teatro uno spettacolo che dimostrerà le prestazioni sessuali dell’asino, in quest’occasione Lucio-asino trova delle rose da poter mangiare, tornando così alla sua forma umana e deludendo il pubblico.>> (dalla voce “Lucio o l’asino” di Wikipedia).
Non si può escludere quindi, così come per l’opera latina di Apuleio, anche una conoscenza al tempo della realizzazione del mosaico a Otranto dell’opera in greco “Lucio o l’asino“, tanto più che forte era ancora il sostrato culturale e religioso greco-bizantino in Otranto da non molti decenni passata dall’Imperatore di Bisanzio al dominio Normanno e tramite questi ultimi anche del Papa di Roma.
<<I magi, persiano مغ māgh (singolare magio o mago, dall’antico persiano magu-, in babilonese maguš, latino magus e greco mágos) furono gli appartenenti alla casta sacerdotale dei periodi medo, achemenide, partico e sasanide nell’ambito della religione zoroastriana. (…) Nella cultura greca si fece uso del termine mágos per indicare ogni incantatore o mago, ma anche ciarlatani e medicastri, specialmente da filosofi come Eraclito che avevano un atteggiamento scettico riguardo all’arte dell’incantatore e nella letteratura comica (vedi ad esempio l’opera Lucio o l’asino di Luciano di Samosata). In epoca ellenistica mágos iniziò ad essere utilizzato come aggettivo relativo al campo semantico della magia, come nell’espressione magas techne ars magica usata da Filostrato. Inoltre i magi della Persia erano considerati come degli specialisti di magia e astrologia. Plinio il Vecchio (in Naturalisa Historia 30,2) affermò: “Senza dubbio la magia sorse in Persia con Zoroastro.” ; i Magi sono anche nominati da Giordano Bruno nel De Magia ove sono definiti come sapienti.>> (dalla voce Magi (zoroastrismo) di Wikipedia).
Possiamo allora ipotizzare quali sono state le associazioni di idee che hanno portato alla relazione tra Magi e l’Asino Lucio (o il parallelo Lucio nell’ “Asino d’oro”) nel mosaico medioevale di Otranto, se da un lato abbiamo l’asino associato ai natali di Cristo e quindi all’Epifania, dall’altro lato abbiamo con l’asino antropomorfo (“Lucio o l’Asino” e “L’Asino d’oro” di classica memoria) un’associazione con il concetto di magia in parte rappresentata e associata alla figura dei Maghi, tanto più che tra i doni dei Magi a Cristo vi è l’oro e anche l’incenso, e il rito fatale a cui assiste Lucio in Lucio o l’asino comincia con l’incenerimento di due granelli proprio d’incenso. Difficile dire se in Otranto tale associazione sia stata neutrale o in chiave allegorica cristiana contro la pratica della magia associata alla sfera del demoniaco. In ogni caso fatta sempre salva la rilevanza nel mondo cristiano dei Magi come santi le cui reliquie godevano al tempo di altissima venerazione in Europa.
Al contempo la figura dell’Asino antropomorfo ci richiama come asino alla Natività e come antropomorfo al concetto di magia fungendo quasi involontariamente da rebus per la ulteriore decriptazione dei tre giovani con stella nel cielo e di cui uno conservatosi musivamente integro con evidente coppa in mano e gli altri inginocchiati e con arti in posizioni compatibili con gesti di offerta di doni e rivolti ad uno spazio a mosaico mancante, nel verso proprio della chiave di lettura della Adorazione da parte dei Magi del Bambin Gesù da poco nato.
Nota: In “Lucio o l’Asino” Lucio rompe l’incantesimo e ritorna uomo quando in stato di Asino mangia delle rose. Interessante questo simbolo che ci richiama a quella sgangherata epigrafe musiva sul pavimento della Cattedrale di Otranto in cui sembrerebbe di leggervi la parola “rosa”, ne abbiamo discusso senza poter giungere a conclusioni certe in questo articolo: “San MARCO nel mosaico medioevale della Cattedrale di OTRANTO? Omaggio a Venezia? Legami sottesi tra Otranto e quella Repubblica marinara?“.
Nota: mi piace osservare come non solo valori simbolici legati al carattere delle persone paragonato ai comportamenti dei vari animali ma anche l’osservazione di alcune anomalie del mondo naturale poteva suggerire una metamorfosi dell’uomo in equino, ad esempio in Asino come ritroviamo in un romanzo di Apuleio e in Collodi (nell’opera di Pinocchio). Asini e Cavalli che vengono tenuti a lungo impossibilitati a grandi movimenti, ad esempio in una stalla, non consumano le loro unghie che in tal caso poiché sempre crescono finiscono per conferire una forma di sorta di scarpe umane a queste ultime, cosicché l’animale buffamente apparirà come aver piedi umano calzati. Vediamo alcuni esempi.
Qui per un Asino:
Taglio sistemazione da maniscalco delle unghie iper-cresciute in un Asino. Quando le unghie di un equino crescono troppo possono conferire aspetti antropomorfi! Pensiamo all’Asino d’oro di Apuleio forse anche ritratto nei mosaico pavimentale medioevale della Cattedrale di Otranto.
Qui di seguito caso analogo per un Cavallo:
Cavallo dalle unghie iper-cresciute da sembrare scarpe umane calzate.
Nota: nell’abside della Cattedrale di Otranto troviamo due elementi che vengono dalle fonti antiche bibliche e classiche greco-romane e che sono stati con le medesime fonti certamente di ispirazione per la creazione della favola di Pinocchio data alle stampe nel 1881 e opera dello scrittore italiano Carlo Collodi, vi troviamo in essa sia la vicenda del burattino di legno Pinocchio e del suo padre-creatore il falegname Geppetto (falegname come il Giuseppe dei Vangeli padre adottivo di Gesù) che vengono inghiottiti da un enorme pesce-cane, sopravvivono nel suo interno e poi riescono a scappare, che trae il suo archetipo dalle vicende bibliche del profeta Giona inghiottito dal mostro marino in alto mare (come raffigurato a Otranto nell’abside), vi sopravvive e poi viene sputato fuori e si salva, sia la spiacevole metamorfosi uomo-asino in cui incorre Pinocchio come conseguenza nefasta del suo aver seguito la cattiva amicizia Lucignolo (nome forse ispirato dal demonio tentatore Lucifero del cristianesimo o anche proprio da Lucio che si trasforma in Asino nei testi greci e latini antichi qui citati) verso l’abbaglio di una vita di soli divertimenti. Mi piace anche osservare in merito alla vicenda di Pinocchio, un burattino appositamente realizzato in legno da un falegname anziano e solitario che desiderava un figlio, e che prende miracolosamente vita umana, l’ispirazione alla vicenda narrata nel mito greco di Pigmalione e Galatea. Pigmalione era secondo il mito uno scultore che aveva modellato nell’avorio un nudo femminile espressione per lui della più alta femminilità, superiore a qualunque donna in carne e ossa; perdutamente innamoratosi della sua opera dormiva accanto ad essa nella speranza che un giorno si animasse. A questo scopo, in occasione delle feste rituali in onore di Afrodite (Venere per i romani, dea della bellezza), Pigmalione si recò al tempio della dea e la pregò di concedergli in sposa la scultura creata con le sue mani rendendola una creatura umana: la dea acconsentì. Egli stesso vide la statua lentamente animarsi, respirare e aprire gli occhi. Il nome di lei è tradizionalmente Galatea. I due si sposarono ed ebbero anche una figlia. Altra fonte di ispirazione può essere cercata nell’ebraico Golem, una figura antropomorfa immaginaria della mitologia ebraica, una statua di argilla a cui si poteva dare vita con delle formule magiche. Alla fine del IX secolo d.C., secondo la Cronaca di Ahimaaz, nella città di Oria in Terra d’Otranto risiedevano dei sapienti ebrei capaci di creare golem, i quali smisero di praticare questa attività dopo una divina ammonizione. In Pinocchio poi la figura della fatina, la fata di cui è ricca la tradizione popolare salentina, (si pensi ad esempio alla “Fata del pioppo” di cui si narrava a Cavallino di Lecce o alle fate nella zona dei cosiddetti “Massi della Vecchia” nel feudo di Giuggianello). Nelle figure della coppia il Gatto e la Volpe possiamo vedere suggestioni dalle fiabe di Esopo e Fedro. La figura dei due medici nelle forme del corvo e della civetta ci ricordano due simboli della morte, il corvo in quanto animale necrofago e la civetta poiché come il gufo uccello dalle abitudini notturne. La trovata fiabesca del naso che cresce a Pinocchio quando egli dice bugie ci ricorda un gesto che inconsciamente le persone tendono a fare quando dicono una menzogna, si grattano subito dopo il naso, ci insegna la sinergologia, a seguito di un improvviso senso di prurito che interessa proprio il naso. Intervengono allora magicamente i picchi, uccelli che solitamente scavano nel legno, per riportare il suo naso a dimensioni più normali. Infine citiamo la figura dei conigli neri che sono utilizzati per rappresentare i becchini per la tumulazione nella terra in quanto i conigli scavano gallerie nel suolo come ricorda il nome scientifico della loro specie secondo il tassonomista Linneo: Oryctolagus cuniculus. Il grillo, insetto che suona nella notte, è simbolo della coscienza. Il nome Pinocchio viene poi probabilmente da pino, ad indicare l’albero con il cui legno venne realizzato il suo corpo. Pinocchio viene impiccato alla Quercia Grande, e ciò ricorda l’impiccagione ad un albero del dio Odino nella mitologia norrena, e viene salvato da un falco e da un cane (animale necrofago come lo sciacallo e per questo psicopompo nella tradizione, cioè accompagnatore delle anime nell’aldilà), che richiamano la figura egizia di Horus e del dio psicopompo Anubi dalla testa di sciacallo.
Nota: mi piace anche ricordare come il concetto di magia legato ai Magi stabilisce anche un sotteso legame con la figura di Mago Merlino propria del ciclo arturiano e mi piace a tal fine ricordare anche una tela che ha colpito la mia attenzione in una chiesa di Zollino con un Sant’Antonio Abate in vesti dalle suggestioni di mago, santo che per i suoi poteri miracolosi di esorcista e guaritore lo si può considerare una sorta di mago cristiano, un suo simbolo è il fuoco, che ci permette di evidenziare un archetipico collegamento con i sacerdoti persiani zoroastriani (magi) legati fortemente al sacro fuoco. Nei pressi del Santo sono rappresentati dei commestibili funghi della specie Cimballo (Clitocybe geotropa). Riporto qui la foto di quella tela di Zollino anche perché nella parte superiore è raffigurata una Venerazione dei pastori, (motivo iconografico cristiano cui accenneremo), vediamo un pastore intento a suonare la zampogna tipico strumento musicale appenninico, il bambin Gesù deposto nella mangiatoia, il bue e l’asinello:
Le due scimmie
Scimmie vengono considerati due animali che sono rappresentati mentre mangiano dei frutti nel mosaico dell’abside della Cattedrale di Otranto nei pressi del ragazzo con coppa divenuta famosa come il Graal di Otranto, ma che principalmente dovrebbe essere una coppa dei Re Magi. Delle due scimmie una ha una lunga coda, l’altra è senza coda (questa potrebbe pertanto essere un macaco del Nordafrica specie di scimmia acaudata, ma non possiamo sapere se lì il mosaicista abbia voluto spingersi fino a dettagli naturalistici-geografici tanto precisi).
Osserviamo da una ricerca fatta nella storia dell’arte che non è del tutto inconsueto incontrare delle scimmie nella raffigurazione del corteo dei Magi giunti a Betlemme in adorazione.
Le troviamo nell’Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano, polittico a comparto unico scandito a tre lunette conservato alle Gallerie degli Uffizi a Firenze e dipinto nel 1423 a tempera d’uovo su legno e tela di lino, lamine d’oro e d’argento e lacche trasparenti o colorate. Opera del Tardo Gotico in Italia. Ricchezza, splendore, capacità narrativa. Vi vediamo proprio due scimmie, il ghepardo che spaventa i cavalli agitati, il levriero sotto le gambe dei destrieri.
<<Sono tanti tanti gli elementi decorativi e simbolici che hanno arricchito nel corso delle epoche le figure dei Magi. Un corteo di ricchi signori, indefinito nel numero, o tre re, come i doni che portano a Gesù: l’oro simboleggiante la ricchezza; l’incenso, la regalità; la mirra, le sofferenze che il Bambino venuto a salvarci dovrà patire attraverso la morte in croce, [la mirra è una gommoresina vegetale profumata che era infatti usata per la preparazione dei corpi dei defunti per il sepolcro, l’imbalsamazione]. I Magi sono andati caratterizzandosi fisionomicamente e hanno assunto nel tempo i tratti del moro o dell’orientale: tre etnie diverse venute ad adorare il Salvatore. I pittori li hanno associati anche alle tre età dell’uomo: sono infatti anche simbolo dell’umanità in cammino.>> (Tratto dall’articolo “Giunsero da oriente. L’arrivo dei Magi nell’arte“)
Le due scimmiette vi danno pertanto insieme ad altri elementi di questo corteo un tocco di esoticità legato ai Re giunti da lontano e da terre dalle ricche biodiversità con il loro corteo per rendere omaggio a Cristo come Re dei re nell’Epifania.
Potrebbe essere lo stesso per le due scimmie che mangiano frutti degli alberi del mosaico che troviamo nell’abside a Otranto.
E se questa chiave di lettura è corretta, allora forse anche quella sorta di antilope, (forse una cervicapra indiana o una saiga delle steppe euro-asiatiche?), che vediamo accovacciata vicino le due scimmie nel mosaico idruntino, come speranzosa con la lingua di fuori di sottrarre a quei primati il frutto che gustano, potrebbe far parte di questo tocco di esoticità del corteo dei Magi giunti da Oriente. Colpisce l’anomalo naso dattiliforme di questa antilope, è pur vero che nasi simili sporgenti dal profilo appaiono anche in figure di tipo umano nel mosaico (vedi scene dell’Inferno nella navata sinistra) o in animali come il mostro marino bicaudato/foca nella navata centrale, ma non possiamo qui non osservare come l’antilope nota come Saiga delle steppe (nel Pleistocene assai anche diffusa in Europa), il cui nome scientifico è Saiga tatarica, abbia proprio a sua peculiare caratterizzazione un naso particolarmente prominente come una sorta di corta proboscide.
Cosa era rappresentato in mosaico a Otranto nel transetto?
Le riflessioni e osservazioni fin qui esposte ci permettono di chiederci cosa c’era rappresentato realmente in origine o perlomeno secondo il progetto iniziale nel transetto, in mosaico, nei tratti in immediata continuità con il mosaico dell’arco absidale?
Ciò tenendo conto che in tutto il transetto manca oggi decoro musivo, ma la mutilazione del braccio ipotizzato come offerente di un ipotizzato Magio rivela che vi fosse mosaico poi andato perduto, forse per la troppa usura e poi non restaurato, o mai realizzato per interruzione brusca dell’esecuzione dei lavori nonostante il progetto inziale.
Per il tratto a sinistra guadando verso l’altare dal presbiterio e navata centrale abbiamo risposto già praticamente, lì tenendo conto delle icone del tempo dell’Adorazione dei Magi vi doveva essere una Madonna in trono con Bambino.
Se dunque questo spazio era legato alla Madonna e al bambin Gesù nato da poco, allora per una sorta di simmetria simbolica la spazio a destra sempre guardando verso l’altare dal presbiterio e navata centrale poteva ospitarvi un Cristo in croce, una Crocifissione. E abbiamo già visto come nonostante un’idea esegetica diffusasi intorno al mosaico idruntino, cioè che su di esso non vi sarebbe stato rappresentato nulla del Nuovo Testamento, su di esso sono invece tanto raffigurati personaggi e racconti del Vecchio Testamento quanto del Nuovo Testamento, oltre ad elementi extra-biblici!
In tal caso poi la Crocifissione lì si correlerebbe alla seguente rappresentazione in continuità della vicenda del profeta Giona inghiottito dal mostro marino entro il cui tubo digerente passò tre notti prima di essere risputato fuori vivo, metafora e simbolo dei tre giorni passati nel sepolcro da Cristo dopo la sua morte in Croce, prima della Resurrezione, anche questa, abbiamo scoperto, rappresentata nell’abside proprio dopo il ciclo di Giona in continuità.
Quelle parti di mosaico con motivi così importanti, la Madonna e Gesù, erano state eseguite così male, troppo naïf come naïf le prossime figure di Giona o degli ipotizzati Magi che si decise di rimuoverle per rispetto religioso? O si rovinarono per il gran passaggio sul transetto, che come recita il nome è luogo di transito frequente dei presbiteri per il rito della messa, e non furono più restaurate? O si reputò nonostante il progetto iniziale di non offendere due figure così importanti della Cristianità in luoghi di così frequente calpestio e si decise di non realizzarle in corso d’opera? O più motivazioni di queste insieme?